Alemanno: una pietra tombale sul teatro dell'Opera di Roma
Marino opta per la linea dura contro gli orchestrali in agitazione. «Questo è l'unico percorso che può portare a una vera rinascita dell'Opera. Quindi il cda ha approvato esternalizzazione di orchestra e coro del Teatro dell'Opera votando la procedura di licenziamento collettivo»
«Dopo 134 anni di vita gloriosa oggi il consiglio di amministrazione presieduto dal sindaco Marino si è assunto la responsabilità di mettere una pietra tombale sul Teatro dell'Opera di Roma». Lo dichiara in una nota Gianni Alemanno, ex sindaco della capitale e attualmente consigliere di centrodestra. «Il licenziamento collettivo dell'orchestra e del coro dell'Opera sono un atto gravissimo che dimostra come le dimissioni del Maestro Muti rispondevano proprio a questa logica di ridimensionamento più ampia progettata dal sovrintendente Fuortes - prosegue - Per questo motivo ribadiamo la necessità di convocare un consiglio straordinario dedicato alla situazione del Teatro dell'Opera e soprattutto invitiamo il sindaco Marino a sciogliere questo Cda e a nominare un nuovo sovrintendente che abbia davvero a cuore il futuro dell'Opera di Roma».
«L'unica vera sofferenza, per utilizzare le parole del sindaco Marino, è vedere ancora Fuortes sulla poltrona da sovrintendente del Teatro dell'Opera». Lo dichiara il presidente della commissione Trasparenza di Roma Capitale Giovanni Quarzo (Fi). «Ci attendevamo un suo passo indietro dopo il fallimento della sua gestione, per poi lavorare per il rilancio del Teatro - prosegue - Purtroppo, a pagare le sue inefficienze sono i musicisti ai quali va la nostra totale e sincera solidarietà». «E tra l'altro ancora attendiamo gli atti relativi all'inchiesta interna, che gli abbiamo chiesto durante la Commissione trasparenza - aggiunge - Dati che, ovviamente, Fuortes ancora non ci ha fornito, anche se non potrà più scappare perché il 7 è fissata nuovamente una seduta della commissione».
Le dimissioni di Muti hanno avuto due effetti. I soci della fondazione (il ministro Franceschini, il governatore Zingaretti e il sindaco Marino) si sono compattati per risolvere l'ingovernabilità alla radice. Ma allo stesso tempo la fuga sdegnata del maestro ha prodotto un danno di immagine ed economico. A partire dal bilancio: quattro sponsor, con contratti da un milione di euro ciascuno, hanno deciso di non scommettere più sulla lirica della Capitale. E anche gli abbonamenti alla fine ne hanno risentito.
Sicché i soci, non potendo arrivare ad altri tagli, avevano davanti due strade: chiudere e liquidare o procedere con l'esternalizzazione di coro e orchestra per ripartire con un nuovo sprint.
Nessun sopruso, piuttosto un modello vincente già collaudato in realtà europee prestigiose: da Madrid a Berlino, fino a Londra e Parigi. Spiega infatti il ministro Franceschini: «I musicisti se vorranno, potranno, come avvenuto da altre parti, dare vita a un'orchestra nuova, basata su relazioni trasparenti, sulla qualità e sull'innesto di giovani talenti, che punti a ricostruire con il Teatro un nuovo e diverso rapporto». Da qui ai prossimi 75 giorni si attiveranno i tavoli sindacali in Regione e al ministero. Coristi e orchestrali continueranno a essere dipendenti fino alla fine del procedimento: anche le recite andranno in scena, l'unico dubbio è l'Aida orfana di Muti (il 27 novembre). Poi da gennaio si cambierà. Il modello Roma è destinato a fare scuola sui burrascosi palcoscenici italiani. E non solo.
La scelta è «dolorosa», come premettono tutti, dal ministro Dario Franceschini al sindaco Ignazio Marino. Ma allo stesso tempo, nella pratica, la svolta «è storica e benefica», e non solo per le fondazioni liriche. In generale, dal Teatro dell'Opera di Roma viene lanciato un bel sasso nello stagno del dibattito sul lavoro: d'ora in poi l'orchestra e il coro saranno esternalizzati, dunque per 184 dipendenti (su 460) si aprono le porte del licenziamento collettivo. Ma attenzione: da gennaio tutti gli artisti ritorneranno a lavorare, solo che dovranno essere riuniti sotto un nuovo soggetto giuridico. Un'associazione o una cooperativa che si accorderà con il Teatro per i contratti stagionali. In base a criteri legati all'efficienza, senza più accordi integrativi dalle indennità fantasiose (quelle per il frac o per le trasferte a Caracalla...) e dai privilegi un po' fuori mercato visti i tempi. «È l'unico modo per una vera e auspicata rinascita del Costanzi», dice il sindaco e presidente della fondazione lirica Ignazio Marino, protagonista di una scelta coraggiosa e senza precedenti. Al suo fianco il sovrintendente Carlo Fuortes, che ha proposto il piano della svolta al consiglio d'amministrazione. Passato con sei voti favorevoli e un astenuto. «È stato un trauma, ma è l'unico modo per dare una prospettiva a questo ente», dirà alla fine del board Simona Marchini dopo il proprio sì.
«L'atteggiamento tenuto nei mesi scorsi da parte della Cgil e dei sindacati autonomi, con gli scioperi in occasione della stagione estiva di Caracalla e la decisione di non firmare il piano di risanamento, ha danneggiato il teatro e ogni iniziativa sindacale intrapresa». Lo dice la Cisl per voce del segretario della Fistel Cisl di Roma e del Lazio, Paolo Terrinoni. Terrinoni definisce «un colpo mortale all'Opera, ma anche alla cultura a Roma e in Italia», la decisione del Cda «di avviare la procedura di licenziamento collettivo di 182 persone tra musicisti di orchestra, una decisione che come sindacato «critichiamo fortemente», ma stigmatizza anche «l'atteggiamento della Cgil e dei sindacati autonomi».
Dunque si cambia. E non poteva essere altrimenti. Il 2013 è stato puntellato da un crescendo rossiniano di guerre sindacali e scioperi estivi a Caracalla, tensioni e minacce culminato con l'addio a piazza Beniamino Gigli del maestro Riccardo Muti. Un pasticciaccio, dalla eco internazionale, che stava per vanificare l'anno di sacrifici imposti per ripianare un deficit da 12 milioni di euro e il lavorio messo in piedi per usufruire della Legge Bray (sono in arrivo 20 milioni). «Ecco perché - spiega Salvo Nastasi, direttore generale del Mibact per lo spettacolo dal vivo - avremo una doppia ripartenza per la rinascita: nessuno perderà il posto, lavoreranno tutti, ma lo Stato, principale finanziatore delle fondazioni liriche con 300 milioni all'anno, non si può permettere di buttare i soldi».