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Ha ragione Giampaolo Pansa quando dice che da Lorenzetto è meglio non farsi intervistare: «scopre tutti i vostri peccati». Le sue domande spezzano il fiato. Marcano con schiettezza il confine tra bene e male, costringendo l’interlocutore a dichiarare da che parte si è schierato. È quello che ha fatto con Massimo Gandolfini, il neurochirurgo che da un po’ guida il popolo del Family Day. E che ha appena scoperto una nuova vocazione, la ricerca di un giudice a Roma. Già, «mi sono reso conto che c’è un disperato bisogno di giudici che abbiano come fondamento etico la dignità della persona. Oggi ho la sensazione che una magistratura autoreferenziale, terribilmente ideologizzata, stia modificando la struttura stessa della storia, dell’uomo della società».

In Europa e un po’ in tutto l’Occidente che fu Cristianità, «stiamo perdendo il senso del divino, in nome dell’umano, non si sa più cosa sia la persona, la libertà, l’amore, la famiglia, la vita, la morte. Tutto viene continuamente messo in discussione e tutto si dice deve essere ridefinito come se tutto fosse a nostra disposizione», come ha affermato abbastanza recentemente il cardinale Bagnasco. Tutto questo diventa tangibile leggendo ‘L’Italia del Family day’, edito da Marsilio. Eppure Gandolfini e Lorenzetto dribblano con abilità i luoghi comuni, la stucchevole banalità e la retorica pedante: i tranelli più insidiosi quando si parla di famiglia, figli, adozioni, omosessualità.

Massimo Gandolfini prende le distanze anche dalla ipocrita retorica pauperista che ha investito la Chiesa, e ammette con onestà intellettuale che i sette figli adottati – quasi nessuno immune da una patologia grave, a volte gravissima – sia stato possibile crescerli grazie al fatto che lui non è povero, ma è il professionista più conosciuto nel Bresciano. «Ho un contratto che mi permette l’extramoenia, per cui non ho mai avuto problemi ad arrotondare con visite specialistiche e consulti. Ringraziando il Cielo, almeno questo non è mai stato un assillo».

Quando ripensa al giorno in cui è nato il comitato “Difendiamo i nostri figli”, ricorda che era il 2 giugno 2015, festa della Repubblica. Una “coincidenza” significativa, perché lui sì che la cambierebbe la Costituzione, ma non come e con Renzi. La fonderebbe sulla famiglia, più che sul lavoro.

Del presidente del Consiglio, i due parlano a più riprese. E quando Lorenzetto domanda, forse retoricamente, «chi gliel’ha fatto fare [a Renzi] di arrivare a una prova di forza? Perché insistere con le adozioni alle coppie gay, quando i sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani è contraria?».

Gandolfini non si affida alle mezze frasi, convinto com’è che il nostro premier non sia indipendente nelle sue prese di posizione, e che piuttosto prenda ordini da Obama. «Che importa a Obama se in Italia le unioni civili sono riconosciute dalla legge oppure no?».

«Importa, importa. Chi è stato il presidente che, appena rieletto, ha proclamato: ‘Adesso bisogna pensare ai diritti dei gay’, come hanno titolato tutti i giornali riferendo il discorso d’insediamento? Obama. Chi ha spinto affinché la Corte suprema degli Usa legalizzasse i matrimoni gay su tutto il territorio nazionale, nonostante la contrarietà di molti Stati? Obama. Chi ha nominato nell’aprile 2015 il primo inviato speciale degli Usa per i diritti umani dei gay, Randy Berry, omosessuale dichiarato? Obama. Chi lo ha spedito, alla prima missione ufficiale per promuovere la causa, presso la Segreteria di Stato della Santa Sede e il Consiglio pontificio per la giustizia e la pace, come ha rivelato Time? Obama. Chi lo ha mandato in giro per il mondo – in soli sette mesi aveva già visitato 30 Paesi – a propagandare presso i governi l’omosessualismo? Obama.  […]».

«Sarà mica un criptogay?».

«No. Però è al servizio dei padroni del mondo, che non sono certo i governi». Che ci siano multinazionali in grado di orientare l’opinione pubblica e determinare le sorti dei governi non è un’idea da complottista dell’ultima ora. Gandolfini sa bene, come chiunque sia dotato di buon senso, che una famiglia debole significa una società debole. E che una società debole, formata da figli con orientamenti sessuali incerti e mutevoli, non ha difficoltà a farsi condizionare. Quando la relazione familiare latita, viene a mancare la più forte delle relazioni che esista, e gli individui finiscono per vegetare in uno stato di anomia.

Sia l’intervistatore che l’intervistato sono d’accordo. Siamo alla dittatura della minoranza. D’altronde, Renzi si è impegnato con ardore a legiferare per lo 0,025% della popolazione!

Gandolfini non manca mai, in ogni risposta, di dimostrare quell’onestà intellettuale che lo rende un uomo di poche pretese. Eppure un “desiderio”, oltre al lieto fine, lo ha: una parola di «chiarezza da parte della Chiesa, una spinta». Qualcosa, insomma, che funga da artiglieria per vincerla questa battaglia. E Lorenzetto, che lo ha capito bene, lo pungola in più occasioni. Come quando gli ricorda come il Papa avesse telefonato a Emma Bonino («che negli anni Settanta svuotava uteri con una pompa per bicicletta, smaltiva i feti smembrati in un barattolo vuoto di marmellata e questo le sembrava “un buon motivo per farsi quattro risate” insieme alle sventurate che aveva appena aiutato ad abortire con tale metodo»), e a lui no. Poi, però, lo consola, «come sostiene un mio amico prete, innamorato di Francesco, un pontefice venuto dalla fine del mondo non può che dire cose dell’altro mondo». O almeno ci prova.

Il mestiere di fare domande presenta più insidie di quel che si pensi. E spesso le domande si finisce per farle anche un po’ a se stessi. Come a ricordarsi perché si stanno impiegando tante energie per qualcosa che il mondo reputa folle, sterile. Allora quando il più bravo intervistatore d’Italia domanda a Gandolfini perché «non ha continuato ad aprire scatole craniche invece di rompere le scatole a Renzi», nella risposta, forse (!), ha trovato quello che cercava anche per se: «Gesù ha comandato: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni”. Non ha detto: statevene rinchiusi in casa vostra o in sala operatoria. E neppure: andate e costruite ponti, la famosa frase che oggi va tanto di moda. Ma poi quali sarebbero i ponti da gettare? Ci sono già, e belli larghi, mi pare. […] Il mio compito è innanzitutto quello di far crollare i ponti minati».

Famiglia naturale, omosessualità, “matrimonio” omosessuale, adozioni gay, utero in affitto, gender. Tutto quel che è oggi tema di discussione per benpensanti, nel libro intervista è affrontato nei dettagli, anche e soprattutto da un punto di vista scientifico.

E ai media di ogni sorta che ormai operano solo sotto lo stendardo di “gay è bello, gay è felice, gay è meglio”, Lorenzetto risponde affidando il cuore del libro – da dove arriva l’ossigeno del senso di queste pagine – all’intervista che fece lui stesso a Luca di Tolve. Il protagonista della canzone di Povia, tratta da un storia vera, finita sul palco del teatro Ariston. Per intenderci, l’uomo perseguitato da tutte le comunità Lgbt del caso perché racconta una verità che mette seriamente in crisi ogni loro “teoria”.

Che cosa pensa si aspetti, il Padreterno, da lei? «Che non mi sottragga al dovere di dare una rappresentanza a quella moltitudine d’italiani ben consci della deriva etica in atto e impossibilitati a fermarla».  L’Italia del Family day è viva, e non è stanca.

In occasione di un recente evento letterario che ha avuto luogo a Roma, ho incontrato un letterato bilingue di cui avevo sentito molto parlare. Proprio così, finalmente, ho conosciuto Arjan Kallço e sono rimasta affascinata dal suo sincero interesse verso la lingua e la letteratura italiana. Nato in Albania alla fine degli anni ’60, egli si laurea in Lingua Italiana presso l’Università di Tirana, per poi dedicarsi all’insegnamento, dapprima in un Liceo Linguistico e dal 1998 presso l’Università Fan S. Noli di Korça. Inoltre, ha collaborato con l’Istituto Italiano di Cultura in qualità di docente ai corsi dell’Università Roma Tre e CELI. È stato borsista del MAE italiano a Perugia, dove ha effettuato ricerche e vari studi sulla lingua e la letteratura italiana. Ha partecipato a diverse iniziative culturali in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia a Tirana e scrive articoli inerenti ricerche e studi, che vengono pubblicati su giornali e  riviste non solo nel suo Paese, ma anche negli Stati Uniti, Grecia, Macedonia, Italia, Kosovo, Olanda.

 La sue più grandi passioni sono la poesia, la prosa, il giornalismo e la traduzione. Insomma, un umanistico a tutto tondo! Ha tradotto e pubblicato il libro “Proverbi della Lingua italiana” , “Poesie italiane sull’amore”, “Racconti di scrittori italiani degli anni ’80” , la novella di Italo Svevo “Il buon vecchio e la bella fanciulla”, poi tradotta nel 2010 anche in albanese e “Antologia di poeti contemporanei italiani 2015”. Nel marzo 2010 presenta il volume di poesie “La tua immensità m’inebria”, che raccoglie liriche scritte nel corso dei suoi soggiorni in Grecia  ed ancora le varie edizioni in due lingue. Nel 2013 il libro di poesie scritte in Italia “Immagini di vita sussurrate”, al quale seguiranno altre interessanti pubblicazioni. Ultimamente si sta dedicando alla poesia Haiku, un genere di componimento poetico molto breve, che in questi ultimi anni comincia ad essere più seguito anche in Italia. Nato in Giappone intorno al 1600, si basa su una struttura letteraria singolare, composta da diciassette sillabe disposte in tre gruppi, (per capirci versi), secondo regole metriche ben precise. Il segreto della poesia Haiku è quello di riuscire ad esprimere un’emozione, un concetto in modo estremamente breve. 

Anche in questo caso, il poeta Kallço si cimenta in un lavoro promettente e a tal proposito quest’anno ha pubblicato in lingua italiana il volume “La danza delle foglie”, subito dopo tradotto in albanese. In questi anni egli ha ricevuto molti premi nell’ambito di Concorsi letterari sia italiani, che albanesi e le sue poesie compaiono in numerose antologie.

Quali sono i motivi che l’hanno portata ad orientare il suo percorso accademico verso lo studio e l’approfondimento della lingua Italiana?

Imparare una lingua straniera è come aprire una nuova finestra sul mondo, un universo che sconvolge la vita. Inizialmente, mi trovai dinanzi ad un vero dilemma; sembrava una strada impercorribile, almeno finchè il livello della mia conoscenza dell’italiano era basso e seguiva un pò le orme del francese. Nonostante ció, direi che ci sono stati tre momenti topici nella mia vita, che mi hanno avvicinato alla lingua italiana:

1-I racconti di mio nonno sui soldati italiani durante la Seconda Guerra; tra loro ce n’erano molti che definiva come brava gente, che amava lavorare molto e bene. Nei loro occhi traspariva una specie di affetto per la popolazione albanese e se si lavorava assieme, questi rapporti diventavano amichevoli. Poi, una delle frasi rimasta nella mia memoria,  diceva che gli italiani non erano per la guerra, ma per l’amore, a differenza dei tedeschi. Ci si aiutava a vicenda come meglio si poteva; anche scambi di cose utili per la vita, per non parlare poi della solidarietà dopo la fine del fascismo.

2-La maggior parte di film trasmessi dalla nostra televisione era in lingua italiana, anche se di produzione americana o di altri paesi europei. Iniziavamo così, piano piano, a farci l’orecchio con una lingua che non avrei mai immaginato sarebbe diventata la mia lingua, nel bene e nel male e che mi ha dato tante soddisfazioni. Un amore che non è mai venuto meno, senza separazioni nè divorzi, che possano oscurarne l’orizzonte. Molte parole o battute le imparavamo a memoria e così, quando si giocava con gli amici, ognuno cercava di sfoggiare il suo bagaglio di conoscenza. La nostra generazione aveva sete; pertanto, assorbivamo tutto ciò che riuscivamo ad afferrare. Quando il leader Albanese di allora veniva a Pogradec, una citta’ situata attorno ad uno dei laghi più interessanti dei Balcani, noi conoscevamo il periodo in cui si trasferiva per le ferie, e le antenne erano subito pronte in un giorno.

3- La musica e la televisione italiana. A proposito della prima, ricordo che durante la settimana aspettavamo il weekend per ascoltare la hit parade o le canzone che le nostre radio trasmettevano a casa. Mi rimbombavano sempre nell’orecchio le parole e il loro ritmo e i commenti dei presentatori dei programmi. A casa scrivevo quello che si poteva ricordare, certamente con le lettere del nostro alfabeto, e come davanti ad una videocamera, recitavo. Quanto alla televisione, i giorni che trascorrevo a Tirana, durante le vacanze o quando mi capitava di andarci, li passavo in gran parte davanti alla Tv, non appena iniziava la trasmissione della tv albanese. Mi ricordo allora il grande Toto Cotugno, che conduceva ogni giorno la trasmissione su Raiuno. Oppure, quando andavamo al mare in vacanza e seguivamo i programmi che vedevano i nostri vicini, che talvolta ci invitavano ad assistere quanto trasmesso sui canali delle Tv  private. E’ bello seguire un percorso simile nell’apprendere una lingua, poiché, in alcuni casi, come per lo sport, in poco tempo, avevo acquisito una discreta conoscenza dell’argomento.

Quale periodo della Letteratura italiana la affascina particolarmente?

È una domanda difficile, molto difficile. Scegliere quale e chi, diventa per me un campo minato; poi “quando si tagliano le dita di una mano”, si dice dalle nostre parti, “fanno male ugualmente”. Dal sommo poeta Dante Alighieri al ‘900 assistiamo ad una storia letteraria italiana che non ha paragoni nel resto del mondo e commetterei un grave errore di cultura, se evitassi contesti storici e autori, poichè ogni cosa va valutata prendendo in considerazione la contingenza del momento, in quel preciso spazio. Tempo e spazio sono inevitabili, anche riguardo la storia e la cultura. Parafrasando un vecchio proverbio: “ditemi che cultura avete, vi dirò chi siete! ”. Inoltre, va sottolineato che la letteratura di oggi non esisterebbe senza tener conto di quella di prima, che costituisce la base, il pilastro sul quale si poggiano tutte le varie correnti ed aperture letterature. Comunque, e’ chiaro che non tutti gli autori possono piacere, poichè le loro opere rispecchiano periodi diversi. C’e’ qualcuno che ti ispira particolarmente, quando sei tu che scrivi poesie e prosa. Io sono innamorato della letteratura del ‘900 e la corrente che mi entusiasma ed esalta maggiormente è l’Ermetismo, per la geniale idea di non parlare direttamente, ma per simboli e altre figure. Inoltre, se fra i quattro giganti, due sono Nobel per la Letteratura, allora la storia diventa più interessante e magica. Un labirinto in cui non ci sono molti tempi, ma uno solo: il tempo della cultura e non ne esistono altri più significativi nella nostra vita, oltre a quello rigorosamente e meticolosamente registrato nelle pagine infinite della storia della cultura. Immaginate uno spazio ristrettissimo, ma quanto tempo dentro, quanta storia e quanta cultura creata e tramandata. Il nostro compito è quello di leggerlo con molta attenzione e realismo. Se evitassimo questi due fondamentali passaggi, non riusciremmo mai a conciliare le dialettiche del progresso. Poi, credo di aver tradotto e pubblicato su vari giornali albanesi i quattro padri dell’Ermetismo: Luzi, Montale, Quasimodo e Ungaretti. Per il 21 marzo, “Giornata Mondiale della Poesia”, abbiamo organizzato manifestazioni dedicate anche ad autori italiani, grazie alla collaborazione di professori italiani della sezione bilingue istituita nella mia città. Tradurli anche oggi è una meta che mi affascina e quando ho tempo libero, dedico tutta la mia anima a delle loro poesie, che poi pubblico anche sulla mia pagina facebook. Tradurre è un’arte che permette di far parlare un poeta in una lingua diversa e consente di portare avanti un interessante confronto interculturale. E oggi conoscere vuol dire anche far conoscere altri popoli, attraverso la storie, le tradizioni, gli usi che appartengono alle numerose identità culturali. Senza il passato, non possiamo interpretare come eravamo una volta e quello che siamo diventati.

Nel mio percorso ho conosciuto molti autori contemporanei tuttora viventi e certamente tra esse ci sono alcuni che mi stanno a cuore. La letteratura non si ferma mai! Accanto ai grandi nomi classici, ci saranno anche i nuovi. La letteratura e’ il fiume che non s’asciuga mai; in esso risiede la materia e l’anima e in ogni corrente questi elementi non mancano mai. Per usare un eufemismo, “il letto del fiume fa si che il suo corso non possa essere deviato”.

Nella sua esperienza di docente universitario, quale posto dovrebbe occupare la cultura nel bagaglio accademico degli studenti, iniziando dalla scuola primaria?

 

Per  fortuna durante i miei 27 anni di carriera ho avuto la possibilità di insegnare dalla scuola elementare all’Università.

I tempi moderni ci fanno capire che il concetto di cultura e’ molto cambiato e i poteri cercano sempre di attuare misure penalizzanti, tagli vari, quando si parla di cultura.

Sono rimasto scioccato da una dichiarazione di un grosso businessman, il quale con  fredda, quanto stupida schiettezza, ha dichiarato che la loro categoria non la capisce la cultura e di conseguenza non la ama. Assurdo fino all’inverosimile. Io penso che se ci riferiamo alla storia, l’unica cosa che viene tramandata è la cultura, per meglio dire, è l’unica componente della società che da sempre nelle varie epoche rimane, poiché rappresenta il punto di riferimento a cui ci aggrappiamo e ci consente di interpretare il nostro passato. Immaginate la società attuale che comincia da zero senza il passato? Sarebbe un bambino appena nato che non sa da dove viene e dove sta andando. Se poi volgiamo lo sguardo verso le società millenarie, non esiste confronto che tenga. Uno studente che non possiede cultura, è come un bambino smarrito in mezzo all’ immensità, dove non trova punti di riferimento e metri di paragone con i quali confrontarsi. E se poi questo studente fosse il popolo?

La cultura, intesa come il principio primario attivo, va insegnata, innanzitutto, dalla famiglia e poi a scuola,  dove i ragazzi trascorrono molte ore della giornata e della vita. Ma visto che in  famiglia, secondo le new generation, non si vuole comunicare con i propri figli, l’arduo compito tocca alla scuola.

Se poi le politiche dei governi “risparmiano” sulla scuola,  il risparmio sarà di sicuro sperpero in futuro.

Avremo sempre bisogno di investire sull’uomo, una corsa che non finirà mai, e questo ci costerà sempre più caro. Il mio motto è “più cultura, meno spese inutili sulle nuove generazioni”. Vorrei aggiungere che la vera cultura ci aiuterà a combattere i mali della società, una volta diventati tutti maggiormente consapevoli. I giovani dovrebbero essere i primi a rendersene conto, altrimenti ne risentirà la loro vita. Una vita non vissuta, è vita persa, battaglie perse delle società. Concentrarsi sull’uomo è e rimarrà il più nobile e sublime dovere di ogni Stato, indipendentemente da colori e forme. Oggi vediamo che la scuola si sta modernizzando e molto, svilendone il vero senso. Non e’ che sia contro l’alta tecnologia, ma togliere il lavoro ai ragazzi, intendo quello che devono fare con le proprie mani, vuol dire disorientarli completamente e farli diventare pigri. Se poi cancelliamo anche i compiti di casa, allora cosa faranno i nostri ragazzi nel tempo libero? Perderanno la cultura del lavoro, dell’impegno e con ciò anche l’idea del lavoro stesso. Alle nostre porte sta bussando a squarciagola la pigrizia, che vuol dire propensione ai vizi e i ragazzi viziati non servono a niente. Vogliamo spalancare le porte ai vizi?

La poesia è nutrimento dell’anima, è riflessione ed appagamento. Da cosa nasce il suo desiderio di scrivere poesie?

Nella vita ti può capitare di tutto e questo mi ricorda i miei maestri, familiari compresi, che ci dicevano sempre che la vita non e’ una aiuola di fiori, bella e profumata. Dopo l’Università, mi sono laureato nel 1990, appena tornato nella mia città pensavo ad un bel posto di lavoro, ma in realtà sono rimasto per un po’ di tempo senza un’occupazione. E potete capire cosa significasse in una Albania dopo la caduta del Muro di Berlino. Allora mi dedicai alla lettura dei libri che mi capitavano fra le mani in italiano e albanese, ma se erano in italiano meglio, così potevo concentrarmi attentamente sull’apprendimento maggiore della lingua e l’approfondimento della letteratura. Poi, un bel giorno prendo atto di essere rimasto solo, tradito da tutto. Isolarsi era l’unico modo per campare, e allora il tuo mondo e’ quello che ti gira intorno e cerchi di scoprire quotidianamente quello che non avevi mai immaginato di scoprire. Insomma, la ricerca di te stesso, palmo per palmo, giorno per giorno. Prendi la penna e cominci a buttare sulla carta le impressioni, che non sono ancora versi. Poi, nelle lunghe serate e notti d’inverno cerchi di aggiustare la mira. Niente si fa senza impegno e volontà. Più sei solo, più la volontà guadagna terreno e capisci che puoi vincere su tutto. Poi accade anche che, purtroppo, perdi le persone a te care e la lettura diventa più illuminante, anche se le sofferenze prendono il sopravvento e incombono. Perdi un amore e la tristezza invade ogni cellula del tuo essere. Perdi un fratello e la lettura ti occupa ore e ore attaccato, senza pietà, dallo sgomento e dalla solitudine. Momenti idilliaci di riflessione, di introspezione sulla vita. Fai un passo timido che sembra debole, poi azzardi di più, finchè la solitudine diventa la tua nemica. Risorgi e finalmente capisci che quello che potevi esprimere nelle chiacchiere infinite ai bar, puoi trascriverlo in versi, un po’ alla volta, pezzo dopo pezzo e parola dopo parola.

Quando sei pronto, poi arrivano anche le pubblicazioni e da quel momento la tua vita non ha senso se nella tua cartella che tiene sempre con te non è presente un taccuino e una penna su cui annotare quello che la tua mente riesce a mettere insieme alle parole; piccolo cenni che poi diventano poesie. Bussa l’ora del verdetto; ossia, quello che hai scritto e’ ben fatto? Serve? Ha messaggi da trasmettere alle persone? Allora viaggi e scopri mondi nuovi, che ti imprimono il coraggio e la forza di andare avanti, di cercare sempre di stare a galla, nonostante le avversità della vita.

Ma, ad un tratto, colpo di scena, bussano altri amori, altre ispirazioni, nuovi pensieri, idee e filosofie… Nella vita tutto è in continuo movimento.

 

 

Nel secolo scorso le ideologie politiche, che qualcuno ha chiamato assassine, hanno imperversato per oltre settant'anni con visioni distorte dell'uomo, ferendo la libertà e la natura in ogni uomo e donna e soprattutto provocando milioni di morti. Perché non si consumassero più tante infamie che si erano viste nel '900, si sono varate varie carte dei diritti dell'uomo, ma tutte regolarmente hanno fallito, illudendo tanta parte del mondo. Purtroppo oggi, si osserva invece il preoccupante dilagare di una nuova ideologia sganciata dalla realtà, mi riferisco alla teoria del gender, “una vera rivoluzione antropologica guidata da una potente oligarchia attraverso metodi che si supponevano superati, con l'aggravante, grazie alle nuove tecnologie, di modalità di condizionamento mass mediatico pervasive e globalizzate”. E' questa la tesi della dottoressa specialista in infettivologia Chiara Atzori, che ha scritto un breve saggio proprio per sostenere la sopravvivenza di semplici uomini e donne, attraverso la sua esperienza di medico, ma soprattutto smascherando l'inconsistenza scientifica del gender. Il titolo del libro è “Gendercrazia. Nuova utopia. Uomo e donna al bivio tra relazione o disintegrazione”, pubblicato da Sugarcoedizioni (2016).

Il gender come l'ha definito papa Francesco è “uno sbaglio del pensiero che crea tanta confusione”, del resto,“quando manca la luce, tutto diventa confuso, - scrive il papa nella Lumen Fidei- è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla meta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione”. In effetti l'ideologia del gender, scrive la Atzori, nell'introduzione,“è una visione antropologica distorta, teorica e scollegata dalla realtà, partorita da èlite accademiche grazie alla saldatura tra la cosiddetta French theory e l'oligarchia progressista americana, un ristretto gruppo di persone dotate di grande potere economico e ampio accesso ai sistemi di comunicazione”.

La Atzori nel libro fa riferimento all'immagine del pittore fiammingo, Hieronymus Bosch,“Il giardino delle delizie”, dove si vedono l'uomo e la donna creati da Dio, il pittore in tre pannelli, rappresenta in successione la deflagrazione dell'ordine stabilito da Dio. In una specie di giostra si nota lo stravolgimento dell'ordine naturale, in una totale liberalizzazione del desiderio. L'immagine fantastica di uomini e animali e cose mescolati in una commistione innaturale, per la Atzori soprattutto il terzo pannello del trittico, anticipa quello che stiamo vivendo in questo decennio con l'ideologia del gender. Infatti al centro di tutto, sta il desiderio individuale, soggettivo,“che non può essere messo in discussione né deve confrontarsi con alcun limite, compreso quello biologico”. Quindi ogni desiderio diventa “diritto”, rispetto ai temi della sessualità con l'ausilio della legge impositiva, grazie al supporto della tecnoscienza (chirurgia, ormoni, tecniche di riproduzione medicalmente assistita) in grado di modificare, manipolare e superare i limiti del corpo, “costretto” dal biologico.

Pertanto tutto ciò che è tecnicamente fattibile, sia in privato che in pubblico deve poter essere realizzato. In concreto viene realizzata la liberalizzazione della cosiddetta identità di genere (percezione di appartenenza a un dato genere sessuale a prescindere dal sesso reale) dell'orientamento (preferenza) sessuale, del “ruolo” (manifestazione pubblica del genere) sulla base del desiderio individuale, a prescindere dal biologico. Sono questi i principi, i nuovi “diritti umani”, promossi dai movimenti GLBT, ormai i gender variant, proposti su facebook sono più di 56. Questi nuovi cospiratori, guru della nuova ideologia utopica predicano il gender come nuova frontiera:“il luogo in cui ribellarsi, creare una nuova individualità e unicità, sfidare norme sociali vecchie, logore e antiquate e, a volte, fare impazzire i genitori e varie altre figure che rappresentano l'autorità”. Sono i guru della French theory, quei “figli dei fiori di ieri”, sono i detentori dei potentati economici e culturali di oggi. La Atzori fa alcuni nomi, uno per tutti, fra i tanti “moschettieri”, Jean Baudrillard, ascoltato e osannato soprattutto negli Usa. Il Baudrillard nel suo saggio, “Della seduzione”, auspica una saldatura tra la biotecnologia e i temi della sessualità, in particolare sul perseguimento della clonazione umana. Infatti, “la clonazione abolisce non solo la Madre, ma anche il Padre, l'unione dei loro geni, l'intrecciarsi delle differenze e soprattutto l'atto duale della generazione. Chi nasce dal clone non è generato: germoglia a partire da un segmento”.

Dunque per l'ideologia del gender, “nulla è oggettivo e oggettivabile; i generi maschili e femminile sono pura costruzione culturale, l'identità personale è opzione soggettiva a prescindere dal dato biologico...”. Pertanto ognuno si costruisce la propria sessualità secondo i propri desideri.

Dal punto di vista politico, l'ideologia del gender non può essere collocata a destra o a sinistra, ma non può essere definita neanche progressista, né reazionaria, perchè il gender, secondo Atzori,“è un coacervo incoerente di tendenze in grado di saldare istanze ascrivibili a una visione marxista marcusiana ma anche liberista, tecnoscientifica, consumistica, finanziariamente capitalista, solo pseudo popolare”. Si presenta come il “diritto all'amore”, (“love is love”), ma certamente ha una caratteristica sempre più totalitaria. Qualcuno mette in discussione anche la stessa esistenza dell'ideologia, sostenendo che si tratta di una invenzione degli integralisti cattolici. Ma per la Atzori il gender è frutto del “sessantottismo”, del movimento femminista radicale, materialista e omosessualista, di origine francese poi migrato negli Stati Uniti nel secolo scorso.

E' proprio negli Usa che l'ideologia del gender si è saldamente ancorata e radicata, alimentata dalle èlite liberal, attraverso una propaganda mass mediatica, favorita dallo sviluppo del web, si va imponendo senza grossi ostacoli a livello legislativo mondiale, anche nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, attraverso odiosi strumenti di condizionamento neo-coloniale mascherati da sostegno umanitario. Infatti papa Francesco rispondendo a una domanda nel recente viaggio in Georgia fa riferimento proprio a questo concetto: «Oggi c'è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Oggi ci sono colonizzazioni ideologiche che distruggono, ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee. Pertanto, bisogna difendersi dalle colonizzazioni ideologiche». In effetti si tratta di un concetto che il pontefice ha già espresso in altre occasioni, e che troppe volte è stato stranamente silenziato da media, invece, particolarmente solleciti nel riportare altri gesti e altre parole di papa Bergoglio. Questa volta il messaggio è arrivato forte e chiaro e nessuno potrà far finta di non averlo sentito, dentro e fuori i Sacri Palazzi.

Infatti, l'unica voce che si oppone a questa ideologia totalitaria, ammantata dalla definizione di “nuovi diritti”, è il cristianesimo, in particolare la Chiesa cattolica, che proprio per questo viene apertamente attaccata come ultimo baluardo rispetto a una egemonia di pensiero unico. In questo scenario il libro della Atzori non teme impropri paragoni  con Il mondo nuovo di Huxley o 1984 di Orwell.

Senza voler apparire a tutti i costi polemici, oggi è fondamentale denunciare la gendercrazia, questa è una“legittima e doverosa testimonianza contro un attacco sferrato da decenni in modo subdolo con modalità accattivanti, suadenti e ammantate di buonismo, cioè di falsa bontà”. Una testimonianza che dev'essere fatta da tutti dai laici ai credenti.

La pericolosità di questa ideologia sta proprio nella sua ambiguità, nelle sue definizioni sfuggenti e ribaltabili. Infatti la Atzori sostiene che il gender “non è una teoria organica, e nemmeno è possibile esprimere un pensiero gender compiuto, perchè gender è una miscellanea in continua 'ebollizione' di tante correnti diverse”.

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