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Il premier Conte è uno dei nove leader europei che ha chiesto a gran voce l'adozione dei coronabond; Berlino e Olanda sono invece i capifila di chi non vuole nemmeno sentirne parlare.Se nessuna delle due parti in campo dovesse spuntarla, non è da escludere un compromesso a metà strada tra gli estremi. Una di queste possibili soluzioni, sottolinea il quotidiano La Stampa, è quella di finanziare spese specifiche con emissioni della Banca europea degli investimenti. La Francia, per bocca del ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, chiede di operare al di fuori del bilancio europeo mentre la Germania, la cui costituzione vieta di condividere debiti, non ha alcuna intenzione di spingersi oltre  

Per evitare di finire in trappola, Conte ha provato a spiegare la situazione in questi termini: “L'Italia è pronta a prendere in considerazione il ricorso al Fondo se in prospettiva verrà elaborato in maniera diversa, e snaturato, con i soldi accessibili a tutti i Paesi senza condizionalità preventive o successive”. Tradotto: Meccanismo europeo di stabilità (Mes) senza austerità e Troika. Soltanto in un caso del genere il Mes passerebbe da “strumento inadeguato” a “strumento tra gli altri della strategia europea”. Il braccio di ferro continua ma il tempo stringe.

Il nostro Paese, che alla fine del 2020 dovrà fare i conti con un debito oltre il 150% della ricchezza prodotta (oltre a un pil al ribasso), sostiene che Bruxelles possa fare di più. Il ministro del Tesoro Roberto Gualtieri, ad esempio, ha annunciato che l'Italia emetterà “garanzie per le imprese fino a 500miliardi di euro”. Fatto sta che domani, mentre prosegue la trattativa in Europa, il Consiglio dei ministri italiano annuncerà il decreto con le misure per le imprese.

In ogni caso, all'orizzonte, c'è un'insidia enorme. Senza un accordo forte adesso, in autunno, a emergenza (si spera) finita e quando lo scudo Bce si indebolirà, l'Italia potrebbe ritrovarsi a fare i conti con gli spread in rialzo e la pressione degli investitori. A quel punto il rischio è che il nostro Paese possa chiedere l'assistenza del Fondo salva-Stati.

Intanto l’Unione europea cambia idea, recita una sorta di mea culpa e ora dice di essere è pronta ad aiutare l’Italia. A leggere la lettera di autocritica pubblicata da Ursula von der Leyen sul quotidiano La Repubblica a nome dell’intera Ue, sembrerebbe che dai piani alti di Bruxelles abbiano finalmente capito l’entità dell’emergenza economica in corso. Eppure la sensazione è che qualcuno stia piangendo lacrime di coccodrillo, fingendo di provare compassione quando in realtà è più disinteressato che mai.

Il presidente della Commissione europea, dopo settimane passate a fare spallucce di fronte a ogni concreta proposta d’aiuto partorita dal fronte degli anti rigoristi, di cui fa parte anche l’Italia, adesso si scusa apertamente con tutto il popolo italiano. E lo fa con parole calibrate alla perfezione, così da indurre i lettori a credere in un cambio di rotta dell’attuale mamma Europa: “Scusateci, ora la Ue è con voi”. “Ora”, è bene ricordarlo, significa che fino a ieri, ovvero quando il nuovo coronavirus costringeva un disperato governo italiano a varare le prime misure anti Covid-19, l’Europa non era assolutamente “al fianco dell’Italia”.

Ad oggi l'Ue, e cioè le istituzioni europee e gli Stati membri, hanno mobilitato 2.770 miliardi di euro. E' la più ampia risposta finanziaria ad una crisi europea mai data nella storia". Lo ha detto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.Per aiutare i Paesi più colpiti dal coronavirus come Spagna e Italia la Commissione europea conferma la proposta di un fondo anti-disoccupazione SURE, "che potrà mobilitare 100 miliardi di crediti, sulla base di garanzie messe a disposizione dagli Stati membri, per 25 miliardi. 

L'iniziativa sarà presentata all' Eurogruppo e confido che sarà adottata velocemente", ha ribadito la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, presentando un pacchetto di misure solidali.  'Oggi l'Europa si mobilita al fianco dell'Italia, ma va riconosciuto che nei primi giorni della crisi, di fronte al bisogno di una risposta comune, in troppi - ha sottolineato hanno pensato solo ai problemi di casa propria. La riflessione è della presidente della commissione Ue Ursula Von der Leyen in una lettera a 'La Repubblica' in cui fa il punto sugli ultimi interventi, ricordando fra l'altro lo strumento SURE per la salvaguardia dell'occupazione nei Paesi più colpiti. Quello passato, osserva, è stato un comportamento dannoso e che poteva essere evitato, ma ora l'Europa ha cambiato passo.

Il premier olandese Mark Rutte sta lavorando ad una proposta per un Fondo di emergenza Covid-19 per aiutare gli Stati membri più colpiti dalla pandemia a far fronte alle spese legate all'emergenza sanitaria, senza alcuna condizionalità. I Paesi Bassi - pronti a contribuire con un miliardo di euro - presenteranno l'iniziativa al prossimo Eurogruppo. Lo spiegano fonti diplomatiche all'ansa. L'iniziativa è stata presentata ieri al Parlamento olandese per una prima discussione

"La Ue deve usare tutti gli strumenti. Attivando il Mes senza stigma e con condizionalità light, cosa che dovremmo essere in grado di decidere all'Eurogruppo" ma oltre alla risposta immediata che comprende anche Bei e schema anti-disoccupazione, dobbiamo "riflettere su strumenti a lungo termine per far ripartire la crisi, dobbiamo mettere insieme risorse, perciò la Francia ha proposto di creare un fondo temporaneo che emette bond garantiti dagli Stati". A sostenerlo è il ministro dell'economia francese, Bruno Le Maire.

"Non dobbiamo esitare a ricorrere a strumenti straordinari per accompagnare il rilancio anche industriale dopo la crisi, la proposta 'Sure' è un ottimo esempio degli interventi di cui abbiamo bisogno". Così il commissario europeo al mercato interno, Thierry Breton, durante la riunione della commissione per il Mercato interno del Parlamento Ue, parlando del nuovo strumento da 100 miliardi proposto da Bruxelles contro la disoccupazione nei Paesi più colpiti dall'emergenza Covid-19.
"L'impatto" del coronavirus "sulle nostre economie sarà enorme e dobbiamo pensare anche al dopo, quando il mondo sarà molto diverso", ha aggiunto Breton, sottolineando che "l'Europa ha imparato molto dalla crisi del 2008 e alla fine ci sarà solamente una parola che dovremo ricordare: solidarietà"

Intanto una notizia che è passata un po’ sottotraccia in queste ultime ore è quella dell’arrivo in Spagna e in Italia di aiuti da parte della Repubblica Ceca per cercare di sostenere le capacità sanitarie nazionali nella lotta contro l’epidemia da coronavirus Covid-19.

In ogni caso, la notizia è che dopo settimane di silenzio assordante, alternato a mezze prese di giro, l’Europa “vuole dare una mano, stanziando nuove risorse per finanziare la cassa integrazione”. Proclami al vento? Assolutamente no, sottolinea von der Leyen. Che mette le mani avanti e spiega come “l’Unione stanzierà fino a cento miliardi di euro in favore dei paesi colpiti più duramente, a partire dall’Italia, per compensare la riduzione degli stipendi di chi lavora con un orario ridotto”.

Un aereo da trasporto militare C-130 con 10mila tute protettive e 90 respiratori per la ventilazione polmonare donati dal governo di Praga è atterrato domenica 29 marzo a Madrid, mentre un convoglio carico di altri 10mila dispositivi di protezione individuale di questo tipo è arrivato lunedì 30 a Milano, sempre proveniente dalla Repubblica Ceca.

Queste prime spedizioni rientrano nella richiesta, partita da Spagna e Italia, di aiuto nel quadro del sistema della Nato per la gestione delle emergenze civili che si chiama Euro-Atlantic Disaster Response Coordination Centre (Eadrcc). Il centro di comando, che funge da organo di coordinazione sovranazionale per i Paesi dell’Alleanza e per i suoi partner, è attivo, come si legge nel sito ufficiale “tutto l’anno su base 24/7”.

 

 

 

 

 

“L’Europa ha il dovere di difendere l’Italia dal dumping fiscale degli altri Paesi europei: bisogna stimolare la cooperazione e non la contrapposizione interna, specialmente in questo momento di emergenza legata all’epidemia. Il Garante della Concorrenza e del Mercato stima che il nostro Paese perda ogni anno tra 5 e 8 miliardi di euro a causa della concorrenza di paradisi fiscali interni all’Ue, quali Irlanda, Lussemburgo e Olanda, che attraverso offerte a società estere di tassazioni su dividendi e profitti di capitale estremamente convenienti, attirano investimenti in molti caso fittizi, atti esclusivamente a ridurre il peso fiscale in capo alle multinazionali, generando situazioni di concorrenza sleale e perdite fiscali per gli stati in cui la ricchezza viene effettivamente prodotta. Questo e’ inaccettabile e Paesi come l’Olanda, prima di voltarci le spalle o farci lezioni, dovrebbero guardarsi in casa propria: ho presentato una interrogazione alla Commissione Europea per chiedere come pensa di agire per tutelare Paesi come l’Italia dal dumping fiscale degli altri partner europei, cosi’ che gli Stati membri danneggiati possano riappropriarsi delle risorse perse per utilizzarle, ad esempio, per affrontare la crisi Coronavirus, garantendo che le imprese multinazionali paghino i tributi nei Paesi dove realmente operano e generano profitti”.
 
Lo dichiara in una nota Vincenzo Sofo, europarlamentare della Lega al Corriere del Sud, che ha presentato l’interrogazione alla Commissione Europea, firmata anche da Marco Zanni (presidente gruppo ID), Marco Campomenosi (capo delegazione Lega) e dagli europarlamentari della Lega in commissione ECON Francesca Donato, Valentino Grant, Antonio Maria Rinaldi.
 

Giuseppe Conte entra nelle case dei tedeschi per spiegare il suo punto di vista sulla necessità di un'azione comune da parte dell'Unione europea per gestire l'emergenza sanitaria ed economica legata alla pandemia di coronavirus. Lo fa con un'intervista alla tv tedesca Ard come riferisce Ansa.

"Io e la Merkel abbiamo espresso due visioni diverse durante la nostra discussione. Ne approfitto e lo dico a tutti cittadini tedeschi: noi non stiamo scrivendo una pagina di un manuale di economia, stiamo scrivendo una pagina di un libro di storia".

"E' un' emergenza della quale non è responsabile nessun singolo Paese, non si tratta di tensioni finanziarie. L'Ue come risponde? L'Ue compete con la Cina, con gli Usa che hanno stanziato 2 mila miliardi per reagire, in Ue cosa vogliamo fare? Ogni Stato membro vuole andare per conto suo? Se la reazione non sarà coesa, vigorosa, coordinata, l'Europa diventerà sempre meno competitiva nello spazio globale di mercato".

"L'Italia non sta chiedendo ai cittadini olandesi di pagare il debito italiano. Non chiediamo neanche un euro ai contribuenti olandesi. L'Europa deve poter agire in modo solidale ed efficace, perché è impensabile che qualcuno possa giovarsi di questa crisi". Così il premier Giuseppe Conte, secondo l ansa in un'intervista al quotidiano olandese De Telegraaf. "Gli european recovery bond sono il modo migliore per rispondere, anche per i cittadini olandesi. Anche loro hanno bisogno di garanzie". La recessione ci sarà "pressoché ovunque".

Dal primo decreto che iniziava ad introdurre misure veramente limitative alla libertà personale e di circolazione (11 marzo), fino ad oggi, pur avendo il governo annunciato un primo intervento di 25 miliardi, in tasca agli italiani non è arrivato neppure un centesimo. Certo, stanotte i lavoratori autonomi hanno presentato domanda dei 600 euro una tantum, ma prima di un mese nessuno vedrà un euro.

A parte i dipendenti pubblici, che lo stipendio ce l’hanno garantito, così come pure i pensionati fino a quando non si sa, i lavoratori autonomi (bar, ristoranti, negozi, librerie, parrucchieri, studi professionali etc), dal 12 marzo sono chiusi e non vedono un centesimo. Gli affitti commerciali vanno comunque pagati ma di incassi, causa la chiusura per decreto, nemmeno l’ombra

Eppure bollette e rate condominiali continuano ad arrivare. Anche gli affitti abitativi vanno pagati, sono stati sospesi gli sfratti (fino al 30 giugno), non l’obbligo di pagare il canone. Per ottenere invece la sospensione dei mutui prima casa, bisogna autocertificare una riduzione del fatturato del 33% nei tre mesi successivi al 20 febbraio 2020 rispetto all’ultimo trimestre 2019. …  

State a casa, mi raccomando, suonate e cantare sui balconi, ma qui sono passate tre settimane e dei 25 miliardi nemmeno l’odore. Per di più, la UE ci ha messi spalle al muro imponendoci sostanzialmente di accettare il Mes il vecchio Fondo Salva-Stati con le condizionalità capestro che non sto a ripetervi.
Di condivisione del debito – i cosiddetti coronabond – Germania, Austria e Olanda non ne vogliono neppure sentir parlare.

Intanto la Germania allenta la presa sull’utilizzo del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) per far fronte all’emergenza economica provocata dal nuovo coronavirus. Le proposte che Berlino metterà sul tavolo nelle prossime riunioni si preannunciano interessantissime, soprattutto per il fronte guidato da Italia, Francia e Spagna.

Secondo quanto riferisce l’agenzia Agi, i tedeschi sono pronti a concedere tanto la massima flessibilità sulla condizionalità per accedere a una linea di credito del Fondo salva-Stati quanto un meccanismo leggero di verifica di come gli Stati membri spendono i soldi

Germania e Paesi del Nord Europa continuano insomma a ritenere follia pura adottare i coronabond. Ecco perché il citato Consiglio europeo si è concluso con il mandato all’Eurogruppo di presentare proposte nelle prossime due settimane per rispondere alla “sfida eccezionale rappresentata dal coronavirus”, ha affermato Merkel. Berlino ha preso tempo ma gli altri leader non intendono tergiversare. Nel frattempo il clima si è fatto sempre più teso ed emblematica, a questo proposito, è stata l’invettiva del premier portoghese, Antonio Costa, all’indirizzo di Wopke Hoekstra, ministro delle Finanze olandese.

Secondo il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, il presidente francese Emmanuel Macron e il premier spagnolo Pedro Sanchez la Bei, adeguatamente ricapitalizzata, potrebbe essere un volano per un’energica emissione di titoli comunitari unificati per i Paesi membri. Un’altra chiave di lettura la vede in sinergia con altre due istituzioni operative, il Fei e il Feis, per coordinare una “troika buona” capace di favorire politiche per la crescita.

Curioso, in un certo senso, che l’istituzione basata in Lussemburgo e esistente dal 1958 venga ripescata solo ora nelle discussioni di dominio pubblico. Parliamo di un vero e proprio colosso con una capitalizzazione da oltre 240 miliardi di euro, 600 miliardi di euro di prestiti attivi e un giro d’affari che annualmente varia tra i 60 e i 70 miliardi di euro. Il motivo di questa scarsa popolarità della Bei nelle discussioni europee ad alti livelli e nell’informazione economica è forse legata alla sua natura profondamente pragmatica, operativa e in netta controtendenza con l’ideologia del rigore e dell’austeritàsu cui i Trattati europei hanno modellato l’Unione Europea dagli Anni Novanta ad oggi.

Alla competizione sfrenata sotto l’ombrello del mercato comune la Bei contrappone solidarietà e cooperazione negli investimenti; al mito del rigore il sostegno all’investimento produttivo in capitale fisso; all’architettura barocca delle istituzioni di Bruxelles un’organizzazione agile e flessibile. Forse, adeguatamente ricapitalizzata, la Bei potrebbe benissimo procedere a fare ciò che, da tempo, porta avanti: promuovere la crescita sfruttando una dimensione operativa dieci volte maggiore di quella della Banca Mondiale

A Pasqua l’Italia sarà stremata, con la piccola-media impresa e le partite Iva distrutte, e Conte sarà costretto (in realtà lo sa già) ad accettare il Mes. Chiederà piccole modifiche – non rilevanti – che gli verranno concesse, e farà passare la cosa come una grande vittoria. Ma in realtà le condizionalità più importanti resteranno, soprattutto quella della ristrutturazione del debito (alias consolidamento fiscale e tagli selvaggi alla spesa pubblica).

Pd e ItaliaViva sono già uscite allo scoperto:  Marattin ha detto esplicitamente che non vi sono alternative al Fondo Salva-Stati. Gentiloni idem.

A resistere è solo la “parte buona” del M5S, che capitolerà per non rendersi responsabile di far restare, tra 10-15 giorni, gli italiani senza soldi. In Parlamento, ma anche prima, il MoVimento darà il suo assenso al ricorso al Meccanismo Europeo di Stabilità per non lasciare il Paese senza soldi: i 15 giorni di vantaggio dati alla Germania sono stati un errore gravissimo, del Presidente del Consiglio. Gli sarà più facile farci accettare il Mes portando a casa piccole modifiche non rilevanti (un Mes mascherato), ma cantando vittoria nonostante le condizionalità più pesanti resteranno invariate! Il resto lo faranno i media, esattamente come fecero con Mario Monti nel 2012 quando sottoscrisse il Mes.

Intanto come riferisce il Giornale due avvocati denunciano Conte: "Migliaia di morti per le misure prese in ritardo" - "Stamattina ho depositato presso la Procura della Repubblica di Roma la denuncia contro Giuseppe Conte, Roberto Speranza e Luciana Lamorgese, a firma mia e dell’avvocato Alfredo Lonoce", scrive sulla sua pagina Facebook Augusto Sinagra, magistrato e accademico, per oltre dieci anni ordinario di diritto dell’Unione europea nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma.

L’accusa a Conte è quella di aver sottovalutato l’emergenza e di non aver agito in modo tempestivo "omettendo nei tempi e nei modi necessari ogni misura di contenimento e di prevenzione" , consentendo, quindi, la "enorme diffusione" del virus "con l'impressionante numero avutosi di contagiati e di deceduti". La tesi sostenuta dai due avvocati nell’esposto è più o meno la stessa degli analisti americani: il governo avrebbe dovuto fare attenzione a quello che stava succedendo in Cina, dove per contenere il contagio era stato messo in campo, già nel mese di gennaio, un lock down totale.

Da noi però nessuno si è preoccupato, denunciano i legali e le prime misure sono arrivate a venti giorni di distanza dalla dichiarazione dello stato di emergenza. Sarebbe stata proprio questa "sottovalutazione del problema" a far adottare "in ritardo" provvedimenti cruciali come la chiusura delle province del Nord maggiormente colpite e l’estensione della zona rossa a tutto il territorio nazionale. Quando è stato pubblicato il decreto dell’8 marzo, accusano gli avvocati nell’esposto, il virus ormai stava viaggiando in tutta Italia, anche a bordo dei treni presi in tarda serata da decine di persone in fuga dalla Lombardia dopo la circolazione della bozza del decreto che avrebbe disposto l’isolamento della regione.

Insomma, come gli accademici statunitensi, anche i due legali accusano Conte di aver "inseguito il virus", più che prevenirne la diffusione. E poi l’esposto, visionato dal quotidiano La Verità che ne riporta alcuni stralci, continua con l’accusa al ministro dell’Interno, di aver continuato a tenere i porti aperti consentendo lo sbarco dei migranti. Persone, continua la denuncia "affette in molti casi da gravi patologie, come per esempio la Tbc", con "il rischio di nuovi e diversi focolai di infezione oltre a quelli del Covid-19".

In breve avrò il numero di registro generale e subito dopo pubblicherò il testo con le relative istruzioni per la presentazione da parte di chi voglia", scrive Sinagra su Facebook invitando i cittadini a seguirlo nell'iniziativa. "Matteo Salvini? È stato indagato per molto meno", incalza il collega Lonoce, intervistato da La Verità. Anche il direttore del quotidiano, Maurizio Belpietro, fa il paragone con il processo al leader della Lega.

"Per aver lasciato dei migranti qualche giorno in mezzo al mare, un ritardo allo sbarco a quanto pare ingiustificato, Matteo Salvini dovrà rispondere addirittura di sequestro di persona, dunque è possibile che per la stessa ragione, un ritardo dell'istituzione politica nella predisposizione delle misure contro l'emergenza, nell' acquisto dei dispositivi di protezione e nell'emanazione dei divieti di circolazione possa essere oggetto di un giudizio", scrive il giornalista in un editoriale pubblicato stamattina.

Il Consiglio Ue ha incaricato la commissione di elaborare una proposta per la ricostruzione. Italia, Francia e altri 7 Paesi chiedono l'emissione comune di Coronabond per raccogliere i miliardi da destinare all'emergenza del coronavirus. Proposta che incassa il sostegno dell'ambasciatore americano in Italia Lewis Michael Eisenberg. Ma la presidente von der Leyen non molla. Il fronte del no inizia, però, a scricchiolare: tre Paesi baltici e la Slovacchia, da sempre a favore dell'Europa del Nord, sarebbero pronti a sottoscrivere la richiesta di Coronabond. Altra strada (suggerita dai ministri Pd Roberto Gualtieri ed Enzo Amendola) è il ricorso al Mes, il fondo salva-Stati. Ma c'è l'ostacolo delle condizionalità: l'accesso al fondo contiene il rischio di una richiesta di ristrutturazione del debito pubblico. Tradotto: l'arrivo della Troika in Italia. Ipotesi già bocciata dal capo dello Stato Sergio Mattarella.

Alza il tiro contro l'Europa anche il ministro degli Esteri Luigi di Maio: «L'Europa, oggi, ha la possibilità di dimostrare solidarietà verso uno dei Paesi fondatori dell'Ue. Noi faremo tutto il possibile per il nostro popolo, ma l'Europa faccia la sua parte. No a egoismi, serve coraggio» - dice in un'intervista a Euronews. Nel Pd, il partito più europeista, l'imbarazzo è forte. Tanto che l'ex presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, commissario Ue agli Affari economici, è costretto a intervenire: «La parola chiave è solidarietà. Serve un piano comune per la rinascita dell'Europa. I diversi governi devono trovare un accordo», commenta al Tg5. «Del resto senza un piano comune - continua Gentiloni - nessun paese, nemmeno quelli più ricchi, riuscirà a uscire da questa terribile crisi». Suggerendo - in un'intervista a La Stampa - l'idea di potenziare la Bei. Si tratta della banca europea per gli investimenti. Ma tra le proposte, citate da Gentiloni, c'è anche l'utilizzo del Mes, o di altre istituzioni europee, «per collocare bond e finanziare i progetti necessari».

Le trattative vanno avanti. Mentre in Italia sale la tentazione (non solo tra i leader politici) di dire addio all'Europa: il sondaggista Antonio Noto - dalle pagine della Nazione-Resto del Carlino-Giorno - sostiene che la fiducia degli italiani verso l'Ue «è crollata al 25%». Il braccio di ferro tra i due blocchi europei spinge il leader della Lega Matteo Salvini a rimettere sul tavolo l'ipotesi dell'Italexit: «Si stampasse moneta. La Svizzera, compilando un foglio, ti mette a disposizione fino a 500mila euro, la Gran Bretagna ti garantisce fino all'80% dello stipendio, gli Usa destinano fino a 2.000 euro a famiglia. Loro possono farlo. Noi no, perché abbiamo l'euro» - dice l'ex ministro dell'Interno in un'intervista al Corriere della Sera. Per Salvini se la commissione Ue, guidata da Ursula von der Leyen, continua a fare spallucce c'è una sola strada: «Un'emissione di titoli italiani con un tasso di vantaggio. Oggi, l'Ue non lo permette

L’attivazione del Mes non aiuterebbe concretamente alla risoluzione della crisi ma impegnerebbe politicamente i Paesi di riferimento per il fondo salva-Stati, tra cui probabilmente l’Italia, a mettere in campo dopo la crisi pesanti pacchetti di misure di austerità come condizionalità. Per Roma e gli altri Paesi del blocco “mediterraneo” che si è saldato con Francia e Spagna andrebbe molto meglio, come alternativa, puntare su istituzioni europee più rivolte alla crescita. Strutture economiche molto spesso sottovalutate ma capaci di giocare un ruolo nella risposta agli eccessi dei rigoristi.

L’economista Alberto Quadrio Curzio ne ha individuate tre tipo di aiuti in un’analisi per l’Huffington Post: si tratta della Banca Europea Investimenti (Bei), del Fondo Europeo per gli Investimenti (Fei) e del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (Feis).

La potenza di fuoco combinata di Bei, Fei e Feis è notevole e decisamente interessante. Messa assieme e potenziata, fornirebbe all’Unione una “Troika buona”, un arsenale che annullerebbe qualsiasi tentazione di ricorso al Mes e alle sue evitabili conseguenze. Incredibile pensare come un ristretto gruppo di Paesi, prima ancora della Germania i super-falchi Austria e Olanda, stia mandando allo schianto l’intera Unione su questioni di retroguardia legate a una lettura iper-ideologica dei rapporti di forza economici quando nella stessa galassia comunitaria istituzioni per rilanciare la crescita non sono affatto assenti. Segno del fallimento dell’Ue come progetto politico lungimirante. Incapace per attitudine di cogliere le opportunità al suo interno e, per questo, condannata a essere sempre un passo indietro rispetto al resto del mondo. Forse anche per questa cecità si combatte la battaglia di retroguardia del Mes: i Paesi del rigore cantano l’Europa come il futuro, ma fanno di tutto perché essa diventi presto una storia del passato.

Un «piano di difesa e ricostruzione nazionale», che «nel suo senso civile e politico non sarebbe poi troppo diverso da quello lanciato nel 1948 con grande successo, sottoscritto dal Guardasigilli Togliatti che lo accompagnò con questa frase: 'Il prestito darà lavoro agli operai. Gli operai ricostruiranno l'Italia'». Lo propone Giulio Tremonti, sulle pagine del Corriere della Sera, in una lettera inviata al Direttore Luciano Fontana, «nella speranza che sia possibile evitare all'Italia una gravissima crisi, prima finanziaria, poi economica, infine sociale e politica».

«A tratti nella nostra storia, da Quintino Sella a Francesco Saverio Nitti, ci si presenta il dramma del debito pubblico. Oggi di nuovo, e ancora con drammatica insistenza, la storia sta bussando alla nostra porta - prosegue l'economista ed accademico, già ministro delle Finanze e dell'Economia -. Per «L'Italia, un Paese che ha già un enorme e crescente debito pubblico, che ha un prodotto interno lordo non solo stagnante ma da qui in avanti drammaticamente calante» c'è però un problema di limiti: «non si tratta di limiti imposti dalle regole contabili europee, queste ormai sospese, ma di limiti imposti dal mercato finanziario internazionale, su cui sarà necessario percorrere un sentiero sempre più stretto, più buio, più pericoloso, disseminato da aste-trappola, dallo spettro del default, da Troike e altri orrori».

Donald Trump accantona l'idea di riaprire gli Stati Uniti per Pasqua e annuncia che le attuali linee guida per il contenimento del virus resteranno in vigore fino al 30 aprile, un mese in più del previsto. E questo perché il picco dei decessi negli Stati Uniti si avrà in "due settimane" quindi proprio a Pasqua. Ma Trump guarda anche al di là degli States. A chi gli fa notare che la Russia e addirittura Cuba stanno aiutando l'Italia, Trump dice: "stiamo lavorando a stretto contatto con l'Italia", dove il "tasso di mortalità è alto", "la stiamo aiutando molto" con forniture e assistenza finanziaria, dice. "Stiamo lavorando con la Spagna. Stiamo lavorando con tutti".

Come spiega in un'intervista a La Verità, "il regime cinese si è messo molto a rischio. Ha causato l' esplosione della pandemia, non solo mettendo a tacere il medico (Li Wenliang) ma anche insistendo nel procedere con la merenda di 40.000 persone il 19 gennaio a Wuhan: decisioni che sono state prese dal Partito comunista cinese. Il risultato è che - se anche in Italia e nel mondo se ne sono tutti dimenticati - nel mondo cinese (non solo Taiwan, Singapore e Hong Kong, ma anche dentro la Cina) c' è stata - nonostante la censura - una specie di reazione massiccia di disgusto contro il regime" afferma Luttwak. Inoltre, prosegue nell'intervista, poiché il presidente Xi Jinping "ha voluto personalizzare questo regime (invece di fare come il suo predecessore Hu Jintao, che era primus inter pares), è lui che viene condannato. Nonostante la censura automatizzata, si usano caratteri atipici e linguaggio esopico, per dire essenzialmente che Xi Jinping è una figura che deve andar via. Alcuni vogliono farla finita con lui, altri più o meno con il partito. Questa è la Chernobyl del regime cinese".

L'economia italiana è stata colpita al cuore dal Coronavirus. Uno shock che viene dall'esterno, come «un meteorite», e che rischia di provocare una «depressione prolungata» con un «aumento drammatico delle disoccupazione e un crollo del benessere sociale». Ecco perchè occorre tutelare il tessuto produttivo e «agire subito, senza tentennamenti o resistenze: altri Paesi si stanno già muovendo in questa direzione». E' questo l'appello rivolto al governo e al mondo politico dal Centro Studi di Confindustria.

«Mai nella storia della Repubblica - è la premessa del Csc - ci si è trovati ad affrontare una crisi sanitaria, sociale ed economica di queste proporzioni». Questo, secondo gli economisti di Confindustria «è il momento di agire affinchè il nostro Paese possa affrontare adeguatamente questa fase drammatica e risollevarsi quando l'emergenza sanitaria sarà mitigata».

Le istituzioni europee «sono all'ultima chiamata per dimostrare di essere all'altezza della situazione». Le prime azioni messe in campo vanno accompagnate da un «cruciale passo in più: l'introduzione di titoli di debito europei, fin troppo rimandata». In Europa, secondo il Csc, «dopo i consueti balbettamenti assai gravi in questa situazione, in queste settimane sono state già prese decisioni importanti. I massicci interventi della Bce, che hanno fermato per ora l'impennata dello spread sovrano per l'Italia; la sospensione di alcune clausole del Patto di Stabilità e Crescita, per la finanza pubblica; le misure temporanee sugli aiuti di Stato». Queste azioni, però, «vanno accompagnate con un cruciale passo in più: l'introduzione di titoli di debito europei, fin troppo rimandata». L'Europa, insomma, è chiamata a compiere «azioni straordinarie per preservare i cittadini europei da una crisi le cui conseguenze rischiano di essere estremamente pesanti e di incidere duraturamente sul nostro modello economico e sociale».  

Roberto Gualtieri è al bivio tra Roma e Bruxelles. Ovvero di fronte alla necessità di capire come districarsi in una fase in cui gli interessi dell’Italia, di cui è  ministro dell’Economia, cozzano con il “pilota automatico” dell’indecisione sulla risposta alla crisi dell’Europa dimostrata dalla Commissione europea di Ursula von der Leyen. Assieme a lui, il Partito democratico di cui fa parte si gioca una grossa fetta della sua credibilità politica, interna ed esterna al Paese, dalla gestione della crisi in coabitazione con il Movimento cinque stelle maggioritario nel governo Conte II.

Gualtieri è a un bivio perché per la prima volta emerge con cristallina nitidezza la completa divaricazione tra le prospettive che il Paese avrebbe seguendo il pilota automatico di Bruxelles o, peggio, i condizionamenti dei falchi del rigore del Nord e quelle che si aprirebbero portando avanti la campagna iniziata nella risposta alla crisi da coronavirus. Prospettiva scomoda per chi a settembre era stato chiamato dal ruolo di Europarlamentare a quello di ministro dell’Economia del neonato governo giallorosso proprio per consolidarne i legami con l’Unione

In questi tempi bui, con quel che sta avvenendo, assistiamo in maniera sempre più evidente, al fallimento di un modello, quello europeo, o meglio, di questa Europa, che ci avevano presentato come vincente, rassicurante, solidale, attento e vicino ai bisogni delle Nazioni, delle persone.

purtroppo le Imprese Italiane sono a rischio, Italia stessa a rischio. Per Confindustria oggi «è urgente evitare che il blocco dell'offerta ed il crollo della domanda provochino una drammatica crisi di liquidità nelle imprese: a fronte delle spese indifferibili, tra cui quelle per gli adempimenti retributivi, fiscali e contributivi, e degli oneri di indebitamento, le mancate entrate prodotte dalla compressione dei fatturati potrebbero mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa di intere filiere produttive». Bisogna evitare che «la crisi di liquidità diventi un problema di solvibilità, anche per imprese che prima dell'epidemia avevano bilanci e prospettive solide».  
 
Abbiamo parlato con Marcello Austini funzionario in aspettativa..mi ha spinto di fare questa intervista il suo ex lavoro a Bruxelles ma anche la nostra vecchia amicizia e cosi nasce questa chiacchierata di come Lui da Italiano che vive a Bruxelles vede questa UE, in questo momento particolare :

Come vedi l Italia in questa Europa in questo critico momento e particolare   ?

In questo momento di crisi e di emergenza, l’Italia è sola! Nessun aiuto europeo, alcun sostegno, nemmeno un po’ di solidarietà!
E’ questo il risultato del “castello di carta” a cui, da più di 60 anni dall’edificazione delle c.d. istituzioni europee, si è giunti.
Senza entrare in questa sede nella critica del diritto comunitario così denominato, non possiamo non constatare, oggi, che ha prevalso la costruzione dell’Europa del tecnicismo giuridico, del particolarismo, degli interessi privati e personali, dei burocrati, dei potentati economico-finanziari, delle lobbies, delle banche, del mercato.
Si, proprio del mercato, così come ce lo descrivono e ce lo magnificano, criticabile già di per sé, ma che in momenti come quelli attuali, mostra ancor più la sua essenza, il suo vero volto, il suo lato peggiore. Proprio come un mercato rionale, infatti, gli Stati membri forti, quell’asse portante franco-tedesco ma non solo, fanno la spesa.
Ognuno cerca di accaparrarsi tutto o quantomeno il meglio, in tutto gli ambiti, in tutti i settori.
Luoghi, quelli europei di Bruxelles e Strasburgo , dove prevalgono egoismi e individualismi. E tale predisposizione, tali atteggiamenti, si badi bene, non rappresentano l’eccezione, ma costiutiscono la regola.

pensi che questa UE e fuori da idea dei padri fondatori pensano solo il profito ?

Gli Stati membri, quasi da subito e sempre più, hanno compreso che quello che ancora in molti chiamano il “mercato comune europeo” , poteva essere un’occasione immensa di arricchimento, di sfruttamento, di approvvigionamento, un’opportunità di farsi gli “affari propri” (uso volutamente un eufemismo per non apparire volgare), e per di più a spese di altri Stati, quelli più deboli o più arretrati come dicono gli “opinionisti bravi”, quelli dell’area mediterranea, i “Paesi Pigs” , e aggiungerei quelli che hanno perso la guerra, come l’Italia, la cui immagine è risultata svilita, sminuita, se non addirittura derisa.
D’altronde i comportamenti cialtroneschi, gli atteggiamenti voltagabbana, le frenetiche fughe da Brindisi, pesano e si sedimentano nelle coscienze dei Popoli e delle Nazioni.
Ma tornando a questa immensa opportunità di guadagno e di profitto  in tutti i sensi, al di là e al di sopra degli Stati, lo hanno compreso (e forse propugnato) soprattutto, come già espresso, le lobbies, i potentati economico-finanziari, gli speculatori senza scrupoli.
E allora, eccoci qui, al punto da cui siamo partiti, soli, abbandonati in un simile drammatico frangente, addirittura additati come “untori internazionali” e si chiede e ci si domanda: serve davvero ancora questa Europa?

Serve ancora questa Europa?

Mi si conceda ora, un po’ di sano qualunquismo politico che non è lontano, tuttavia, dalla realtà e, soprattutto,  da ciò che le persone comuni, i cittadini, avvertono.
Un’Istituzione, quella europea, che è assente nel fronteggiare la situazione di pandemia attuale e che anzi si mostra divisa e per certi versi cinica; che non è servita nella lotta al terrorismo islamista (dove ogni Stato prendeva le proprie misure interne e qualcuno, forse, ha da farsi perdonare qualcosa); che è parsa tiepida, se non addirittura insensibile, nel caso di gravi fenomeni naturali (mi riferisco agli eventi sismici che hanno colpito il centro Italia nell’estate del 2016); che non interviene, specula e al più “gioca allo scaricabarile”sul fenomeno immigratorio di massa, lasciando sole Nazioni come l’Italia e la Grecia.
Senza poi minimamente contare il disinteresse delle Istituzioni europee e dei burocrati di Bruxelles, per chi, causa la crisi economica che ci attanaglia da quasi un decennio, abbia perso tutto o quasi: risparmi, lavoro, casa, dignità!

Il Coronavirus come “un’assurda opportunità” ?

Fatte queste debite premesse, serve ancora questa Europa? E’ vero e mi rendo conto che la domanda presta il fianco ai fautori del globalismo, ai no borders, a chi vorrebbe, al contrario, più Europa, proprio per intervenire e provvedere (sic), a detta loro, per simili evenienze, per simili sciagure.
A tali tipi di obiezioni e ad essi risponderò solamente in un modo: Pietà!
invece, che sia giunto il momento di rivedere la partecipazione italiana in seno all’Unione Europa, propendendo decisamente per una sua uscita (Italia-exit) e di considerare, pertanto, la riappropriazione della nostra piena sovranità: da quella politica a quella monetaria.

Rimodulare il nostro assetto nel quadro delle attuali alleanze atteso che le nostre tradizionali alleanze rappresentano un fardello che ci portiamo addosso dal dopoguerra, dalla c.d. “guerra fredda”.
Nella situazione di attuale emergenza, peraltro, gli aiuti ci sono giunti proprio da chi meno te l’aspetti (la Cina, la Federazione russa, Cuba e non da quegli “alleati classici”,che si dichiarano, a parole, sempre amici dell’Italia, salvo poi riempirla di soldati, di basi militari, oltre ad averla abbondantemente bombardata, giovi qui ricordarlo.
Avere, cioé, mano libera nello stringere alleanze con altre potenze a livello mondiale, e rafforzare contatti di tutti i tipi, con Stati terzi e indipendenti.
Tutto ciò, permetterebbe di uscire, una volta per tutte, da quell’amministrazione controllata su base americanocentrica, rappresenterebbe un’immensa opportunità per l’Italia, con l’apertura di nuovi e impensabili scenari internazionali dai quali trarre reciproco vantaggio.
Un’ulteriore opportunità è rappresentata dal fatto di riconsiderare i nostri stili di vita, i nostri comportamenti sia pubblici che privati.  A cominciare dal rispetto delle regole – specie in situazioni emergenziali come quelle attuali - e quindi disciplina, abnegazione, spirito di sacrificio, prevalenza dell’interesse nazionale rispetto a quello individuale, preminenza del bene comune e dei bisogni collettivi su quelli personali, di categoria, di ceto sociale.
In tempi di quarantena e di “domicilio forzato”, accanto ai valori appena citati, occorre ricostituire/ricostruire quelli legati alla riscoperta e al rinsaldamento dei vincoli familiari, ripensare ad un “sano egoismo” nazionale (specie in campo economico), una “sana” autarchia, alla preferenza e alla valorizzazione di prodotti italiani, in tutti gli ambiti e settori commerciali. Anche più banalmente, facendo un esempio, devono sparire dal nostro lessico quotidiano frasi del tipo: “andiamo dal cinese” (piuttosto che “dall’indiano”),  che pronunciamo per la scelta di un ristorante o di un negozio. Anche così, si accetta un modello ed uno stile di vita globalisti, si determina l’espandersi di un’economia straniera in Italia, si incide sull’affossamento delle aziende nazionali.
Eppoi la riscoperta di fondamentali valori quali quello dell’amore per la propria Patria, la difesa dei confini e del Sacro Suolo nazionale, l’orgoglio e la fierezza di essere italiani.

Una volta il refrain era quello del “ ce lo chiede l’Europa”, oggi a maggior ragione per quello che ci siamo appena detti, il motivo deve essere quello del “ce lo chiede l’Italia”, “ce lo chiede la nostra Storia, la nostra Tradizione”, “ce lo chiede chi ci ha preceduto e chi ci seguirà”!
Ringrazio Marcello Austini per la sua intervista fatta telefonicamente da Bruxelles

Vale la penna ricordare che nei tre decenni seguiti alla riunificazione tedesca più volte Berlino ha visto nell’Italia un Paese instabile e problematico su cui “scaricare” i costi delle sue politiche interne, della centralizzazione del suo potere in Europa e delle riforme agognate per il suo sviluppo.

Lo stiamo vedendo in queste settimane con il duello tra rigoristi del Nord e Paesi mediterranei sugli Eurobond di cui tanto si discute come risposta alla crisi del coronavirus; lo abbiamo visto negli anni scorsi con il bagno di sangue dell’austerità, delle riforme sistemiche e dei tagli alla spesa pubblica imposti ai Paesi del Sud Europa dall’impennata degli spread su cui aleggia il sospetto di una spinta finanziaria tedesca; ma il caso maggiormente emblematico di questo atteggiamento risale agli albori della Germania riunificata, a quel drammatico 1992 che fu anno di svolta per il nostro Paese.

In molti ricordano l’assalto speculativo di George Soros alla lira nel “mercoledì nero” del 1992: il magnate ungaro-americano attaccò la moneta italiana vendendo lire allo scoperto sui mercati finanziari, realizzando un forte profitto, ma nessun finanziere d’assalto avrebbe il potere di mettere in ginocchio un grande Paese come l’Italia senza una sponda politica esterna

A raccontarlo è stato lo stesso Soros in un intervento pubblico a Udine del 2013: “L’attacco speculativo contro la lira fu una legittima operazione finanziaria. Mi ero basato sulle dichiarazioni della Bundesbank, che dicevano che la banca tedesca non avrebbe sostenuto la valuta italiana. Bastava saperle leggere”. Soros non mente: la banca centrale tedesca, infatti, si era disimpegnata dalla scelta di difendere il regime di cambi fissi del Sistema monetario europeo quando il suo presidente Helmut Schlesinger aveva dichiarato che l’unione monetaria europea basata sull’European currency unit non era “un’unità monetaria omogenea”, facendo riferimento in particolar modo alla debolezza della lira.
 

Ci sono volute sei ore di discussioni accese per arrivare ad una soluzione di compromesso. Il documento, approvato da tutti i 27, non menziona il Mes e prevede che la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, presentino entro due settimane proposte di lungo periodo. Il premier italiano era andato all'attacco di alcuni leader europei del Nord: "Se qualcuno dovesse pensare a meccanismi di protezione personalizzati se li può tenere: l'Italia non ne ha bisogno: abbiamo le carte in regola con la finanza pubblica". Sulla stessa posizione italiana la Francia e il leader spagnolo Sanchez  

E' un Conte furioso quello che ha attaccato senza mezzi termini le posizioni attendiste di alcuni colleghi europei del Nord - con la Germania in prima fila nel voler negare aperture - collegati in video conferenza durante il Consiglio Europeo. Una riunione che fino alla soluzione di compromesso raggiunta in tarda serata, non aveva sortito alcun effetto positivo e  rischiava di incrinare ulteriormente i rapporti all'interno del Continente: "Come si può pensare che siano adeguati a questo shock simmetrico strumenti elaborati in passato, costruiti per intervenire in caso di shock asimmetrici e tensioni finanziarie riguardanti singoli Paesi?". Ma Conte rincarava la dose: "Se qualcuno dovesse pensare a meccanismi di protezione personalizzati elaborati in passato allora voglio dirlo chiaro: non disturbatevi, ve lo potete tenere, perché l'Italia non ne ha bisogno", ha aggiunto.  

L'Italia, dunque, respinge la bozza in discussione al tavolo del Consiglio europeo sugli strumenti per fronteggiare la crisi economica legata al coronavirus. Ma va detto anche che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte non è solo: c'è la Francia e in particolare al fianco dell'Italia c'è il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez. Tutti hanno chiesto che in 10 giorni la Ue trovi "una soluzione adeguata alla grave emergenza che tutti i Paesi stanno vivendo". Conte ha ringraziato per il lavoro fatto, continua palazzo Chigi, ma non accetta la bozza.  

L'altra questione 'bollente' riguarda il Mes, Meccanismo europeo di stabilità, in particolare le condizioni in base alle quali concederebbe una linea di credito rafforzata per facilitare i Paesi sui mercati. La critica dell'Italia e di altri Stati (più o meno gli stessi che hanno firmato la lettera sul Coronabond) è che non può valere la stessa "condizionalità" prevista per crisi finanziarie classiche (tipo Grecia) essendo quella del coronavirus del tutto differente per natura. La condizionalità del Mes prevede la definizione di un programma di consolidamento e una supervisione stretta delle politiche economiche e finanziarie nazionali. L'Eurogruppo non è riuscito a trovare il consenso generale, i capi di Stato e di governo cercano di trovare una via di uscita per poi delegare i ministri del Tesoro a definire gli aspetti tecnici. Ma per ora un'intesa non c'è.

L’Irlanda rompe il fronte dei “rigoristi” del Nord in Europa. Dublino, negli ultimi anni avvicinatosi al fronte della “Nuova Lega Anseatica” guidato dall’Olanda e considerato il caposaldo dell’austerità e della lotta politica per un’Europa scarsamente inclusiva, si smarca dai suoi alleati più stretti e si unisce al fronte dei Paesi del Sud sugli Eurobond.

Il Taoiseach primo ministro Leo Varadkar si è mosso nella direzione del fronte di governi guidati da Emmanuel Macron e Giuseppe Conte per chiedere l’attivazione di un titolo comune per l’intera Eurozona in risposta alla marea montante della recessione. Dublino rischia di schiantarsi al suolo e si converte sulla via di Damasco alla solidarietà europea e al superamento dell’austerità interna: l’Irlanda rischia di essere infatti tra i maggiori perdenti dell’attuale contesto.

il fronte dei rigoristi non si vedeva così compatto dai tempi dell'austerità imposta alla Grecia. Da allora, molto sembrava essere cambiato: il 'mea culpa' dell'ex presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker verso i greci e la dissoluzione della troika, l'apertura della Ue verso un orientamento di bilancio più espansivo e la disponibilità della nuova Commissione ad un approccio generale più flessibile sui conti pubblici. Ma, nel momento del bisogno, i nodi vengono al pettine: il Nord non si fida del modo di gestire i conti pubblici del Sud, ed esattamente come dieci anni fa non è pronto a mettere in comune risorse, tantomeno i propri debiti, facendo da garante a Paesi al di sotto della tripla A. Nessuno pensa a "una mutualizzazione del debito pubblico. Ciascun Paese risponde per il proprio debito pubblico e continuerà a risponderne", ha detto Conte ai colleghi Ue. Ricordando che l'Italia "ha le carte in regola con la finanza pubblica: il 2019 l'abbiamo chiuso con un rapporto deficit/Pil di 1,6 anziché 2,2 come programmato". Con l'Italia ci sono Francia, Spagna, Irlanda, Belgio, Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Slovenia, firmatari con Conte della lettera sui Coronabond.  

E' fumata nera sui Coronabond. Dopo un vertice di oltre sei ore e il veto posto dall'Italia sul testo di conclusioni, i 27 leader della Ue decidono di darsi altre due settimane per mettere a punto la nuova strategia anti-crisi economica. Sul tavolo c'è tutto e niente allo stesso tempo: la dichiarazione comune non cita né il Mes, che l'Italia ha fatto rimuovere, né uno strumento di debito comune, a cui i rigoristi continuano ad opporsi. Quindi il confronto che proseguirà nei prossimi giorni non esclude nulla ma riparte esattamente da dove era iniziato: da un'Europa divisa tra Nord e Sud, tra chi vuole condividere risorse e rischi e chi invece preferisce gestirsi le crisi da solo. La palla ripassa ora all'Eurogruppo.  

La loro battaglia proseguirà all'Eurogruppo. In un'altra giornata inconcludente per l'Europa, l'unica che si muove è Christine Lagarde, che ha avviato il nuovo programma di acquisto di titoli da 750 miliardi di euro per l'emergenza pandemica, il Pepp, facendo saltare il limite del 33% agli acquisiti di debito di ciascun Paese. In sostanza, è una nuova spinta ai leader a mettere in campo qualcosa di nuovo come i Coronabond, perché il Pepp, molto simile allo scudo anti-spread Omt ma non vincolato come esso all'attivazione del Mes, toglie ogni alibi a chi puntava sull'opzione Mes+Omt per i Paesi più in difficoltà ..

Nessuno, insomma, si è spostato dalle posizioni che aveva entrando nella sala virtuale del primo vertice di primavera in videoconferenza della storia. "Ho spiegato che noi preferiamo il Mes come strumento, che è stato fatto per le crisi", ha ammesso la cancelliera Angela Merkel al termine del vertice, ribadendo la posizione tedesca sui coronabond. Con la Germania sono schierate l'Austria ("Respingiamo una mutualizzazione generalizzata dei debiti", ha detto il cancelliere Sebastian Kurz), la Finlandia e l'Olanda. Il premier olandese Mark Rutte spiega bene la resistenza di tutto il fronte del Nord: "Siamo contrari ai coronabond. Molti altri Paesi lo sono, perché porterebbe l'Eurozona in un altro territorio, sarebbe come attraversare il Rubicone. L'Eurozona ha creato i suoi strumenti, come il Mes, che può essere usato in modo efficace, ma con le condizionalità previste dai trattati. Non posso prevedere alcuna circostanza in cui l'Olanda possa accettare gli eurobond".

I leader lo invitano a "presentarci proposte entro due settimane. Queste dovrebbero tenere in considerazione la natura senza precedenti dello shock" del coronavirus e "la nostra risposta deve essere rafforzata, come necessario, con azioni ulteriori in modo inclusivo alla luce degli sviluppi, per finalizzare una risposta esauriente", si legge nella dichiarazione finale. Il testo è sufficientemente vago da accontentare tutti, e riprende anche l'ultimatum che il premier Giuseppe Conte, a metà riunione, aveva dato ai colleghi: "10 giorni per battere un colpo". Perché se si pensa di usare gli strumenti del passato, con aiuti indirizzati ai singoli Stati, "non disturbatevi, ve lo potete tenere, perché l'Italia non ne ha bisogno".  

 La leader di Fratelli d'Italia rimprovera severamente l'Ue, assente in questa crisi tanto grave quanto storica e potenzialmente "mortale" per l'Europa stessa: "L'Europa non è esistita in questa fase. Non c'è un'Europa della solidarietà, delle grandi scelte. Forse pensano che Italia e Spagna devono arrivare in ginocchio al cospetto della prossima Troika? Sbagliano, senza Italia questa Europa si dissolve...". Ed è difficile darle torto.

Dalle parole dure e di reprimenda contro l'Unione Europea a quelle al miele (con un grosso "però") all'indirizzo di Mario Draghi. Giorgia Meloni, intervistata da Leggo, parla a tutto tondo dell'emergenza sanitaria, economica, sociale e politica nazionale e continentale (per non dire mondiale) causa pandemia di coronavirus.

Dicevamo dell'ex presidente della Bce. Sì, perché negli ultimi due giorni, soprattutto ieri in seguito a quanto scritto dall'economista sulle colonne del Financial Times, l'ex numero uno di Francoforte sarebbe il profilo più adatto, capace di mettere d'accordo destra e sinistra, come futuro – prossimo o anteriore che sia – inquilino di Palazzo Chigi. Abbiamo scritto diffusamente dei movimenti di palazzo in corso a Roma, ma anche a Bruxelles e Strasburgo, per sondare il terreno e verificare se ci siano o meno le condizioni per un governo di unità nazionale – come si è augurato lo stesso capo dello Stato Sergio Mattarella – per affrontare al meglio l'incubo coronavirus. La figura di Mario Draghi sarebbe gradita a molti, dalla Lega di Salvini a una parte del Partito Democratico di Zingaretti – passando per Italia Viva di Renzi, Casini e altri centristi – per guidare un esecutivo di coesione. Contrario, ovviamente, il Movimento 5 Stelle.

Quindi, la Meloni torna a ribadire come sia contraria alla linea del governo giallorosso e del sedicente avvocato del popolo: "Rispetto a Giuseppe Conte, ho detto che bisognava chiudere tutto subito e fare tamponi di massa. Ma l'emergenza sanitaria va superata, poi serve affrontare un'emergenza economica che durerà anni. Ci sarà da ricostruire, senza più limitazioni. Serve un'altra Italia".

Questo, infatti, il suo pensiero esternato al quotidiano free press: "Draghi è una grande personalità, lo ringrazio per le parole sulla necessità di fare deficit in una fase così drammatica. Ma i governi non si fanno per alchimie. Preferisco il voto popolare. Insomma, elezioni quando si potrà tornare a votare dopo l'emergenza, per gestire la lunga fase di ricostruzione".

Intanto  una parte del Pd e alcune forze di opposizione - da Matteo Salvini a Matteo Renzi, passando per Forza Italia e il centrista Pier Ferdinando Casini - avrebbero iniziare a tessere le fila per dare vita a un primo embrionale fronte pro-Draghi, per dare vita in futuro – chissà e chissà se sarà prossimo o anteriore – a un esecutivo da lui guidato.

Già nella giornata di ieri, peraltro, erano arrivati apprezzamenti, endorsment, parole al miele da Massimo Cacciari a Mario Monti e anche frasi sibilline, come quelle del segretario della Lega. Ecco, il capo politico del Carroccio, dal suo scranno, quest'oggi ha commentato, plaudendolo, l'intervento di Draghi sulle colonne del Financial Times, e ha così parlato: "Mi si permetta di ringraziare il presidente Draghi per le sue parole, perché è caduto il mito del non si può fare debito, oggi ci ha detto che si può fare debito. Benvenuto presidente Draghi ci serve l'aiuto di tutti, ci serve anche il suo, quindi sono contento, di quello che potrà nascere".

Un governo Draghi non avrebbe solo il benestare il Salvini, ma anche di Forza Italia. L’azzurra Anna Maria Bernini si è così espressa: "Draghi ha titolo per essere evocato perché è quel signore che ha salvato l'euro e in tasca ha una serie di soluzioni che dobbiamo condividere". E Renzi, che ha sempre apprezzato Draghi, dice rivolgendosi a Conte: "Mario Draghi le indica la strada, quando dice che certo bisogna fare debito ma bisogna farlo per dare liquidità alle piccole e medie imprese perché rischiano di morire".

Dall'altra parte della barricata, assolutamente contrari i 5 stelle, così come è fredda Giorgia Meloni. Il reggente grillino Vito Crimi si è limitato a un tanto secco quanto lapidario "No", che riassume in somma sintesi quella che è la linea e lo stato di tilt nel quale navigando ora i five stars. Staremo a vedere cosa succederà...

 

 

 

 

 

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