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I medici privati in stato di agitazione

Non è un capriccio lo stato di agitazione annunciato dalla Cimop (Confederazione Italiana Medici Ospedalità Privata) dopo il mancato invito al tavolo delle trattative con il Ministro della Salute, on. Roberto Speranza, per il rinnovo del contratto. Bensì un passo, ponderato, sofferto ma indispensabile per far valere diritti sacrosanti per i medici della sanità privata.

Questi ultimi, ed ecco la nostra doglianza maggiore, sono concretamente discriminati per due motivazioni di fondo: la questione del trattamento economico e quella dei titoli di carriera.

Partiamo dal primo: ai medici della sanità privata si applica attualmente un ccnl sottoscritto nel 2005 tra le associazioni datoriali AIOP/ARIS e CIMOP. Spiccano, in primis, i 14 anni di anzianità di quel contratto, che nei fatti è stato superato da una serie di modifiche legislative che lo rendono anacronistico. Certo, non dimentichiamo che nel 2009 il trattamento economico è stato rivisto, ma quelle stesse previsioni di incremento sono state applicate solo al 50% nelle regioni del centro sud, e totalmente inapplicate nelle strutture private religiose della regione Lazio.

Al netto dell'incrocio di questi dati oggettivi, e non frutto di interpretazioni o pregiudizi, appare evidente come da due lustri i medici del settore privato sono in attesa di una revisione del loro trattamento economico. Ma un altro elemento gioca un ruolo significativo in questa delicatissima partita, che investe sì le professioni ma anche gli uomini e le donne che le praticano: il trattamento economico che godono i medici della sanità privata è di circa il 50% inferiore rispetto a quello dei medici del SSN.

Cimop considera incredibile tale discrepanza, e lavorerà alacremente perché possa trovare una forma di riequilibrio definitivo proprio nel rinnovo contrattuale che è in discussione.

Il secondo forte fattore discriminatorio è il mancato riconoscimento dei titoli di carriera tra medici che svolgono le stesse funzioni, che producono gli stessi DRG, ma che lavorano nello scenario privato. E'questa una ulteriore differenza, ingiustificata e altamente dequalificante per la professione, che il neo ministro è invitato a valutare e sulla quale auspichiamo voglia dire più di una parola.

Immaginare di uniformare l'humus di una stessa professione, attuata dagli stessi professionisti, con le medesime mansioni, ma che hanno una differenza solo semantica, sarebbe un gesto di grande correttezza e onestà intellettuale per l'intero comparto sanitario. E, aggiungiamo, sarebbe un vero e proprio punto di partenza (nuovo e innovativo) per quel famoso patto tra medici, pazienti e Stato che è cemento per l'inter sfera dei diritti e dei doveri in ambito sanitario.

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