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I terremoti si susseguono, la cronaca li registra. Ma per fare presto e bene la ricostruzione, un metodo c’è. E’ il “metodo Raineri”.

Giovanni Raineri, piacentino, fu ministro “delle Terre Liberate” nel 1920, con Nitti e Giolitti. La situazione (del Veneto, in special modo) che si trovò a dover affrontare, era quella di un’immane tragedia. La descrisse lui stesso nelle sua memorie, pubblicate or ora dall’Istituto per la storia del Risorgimento/Comitato di Piacenza e dalla Banca di Piacenza:  “Rovina e abbandono ovunque e tracce profonde della devastazione compiuta dalla guerra, asportazione completa di quanto poteva essere dotazione o scorta delle aziende”.

In poco più di un mese, però, Raineri (cooperatore nato, tra i fondatori della Federconsorzi) varò il R.DL. 29.4.1920 e, cioè, la costituzione di Consorzi fra i danneggiati, fedele al principio che sempre lo guidò: doversi anzitutto dare “forte e rapido impulso alla ricostruzione e riparazione degli immobili di proprietà privata” perché “bisognava togliere il più presto possibile la popolazione, che numerosa vi dimorava, dal vivere nelle baracche, riconducendola alla vita sana, fisicamente e moralmente, della casa fissa: in altri termini, all’ordinata vita famigliare”. Il che “in aggiunta alle provvidenze deliberate dallo stato con eccezionale tempestività e proporzionalità rispetto ai danni patiti, nuove negli annali della storia mondiale, avrebbe contribuito a rasserenare gli spiriti, a ricondurre le popolazioni al tranquillo lavoro di un tempo, proficuo ai singoli, proficuo alla patria”. Il mezzo – chiaramente, e come Raineri spiegò – era quello di “chiamare gli stessi danneggiati ad assolvere il compito”: “Non più, dunque, lasciare ad iniziative di privati (o di enti, o di politici) di cacciarsi fra i danneggiati e lo stato, col proposito di fare luogo alle ricostruzioni e di speculare in proprio”. Così, testualmente, lo statista piacentino.

Naturalmente, il “metodo Raineri” suscitò immediate proteste: dei politici e degli enti locali, anzitutto (perché finanziava direttamente i danneggiati, eliminando l’intermediazione politica, per non dire di peggio) e poi, ovviamente, anche delle imprese dei grossi appalti (per le stesse identiche motivazioni di prima). Tutti costoro insieme – infatti – inscenarono una grande protesta a Venezia, in occasione di un discorso del ministro. Ma Raineri li piantò in asso, ne approfittò per fare un giro nelle zone danneggiate, parlare lui direttamente (in incognito, senza sceneggiate di variopinte scorte) con la gente, sentendone il polso (entusiasta). Ebbe, piena, la solidarietà politica e morale di Giolitti e continuò imperterrito nella sua opera provvidenziale.

La ricostruzione del Veneto risultò un modello per tutti, produsse risultati ben superiori a quelli della stessa Francia, che pure – sotto la regìa di Poincarè – ebbe aiuti, alla Conferenza di pace, ben superiori a noi (in ragione – aveva inizialmente preteso quel Paese – addirittura di 89 parti alla Francia, 10 al Belgio e 1 all’Italia). Soprattutto, non vi fu nessun scandalo, neanche l’ombra della corruzione, che salta invece immancabilmente fuori col sistema dei “grossi appalti” (la corruzione, infatti, si combatte alla Raineri, se la si vuole davvero combattere; si combatte così, tagliandole l’erba sotto i piedi: non, con grida manzoniane, “pene esemplari”, aggravio di adempimenti che ottengono il solo scopo di molestare gli onesti). Non ebbe neppure ragione di manifestarsi – a proporre, a sollecitare e così via – quella pletora di “benefattori” che vogliono il nostro bene (e il loro interesse): con certificazioni varie; con, financo il famigerato libretto casa (cassato da molteplici sentenze della Corte costituzionale), con controlli eccezionali, con nuove metodologie per costruire, al di là di quella sismica.

Così, il “metodo Raineri”, naturalmente, da noi non si adotta più. Lo impediscono i burocrati, i politici, gli enti locali, i grossi appaltatori di lavori pubblici. Tutti, loro e le loro corporazioni, sempre per la stessa identica ragione. E arrivederci al prossimo scandalo annunciato.

L'identità dell'autore della strage di capodanno a Istanbul è stata accertata - conferma il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, intervistato dall'agenzia Anadolu. Cavusoglu non ha fornito il nome né altri dettagli sulla persona identificata, che è ancora ricercata. L'agenzia Anadolu ha detto che finora 20 persone sono state fermate nell'ambito delle indagini sulla strage, costata la vita a 39 persone. 

Una caccia senza sosta ma ancora senza esito in tutta la Turchia al killer di Capodanno, che al momento ha un volto ma non un nome.

Dalle immagini in tv e sui giornali giurano di averlo riconosciuto alcuni vicini di casa nella provincia anatolica di Konya, dove l'uomo si sarebbe trasferito a fine novembre con la moglie e i 2 figli piccoli, probabilmente per non dare nell'occhio. Proveniente da un Paese dell'Asia centrale, come sembrano suggerire anche i tratti somatici: forse dal Kirghizistan o dall'Uzbekistan, anche se non cade l'ipotesi dell'origine dalla regione cinese dello Xinjiang, dove risiede la minoranza uigura, turcofona e musulmana.

La stessa polizia turca lo ha lasciato andare dopo un controllo all'aeroporto di Istanbul. Solo una somiglianza con il killer del 'Reina', il cui volto da ore circola su tutte le tv dopo la pubblicazione di un video-selfie girato nella zona di piazza Taksim, forse per inviare un messaggio sulla sua presenza in città. Il vero attentatore, per gli inquirenti, ha anche un passato in Siria, dove l'Isis lo avrebbe addestrato per la strage. Ma sullo scambio di persona le autorità turche continuano a mantenere un rigido silenzio. Forse, suggeriscono alcuni esperti, per far credere al killer che la polizia non sia così vicina alla sua cattura inducendolo a qualche passo falso.

Il tragico destino di una notte di Capodanno trasformata in una strage ha unito persone e vite diverse. Con la lista delle 39 vittime da cui spuntano nomi, identità ma soprattutto storie lontane tra loro. Accumunate dalla tragica sorte di essere al momento sbagliato nel posto sbagliato. Dalla giovanissima 18enne che da Israele era andata per festeggiare con le amiche a Istanbul, all'agente che era scampato poche settimane fa al duplice attentato dello stadio di Besiktas, all'autista di bus turistici che si era preso una serata libera. Fino al banchiere che voleva festeggiare con la moglie al Reina Club l'arrivo del 2017.

E cosi salito a 14 il numero dei presunti complici del killer di Capodanno al nightclub 'Reina' arrestati dalle unità antiterrorismo della polizia di Istanbul. Lo riferisce l'agenzia statale Anadolu. I sospetti fiancheggiatori vengono sottoposti in queste ore a interrogatori per chiarire il loro ruolo nella strage e cercare elementi utili alla cattura dell'attentatore in fuga.  

C'è la firma dell'Isis sulla strage di Capodanno a Istanbul. Con un comunicato diffuso per la prima volta in turco, oltre che in arabo, il sedicente Stato islamico ha rivendicato a poco più di 24 ore di distanza l'attacco al nightclub 'Reina', in cui sono rimaste uccise 39 persone, tra cui almeno 25 stranieri.

Nel comunicato di rivendicazione, l'Isis definisce la Turchia, "serva della croce". E poi, riferendosi al suo ruolo nel conflitto in Siria, avverte che "il governo di Ankara dovrebbe sapere che il sangue dei musulmani, uccisi dai suoi aerei e dalla sua artiglieria, provocherà un fuoco nella sua casa per volere di Dio" sostenendo che il killer ha agito "in risposta agli ordini" del leader dell'Isis, Abu Bakr al-Baghdadi".

Il primo è il chiaro riferimento che nel testo della rivendicazione si fa alla guerra in Siria, la minaccia di far pagare alla Turchia “il sangue dei musulmani versato per i bombardamenti dei suoi caccia”, trasformandolo in “fuoco nella sua casa”. Un’accusa di tradimento, rivolta ad Ankara, percepita dai jihadisti come traditrice e “apostata”, per citare ancora il testo, per le scelte che hanno portato Erdogan prima ad unirsi alla coalizione occidentale, offrendo le sue basi per bombardare in Siria, e poi ad affiancarsi al fronte pro-Assad, entrando in campo direttamente e secondo una parte dell'opinione pubblica, non solo turca, "abbandonando" Aleppo.

Un elemento che va valutato insieme a un secondo, più banale, ma altrettanto rilevante: la rivendicazione stessa. Questa volta l’Isis ha parlato, ha ammesso di avere colpito in territorio turco. Una scelta con cui i jihadisti sono usciti allo scoperto chiarendo, se ancora era necessario, quanto la propaganda del gruppo jihadista ha da tempo iniziato a dire: da che i turchi sono entrati in Siria, per contrastare le milizie curde nel nord del Paese e per respingere i jihadisti, da che - nel 2015 - Ankara ha iniziato a contrastare i network presenti sul proprio territorio, l’ascia di guerra è stata dissotterrata e anche Erdogan è passato nella schiera dei nemici, nei confronti dei quali è stata spesso accusato di chiudere un occhio, lasciando troppa permeabilità ai propri confini con la Siria e finanziando anche alcune sigle molto poco moderate.

E proprio dalla Siria è arrivato nella scorse settimane l’ennesimo orrore a firma del sedicente Stato islamico: un video in cui due uomini, identificati come soldati turchi, vengono dati alle fiamme, ancora vivi. Poco importa che il governo di Erdogan abbia detto di non poter verificare l’attendibilità del filmato: il messaggio è comunque chiarissimo. L’attacco a Istanbul rischia di essere solo il preludio a un altro anno di stragi per la Turchia.

Il ministro dell'Interno, Marco Minniti, ha riunito al Viminale i Vertici nazionali delle Forze di Polizia e dei servizi di Intelligence, per un aggiornamento sulla minaccia terroristica di matrice internazionale "alla luce dei gravissimi fatti di Istanbul". Nel corso dell'incontro, sottolinea il Viminale, "è stata fatta un'attenta e approfondita analisi dello scenario internazionale, sottolineando che l'attenzione rimane altissima ma il livello della minaccia non cambia per l'Italia".

"Continua ad essere impiegato un dispositivo di sicurezza - prosegue il Viminale - fondato, da un lato, su un intensa attività di intelligence per interventi di prevenzione e, dall'altro, sul controllo del territorio, con il coinvolgimento di tutte le forze in campo". Il Comitato di Analisi Strategico Antiterrorismo è riunito permanentemente "con l'obiettivo di garantire, anche in questi giorni di festa, il massimo impegno per la sicurezza e la tranquillità degli italiani".

Intanto e stato identificato come il 28enne Iakhe Mashrapov, con passaporto del Kirghizistan, il presunto killer di Capodanno a Istanbul. Lo riferisce la tv di stato turca Trt. Il passaporto del presunto killer risulta rilasciato dalla repubblica ex sovietica dell'Asia centrale il 21 ottobre scorso, un mese prima del suo arrivo in Turchia.

Il presunto attentatore di Capodanno sarebbe stato addestrato nei campi dell'Isis in Siria, prima di trasferirsi in Turchia a fine novembre. Lo riferisce Haberturk, citando fonti anonime delle indagini. In Siria, Mashrapov avrebbe anche combattuto nelle fila del sedicente Stato islamico.

I rappresentanti dell'Ambasciata del Kirghizistan ad Ankara hanno inoltrato una richiesta ufficiale alle autorità turche per confermare le informazioni secondo cui un cittadino kirghizo sarebbe coinvolto nell'attacco di Capodanno a Istanbul. Lo riporta Interfax. "Nessuna conferma è stata data finora. Tutto il resto sono congetture selvagge", ha detto uno dei funzionari dell'ambasciata all'agenzia russa. Analoga richiesta è stata presentata dal Comitato di Stato per la sicurezza nazionale del Kirghizistan.

La moglie del presunto autore della strage di Istanbul è stata arrestata. Lo riferisce dalla Turchia la corrispondente di ITV britannica Sally Lockwood, che cita fonti della polizia. La donna, riferisce il quotidiano Haberturk, è stata fermata nella provincia anatolica conservatrice di Konya, dove il killer sarebbe giunto anche con i due figli a fine novembre dal Kirghizistan. Le fonti citate dal giornale confermano inoltre che si tratterebbe di un uiguro, originario della regione cinese dello Xinjiang.

"Ho saputo dell'attacco dalla tv. Non sapevo che mio marito fosse un simpatizzante di Daesh" (Isis). Lo avrebbe detto alla polizia turca la moglie del presunto killer di Capodanno a Istanbul, fermata nelle scorse ore a Konya, nella Turchia centrale, secondo quanto riferisce Haberturk.

 

 

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