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Domenica, 02 Giugno 2024

Marino opta per la linea dura contro gli orchestrali in agitazione. «Questo è l'unico percorso che può portare a una vera rinascita dell'Opera. Quindi il cda ha approvato esternalizzazione di orchestra e coro del Teatro dell'Opera votando la procedura di licenziamento collettivo»

«Dopo 134 anni di vita gloriosa oggi il consiglio di amministrazione presieduto dal sindaco Marino si è assunto la responsabilità di mettere una pietra tombale sul Teatro dell'Opera di Roma». Lo dichiara in una nota Gianni Alemanno, ex sindaco della capitale e attualmente consigliere di centrodestra. «Il licenziamento collettivo dell'orchestra e del coro dell'Opera sono un atto gravissimo che dimostra come le dimissioni del Maestro Muti rispondevano proprio a questa logica di ridimensionamento più ampia progettata dal sovrintendente Fuortes - prosegue - Per questo motivo ribadiamo la necessità di convocare un consiglio straordinario dedicato alla situazione del Teatro dell'Opera e soprattutto invitiamo il sindaco Marino a sciogliere questo Cda e a nominare un nuovo sovrintendente che abbia davvero a cuore il futuro dell'Opera di Roma».

«L'unica vera sofferenza, per utilizzare le parole del sindaco Marino, è vedere ancora Fuortes sulla poltrona da sovrintendente del Teatro dell'Opera». Lo dichiara il presidente della commissione Trasparenza di Roma Capitale Giovanni Quarzo (Fi). «Ci attendevamo un suo passo indietro dopo il fallimento della sua gestione, per poi lavorare per il rilancio del Teatro - prosegue - Purtroppo, a pagare le sue inefficienze sono i musicisti ai quali va la nostra totale e sincera solidarietà». «E tra l'altro ancora attendiamo gli atti relativi all'inchiesta interna, che gli abbiamo chiesto durante la Commissione trasparenza - aggiunge - Dati che, ovviamente, Fuortes ancora non ci ha fornito, anche se non potrà più scappare perché il 7 è fissata nuovamente una seduta della commissione».

Le dimissioni di Muti hanno avuto due effetti. I soci della fondazione (il ministro Franceschini, il governatore Zingaretti e il sindaco Marino) si sono compattati per risolvere l'ingovernabilità alla radice. Ma allo stesso tempo la fuga sdegnata del maestro ha prodotto un danno di immagine ed economico. A partire dal bilancio: quattro sponsor, con contratti da un milione di euro ciascuno, hanno deciso di non scommettere più sulla lirica della Capitale. E anche gli abbonamenti alla fine ne hanno risentito.

Sicché i soci, non potendo arrivare ad altri tagli, avevano davanti due strade: chiudere e liquidare o procedere con l'esternalizzazione di coro e orchestra per ripartire con un nuovo sprint.

Nessun sopruso, piuttosto un modello vincente già collaudato in realtà europee prestigiose: da Madrid a Berlino, fino a Londra e Parigi. Spiega infatti il ministro Franceschini: «I musicisti se vorranno, potranno, come avvenuto da altre parti, dare vita a un'orchestra nuova, basata su relazioni trasparenti, sulla qualità e sull'innesto di giovani talenti, che punti a ricostruire con il Teatro un nuovo e diverso rapporto». Da qui ai prossimi 75 giorni si attiveranno i tavoli sindacali in Regione e al ministero. Coristi e orchestrali continueranno a essere dipendenti fino alla fine del procedimento: anche le recite andranno in scena, l'unico dubbio è l'Aida orfana di Muti (il 27 novembre). Poi da gennaio si cambierà. Il modello Roma è destinato a fare scuola sui burrascosi palcoscenici italiani. E non solo.

La scelta è «dolorosa», come premettono tutti, dal ministro Dario Franceschini al sindaco Ignazio Marino. Ma allo stesso tempo, nella pratica, la svolta «è storica e benefica», e non solo per le fondazioni liriche. In generale, dal Teatro dell'Opera di Roma viene lanciato un bel sasso nello stagno del dibattito sul lavoro: d'ora in poi l'orchestra e il coro saranno esternalizzati, dunque per 184 dipendenti (su 460) si aprono le porte del licenziamento collettivo. Ma attenzione: da gennaio tutti gli artisti ritorneranno a lavorare, solo che dovranno essere riuniti sotto un nuovo soggetto giuridico. Un'associazione o una cooperativa che si accorderà con il Teatro per i contratti stagionali. In base a criteri legati all'efficienza, senza più accordi integrativi dalle indennità fantasiose (quelle per il frac o per le trasferte a Caracalla...) e dai privilegi un po' fuori mercato visti i tempi. «È l'unico modo per una vera e auspicata rinascita del Costanzi», dice il sindaco e presidente della fondazione lirica Ignazio Marino, protagonista di una scelta coraggiosa e senza precedenti. Al suo fianco il sovrintendente Carlo Fuortes, che ha proposto il piano della svolta al consiglio d'amministrazione. Passato con sei voti favorevoli e un astenuto. «È stato un trauma, ma è l'unico modo per dare una prospettiva a questo ente», dirà alla fine del board Simona Marchini dopo il proprio sì.

«L'atteggiamento tenuto nei mesi scorsi da parte della Cgil e dei sindacati autonomi, con gli scioperi in occasione della stagione estiva di Caracalla e la decisione di non firmare il piano di risanamento, ha danneggiato il teatro e ogni iniziativa sindacale intrapresa». Lo dice la Cisl per voce del segretario della Fistel Cisl di Roma e del Lazio, Paolo Terrinoni. Terrinoni definisce «un colpo mortale all'Opera, ma anche alla cultura a Roma e in Italia», la decisione del Cda «di avviare la procedura di licenziamento collettivo di 182 persone tra musicisti di orchestra, una decisione che come sindacato «critichiamo fortemente», ma stigmatizza anche «l'atteggiamento della Cgil e dei sindacati autonomi».

Dunque si cambia. E non poteva essere altrimenti. Il 2013 è stato puntellato da un crescendo rossiniano di guerre sindacali e scioperi estivi a Caracalla, tensioni e minacce culminato con l'addio a piazza Beniamino Gigli del maestro Riccardo Muti. Un pasticciaccio, dalla eco internazionale, che stava per vanificare l'anno di sacrifici imposti per ripianare un deficit da 12 milioni di euro e il lavorio messo in piedi per usufruire della Legge Bray (sono in arrivo 20 milioni). «Ecco perché - spiega Salvo Nastasi, direttore generale del Mibact per lo spettacolo dal vivo - avremo una doppia ripartenza per la rinascita: nessuno perderà il posto, lavoreranno tutti, ma lo Stato, principale finanziatore delle fondazioni liriche con 300 milioni all'anno, non si può permettere di buttare i soldi».

The Island, film americano del 2005 parla di clonazione. Facoltosi americani si fanno clonare per avere a disposizione pezzi di ricambio in caso di bisogno: reni, fegato, cuore, e quant’altro. Ma ad un certo punto qualche cosa va storto, i clonati iniziano ad avere una loro identità e due di loro si ribellano e scelgono la libertà. Il sistema crolla su sé stesso e il delirio di onnipotenza evapora. Fantascienza lontana, ma non sappiamo quanto. Huxley nel suo Mondo nuovo aveva anticipato tutto questo anche se la clonazione aveva scopi diversi, ancora, infatti, non si conosceva la possibilità di fare trapianti di organi.

La custode di mia sorella è un romanzo del 2004 (Corbaccio ed.) della scrittrice americana Jodi Picoult dal quale è stato tratto, nel 2009, l’omonimo film che ricalca la storia del romanzo, ma con un finale a sorpresa. Nel romanzo, e nel film, una bambina sviluppa una rara forma di leucemia e i genitori decidono di far nascere una sorella compatibile con quella malata per “usarla” come donatrice. La sorella nasce grazie alla fecondazione artificiale e viene selezionata con le caratteristiche genetiche giuste. Ma anche nel romanzo, come nel film The Island, qualche cosa va storto. Anna, la sorella donatrice, si ribella, è stanca di essere usata e quando si prospetta la necessità di un trapianto di rene fa causa ai suoi genitori.

In The Island l’amore trionfa, i cloni acquistano la libertà, per Anna il finale è diverso, ma la riflessione è la stessa: è lecito usare altri esseri umani per salvare la nostra vita o anche quella degli altri? Il fine giustifica sempre il mezzo? Tutto ciò che è possibile è anche lecito?

Riprende la fortunata iniziativa ideata dall’Università eCampus, che stavolta pone l’accento sul cinema indipendente italiano. Sei pellicole di altrettanti registi nostrani animeranno, come di consueto, la sede romana dell’ateneo in via del Tritone 169, a partire dal prossimo 22 settembre, ogni due lunedì del mese, fino al 15 dicembre, con un intermezzo, il 20 ottobre, dedicato alla memoria di Massimo Troisi vent’anni dopo la sua prematura scomparsa.

A “battezzare” il ciclo autunnale di proiezioni sarà l’opera prima di Michele Picchi, già aiuto regista di Ettore Scola e Giovanni Veronesi, “Diario di un maniaco perbene”, con Giorgio Pasotti, Ninni Bruschetta, Danila Stalteri, Valentina Beotti, Valeria Ghignone, Tatiana Lepore e Angela Antonini.

La trama ruota attorno all’artista quarantenne Lupo (Pasotti), il “maniaco” del titolo, inguaribile fallito chiamato, chissà perché, a risanare i fallimenti degli altri. Incapace di gestire il caos della propria esistenza, è invece bravissimo a mettere ordine nella vita di chi lo circonda, dispensando consigli che lui stesso non riesce a seguire. L’unica ricetta contro i fantasmi che lo affliggono è l’apparente pacatezza con cui affronta o almeno prova ad affrontare ogni situazione e il soffice disincanto che caratterizza la sua visione del mondo, cinica, aspra, ironica, in una parola maledettamente realistica. Tombeur de Femmes professionista, seriale e impenitente, innamorato cronico, aspirante suicida inabile al suicidio, Lupo è un voyeur, ma è un voyeur all’antica, un voyeur perbene che, rintanato nel porto sicuro del suo minuscolo spioncino, osserva distaccato la quotidianità che scorre ammantandola di mordace sarcasmo.

Di seduttori, veri o presunti, sul grande schermo se ne sono visti fin troppi: malati, ossessivi, frenetici, simpatici, bonari e perfino impotenti.  Da “The Libertine” Johnny Depp al magistrale John Malkovich de “Le relazioni pericolose”, dal “Bell’Antonio” di Mauro Bolognini all’”Uomo che amava le donne”, capolavoro di François Truffaut, passando per il recente “Gigolò per caso” firmato da John Turturro, la Settima Arte ci ha regalato, nel corso degli anni, un’interessantissima carrellata di personaggi che di universo femminile s’intendono eccome. Michele Picchi, tuttavia, fa molto di più, scrivendo un nuovo capitolo di questa straordinaria enciclopedia. Quella di Lupo è l’immagine specchiata dell’uomo moderno, schiacciato sotto il peso di una crisi che è personale ed endemica. La dirimpettaia impicciona, la nipotina, la ex insensibile, l’amico meccanico e tutte le “sue” donne, non sono allora che la cornice perfetta di un ritratto altrettanto perfetto.

Immerso in un pallido universo di mediocrità, il protagonista si difende dalle umane bassezze disprezzandole amabilmente, mostrandosi calmo e compiacente, un’arma sottile e affilata che gli consentirà alla fine di sciogliere il nodo dei suoi conflitti interiori.

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