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Fondazione Fotografia Modena è lieta di presentare la mostra personale di Sharon Lockhart (nata nel 1964 nel Massachusetts, USA), artista di fama internazionale che vive a Los Angeles. Ospitata al MATA – ex Manifattura Tabacchi situata nel cuore della città e sede temporanea di Fondazione Fotografia Modena –, la mostra presenta tre serie inedite e interconnesse di fotografie e sculture, realizzate appositamente per lo spazio e ispirate all’attivismo sociale dei suoi operai.

Nel corso della sua carriera l’artista si è immersa in diverse comunità per realizzare opere – dalle fotografie ai film e alle installazioni – che colgono in modo unico gruppi e individui in composizioni studiate e coreografate. Il punto di partenza per questi nuovi lavori è il suo interesse 

costante per il ritratto, la rappresentazione, il movimento, il lavoro e il potere delle donne. Lockhart si cimenta per la prima volta con la lavorazione del bronzo realizzando, per la serie A Bundle and Five Variations (2018), alcune sculture scaturite da calchi di bastoni di manzanita, ippocastano dell’Ohio e noce nero che l’artista ha raccolto personalmente sulle montagne della Sierra Nevada in California. Bastoni simili sono già apparsi nel suo film Little Review (2017). Grazie alla collaborazione con Ravi GuneWardena della Sogetsu School of Ikebana, queste sculture sono state disposte in sei diverse composizioni, cinque delle quali derivanti dal gruppo più ampio tra quelle esposte. Le iterazioni scultoree, dalla forma e dal peso in equilibrio, riflettono i rapporti naturali e artefatti che legano i bastoni. Con un’attenzione simile nella struttura e nella variazione, per le fotografie Nine Sticks in Nine Movements (2018), Lockhart e Sichong Xie, protagonista degli scatti, hanno ideato un movimento per ogni scultura bronzea. Ciascuna posizione rimanda a una miriade di pose provenienti dalla società e dalla storia dell’arte. Come una danza, le fotografie e le composizioni scultoree catturano l’interazione tra la coreografia e la fisicità dei bastoni in bronzo.

Grazie agli intensi scambi tra l’artista, i curatori e Fondazione Fotografia Modena, la mostra affronta inoltre la storia fortemente politicizzata della sede espositiva, un’ex manifattura tabacchi, per alcuni periodi popolata esclusivamente da forza lavoro femminile. La mostra include una selezione di immagini provenienti dagli archivi del noto studio fotografico modenese Botti e Pincelli, di proprietà del Comune di Modena e gestiti da FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE. Gli scatti in bianco e nero, realizzati nel 1963 e nel 1968 e mai pubblicati, immortalano manifestazioni di protesta di agricoltori che distribuiscono patate agli operai in prossimità della manifattura e delle vicine Fonderie Corni e gettano il latte sulle strade, in segno di protesta per le politiche economiche introdotte dal governo italiano, allo scopo di regolamentare le tariffe del settore. Le immagini mostrano un chiaro parallelismo con un’altra forma di autodeterminazione e di autonomia economica che Lockhart ha immortalato nelle sue fotografie di "independent business" (forme di commercio autogestito) come Dirty Don’s Delicious Dogs, Moody Mart e Handley’s Snack Shop (tutte del 2008), anch’esse in mostra. Appartenenti a Lunch Break, precedente progetto di più ampio respiro, queste fotografie ritraggono banchetti allestiti dagli operai di una grande società navale americana. Benché espressamente vietati dalla direzione, questi banchetti si snodano lungo i corridoi delle officine e offrono cibo e bevande agli operai, in segno di sfida alle merci di produzione di massa vendute dall’azienda a prezzi gonfiati.

Tra le mostre più importanti di Sharon Lockhart si segnalano le personali nel Padiglione Polacco della 57a Biennale di Venezia (2017); al Kunstmuseum di Lucerna (2015); alla Bonniers Konsthall, Stoccolma (2014); al Center for Contemporary Art, Ujazdowski Castle, Varsavia (2013); all’EACC Espai d’art contemporani de Castelló di Castellón de la Plana, Spagna (2012); al LACMA, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles (2012); alla Kunstverein di Amburgo (2008); al Museum of Contemporary Art, Chicago (2001) e al MAK – Österreichisches Museum für angewandte Kunst, Vienna (2000). Le sue opere sono state esposte in numerose biennali tra cui la Shanghai Biennale (2014), la Liverpool Biennial (2014), e la Whitney Biennial (1997, 2000, 2004). Molte sue opere si trovano in collezioni museali importanti come quelle del Solomon R. Guggenheim Museum (New York), Hammer Museum (Los Angeles), Metropolitan Museum of Art (New York), Museum Boijmans Van Beuningen (Rotterdam), Tate Modern (Londra) e Sammlung Goetz (Monaco di Baviera).

Fondazione Fotografia Modena è un centro d’arte contemporanea e un’istituzione di alta formazione dedicati alla fotografia e all’immagine, che propone un ampio spettro di attività che spaziano dall’organizzazione di mostre temporanee a corsi di specializzazione. La Fondazione occupa un posto di rilievo nella scena culturale nazionale e internazionale grazie alla sua opera di tutela e valorizzazione di una vasta e significativa collezione di fotografia contemporanea e alla sua competenza scientifica nell’ambito della catalogazione, della conservazione e del restauro di opere fotografiche storiche. La fondazione è una risorsa importante nell’individuazione e interpretazione dei rapidi processi in atto nel mondo contemporaneo, tenendo conto dell’odierna produzione massiccia di immagini, della loro proliferazione e diffusione esponenziali. Spaziando dai generi fotografici tradizionali a pratiche artistiche nuove e sperimentali, Fondazione Fotografia Modena ha un vasto bacino d’utenza e coinvolge i suoi pubblici diversificati nell’esplorazione dei molteplici linguaggi dell’immagine, invitandoli a seguirne lo sviluppo, riflesso dei cambiamenti socio-culturali della società che li ha prodotti. Tra le mostre personali organizzate si ricordano: Santu Mofokeng (2016); Tom Sandberg; Hiroshi Sugimoto (entrambe nel 2015); Axel Hütte; Mimmo Jodice (entrambe nel 2014); Walter Chappell (2013); Edward Weston (2012); Walter Niedermayr; Ansel Adams (entrambe nel 2011); Daido Moriyama (2010). Tra le collettive più note si ricordano: Three True Stories – Zanele Muholi, Ahlam Shibli, Mitra Tabrizian (2013); Flags of America. I grandi autori americani dagli anni ’40 agli anni ’70; The Collector’s Choice. Opere dalla collezione Sandretto Re Rebaudengo (entrambe del 2012).

Assieme alla Galleria Civica di Modena e al Museo della Figurina, Fondazione Fotografia Modena fa parte di FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, istituzione diretta da Diana Baldon e fondata dal Comune di Modena e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. La Fondazione diffonde l’arte e la cultura visiva contemporanee nella cornice del patrimonio e delle attività delle tre istituzioni culturali che la compongono: Galleria Civica di Modena, Fondazione Fotografia Modena e Museo della Figurina. Pur riflettendo i percorsi individuali di queste istituzioni culturali pubbliche e private per rafforzarne le singole identità, tra gli obiettivi della nuova Fondazione figurano la presentazione delle pratiche artistiche internazionali più innovative del XXI secolo, la promozione di forme di attivazione e contaminazione tra diversi contesti e discipline, e la valorizzazione delle collezioni che le sono state affidate. Inoltre, attraverso attività di formazione accademica e pedagogica, la Fondazione svolge un’importante indagine sulla radicale trasformazione che l’arte e i suoi linguaggi hanno vissuto negli ultimi decenni, in seguito all’impatto delle tecnologie, dei contesti e delle piattaforme ora disponibili per la condivisione di informazioni e servizi.

Ringraziamenti speciali : Patrizia Cremonini (Archivio di Stato di Modena), Ravi GuneWardena, Alex Slade, Vidhi Todi, Tanita Enderes, Andrew Goeser (Lockhart Studio, Los Angeles), Caroline Luce (Gladstone Gallery, New York e Bruxelles), Dylan Lustrin (neugerriemschneider, Berlino), Giò Marconi, Esther Quiroga (Giò Marconi, Milano), Collezione MAST, Bologna e Sichong Xie.

 

 

 

E’ da poco terminato il restauro alla Cappella Capponi nella chiesa di Santa Felicita interamente realizzato con il contributo della Fondazione Friends of Florence, attraverso i suoi donatori Kathe e John Dyson. L’intervento è stato eseguito dal restauratore Daniele Rossi, sotto l’Alta Sorveglianza del Dott. Daniele Rapino, già funzionario per la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e le province di Prato e Pistoia. IL RESTAURO I lavori iniziati nel marzo del 2017, il cui costo complessivo è stato di 120.000,00 euro circa, sono durati circa un anno e hanno interessato l’intero complesso architettonico e le straordinarie opere d’arte in esso contenute. 

Daniele Rossi, esperto conoscitore della materia e della tecnica di Pontormo, acquisite con il restauro di altri capolavori dell’artista, assieme ai suoi collaboratori è intervenuto con restauro e manutenzione su tutte le superfici della cappella, esclusi gli Evangelisti già restaurati dallo stesso nel 2010. “Non capita sovente di trovare un benefattore che si faccia carico del completo restauro di un'architettura, ricca di opere d’arte come la Cappella Capponi di Santa Felicita - spiega Daniele Rapino che così continua - l'intervento ha restituito leggibilità e luminosità all’intera struttura, mortificata da abbondanti depositi di sporco, alterazioni dei colori dovute a vernici ingiallite date in precedenti restauri e vecchie integrazioni di parti mancanti ossidate nel tempo. Ancora più forte sarà ora la meraviglia dei visitatori nell’ammirare quei colori brillanti e ricchi di cangiantismi che il Pontormo ha creato per la Deposizione, gli azzurri accesi, i tenui rosati, la pelle che si confonde con gli abiti e gli sguardi ancora più vivi e carichi di dolore e angoscia. Vive di una nuova luce rischiarata anche l’affresco dell'Annunciazione, ambientata in una disadorna stanza che simula la realtà come se fosse l’ambiente attiguo della Cappella. 

Lo stesso può dirsi dei variegati marmi che compongono il bellissimo monumento seicentesco, in commesso di pietre dure, dedicato a S. Carlo Borromeo, nonostante la forte cesura creata nell'impianto prospettico ideato dal Pontormo e che separa la Madonna dall’Angelo annunciante. Anche le antiche lapidi sepolcrali ed encomiastiche sono tornate con i marmi lucidi e le scritte leggibili e risaltano ancor più sugli intonaci ora puliti e luminosi. Novità assoluta, inoltre, è la scopritura della decorazione a lacunari della cupolina, realizzata da Domenico Stagi intorno al 1770 e celata, oramai da più di ottanta anni, da uno spesso strato di calce. Questi restauri, inoltre, hanno dato la possibilità di meglio approfondire la conoscenza dell’architettura della Cappella Barbadori che Filippo Brunelleschi realizzò nel 1420 circa, e che cento anni più tardi il Pontormo rispettò nella sua interezza. Sono ancora presenti infatti, le tracce di una sontuosa decorazione in oro e blu con cui Brunelleschi rivesti i capitelli in pietra serena, a richiamare i colori dell’Arme Barbadori. Parte di questi capitelli e lesene sono ancora visibili, mentre il restante è celato all’interno delle strutture sovrammesse nei lavori di rinnovamento della chiesa del 1735. Con le indagini approfondite è riemersa anche parte della cupola originaria, più svettante e ampia di quella attuale costruita nel 1766. 

È così confermata la notizia tramandata da Vasari, per cui Brunelleschi, prima di cimentarsi nel suo capolavoro in Santa Maria del Fiore, creò nella Cappella Barbadori in Santa Felicita il suo modello di cupola”. Il restauro è stato infatti l’occasione per realizzare un’indagine strutturale della cappella che ha portato a interessanti scoperte: infatti in collaborazione con l’Università di Firenze, Dipartimento di Scienze della Terra - Geologia strutturale, diretto dal prof. Massimo Coli con cui sono state analizzate le cortine murarie, si è potuto accertare l’esistenza di parte della cupola antica realizzata dal Brunelleschi con i mattoni murati a spina di pesce. Per favorire una migliore fruizione dell’intero complesso è stato realizzato un nuovo impianto illuminotecnico, offerto dalla Fondazione Palazzo Strozzi e realizzato grazie alla sponsorizzazione di Erco. A questo proposito si ringraziano Andrea Nava, Amministratore Delegato, e Sergio Stocchi. 

“La Cappella Capponi è uno dei tesori di Firenze che affascina e riempie gli occhi ed il cuore con gioia e bellezza. Il genio di Pontormo è un vero richiamo che ci invita ad entrare in Santa Felicita ogni volta che passiamo per questo angolo della città. Per questa ragione il progetto di restauro è stato subito accolto da Friends of Florence. L’intervento alla cappella è stato totale e ha interessato tutte le opere presenti al suo interno, dalle lapidi ai manufatti lignei, dalle superfici murarie decorate alle parti ad affresco staccate, dalle opere in pietra, agli intonaci, fino al dipinto di Pontormo “La Deposizione”, ricollocato nella sua ubicazione originale dopo il restauro e dopo l’esposizione alla mostra “Il Cinquecento a Firenze” a Palazzo Strozzi – sottolinea Simonetta Brandolini d’Adda Presidente di Friends of Florence che continua - Ringrazio a nome della Fondazione Kathe e John Dyson, i donatori, che hanno reso possibile il progetto e tutti coloro che vi hanno lavorato dal Dott. Daniele Rapino per la Soprintendenza al restauratore Daniele Rossi e a tutto il suo team e al Parroco Don Gregor per la disponibilità ad eseguire i lavori.

 

 

 

Giovedì 22 marzo 2018 alle ore 18.30, Villa Finaly – Universités de Paris Sorbonne – si associa all’iniziativa italiana per la presentazione del film evento "Restaurare il Cielo" che illustra e analizza il fantastico lavoro di restauro della Basilica della Natività di Betlemme effettuato da “équipe” di restauro italiane...
In presenza di Giammarco Piacenti, CEO della Piacenti S.p.A., e del regista Tommaso Santi.

Promosso nel 2013 dall’Autorità palestinese, il restauro della Basilica della Natività, inserita nel 2012 dall’Unesco nella lista dei monumenti patrimonio dell’umanità, ha coinvolto le tre confessioni che custodiscono il luogo della nascita di Cristo (ortodossi, cattolici e armeni), finanziatori da tutto il mondo e oltre 60 ditte specializzate a cominciare dall’italiana Piacenti, che si è aggiudicata il bando per l’esecuzione dei lavori sotto la supervisione universitaria.

Fondata in epoca costantiniana e poi ricostruita nel VI secolo dall’imperatore Giustiniano, la Basilica ha attraversato tutta la storia della Palestina resistendo a invasioni, guerre, dominazioni; ma l’incuria, il tempo e le infiltrazioni hanno compromesso gravemente l’edificio rendendo necessario un grande restauro che ha dato vita, in questi anni, a un vero cantiere medievale, una “fabbrica del duomo”, in cui le maggiori competenze e specializzazioni hanno ridato luce ai tesori perduti. Prima fra tutte la magnifica decorazione a mosaico del XII secolo, che comprende la processione angelica, di cui sono oggi sopravvissuti circa 130 mq di tessere musive originali, oggetto di un pensiero da parte di Papa Francesco. “Mi è stato riferito – ha detto in udienza nel giugno scorso – che nel corso dei restauri è venuto alla luce un settimo angelo in mosaico che, insieme agli altri sei, forma una specie di processione verso il luogo che commemora il mistero della nascita del Verbo. Questo fatto ci fa pensare che anche il volto delle nostre comunità ecclesiali può essere coperto da ‘incrostazioni’... ma tutti voi, con i vostri progetti e le vostre azioni potete cooperare a questo ‘restauro’ perché il volto della Chiesa rifletta la luce di Cristo”.

Il ritrovamento del settimo angelo è però solo l’inizio di un’enorme quantità di scoperte e di studi ancora in corso. Questo lavoro è reso possibile grazie alla collaborazione fra persone provenienti da imprese diverse, con conoscenze e competenze differenti, ma tutte necessarie per completare il lavoro. Si è trattato, inoltre, di persone di religione, nazionalità e culture anch’esse differenti. La collaborazione stessa è diventata così l’occasione di una condivisione che supera i confini delle diffidenze e differenze, mettendo insieme anche chi difficilmente si sarebbe accostato all’altro.

Il cantiere della Basilica della Natività ha avuto anche visitatori d’eccezione come Papa Francesco ed il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Il film di Tommaso Santi "RESTAURARE IL CIELO" racconta passo dopo passo questa incredibile avventura e svela la meraviglia di un luogo simbolico che racchiude tra l’altro la grotta del Bambino Gesù. Il toscano Tommaso Santi, sceneggiatore e regista, è stato scelto dal Gruppo Piacenti per le sue qualità e affinità con il grande cantiere toscano a Betlemme: vincitore al “Premio Solinas” del concorso “Storie per il cinema”, autore di numerosi lavori documentari tra cui “I bambini della miniera”, ha presentato “Restaurare il cielo” sia al Consolato italiano di Gerusalemme (alla presenza del consigliere per gli affari religiosi del governo palestinese, Ziad Albandak e di tutte le diverse comunità cristiane, a cominciare dall’Amministratore Apostolico Pizzaballa) che alla Cineteca di Tel Aviv, organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura alla presenza del Ambasciatore Italiano in Israele. Nel novembre 2016 il film è stato poi selezionato al prestigioso “Idfa – Doc for Sale” di Amsterdam. Gran Premio della Stampa Estera, Globo d'Oro 2017! 

“Restaurare Il Cielo” è anche il titolo di una mostra itinerante sul Restauro Della Basilica Della Natività promossa dal Meeting di Rimini e da Compagnia Delle Opere a cura di Mariella Carlotti e Giammarco Piacenti. “Restaurare Il Cielo” ha girato l’Italia riscuotendo grande successo di pubblico e scuole.

“Restaurare Il Cielo” è stato tradotto in arabo, ebraico, russo, spagnolo, inglese e francese.
La traduzione francese è a cura di Villa Finaly – Universités de Paris Sorbonne.

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