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Mercoledì scorso la trasmissione “Fuori dal coro” condotta da Mario Giordano su rete 4 di Mediaset, il giornalista ha “confezionato” un interessante e ben documentato reportage sulla questione Islam in Europa, con riferimenti all'Italia. Giordano ha introdotto il tema ricordando la povera bambina inglese di otto mesi, Indy Gregory, uccisa per ordine di un giudice inglese, che fiscalmente ha rispettato il cosiddetto protocollo inglese. Ma una società, un mondo che non è in grado di rispettare e condanna a morte una bambina, è destinato ad essere “sottomesso”. A Chi? Ad una cultura, ad una religione identitaria come l'islam, in particolare, a quella fondamentalista che imperversa in tutta Europa e che soprattutto quest'ultima, sembra opportunamente piegarsi ai dettami della cultura islamica. Per certi aspetti sembrerebbe che Giordano oltre ai libri e ai servizi di Giulio Meotti, abbia letto il poderoso e articolato studio, “L'Islam in Europa” della prof.ssa Silvia Scaranari pubblicato nell'ultimo numero della rivista Cristianità, organo ufficiale di Alleanza Cattolica (n. 422, luglio-agosto 2023).

La questione islamica o musulmana è sempre attuale, soprattutto in queste settimane che si é “svegliato” il terrorismo del movimento filo palestinese di Hamas con un terribile sanguinoso attentato nei confronti del popolo israeliano, che ha causato la violenta reazione dell'esercito israeliano. Naturalmente con questo non vogliamo sostenere che tutto il mondo musulmano sia fatto di terroristi come Hamas pronti ad attaccare l'Occidente, per fortuna.

La Scaranari ammette che studiare la complessa e variegata presenza islamica in Europa non è cosa facile, tuttavia si può tentare di disegnare un quadro sommario dei fatti. Se prima negli anni, '60, l'immigrazione di persone di religione musulmane in Europa avveniva singolarmente, perché c'era bisogno di manodopera. Successivamente è cresciuta con i ricongiungimenti familiari, modificando il modus vivendi della comunità. Prima i lavoratori musulmani accettavano di vivere la pratica religiosa a livello individuale e privato, ora con la presenza di mogli e figli, cominciarono a sentire il bisogno di avere luoghi di culto, di alimenti conformi alle norme coraniche, di spazi di sepolture, di negozi di abbigliamento tradizionale, di cure sanitarie separate da maschi e femmine.

Dagli anni '90 si è generata un nuovo e forte e caotico flusso migratorio, che ha coinvolto Paesi lontani dall'Europa come il Bangladesh, il Pakistan, lo Sri Lanka. Tutti Paesi con un Islam variegato, fatto di diverse scuole giuridiche e nazionali, poi c'è l'Islam che riguarda gli Stati, in particolare quello dell'Arabia Saudita o del ricco Qatar, che fanno parte della Lega del mondo islamico. Questi con caratteristiche “missionarie”, “prendono iniziative e cercano di coagulare fra loro i fedeli emigrati, favorendo una serie di attività, come la costruzione di moschee, l'istituzione di fondazioni culturali e di banche, la creazione di scuole coraniche...”.

Lo studio della Scaranari elenca alcuni luoghi di culto, finanziati dai Paesi musulmani a partire dalla moschea di Roma, iniziative analoghe sono quelle di Colonia, finanziata dalla Turchia di Erdogan. Sempre in Germania dovrebbe sorgere un gigantesco complesso edilizio a Francoforte sul Meno, finanziato dal Qatar. Grandi moschee sono in costruzione in diversi Paesi. Per esempio, nella sola Albania, c'è un progetto di costruirne duemila. Ultimo progetto è quello di costruire di una mega moschea di diecimila quadrati a Strasburgo di ventotto cupole con minareti di 44 metri.

Quando c'è l'intervento degli Stati islamici, fa notare la professoressa torinese, c'è sempre la volontà di non far perdere l'identità ai propri concittadini emigrati. Il contrario di quello che pensano glie europei, che si illudono, immaginano che queste emigrati musulmani a poco a poco si integrano e vengono assorbiti diventando cittadini europei.

Prima o poi sulla questione islamica occorrerà aprire un tavolo di discussione e soprattutto smetterla di guardare il fenomeno al puro livello umanitario, anche perchè negli ultimi tempi è cresciuto il coinvolgimento degli Stati di origine. Anche la Scaranari sottolinea il grande impegno “missionario” in Europa del governo qatariano  di Abdullah Bin Nasser al-Thani della famiglia reale del Qatar. Esiste la più grande e influente organizzazione umanitaria controllata dai salafiti, il suo fondatore sarebbe legato ad al Qaida. A questo proposito rileva la Scaranari che un po' ovunque a Londra, Parigi, a Berlino, esistono dei centri chiamati “King Fahd Academy” che “devono favorire la reislamizzazione dei giovani musulmani e offrire un'immagine accattivante, pacifica e quasi suadente dell'islam agli occhi degli europei”.

Oltre a queste forme di appartenenza, esiste un islam politico, in particolare quello radicale dei Fratelli Musulmani. Ha diverse sfaccettature, si passa da una reislamizzazione dal basso a quella dei colpi di Stato o atti terroristici volti a destabilizzare i governi. Poi viene descritto l'islam delle confraternite, molto attivo. Successivamente si prende in considerazione del fenomeno abbastanza preoccupante che é quello dell'islam cosiddetto “sfuggente”, del web. Quest'ultimo è presente tra i giovani, apertamente in polemica con le autorità dei Paesi di provenienza.E' un mondo facile preda dei gruppi radicali e jihadisti, che sono molto presenti in rete e che hanno elaborato una valida strategia di comunicazione soprattutto con i giovanissimi, molto proiettati, come tutti i loro coetanei, a vivere un mondo virtuale”

In questo mondo è reso più facile la diffusione di materiale estremista, accelerando il processo di radicalizzazione. E' un mondo che rappresenta un problema sia per le comunità islamiche che per l'ordine pubblico. Legato a quest'aspetto esiste anche l'islam “Fai da te”, sempre presente sul web. Qui la Scaranari fa presente che non sempre, in particolare la maggioranza dei giovani, vive l'islam, del resto come molti giovani cristiani, con pratiche ridotte al minimo, con molti compromessi.

A questo punto lo studio avvia una domanda fondamentale per la questione che si sta trattando. Come vive l'Europa questo forte impatto col mondo musulmano?

Intanto in Europa si è ragionato riconoscendo a tutti la libertà religiosa, come diritto fondamentale, ha concesso diverse richieste agli immigrati di origine musulmana: macellazione halal, menù halal nelle scuole, aperture di centri culturali e moschee. Dopo queste aperture ci si aspettava da queste comunità ordine e trasparenza. Purtroppo non è stato così, “moschee, scuole, centri culturali si sono trasformati in punti di coagulo e di formazione all'islam radicale”. Spesso il controllo sui fedeli, in particolare sulle donne è diventato più pesante del Paese d'origine. “La comunità tende a irrigidire le norme e i costumi per non rischiare di perdere la propria identità e il proprio senso di appartenenza alla Umma e per marcare la distinzione rispetto al mondo occidentale, infedele e 'satanico'. Allora ecco apparire i matrimoni combinati anche con minori, se non addirittura con bambine, controllo sistematico in certi quartieri delle città europee del rispetto del digiuno. Attenzione quartieri dove gli stessi poliziotti si rifiutano di entrare per i pericoli in cui potrebbero incorrere. In Francia ci sarebbero almeno 1514 quartieri (circa 859 comuni) circa quattro milioni di francesi, che vivono con una legge islamica, chiamata dal politicamente corretto, “diversamente legale”. Questo è un fenomeno che penalizza altre comunità come quella ebrea, che subiscono attacchi antisemiti e pressioni, fino all'isolamento, tanto da indurli esasperati ad abbandonare certi quartieri a maggioranza islamica. Pertanto non si può parlare di integrazione dove questi gruppi di musulmani diventano maggioranza. “Invece di promuovere l'integrazione, si cade nell'esclusione reciproca”.

Un altro fattore che non fa comprendere la questione dell'islam in Europa è quello di una certa retorica esistente tra gli europei e gli immigrati musulmani, mi riferisco all'islamofobia che ha conquistato quegli europei per la paura, l'indignazione e la rabbia suscitate dal terrorismo. Certo è un grave errore generalizzare e vedere in ogni musulmano un potenziale terrorista. Tuttavia è difficile non ammettere che i terroristi erano e sono anche musulmani. Così di fronte al barbaro attentato alle Torri Gemelle di New York nel 2001, ai preti uccisi in Francia, e alle stragi dei cristiani in Nigeria e in Congo, alcuni ambienti musulmani, invece di riconoscere l'orrore di questi selvaggi attentati commessi dai loro correligionari, “hanno incominciato ad accusare il mondo occidentale di fare di tutta l'erba un fascio, hanno sostenuto che l'islam è una religione di pace e protestano ovunque si mette in dubbio le loro buone intenzioni, imponendo l'idea che qualunque osservazione critica verso l'islam sia animata da ostilità, sia cioè appunto 'islamofobia'”. La libertà di parola viene censurata anche sui media, chi cerca di dire la verità, è costretto ad autocensurarsi, se non lo fa finisce come il professore Samuel Paty o come i giornalisti di Charlie Hebdo.

Poi si prendono in esame gli aspetti demografici legati alla realtà musulmana confrontati con quelli degli europei. Da decenni l'Europa è esposta a un calo demografico, da poco i politici hanno preso consapevolezza del pericolo. Le proiezioni ci dicono per esempio che la popolazione della sola Nigeria nel 2058 supererà quella di tutta l'Europa, dove il tasso di natalità nelle comunità islamiche è decisamente superiore. Attualmente in alcuni Paesi della Francia, la popolazione musulmana supera il 20 % e poi c'è l'aspetto delle scuole da esaminare, dove c'è una presenza multietnica abbastanza significativa. Pertanto in simili contesti non è possibile parlare di integrazione: “la presenza di numeri così forti porta necessariamente a un cambio di cultura, di usi, di costumi...e si rischia di arrivare a un cambio di norme giuridiche”. Un imam in Danimarca ha reclamato decisamente la liceità delle spose-bambine, perché conforme alle consuetudini dei Paesi di provenienza di molti migranti, i giudici danesi invece di rispondere con un secco NO, hanno risposto che il problema va studiato.

Tuttavia per la Scaranari in Europa si sta assistendo a preoccupanti fenomeni di sostituzione culturale, invece che l'auspicata politica di integrazione graduale del mondo musulmano. Certamente l'Europa nella sua lunga storia ha affrontato massicce ondate di immigrazione, ma nel nostro secolo stiamo assistendo a qualcosa di diverso. Le popolazione piombate sull'impero romano spesso avevano un atteggiamento di gratitudine per quello che trovavano. “Gli stessi popoli barbari, con la loro sete di dominio, riconobbero il patrimonio culturale esistente e ne fecero tesoro”.  Ma adesso con un islam identitario forte con un senso di rivalsa, tutto cambia anche perchè dall'altra parte c'è un atteggiamento dimissionario e suicida degli europei.

Oggi, in diversi casi, “assistiamo a una immigrazione che disprezza l'Europa, le nostre tradizioni, la nostra cultura, la nostra storia e che assume un atteggiamento di sfrontatezza e di rivendicazione”. Anzi spesso questi popoli sono convinti di avere una superiorità culturale, talvolta “dominati da una sete di “vendetta” contro il Vecchio Continente, evidenziandone solamente le colpe e negandone i meriti”. Con queste premesse in certi quartieri e scuole delle città europee si crea un clima di suggestione collettiva, di “jihadismo d'atmosfera”, da cui vengono condizionati sia i musulmani che i non musulmani, un misto di paura, di tacito consenso, di condivisione, spesso per opportunismo e per quieto vivere. Chi non è disposto a piegarsi a questa perversa atmosfera, è costretto a cambiare città o quartiere.

Lo studio di Silvia Scaranari si chiude con delle interessanti riflessioni socio-politiche mettendo a confronto l'islam radicale che non può essere paragonato all'iper-tradizionalismo di qualche comunità cattolica: la visione coranica come verità religiosa, sociale, politica, vuole sottomettere il mondo, come ricorda Remi Brague.

Di fronte abbiamo “l'uomo occidentale post-moderno, privo di verità a cui fare riferimento, non è capace di comprendere una simile prospettiva esistenziale e finge che tutto l'islam sia pace e fratellanza”. L'Occedete spesso non comprende che gli Stati islamici, “non desiderano assolutamente l'integrazione, anzi operano per l'esatto contrario”. Anzi insiste la professoressa, “L'integrazione in Occidente è vista come un pericolo, il rischio di acquisire abitudini, culture e usi degli 'infedeli' e per questo si prodigano in sforzi significativi di reislamizzazione”.

Occorre mettere in guardia l'uomo occidentale, quello cristiano che ragiona con le nostre categorie, per comprendere quelle dell'islam, è un errore epocale. “Le belle parole “libertà religiosa”, “accoglienza”, “fratellanza” non bastano, occorre riempirle di significato e, soprattutto impiantare dei 'paletti' entro cui possono stare, altrimenti non è integrazione ma anarchia, in cui vince il più forte”.

 

Il Presidente A.I.P.I.N. e docente Università di Firenze, ha indossato i gambali e unendosi agli altri volontari, armato di pale, ha spalato il fango, in Toscana.

 Federico Preti  – Presidente Nazionale A.I.P.I.N. e docente di idraulica e Difesa Territorio dell’Università degli Studi di Firenze  ha dichiarato: “ Non dovremmo parlare di Dissesto Idrogeologico ma di Rischio Idro-Geo-Cementizio. Ed è nuovo termine coniato da noi. Campi Bisenzio è un comune della Piana Firenze-Prato-Pistoia, la zona più urbanizzata della Toscana secondo il rapporto ISPRA sul Consumo di Suolo. Il nome del paese sta sicuramente a significare “campi coltivati attraversati dal fiume Bisenzio”, ma oggi abbiamo un corso d’acqua ristretto e rettificato da argini che proteggono importanti infrastrutture produttive”.

L’Associazione Italiana Ingegneria Naturalistica – A.I.P.I.N. – parla di Rischio Idrogeocementizio.

 Dal Dissesto Idrogeologico al RISCHIO IDROGEOCEMENTIZIO. L’Associazione Italiana di Ingegneria Naturalistica conia, da oggi, tale nuovo termine. Siamo in presenza di Rischio IdroGeoCementizio. Piove sul bagnato, ma gli Angeli del Fango non si fermano: e poi? Campi Bisenzio è un comune della Piana Firenze-Prato-Pistoia, la zona più urbanizzata della Toscana secondo il rapporto ISPRA sul Consumo di Suolo. Il nome del paese sta sicuramente a significare “campi coltivati attraversati dal fiume Bisenzio”, ma oggi abbiamo un corso d’acqua ristretto e rettificato da argini che proteggono importanti infrastrutture produttive (i ben noti capannoni). A dimostrazione che siamo ancora un paese civile e solidale, le strade di Campi (come qui si abbrevia) sono invase da ragazzi e adulti che volontariamente aiutano i cittadini colpiti (quale miglior medicina all’”ansia climatica” …), mentre è in corso la conta dei danni. Dalle prime stime si parla di 300 milioni di danni in quel comune su un’area di 800 ettari, a fronte dei 500 milioni in Toscana: cerchiamo di fare anche noi qualche conto. Se avessimo ancora avuto il Bisenzio libero di scorrere fra campi coltivati, avremmo avuto 10 o 100 volte meno danni. Ma c’est la vie: lo sviluppo ha portato infrastrutture che valgono di più di un ettaro di terreno o un mancato raccolto. Si tratta quindi di un danno pari a circa 400 euro al metro quadro edificato, quasi la metà di quanto speso per costruire, persi in un colpo solo (in realtà ci sono anche la automobili da buttare, le materie prime e la merce danneggiate nei magazzini, le foto di famiglia che galleggiavano negli scantinati, etc.) ”. Lo ha affermato Federico Preti, Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana Ingegneria Naturalistica, Docente di idraulica, esperto di difesa del terrritorio dell’Università di Firenze.

 È arrivata tanta acqua, ma da dove e quanta? Questa è la domanda che bisognerebbe porsi. Le piogge avevano un tempo di ritorno stimato in un centinaio di anni (secondo dichiarazioni del Lamma), ma localmente dovrebbe essere stato superato, visto che le opere idrauliche sono progettate per piene duecentennali.

Il fatto è che a parità di pioggia l’acqua sarebbe arrivata in minor quantità e in più tempo se fosse stata trattenuta a monte (calcolato in circa il 10%: quanto ora dobbiamo  stoccare nelle casse di espansione a valle).

Significa che la stessa quantità di acqua ora arriverebbe ogni 70 anni, invece ogni 100 anni ne arriva un altro quasi 10% in più. Il problema è che la pericolosità è così aumentata del 50%  (i processi in natura nono sono direttamente proporzionali, sovente): invece di 300 milioni di danni ne avremmo avuti 200, anche se non ci sono più solo campi da allagare. Quanto sopra è un esempio pratico della valutazione del RISCHIO, data dalla moltiplicazione fra il valore economico dei beni esposti vulnerabili e della PERICOLOSITÀ. Sempre ISPRA, pubblica ogni anno il rapporto sul Dissesto Idrogeologico in cui si elencano Comuni colpiti e purtroppo vittime. In realtà erosione, frane, piene e esondazioni sarebbero fenomeni naturali – ha concluso Preti -  ma creano danni se si costruisce e vive in zone a Rischio. Facciamo allora chiarezza: i due rapporti sul Consumo di Suolo e sul Dissesto Idrogeologico dovrebbero, insieme, costituire un unico rapporto, quello sul RISCHIO IDROGEOCEMENTIZIO. Coniamo questo termine, che è più chiaro ed onesto. Meglio di “idrogeoedilizio” (non addossiamo la colpa a chi si è costruito la sua casetta, autorizzata da qualche “Ente preposto”, magari in virtù di opere idrauliche che, purtroppo, a volta inducono a sentirsi più sicuri). Meglio anche di “idrogeoantropico” (è vero siamo ormai nell’Antropocene, cambi climatici compresi e senza limiti al cosiddetto sviluppo, ma l’Uomo aveva anche creato un Paesaggio armonico e sostenibile, fino ad un certo punto …, speriamo che non sia di non ritorno): ad esempio, nel caso dell’erosione si distingue fra “naturale” (che porta la sabbia alle nostre spiagge) o “normale” (quella che è controllata o ridotta dalle sistemazioni idraulico-agrarie o forestali), ben diverse da  quella “accelerata”, fuori controllo).

 Nella presentazione del recente libro “Oltre il fango”, Mario Tozzi sostiene che occorrono “quelle opere della manutenzione ordinaria e straordinaria, ma sapienti, puntuali e nel contesto di interventi dolci (Ingegneria Naturalistica, qualcuno la chiama)”.

E il nostro Florin Florineth, compianto maestro di tale disciplina recentemente scomparso, aveva scritto l’opera “Piante al posto del cemento”. Sono le cosiddette Nature Based Solutions, di cui ora tanti parlano come di un nuovo toccasana, ma sono proprio quelle che l’AIPIN (Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica), promuove e, soprattutto, realizza concretamente con esperienza pluridecennale”.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha convocato per lunedì 20 novembre il Consiglio supremo di Difesa. Come si legge in una nota del Quirinale, l’ordine del giorno prevede “un’informativa aggiornata sui conflitti in Ucraina, in Israele e nella Striscia di Gaza; sulle altre principali aree di crisi; sulla sicurezza interna ed esterna e sugli interessi globali del Paese”. Durante la riunione, inoltre, si discuterà anche dell’evoluzione degli scenari globali, dell’architettura di sicurezza e della “governance nazionale dei nuovi domini emergenti: cibernetico, spaziale, sottomarino e cognitivo”.

Il Consiglio supremo della Difesa è un organo previsto dall’articolo 87 della Carta costituzionale e il suo compito è esaminare problemi generali politici e tecnici attinenti alla sicurezza e alla difesa nazionale. È presieduto dal capo dello Stato ed è composto dal presidente del Consiglio, dai ministri degli Esteri, dell’Interno, dell’Economia, della Difesa e dello Sviluppo economico e dal comandante delle forze armate italiane. Solitamente partecipano per prassi anche il segretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, il segretario generale alla presidenza della Repubblica e il segretario del Consiglio supremo di difesa. 

A seconda delle circostanze, possono essere invitati a partecipare anche altri membri del mondo politico o militare, così come esperti in specifici ambiti del mondo industriale, scientifico ed economico.

La funzione principale di quest’organo è dare al presidente della Repubblica tutte le informazioni riguardo all’orientamento del governo in materia di sicurezza e difesa, oltre a servire come sede permanente ove discutere e approfondire argomenti legati a questi due settori. In questo modo, tutte le componenti dell’assetto istituzionale del nostro Paese vengono messe nella condizione di esercitare le loro funzioni seguendo una linea d’azione condivisa, che tiene conto delle varie aree di competenza e dei loro legami. La convocazione del Consiglio supremo, la definizione del suo ordine del giorno e la presidenza delle sedute sono competenze esclusive del capo dello Stato.

L’ultimo Consiglio supremo è stato convocato dal capo dello Stato il 13 giugno. In quell’occasione, si è discusso anche delle questioni relative alla gestione dei flussi migratori e all’ammodernamento delle forze armate, alla luce dei nuovi investimenti previsti nel settore della Difesa. Il 24 febbraio 2022, il giorno dell’inizio della guerra in Ucraina, ne era stato organizzato uno d’urgenza.

Il Consiglio supremo della Difesa è un organo previsto dall’articolo 87 della Carta costituzionale e il suo compito è esaminare problemi generali politici e tecnici attinenti alla sicurezza e alla difesa nazionale. È presieduto dal capo dello Stato ed è composto dal presidente del Consiglio, dai ministri degli Esteri, dell’Interno, dell’Economia, della Difesa e dello Sviluppo economico e dal comandante delle forze armate italiane. Solitamente partecipano per prassi anche il segretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, il segretario generale alla presidenza della Repubblica e il segretario del Consiglio supremo di difesa. A seconda delle circostanze, possono essere invitati a partecipare anche altri membri del mondo politico o militare, così come esperti in specifici ambiti del mondo industriale, scientifico ed economico.

Fonte il Giornale e varie agenzie

 

 

 

 

L'Unione Europea probabilmente non sarà in grado di realizzare il suo piano di fornire all'Ucraina un milione di proiettili di artiglieria entro marzo 2024 a causa dello stato della produzione dell'industria della difesa e degli ostacoli burocratici: lo ha reso noto il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, confermando indiscrezioni dell'agenzia di stampa Bloomberg in questo senso. Lo riporta Ukrainska Pravda. "Purtroppo l'agenzia Bloomberg dice la verità", ha detto il ministro al canale United News: è "improbabile che venga rispettato", ha aggiunto riferendosi al  piano Ue. Kuleba ha sottolineato che la causa di questo problema non è la mancanza di volontà politica, ma "lo stato deplorevole dell'industria della difesa", così come "molte cose non sincronizzate, molta burocrazia". "L'Unione Europea sta lavorando per eliminare questi problemi, ed è per questo che, a Berlino, ho invitato l'Unione Europea a sviluppare una politica globale nel campo delle industrie della difesa", ha aggiunto.

All'inizio della guerra in Ucraina, la Germania era inizialmente cauta nell'offrire a Kiev forniture militari dirette, ma poco dopo l'invasione della Russia il cancelliere Olaf Scholz ha riformulato gli obblighi morali della Germania di aiutare a resistere all'aggressione russa.

Con la Russia e l'Ucraina ancora impegnate in combattimenti dopo quasi due anni e un importante conflitto israelo-palestinese in corso, l'Unione europea e la Nato si stanno facendo strada in un nuovo caotico ordine di sicurezza mondiale e la più grande economia europea sta scuotendo le idee vecchie di decenni su quale sia il vero scopo delle sue Forze armate.

"Molti di noi ricordano ancora i racconti di guerra dei nostri genitori o dei nostri nonni - ha detto - e per i più giovani è quasi inconcepibile la guerra in Europa, molti di loro danno voce al loro orrore.

La questione centrale è se si permette al potere di prevalere sulla legge: se permettiamo a Putin di riportare indietro le lancette dell'orologio al XIX secolo e all'era delle grandi potenze o se siamo in grado di tenere sotto controllo i guerrafondai come Putin, questo richiede la nostra forza".

Il discorso ha rappresentato una svolta importante non solo nel conflitto ucraino, ma anche nel modo in cui il governo tedesco discute di strategia militare, che data la storia del Paese sino al 1945 è stata a lungo un argomento difficile.

Sino agli ultimi anni, contribuire alla sicurezza mondiale attraverso la Nato anziché aumentare unilateralmente la potenza militare tedesca si è rivelato sufficiente per evitare di riaprire discussioni scomode su ciò che una Germania "forte" potrebbe significare per l'Europa.

Oltre 830 strutture mediche in Ucraina sono state completamente o parzialmente ricostruite: lo ha reso noto il ministero della Sanità, come riporta Ukrinform. "A quasi metà novembre 2023, 834 strutture mediche in tutta l'Ucraina erano già state completamente o parzialmente ricostruite - si legge in un comunicato -. Di queste, 421 strutture sono state completamente ricostruite e altre 413 sono state parzialmente ricostruite". Secondo il ministero, la maggior parte delle strutture ricostruite si trovano nelle regioni di Mykolaiv, Dnipropetrovsk , Kiev, Kharkiv, Chernihiv e Kherson. Nel complesso, dall'inizio della guerra la Russia ha danneggiato 1.468 strutture mediche e ne ha completamente distrutte altre 193 a livello nazionale. Le strutture delle regioni di Kharkiv, Donetsk, Mykolaiv, Dnipropetrovsk, Kherson, Zaporizhzhia, Kyiv e Chernihiv sono state quelle maggiormente colpite.

Intanto sul altro fronte prosegue l'esercito israeliano ha avviato "un'operazione precisa e mirata" contro Hamas nell'ospedale al-Shifa, il più grande ospedale di Gaza, invitando i terroristi ad arrendersi. "Sulla base delle informazioni di intelligence e di una necessità operativa, le forze dell'Idf stanno portando avanti un'operazione precisa e mirata contro Hamas in un'area specifica dell'ospedale Shifa", ha detto l'Idf nel comunicato.

"L'operazione non intende danneggiare i pazienti, il personale medico o i cittadini presenti nell'ospedale", ha sottolineato l'esercito israeliano aggiungendo che la direzione dello Shifa è stata allertata prima che le truppe israeliane entrassero nel complesso. Sul suo account in ebraico X, l'Idf avrebbe anche fatto capire che una volta all'interno della struttura, avrebbe continuato ad essere presente, dicendo: "Nel prosieguo dell'operazione, si prevede che incubatrici, attrezzature mediche e alimenti per bambini saranno trasferiti all'ospedale".

Il Qatar sta cercando di negoziare un accordo tra Hamas e Israele che includa il rilascio di circa 50 ostaggi civili da Gaza in cambio di un cessate il fuoco di tre giorni. Lo ha detto a Reuters un funzionario informato sui negoziati. L'accordo, coordinato con gli Stati Uniti, prevede anche che Israele rilasci alcune donne e bambini palestinesi dalle carceri israeliane e aumenti gli aiuti umanitari consentiti a Gaza, ha detto il funzionario.

 

Fonte Agi Sky24 msn e varie agenzie

Un sito pro-israeliano, ha puntato l'attenzione sulla loro presenza sulla scena di quei crimini, portando alla luce foto da loro ritenute 'compromettenti'

Sotto accusa ci sono alcuni freelance di Gaza indicati come autori degli scatti del 7 ottobre: Hassan Eslaiah, Yousef Masoud, Ali Mahmud, Hatem Ali, Mohammed Fayq Abu Mustafa e Yasser Qudih. In particolare, di Eslaiah il sito ha diffuso un video da lui stesso postato su X - e nel frattempo cancellato - in cui lo si vede, senza elmetto o giubbotto che lo segnali come 'stampa', davanti a un carro armato israeliano in fiamme con la didascalia, "in diretta dall'interno degli insediamenti della Striscia di Gaza".

Le loro foto dei terroristi di Hamas che irrompono nei kibbutz vicini a Gaza, rapiscono civili e incendiano carri armati israeliani la mattina del 7 ottobre hanno fatto il giro del mondo. Ora i quattro fotografi che hanno scattato quelle immagini - diffuse da Associated Press, Cnn e Reuters - sono finiti al centro delle polemiche dopo che HonestReporting, un sito pro-israeliano, ha puntato l'attenzione sulla loro presenza sulla scena di quei crimini, portando alla luce foto compromettenti.

Un'altra foto, sempre segnalata da Honest Reporting, mostra Eslaiah abbracciato al leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, con quest'ultimo che gli dà un bacio sulla guancia. Anche Masoud era presente sulla scena del carro armato in fiamme, come Abu Mustafa e Qudih che riprendevano uomini armati che si infiltravano in Israele e infierivano sul corpo di un soldato estratto dal mezzo corazzato.

l sito pro-Israele ora si interroga su cosa ci facessero questi fotografi sul posto "cosi' presto, in quello che normalmente sarebbe stato un sabato mattina tranquillo? Era tutto coordinato con Hamas? Le rispettabili agenzie di stampa, che hanno pubblicato le loro foto, approvavano la loro presenza in territorio nemico, insieme agli infiltrati terroristi?". Il dubbio sollevato è se i fotografi, tutti o in parte, fossero a conoscenza dell'attacco di Hamas in anticipo.

"Se ci fossero giornalisti che sapevano del massacro, che sono rimasti in silenzio e hanno scattato foto mentre i bambini venivano massacrati, non sarebbero diversi dai terroristi e la loro punizione sarebbe severa", ha twittato Benny Gantz, ex capo di Stato maggiore e membro del gabinetto di guerra israeliano. Le autorità dello Stato ebraico hanno chiesto spiegazioni ai media internazionali, i quali hanno immediatamente preso le distanze.

La Cnn ha fatto sapere di "essere a conoscenza dell'articolo e della foto riguardanti Hassan Eslaiah, un fotoreporter freelance che ha lavorato con numerosi organi di stampa internazionali e israeliani". Anche se in questo momento non abbiamo trovato motivo di dubitare dell'accuratezza giornalistica del lavoro che ha svolto per noi, abbiamo deciso di sospendere ogni legame con lui".

Da parte sua, l'Ap ha sottolineato che "non era a conoscenza degli attacchi del 7 ottobre prima che accadessero", ribadendo che "utilizza immagini scattate da freelance in tutto il mondo, inclusa Gaza".

Stessa linea di Reuters che ha negato "categoricamente di essere a conoscenza dell'attacco o di aver mandato giornalisti 'embedded' con Hamas il 7 ottobre". L'agenzia britannica ha spiegato di aver "acquisito foto di due fotografi freelance basati a Gaza che erano al confine la mattina del 7 ottobre, con i quali non aveva lavorato in precedenza.

Le immagini pubblicate da Reuters sono state scattate due ore dopo che Hamas ha lanciato razzi sul sud di Israele e più  di 45 minuti dopo che Israele ha reso noto che uomini armati avevano attraversato il confine". Per poi precisare che "lo staff giornalistico di Reuters non era sul posto nei luoghi menzionati nell'articolo di HonestReporting".  

 

Fonte Agi e varie agenzie

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