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Il Papa ha pronunciato la formula di canonizzazione e iscritto nell'albo dei santi madre Teresa di Calcutta, al secolo: Gonxha Agnes Bojaxhiu (1910-1997). Papa Bergoglio ha letto la formula in latino e subito dopo c'è stato un applauso da parte dei fedeli. Subito dopo verranno collocate accanto all'altare le reliquie della nuova santa, che saranno poi incensate dal diacono

Madre Teresa una icona, un fenomeno globale, più popolare e credibile di Gandhi, Kennedy e Martin Luther King, secondo un sondaggio di qualche anno fa della Gallup. Oggi finalmente Santa anche per la Chiesa. Papa Francesco ha chiesto di prenderla come modello di santità. “Questa instancabile operatrice di misericordia ci aiuti a capire sempre più che l’unico nostro criterio di azione è l’amore gratuito, libero da ogni ideologia e da ogni vincolo e riversato verso tutti senza distinzione di lingua, cultura, razza o religione”.  Piazza san Pietro ha iniziato a riempirsi lentamente. A occhio sembra che le persone siano meno del previsto, tanto che via della Conciliazione alle ore 9 era sgombra, perfettamente percorribile e ai varchi per entrare nell'emicilio beniniano il flusso scorreva senza intoppi. Circa 100 mila persone. C'è stata gente che ieri notte ha dormito in sacco a pelo nelle vie laterali di Borgo per poter essere tra i primi a prendere un posto di tutto rispetto in piazza. Ci sono tantissimi albanesi, ragazzi arrivati dal Kosovo, una nutrita rappresentanza dell'India, soprattutto dallo Stato del Kerala, i volontari del terremoto, quelli della Caritas e tantissimi barboni arrivati in pulman da Milano, Bologna, Torino. Palloncini, canti, striscioni, spillette.

Francesco Rutelli, sindaco di Roma dal 1993 al 2001, ha partecipato alla canonizzazione per Madre Teresa e ha voluto ricordarla con un post su Facebook che ricorda l'incontro avuto con la suora dei poveri a Roma.
«A San Pietro, per Madre Teresa. Che ricordi di questa Donna, oggi fatta Santa da Papa Francesco - scrive Rutelli - La nominammo in Campidoglio Cittadina Romana nel 1996, riconoscenti per l'instancabile supporto ai più disagiati della città. Lei mi disse: "Sindaco, ma mica mi fa pagare l'ICI, ora che sono sua concittadina!" Donammo alle sue consorelle tessere ATAC per raggiungere tutti i quartieri. Quando la visitai con la mia famiglia nella casetta di via Casilina, mi fece vedere la sua stanza: 4 metri quadri, un lettino. Non aveva bisogno di privilegi, per continuare ad essere instancabile al servizio dei sofferenti. Il mondo cambia, Calcutta cambia, ma questi esempi - per credenti e non - valgono più che mai». 

Si e fata festa a base di pizza napoletana, coca cola e gelato, un regalo dei pizzaioli di Napoli che hanno portato in Vaticano tutto l'occorrente, compreso tre capienti forni mobili. Ad annunciare la sorpresa è stato il cerimoniere del Papa, padre Kraiewsk. Madre Teresa ha costruito ponti e distrutto muri, soprattutto in India, una società che nei decenni passati era rigorosamente divisa in caste, poi ha avvicinato gli ultimi e la festa non poteva che essere per loro. Gli invitati sono poveri e bisognosi, soprattutto delle case (dormitori) delle suore di Madre Teresa. Hanno viaggiato durante la notte con diversi pullman per partecipare prima alla canonizzazione e poi al pranzo. Il pranzo sarà servito da circa 250 suore di Madre Teresa, 50 Fratelli della Congregazione maschile e da altri volontari. La pizza viene preparata da una pizzeria napoletana con il proprio staff di quasi 20 persone e con la propria attrezzatura mobile. 

Madre Teresa, dice Papa Francesco nella sua omelia in tutta la sua esistenza, è stata generosa dispensatrice della misericordia divina, rendendosi a tutti disponibile attraverso l’accoglienza e la difesa della vita umana, quella non nata e quella abbandonata e scartata. Si è impegnata in difesa della vita proclamando incessantemente che «chi non è ancora nato è il più debole, il più piccolo, il più misero». Si è chinata sulle persone sfinite, lasciate morire ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva loro dato; ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini della povertà creata da loro stessi. La misericordia è stata per lei il “sale” che dava sapore a ogni sua opera, e la “luce” che rischiarava le tenebre di quanti non avevano più neppure lacrime per piangere la loro povertà e sofferenza.

La sua missione continua il Papa nelle periferie delle città e nelle periferie esistenziali permane ai nostri giorni come testimonianza eloquente della vicinanza di Dio ai più poveri tra i poveri. Oggi consegno questa emblematica figura di donna e di consacrata a tutto il mondo del volontariato: lei sia il vostro modello di santità! Questa instancabile operatrice di misericordia ci aiuti a capire sempre più che l’unico nostro criterio di azione è l’amore gratuito, libero da ogni ideologia e da ogni vincolo e riversato verso tutti senza distinzione di lingua, cultura, razza o religione. Madre Teresa amava dire: «Forse non parlo la loro lingua, ma posso sorridere». Portiamo nel cuore il suo sorriso e doniamolo a quanti incontriamo nel nostro cammino, specialmente a quanti soffrono.

Ed ecco una parte del testo dell'omelia del Papa. Unica aggiunta a braccio, parlando della santa degli ultimi, è la constatazione che «continueremo a chiamarla Madre, ci verrà più spontaneo».

«Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? Questo interrogativo del Libro della Sapienza, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, ci presenta la nostra vita come un mistero, la cui chiave di interpretazione non è in nostro possesso. I protagonisti della storia sono sempre due: Dio da una parte e gli uomini dall’altra. Il nostro compito è quello di percepire la chiamata di Dio e poi accogliere la sua volontà. Ma per accoglierla senza esitazione chiediamoci: quale è la volontà di Dio nella mia vita?

Nello stesso brano sapienziale troviamo la risposta: «Gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito» (v. 18). Per verificare la chiamata di Dio, dobbiamo domandarci e capire che cosa piace a Lui. Tante volte i profeti annunciano che cosa è gradito al Signore. Il loro messaggio trova una mirabile sintesi nell’espressione: «Misericordia io voglio e non sacrifici». A Dio è gradita ogni opera di misericordia, perché nel fratello che aiutiamo riconosciamo il volto di Dio che nessuno può vedere. Ogni volta che ci chiniamo sulle necessità dei fratelli, noi abbiamo dato da mangiare e da bere a Gesù; abbiamo vestito, sostenuto, e visitato il Figlio di Dio.

Siamo dunque chiamati a tradurre in concreto ciò che invochiamo nella preghiera e professiamo nella fede. Non esiste alternativa alla carità: quanti si pongono al servizio dei fratelli, benché non lo sappiano, sono coloro che amano Dio. La vita cristiana, tuttavia, non è un semplice aiuto che viene fornito nel momento del bisogno. Se fosse così sarebbe certo un bel sentimento di umana solidarietà che suscita un beneficio immediato, ma sarebbe sterile perché senza radici. L’impegno che il Signore chiede, al contrario, è quello di una vocazione alla carità con la quale ogni discepolo di Cristo mette al suo servizio la propria vita, per crescere ogni giorno nell’amore.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo che: «una folla numerosa andava con Gesù». Oggi quella folla numerosa è rappresentata dal vasto mondo del volontariato, qui convenuto in occasione del Giubileo della Misericordia. Voi siete quella folla che segue il Maestro e che rende visibile il suo amore concreto per ogni persona. Vi ripeto le parole dell’apostolo Paolo: «La tua carità è stata per me motivo di grande gioia e consolazione, poiché il cuore dei credenti è stato confortato per opera tua» . Quanti cuori i volontari confortano! Quante mani sostengono; quante lacrime asciugano; quanto amore è riversato nel servizio nascosto, umile e disinteressato! Questo lodevole servizio dà voce alla fede ed esprime la misericordia del Padre che si fa vicino a quanti sono nel bisogno.
 

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Potremmo metterci a giocare con le dichiarazioni fini dell’intellettuale, e un po’ filosofo, Saviano per spiegare la proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis che si appresta a tornare in aula in questi giorni. Ma sarebbe troppo facile, persino per il più impreparato in fatto di droghe e buon senso. 

Se, infatti, l’autore di Gomorra continua a regalarci scoop di questo genere: «Sapete come è stato finanziato l’attentato in Spagna del 2004? Con l’hashish che i gruppi vicini ad Al Qaeda hanno venduto anche alla camorra napoletana. […] L’Is controlla ormai una produzione da oltre 5 miliardi di dollari. Sì, l’erba e l’hashish sono diventati gli strumenti primi di finanziamento delle organizzazioni fondamentaliste», diventa quasi esilarante dover ricordare che, ancora una volta, le fonti del Saviano nazionale sono dubbie, e che risulta, piuttosto, come parte delle risorse dell’Isis vengano dalle armi provenienti da potenze di area sunnita e dal commercio sottocosto di petrolio. Ma questa è un’altra storia, ed è inutile dilungarsi.

Andiamo al punto essenziale. Il testo di legge, presentato quasi un anno fa su iniziativa del senatore e sottosegretario agli Esteri già finiano (un altro regalo del leader della “destra” nazionale), Benedetto Della Vedova, è stato sottoscritto da 218 parlamentari e prevede la detenzione lecita di una certa quantità di cannabis per uso ricreativo (5 grammi innalzabili a 15 grammi in privato domicilio); la possibilità di coltivare piante di cannabis, fino a un massimo di 5 di sesso femminile, in forma sia individuale, che associata; per la coltivazione in forma associata, sarà necessario costituire un’associazione senza fini di lucro, sul modello dei cannabis social club spagnoli, cui possono associarsi solo persone maggiorenni e residenti in Italia, in numero non superiore a cinquanta; norme per semplificare la modalità di individuazione delle aree per la coltivazione di cannabis destinata ai medicinali e alle aziende farmaceutiche autorizzate a produrle; e la destinazione dei proventi derivanti per lo Stato dalla legalizzazione del mercato della cannabis, per il 5% del totale annuo, al finanziamento dei progetti del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga. Insomma, alla fine, hanno infiocchettato pure il paradosso.

E, così, ci tocca disquisire dell’aria fritta. 

C’è anzitutto l’aspetto legato alla salute. Fumare cannabis non fa bene. Crea gravi danni, anche se assunta in piccole dosi. Provoca dipendenza e rappresenta, quasi sempre, il primo passo per l’assunzione di sostanze più dure. È solo superficiale paragonarla agli effetti di tabacco e alcool. In un’audizione davanti alle commissioni Giustizia e Affari Sociali della Camera, nel 2014, il vicepresidente della sezione dipendenze della Società italiana di psichiatria, il professore Luigi Janiri disse, «[…] sulla questione della differenza tra la cannabis e l’alcol», che «Indubbiamente l’alcol è in grado di determinare effetti nocivi sulla salute sia fisica, sia psichica. È un dato accertato che questo avvenga per dosi progressivamente crescenti di alcol e in un tempo molto più lungo. L’altra differenza importante rispetto alla cannabis risiede nel fatto che gli episodi acuti psicotici transitori di cui è responsabile la cannabis non si verificano con l’alcol. Mentre un episodio psicotico transitorio si può verificare in una persona anche alla prima assunzione di cannabis, non si verifica alla prima assunzione di alcol». 

Veronesi da sempre sostiene che la cannabis non ha mai ucciso nessuno. Per quel che se ne sa, di solito, non si arriva ad una “overdose”, è vero, ma può uccidere in maniera estremamente più subdola: attraverso patologie correlate. Secondo quanto affermato da Elisabetta Bertol (Ordinario di Tossicologia Forense – Università di Firenze. Direttore Struttura di Tossicologia Forense della Aou Careggi di Firenze e presidente Associazione Scientifica Gtfi), «l’uso così diffuso è dovuto proprio alla sottostima dei gravi effetti comportamentali a causa del falso mito della sua presunta “innocuità”, oggi più che mai da sfatare per la più elevata concentrazione del principio attivo (Thc) nelle preparazioni a causa di nuove coltivazioni forzate o geneticamente modificate. Elevata concentrazione (ben superiore allo “storico” 3-5 %) che può portare anche a irreversibili danni a livello neuronale, soprattutto quando il sistema nervoso centrale è in evoluzione come negli adolescenti».

Negli anni ‘70 era il 5% la quantità di principio attivo della cannabis, oggi oscilla tra il 50 e l’80 per cento: non si può parlare di droga leggera in alcun modo. Nel 2007 lo ammise persino il quotidiano britannico ‘The Independent’, che, dopo aver condotto per anni campagne antiproibizioniste, spinto dai dati allarmanti che dimostrano il collegamento (per esempio!) tra cannabis e schizofrenia, ritrattò ogni battaglia per la legalizzazione. La British Lung Foundation, anni fa, pubblicò un rapporto in cui emerse che il rischio di tumore ai polmoni causato da cannabis fosse venti volte superiore rispetto a quello causato dalle sigarette. Inoltre, studi scientifici seri rilevano anche gravissimi problemi vascolari alle arterie del cervello. E si potrebbe continuare ancora a lungo. 

Ma quello che è il vero paravento preferito dai gonfalonieri della canna, è lo spettro della delinquenza organizzata. È mera utopia pensare di poter risolvere le cose in questo modo, e, date le argomentazioni spicciole, ci adeguiamo al livello. 

La mafia per coltivare cannabis non paga di certo luce, acqua o “addetti” al confezionamento e al trasporto, ma se si dovesse legalizzare toccherebbe, invece, mettere tutto a norma. Qualche anno fa si è fatto un esperimento simile a Modena. Sono state create delle serre e ci si è resi conto che un grammo finiva per costare 12 euro (considerando che è passato un po’ di tempo il prezzario è da aggiornare rincarato): tre volte in più di quel che propone il mercato nero. È evidente che la cosa costituisce un incentivo al commercio parallelo, e non il contrario. Inoltre, con la liberalizzazione dell’offerta di cannabis la domanda aumenta, quindi aumenta il numero dei fruitori, aumentano i problemi di salute e sociali connessi all’uso, e aumenta il costo per la collettività per curare e prevenire tali problemi.

I paladini dell’anti-proibizionismo, poi, portano a sostegno delle loro tesi anche i benefici che le casse dello stato ricaverebbero dalla legalizzazione. Si parla di fino a 8,5 miliardi di euro all’anno. Harvard ha stimato che in un paese come l’America, con sei volte gli abitanti dell’Italia, e quindi in maniera proporzionata anche, presumibilmente, sei-sette volte i consumatori che ha il belpaese, le entrate fiscali annue ammonterebbero a 6,4 miliardi di dollari. Come si fa credere agli 8 miliardi nostrani? Sembra davvero di avere a che fare sempre con le solite cifre sparate a caso. Come succedeva ai tempi del referendum sull’aborto con i numeri di interruzioni volontarie di gravidanza illegali, o, in tempi più recenti, sul numero di coppie omosessuali in attesa di poter adottare. 

Quanta retorica da strapazzo se si pensa a tutti questi ragionamenti bizzarri! 

Eppure ci restano due domande ancora. A breve ci toccherà dire che le politiche di repressione contro furti, divieti di sosta e limiti di velocità sono fallimentari perché trasgressori, ladri e imbroglioni non si sono ancora estinti? Liberalizziamo anche i divieti di sosta?

Ma, soprattutto, alzi la mano chi salirebbe su un aereo, un pullman, un taxi, un traghetto guidato da individui che si sono fumati, semplicemente, una canna.

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Si prepara la nuova guerra fredda tra est e ovest ? E una domanda che non ha risposta, ma pare di si se si vede come si preparano le forze in campo secondo l I.S.W. : Forze meccanizzate supportate da una brigata di artiglieria, basata come potenza primaria su 54 sistemi di grosso calibro. La 7054 Air Base ospita in turnazione quasi cinquanta velivoli tra elicotteri pesanti e caccia. A Kaliningrad, Mosca  schiera anche la 152a brigata missilistica del Distretto Occidentale equipaggiata con i missili balistici Iskander-M. Il sistema missilistico Iskander–M, prodotto dalla Kolomna KBM, è stato ufficialmente adottato dall’esercito russo nel 2006.

L institute for the study of war, think tank di Washington, e ripreso dal quotidiano Italiano Il Giornale, ha rilasciato un grafico informativo che evidenzia la crescente copertura missilistica terra-aria della Russia in Europa. Dagli Stati baltici a gran parte dell’Ucraina e del Mar Nero, dalla Polonia settentrionale alla Siria e parte della Turchia, senza tralasciare il Joint Air Defense Network che Mosca gestisce in cooperazione con in Bielorussia ed Armenia. La Russia ha poi alterato l’equilibrio delle forze nel Mar Nero, nel Mediterraneo orientale e nel Medio Oriente attraverso la definizione di grandi zone A2D2, anti-access area-denial, nell’ambito di una precisa strategia di negazione. Nel grafico sono mostrati i principali asset difensivi di Mosca che, in un ipotetico scontro con la Nato, potrebbero ostacolare la capacità delle forze aeree statunitensi di accedere nelle zone operative. Le aree di difesa create dai russi – scrivono dal think tank – negherebbero la supremazia aerea nelle aree di rilevanza strategica. L’Institute for the Study of War conferma i timori del Pentagono per la crescente capacità SAM di Mosca.

L’enclave russa tra Polonia e Lituania sottolinea il quotidiano Italiano con accesso diretto al mar Baltico è fondamentale nello scacchiere strategico russo. Se scoppiasse una crisi tra l’Europa e la Russia, Mosca potrebbe instaurare una no-fly zone che si estenderebbe da Kaliningrad fino a coprire un terzo dello spazio aereo polacco. I russi hanno schierato a Kaliningrad probabilmente il meglio della loro attuale tecnologia militare: dagli S-400 Triumph ai missili balistici Iskander-M. Sistemi integrati quindi, per un asset A2 / AD (anti-accesso/area di diniego). Il sistema stratificato ed integrato di difesa aerea e missilistica schierato prevede radar di allarme precoce e battaglioni armati con sistemi S-300/S400. Il Cremlino ha schierato a Kaliningrad tre brigate d’élite completamente equipaggiate.

La versione interna o M ha una gittata massima dichiarata di 480 km (in fase di test la possibilità di estendere il raggio ben oltre i 500 km) come scrive I.S.W, con una CEP o probabilità di errore circolare di 10 metri. L’Iskander è stato progettato per eludere i più avanzati sistemi di difesa aerea, compreso lo scudo spaziale americano. Capace di una velocità massima di 7mila km/h, l’Iskander nella fase terminale del volo si affida ad una guida optoelettronica, compiendo brusche manovre per eludere le difese aeree e rilasciando esche per ingannare i radar nemici. E’ corretto definire il sistema missilistico Iskander come una delle armi più letali dell’arsenale russo: progettato come un sistema balistico ad alta precisione, ma ottimizzato per l’utilizzo a distanza ravvicinata, sotto le 500 miglia. I missili possono essere lanciati in 16 minuti ed in quattro minuti in caso di prontezza operativa. Il secondo missile (solo per la versione interna) può essere lanciato in meno di 50 secondi. Isolata dalla Russia se non per via mare (in caso di conflitto i collegamenti ferroviari sarebbero inaffidabili), Kaliningrad è stata fortificata per arrecare il massimo delle perdite ad un attacco preventivo della NATO.

Al centro della nuova strategia marittima del Cremlino si trovano i mari che circondano la Russia, in un arco teorico di proiezione che va dall’Artico al Mediterraneo. Quello che al Pentagono è noto come arco d'acciaio, è un’ideale tratto militarizzato dai russi in grado di confrontarsi con le forze della Nato in un ipotetico scontro.

E come sottolinea il Giornale : L’arco d’acciaio sarebbe stato espressamente teorizzato sulle capacità della Marina russa di contrastare quella della Nato e degli Stati Uniti. Mosca ha investito miliardi di dollari nel riattivare le basi nel’ Artico e nel dislocare battaglioni operativi a protezione delle batterie missilistiche a medio e lungo raggio. Le capacità russe nel Baltico continuano ad aumentare mentre la flotta permanente del Mediterraneo è supportata dalla rinata capacità nel Mar Nero. L’arco d’acciaio andrebbe visto come la risposta russa al percepito accerchiamento militare delle strutture militari della Nato ed una capacità di proiettare il potere nel settore marittimo. La Siria, al di là della guerra, rappresenta la prima vera base nel Mediterraneo orientale dalla fine della guerra fredda. Alla capacità militare dobbiamo aggiungere anche quella asimmetrica maturata e strutturata per paralizzare con svariate attività il ciclo decisionale dell’Alleanza, specialmente focalizzato sul mare. Entro il 2020 con l’entrata in servizio delle nuove piattaforme, i russi potrebbero potenziare esponenzialmente l’arco d’acciaio, rendendo nullo anche lo Scudo (progettato in un’era in cui si credeva che la minaccia principale fosse di natura balistica), a breve superato dai sistemi ipersonici che entreranno in produzione entro due anni.

L’area di Mosca sottolinea il Giornale dovrebbe essere protetta da 68 missili intercettori contro un possibile attacco portato da un nemico Stati Uniti/NATO dotato di armi nucleari. La Russia ha attualmente un solo sistema dello stesso tipo attivo nella zona di Mosca: l’A-135, attivo 24 ore su 24 totalmente inefficace contro un attacco multitestata. Mosca ha sempre preteso garanzie legalmente vincolanti in merito allo scudo in Europa, mentre la NATO ha ribadito il pieno rispetto del Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF), quelli che un tempo erano chiamati Euromissili. Il timore è che gli elementi di difesa missilistica in Europa possano violare l’equilibrio strategico e minare la stabilità internazionale.

 

 

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Sono circa 13mila gli immigrati trasbordati in quattro giorni dai loro barconi sulle navi dei soccorsi.

L'Italia è accogliente, ma con questi numeri è un caos e le strutture sono al collasso. È sempre più difficile allocare i minori non accompagnati, 14.700 dall'inizio dell'anno secondo «Save the children». Malgrado la macchina dell'accoglienza sia ben oleata, gli Hotspot sono ko. Quello di Pozzallo ospita più migranti di quanti non potrebbe. Stessa storia a Lampedusa, con oltre 1700 persone a fronte di 450 posti. Eppure è qui che si è diretta la nave «Asso 25» con 1273 immigrati inizialmente destinati a Palermo. Una deviazione decisa per abbreviare il viaggio per via di tensioni tra i passeggeri di diverse etnie, non sempre «amiche» fra loro.

E la più grande delle isole Pelagie è in emergenza. In 24 ore si è richiesta assistenza medica per 2800 migranti e Palermo ha inviato un rinforzo di 4 medici. Il via vai di immigrati dai pronto soccorso si aggiunge al flusso di italiani che chiedono la separazione delle corsie, sia per non vedersi scavalcare dopo la fila, sia per non venire a contatto con malattie, magari non gravi, ma potenzialmente contagiose. Basti pensare che ben 133 immigrati di uno sbarco a Pozzallo hanno la scabbia. A Palermo ieri ne sono arrivati 1067, tra Pozzallo e Augusta 1500, a Messina 1000. A Brindisi 708, tra cui due cadaveri. A Taranto 1078. A Cagliari 617. Qui è stato allestito un campo di accoglienza e la prefettura ha indetto una nuova gara per individuare delle strutture. «Il ministero ci ha assegnato altre 1200 unità dice la viceprefetto Carolina Bellantoni - Le riassegnazioni sono per tutte le regioni».

Numeri da capogiro. Ed è caos immigrazione. L'emergenza è ora routine. Un pastrocchio all'italiana, dove ci si fa in quattro ma senza cercare rimedio. Così è impossibile fermare la marea umana che ogni giorno lascia le coste libiche ed egiziane per essere raccolta in mare e condotta nei porti del Sud, mentre sulla terraferma si pensa ai controlli, alle cure sanitarie e al reperimento dei posti in tutto lo Stivale.

I migranti sulla costa della Libia si preparano ad una "corsa contro il tempo": parola di Abdel Hamid al-Souei, della Mezzaluna rossa libica

Che parlando all' AFP mette in guardia gli italiani: in vista della fine dell'estate, i trafficanti di uomini mettono in mare sempre più barche e le prossime settimane saranno fra le più calde dell'anno.

I tredicimila profughi soccorsi nel Canale di Sicilia negli ultimi quattro giorni, infatti, potrebbero essere solo un assaggio. La guerra civile che dilania la Libia ormai da anni non consente alle autorità di Tripoli un contrasto efficace all'immigrazione clandestina, con la maggior parte degli uomini e dei mezzi disponibili impegnati nella lotta alle bande jihadiste: "Le nostre pattuglie, spiega al Daily Mail il colonnelo Ayoub Qasseem di stanza a Tripoli con la Marina libica - negli ultimi tempi sono state ridotte, perché le navi sono ormai obsolete e non abbiamo più i mezzi per controllare la costa di Sabratha."

Proprio la città di Sabratha, a un'ottantina di chilometri a ovest della capitale, rappresenta il principale hub delle partenze dalla Libia. Una sorta di fortino dove bande di guerriglieri locali e trafficanti operativi in tutta l'Africa settentrionale concentrano migliaia di disperati in attesa di salpare per l'Italia.

Sabratha formalmente si trova sotto il controllo del governo di accordo nazionale, ma da mesi è diventata una base fondamentale per il traffico di migranti, sopratutto da quando il governo tripolino ha concentrato tutti i propri sforzi per abbattere la roccaforte jihadista di Sirte. Una base di trafficanti che si trova ad appena trecento chilometri di distanza da Lampedusa.

Non mancano tensioni nei centri di accoglienza. Al Cpa di Caltagirone alcuni ospiti si ribellano aggredendo due operatrici, minacciandole con cocci di vetro e vandalizzando i locali. Volevano subito il pocket money. Solo l'arrivo dei carabinieri, dopo una violenta colluttazione, ha riportato la calma. A finire in carcere sono un 18enne della Guinea e un 19enne del Mali. Cinque minorenni della Guinea, del Mali e del Gambia sono stati denunciati. Tutti sono accusati di sequestro di persona, esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose e alle persone, lesioni personali e danneggiamento. Le operatrici hanno riportato distorsione cervicale, trauma cranico minore e stato d'ansia reattivo. La prognosi è di una decina di giorni.

Resta alta l'attenzione delle forze dell'ordine sui possibili business legati all'immigrazione. Tra questi la Squadra mobile di Palermo ha scoperto matrimoni fittizi tra stranieri e italiani per fare ottenere il permesso di soggiorno dietro il pagamento di 7mila euro. 

È illuminante l'intervento dalle pagine de il Giorno di don Adriano Cifelli, giovane parroco di Bojano Campobasso, che ammette: "Nella nostra Chiesa resistono ostilità e diffidenze più che evidenti nei confronti dello straniero. Anche tra vescovi e sacerdoti".

Il giovane don è stato missionario nella difficile regione del Kivu, Repubblica democratica del Congo. Inoltre è tra i più attivi nell'aiuto a richiedenti asilo. Addirittura con un progretto di lavoro su base volontaria. "È un modo per integrarli, per dar loro una prospettiva occupazionale. Così non stanno a spasso a non far niente. Eppure molti fedeli non ci stanno" ammette a malincuore. E prosegue: "Alcuni mi dicono che bisogna pensare in primo luogo agli italiani. Come se loro stessi poi effettivamente lo facessero... Altri insistono sulla necessità di difendere la nostra identità dallo straniero in quanto tale, visto che alla fine poi non interessa troppo se il migrante sia cristiano o meno".

Secondo il giovane don Adriano Cifelli, "Le potenzialità delle parrocchie sono notevoli, lo si nota sul versante della catechesi e dell'educazione. Credo che tanti parroci abbiano deciso di non avventurarsi sulla strada dell' accoglienza". Ovviamente per evitare l'ira dei fedeli. "E lo stesso discorso vale per i vescovi che nella maggior parte dei casi, anche se condividono il richiamo di Francesco, non sono andati oltre pronunciamenti per così dire spot. E non parlo certo di quelli che si sono schierati, più o meno apertamente, contro il Papa in questo dualismo che sta minando la nostra Chiesa fra bergogliani e non".

Sono stati solo 5000 i migranti accolti nelle canoniche. Pochini. L'ultima mossa di Francesco, guidare, a tempo determinato, la sezione per la Pastorale dei migranti del dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale può essere tranquillamente letta come la volontà di scacciare dubbi, problemi e incertezze con il potere, più che con il dialogo con fedeli e vescovi. 

Per il Papa la parola sui migranti è sempre la stessa: "Accogliere". E lo ha dimostrato con il nuovissimo "ministero per l'immigrazione" del Vaticano.

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Nel mezzo del Canale di Sicilia varie unità navali civili e militari coordinate dalla Guardia Costiera nell'ambito di più di quaranta differenti operazioni hanno salvato dal mare oltre seimila e cinquecento profughi salpati dalle spiagge dell'Africa settentrionale. Le operazioni di soccorso sono state svolte circa a venti chilometri al largo della città libica di Sabratha, nella parte più occidentale del Paese, quasi al confine con la Tunisia. Come spesso accade, i migranti si trovavano alla deriva su imbarcazioni sovraccaricate, senza carburante a sufficienza e assolutamente non in grado di tenere il mare.

Negli ultimi quattro giorni sono addirittura diecimila le persone soccorse in alto mare fra la Libia e l'Italia. Solo domenica diverse unità della Marina Militare italiana e della Guardia Costiera avevano tratto in salvo oltre mille e cento altri profughi. Secondo i dati dell'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni riportati da BBC, oltre 275.000 altri disperati aspettano di salpare sulle coste libiche.

Da parte nostra ci atteniamo all'accordo" siglato con la Turchia, "speriamo che l'altra parte faccia altrettanto". Così Alexander Winterstein, portavoce della Commissione Ue a chi chiede di commentare la dichiarazione del premier bulgaro Boiko Borissov oggi a Istanbul per incontrare il primo ministro turco Binali Yildirim. Borissov ha infatti messo in guardia su una possibile nuova ondata di profughi dalla Turchia, se l'Ue non concederà lo stop dei visti.

Intanto dopo il viaggio in Turchia, Borissov vedrà domani la cancelliera tedesca Angela Merkel a Berlino, per parlare anche della crisi dei migranti. Un incontro tra Merkel ed il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker, sempre a Berlino, è in agenda per il 2 settembre. Intanto, la pubblicazione della "prossima relazione sui progressi fatti da Ankara sulla roadmap per la liberalizzazione dei visti è prevista per settembre", spiega la portavoce Natasha Bertaud.

"Negli ultimi due giorni una delegazione di alto livello di esperti del Servizio di azione esterna e della direzione generale Affari interni è stata in Turchia per parlare dei negoziati di accesso all'Ue e di liberalizzazione dei visti. I risultati di questi colloqui confluiranno nel report di settembre", specifica Bertaud. Secondo la scorsa relazione, restavano ancora cinque criteri da rispettare", alcuni con limiti temporali oggettivi di applicazione, per questo la finestra è stata ampliata. "Dei cinque, l'accordo di riammissione tra l'Ue e la Turchia è ormai entrato in forza". L'ostacolo principale sembra essere ancora la revisione della legge anti-terrorismo.

Quest'anno sono già arrivati in Europa oltre 284mila immigrati, di cui circa 106mila in Italia. Fra quelli diretti nel nostro Pese, oltre 2700 persone hanno perso la vita in mare.

Nel frattempo cresce la tensione a Calais, sulla sponda francese della Manica. Nell'accampamento improvvisato della "Giungla" si trovano al momento 6900 persone secondo le stime ufficiali, ma le organizzazioni umanitarie presenti sul territorio ritengono che non possano essere meno di diecimila. Tutti fermamente decisi a passare in Gran Bretagna con ogni mezzo.

L'aumentato numero di profughi accalcatisi alla periferia della città francese contribuisce ad esasperare gli animi di residenti e soprattutto degli autotrasportatori, sempre più spesso vittime di veri e propri attacchi da parte dei migranti, che non esitano a fermare i tir lungo l'autostrada pur di intrufolarsi nel cassone. Per questo lunedì prossimo alle sette del mattino è stato convocato un doppio corteo dalle vicine città di Dunkerque e Boulogne-sur-Mer, che dovrebbe culminare in un blocco autostradale.

Nel frattempo il candidato repubblicano alle elezioni del 2017 ed ex presidente Nicolas Sarkozy ha rimarcato - in chiave evidentemente propagandistica - la necessità di "spostare" la Giungla di Calais su suolo britannico. La questione, per la verità, è regolata da accordi bilaterali anglo-francesi che stabiliscono come la frontiera sia da collocarsi in suolo transalpino. Al netto di qualche polemica all'indomani del voto sul Brexit, pare che lo status quo non debba subire, almeno per il momento, revisioni.

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