Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Domenica, 02 Giugno 2024

Medicina di precisione, terapie geniche, intelligenza artificiale, neuro-robotica e big data: sono solo alcuni dei temi con cui i futuri medici si troveranno sempre più a confrontarsi quotidianamente e che dovranno saper gestire al meglio per il bene del paziente.  E’ questa l’essenza di MEDTEC School, il nuovo corso di Laurea internazionale in Medicina di Humanitas University e Politecnico di Milano, che integra e potenzia le competenze della figura professionale del medico chirurgo con quelle tipiche dell'Ingegneria Biomedica. Un corso che, per caratteristiche e durata, è oggi unico al mondo.

Il nuovo corso di Laurea, in lingua inglese, offre un percorso formativo di 6 anni del tutto innovativo e creato ad hoc dai docenti di Humanitas University e del Politecnico. L’obiettivo è formare medici in grado di comprendere a fondo e gestire consapevolmente le tecnologie avanzate che caratterizzano – e sempre più caratterizzeranno in futuro - la professione medica, per offrire ai pazienti cure innovative e personalizzate. Al termine del percorso di studi, i laureati in Medicina potranno richiedere al Politecnico il rilascio anche della Laurea triennale in Ingegneria Biomedica, per poi proseguire secondo la loro vocazione: nella pratica medica nelle Scuole di Specializzazione, nella ricerca medica e ingegneristica con PhD tecnici o direttamente nell’industria.

Con 50 posti disponibili per anno, MEDTEC School sarà ospitato in un nuovo edificio, uno space for education in grado di riflettere anche architettonicamente e nell’organizzazione degli spazi l’integrazione tra Medicina e Ingegneria caratteristica del Corso: laboratori aperti e modulabili, che si connettono con le aule in cui si svolgono le lezioni frontali, favoriranno lo scambio di conoscenze e la comunicazione tra studenti e docenti di discipline diverse. Il nuovo edificio sorgerà nel Campus di Humanitas University, green e hi-tech, con un Simulation Center fra i più avanzati in Europa. La costruzione si avvale del contributo di un’importante donazione privata, proprio come già accaduto per il Mario Luzzatto Simulation Center.

La vicinanza con l’ospedale e con i laboratori di ricerca crea un terreno fertile e rappresenta un valore aggiunto per la crescita dei nuovi professionisti. Humanitas, policlinico ad elevata specializzazione considerato uno degli ospedali tecnologicamente più avanzati d’Europa, è un vero e proprio teaching laboratory dove gli studenti di MEDTEC School avranno la possibilità di entrare fin dall’inizio del loro percorso.

“Nell’ambito delle Scienze della Vita si profilano all’orizzonte grandi sfide: l'invecchiamento della popolazione, l'impatto dell’innovazione, l'accessibilità e sostenibilità dei sistemi nazionali di cura e assistenza - spiega il Presidente di Humanitas Gianfelice Rocca -. In un contesto sociale di complessità crescente, MEDTEC School nasce per rispondere a tali sfide formando professionisti in grado di gestire e sfruttare la tecnologia a vantaggio di una Medicina sempre più umana, innovativa e sostenibile.

La convergenza di Medicina e Ingegneria rappresenta infatti uno dei maggiori fattori di sviluppo futuro, e Milano e la Lombardia sono il motore che può rendere l’Italia propulsore di una Sanità all’avanguardia e accessibile a tutti, facendo leva sulle competenze esistenti e sulla loro sinergia.

MEDTEC School, nato dalla collaborazione tra due istituzioni come Humanitas University e Politecnico di Milano, è un fiore all’occhiello per il territorio lombardo, da sempre luogo privilegiato di partnership tra pubblico e privato al servizio del cittadino. L’approccio didattico innovativo, unito ad una formazione clinica in un grande teaching hospital come Humanitas e al carattere internazionale della nostra Università, lo rendono unico nel panorama europeo e globale”.

“Le grandi università tecniche internazionali, penso a Stanford o a Imperial College, hanno individuato nelle scienze della vita e nella medicina di precisione il futuro delle tecnologie avanzate e della data science. Allo stesso modo, il Politecnico di Milano ha identificato nella medicina, nella salute e nel benessere alcune delle maggiori sfide su cui cimentarsi nel corso dei prossimi anni. Sfide fondamentali anche per consegnare al paese competenze e conoscenze necessarie alla crescita dei nostri laureati. In questa visione si inquadra la nuova proposta formativa, presentata dal Politecnico di Milano e da Humanitas, per creare una nuova figura professionale in grado di unire le competenze mediche con quelle ingegneristiche”, ha affermato Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico di Milano.

Negli ultimi decenni il ruolo delle tecnologie in Medicina ha avuto un forte impatto sul percorso di cura dei pazienti, dalla diagnosi alla terapia, contribuendo all'aumento sia dell'aspettativa sia della qualità della vita. Anche la formazione dei medici deve pertanto adeguarsi ed arricchirsi di nuove competenze.

“L’innovazione medica migliora la qualità della vita, ma è necessario trovare un modello che ne garantisca la sostenibilità. Per questo è importante agire fin dalla formazione dei giovani” – afferma Marco Montorsi, rettore di Humanitas University. “E’ fondamentale infatti sviluppare competenze nuove per affrontare situazioni di complessità crescente che potranno ridisegnare il ruolo stesso del medico e il suo rapporto con il paziente, supportato dalla tecnologia. Un approccio didattico innovativo che unito a una formazione sul campo, possibile anche grazie all’ospedale Humanitas che si trova molto vicino, e al carattere internazionale della nostra Università, rendono questo corso unico nel panorama europeo e globale”

Il Corso si basa sull’approccio didattico unico di Humanitas University e del Politecnico di Milano, che prevede l'utilizzo di metodologie interattive, quali il Research-Based Learning, il Problem-Based Learning, il Case Method e il portfolio di competenze. A metterlo a punto il team dei referenti accademici: la Prof.ssa Maria Laura Costantino, Presidente del corso di Laurea MEDTEC School e docente di Ingegneria Biomedica del Politecnico di Milano, il Prof. Maurizio Cecconi, Vice presidente del corso di Laurea MEDTEC School, responsabile di Anestesia e Terapia Intensiva di Humanitas e docente di Anestesiologia di Humanitas University, il Prof. Stefano Duga, Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche e docente di Biologia Molecolare di  Humanitas University e il Prof. Andrea Aliverti, Coordinatore del corso di Dottorato in Bioingegneria e docente di Ingegneria Biomedica del Politecnico di Milano. Il legame fra la formazione medica e quella ingegneristica si dipana lungo tutto il percorso formativo grazie ad un’alternanza di frequenza fra Humanitas University e il Politecnico di Milano. Nei primi 3 anni di corso infatti la frequenza delle lezioni è prevista a semestri alternati nelle due sedi, mentre nei successivi 3 anni prevede corsi e moduli tenuti da docenti del Politecnico presso Humanitas University, in modo da garantire una piena integrazione delle competenze ingegneristiche nel percorso formativo clinico, anche grazie al co-tutoring da parte di docenti del Politecnico in alcune delle attività professionalizzanti tipiche della preparazione del medico.

L’appuntamento con il test d’ingresso è stato il 6 settembre 2019. Il test, interamente in lingua inglese, è volto a cogliere l'attitudine e la propensione dei candidati allo studio sia delle life science tipiche della medicina che delle hard science tipiche dell'ingegneria.


Il 2018/2019 è il quinto anno di attività di Humanitas University, Ateneo dedicato alle Life Sciences strettamente integrato con l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, ospedale e centro di ricerca. Caratteristica di Humanitas University, dove l’insegnamento della Medicina è condotto interamente in lingua inglese, è il respiro internazionale. La visiting faculty include Premi Nobel per la Medicina e ricercatori di fama internazionale. Oltre al corso di Medicina internazionale è presente anche un corso di laurea in Infermieristica, attivo anche presso la sede di Bergamo, e un corso di Laurea in Fisioterapia. Le lezioni si tengono in un Campus, concepito secondo i più moderni standard in termini di tecnologia e comfort ambientale tali da promuovere le occasioni di incontro e di scambio tra docenti, ricercatori e giovani allievi provenienti da ogni parte del mondo. Il nuovo complesso è formato attualmente da 4 edifici per 25 mila mq. Fiore all’occhiello del Campus è il Simulation Lab, che include il Mario Luzzatto Simulation Center e un Anatomy Lab: uno spazio altamente tecnologico di oltre 2.000 mq, tra i più grandi in Europa, a disposizione di studenti, specializzandi e professionisti della salute, che possono formarsi sulla base dei diversi livelli di specializzazione e complessità.

Il Politecnico di Milano è una delle più prestigiose università tecnologiche al mondo, secondo la classifica QS World University Ranking by Subject che lo classifica tra le migliori 20 università in tutte le aree di competenza: al 16° posto in Ingegneria, al 11° in Architettura e al 6° in Design. Fondato nel 1863, è la più grande scuola di architettura, design e ingegneria in Italia, con tre sedi principali situate a Milano e cinque poli territoriali. La ricerca svolta in ateneo si avvale di 250 laboratori all’avanguardia.

 

 

 

Direttamente dalla natura arrivano alcune risposte alla domanda di salute che spesso vengono confortate anche dagli studi della medicina. Esistono, infatti, frutti che utilizzati nelle tradizioni mediche di alcuni paesi anche da migliaia di anni, possono apportare benefici sufficientemente conclamati anche a livello della ricerca scientifica. Questa volta, Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti, vuol parlare dei benefici ed usi di un frutto, già riconosciute fin dall’antichità nel “De Materia Medica” di Dioscoride e riconfermate nel corso del Medioevo nei “Discorsi di Pier Andrea Mattioli sull'opera di Dioscoride”, il mirtillo. Questa bacca è una fonte fenomenale di vitamine e antiossidanti, necessaria per la nostra salute interiore come per la nostra bellezza esteriore. Ma non solo. Secondo i ricercatori della University of East Anglia, nel Regno Unito, questi frutti portentosi mantengono a bada le malattie del cuore e la cosiddetta sindrome metabolica, una situazione clinica in cui diverse condizioni di salute contribuiscono insieme ad innalzare il rischio di sviluppare patologie a carico dell'apparato circolatorio e diabete. Ipertensione, obesità e resistenza all'insulina sono tra questi fattori. Il team del dottor Peter Curtis ha preso in esame 138 partecipanti con una condizione di sovrappeso, di un'età compresa tra i 50 e i 75 anni, affetti da sindrome metabolica. Nei sei mesi di studio, ad un gruppo è stato chiesto loro di consumare i 150 grammi di mirtilli quotidianamente (mirtilli congelati), mentre al secondo è stato offerta un’alternativa simile, ma solo nel gusto: il contenuto dei mirtilli «placebo» era infatti composto da ingredienti e coloranti artificiali. «Abbiamo scoperto che mangiare una tazza di mirtilli al giorno migliora le funzioni vascolari e la rigidità arteriosa, facendo la differenza nella riduzione del rischio di malattie cardiovascolari, un calo tra il 12 e il 15%», ha spiegato dottor Curtis. «Il messaggio, qui, è semplice e accessibile: consumiamo un bicchiere di mirtilli al giorno per migliorare la nostra salute cardiovascolare. Sorprendentemente, abbiamo osservato che una porzione da 75 grammi (mezzo bicchiere) al giorno non offriva gli stessi benefici. È possibile che sia necessaria una dose giornaliera maggiore di mirtilli per ottenere questi benefici nelle persone obese, nella popolazione a rischio, rispetto alla popolazione generale».La ricerca è stata pubblicata nella rivista scientifica American Journal of Clinical Nutrition.

Miracolo a Milano. Qualcuno ha sentito parlare la marijuana e lanciare questo messaggio: “Io non sono una droga”. Allora cominciamo con la classica explicatio terminorum: a. la marijuana è una sostanza psicoattiva che si ottiene dalle inflorescenze essiccate della cannabis indica; b. una sostanza psicoattiva è quella sostanza che è in grado di modificare lo stato psico-fisico di una persona; c. droga è una sostanza che provoca un temporaneo cambiamento psicofisico di chi ne fa uso; d. quando la usi la senti parlare. Marijuana è, quindi, una droga. Nel mondo anglosassone non c’è divisione terminologica tra farmaco e droga, entrambe si traducono col lemma drug e per i fautori della marijuana “terapeutica” se traduciamo in inglese le parole pronunciate a Milano: “I’m not a drug”, si rischia di smontare il castello della cannabis che deve essere prodotta massicciamente per “curare” tanti malati sempre più bisognosi. La cannabis rientra tra le droghe con effetti allucinogeni e Milano ci sta dando la prova di questo: l’erba parla! Ma la svolta epocale che si sta preparando al prossimo International Cannabis Expo di Milano è quella lanciata con lo slogan, col passaggio della cannabis da droga “leggera” a “non-droga” quando, invece, nelle ultime due edizioni della kermesse il titolo era European Psychedelic Hemp Fest. Spudoratamente adesso la kermesse milanese fa sparire tutto e rimane solo che non è una droga. Forse un po’ troppo, oppure gli organizzatori smerceranno cannabis senza principi attivi, senza effetti, o sperano che, dicendo che non è una droga, possano spianare la strada alla legalizzazione? Il mondo, invece, sembra accorgersi degli effetti preoccupanti dell’uso della cannabis. Dagli Stati Uniti, che sono un laboratorio a cielo aperto e che da anni ne sperimenta l’uso libero, arrivano ricerche che ne provano la pericolosità specialmente per gli adolescenti. Ovviamente la pericolosità per gli adolescenti può essere aggirata solamente dalla frase: “Io non sono una droga”. E allora via libera per tutti con buona pace della letteratura internazionale che da anni si spende per mostrare i danni diretti e indiretti sul sistema nervoso centrale tanto lanciare un grido di allarme, un appello a fare marcia indietro prima che sia troppo tardi. E proprio nell’interesse dei più giovani. Per non parlare poi del tema cannabis e gravidanza che sta diventando molto grave, e parliamo sempre degli Stati Uniti, ovviamente. E anche sull’uso alimentare arrivano i primi segnali di pericolo, sempre dagli States, gli Annals of Internal Medicine (aprile 2019) lanciano l’allarme sulla pericolosità (psicosi, intossicazione, disturbi cardiovascolari) per effetto di accumulo e perché si tende ad esagerare dato che l’effetto atteso tende a ritardare.  La storia ci insegna che mode e problemi arrivano presto anche da noi.

Ottima idea, quella del Porto di Pisa, di riunire autorità marittime e rappresentanti della regione Toscana, della provincia di Pisa e del comune di Pisa, insieme con specialisti scientifici, per presentare nella sua realtà al pubblico il problema dei mari e delle coste invasi da rifiuti di plastica, e le conoscenze attuali su ciò che ne consegue per l’ecosistema e per l’uomo.

Il capitano di vascello Andrea Santini della direzione marittima livornese e il funzionario comunale pisano Marco Redini hanno fra l’altro sollevato la necessità dei controlli per il rispetto delle leggi contro l’abbandono dei rifiuti. La professoressa Cristina Panti dell’università di Siena ha esordito riconoscendo che in sé la plastica è una risorsa preziosa per moltissime attività umane, ma non si può ignorare che nel mondo la sua produzione ha avuto una crescita esponenziale (la docente ha proiettato un grafico che giustifica quest’aggettivo, usato invece molto spesso in modo del tutto errato, come semplice sinonimo di grande). Sicché occorre attenzione, per esempio, alla presenza di additivi dagli effetti sanitari sgraditi, come gli ftalati e il bisfenolo-A.

Che della plastica — o, meglio, delle plastiche, perché di tanti materiali diversi si tratta — non si possa fare a meno l’hanno detto il dottor Antonio Cecchi dei laboratori Archa, azienda privata pisana, e il professor Valter Castelvetro dell’università di Pisa. Il primo ha molto giustamente ammonito che occorre educare le persone a non abbandonare rifiuti nell’ambiente. Su questo punto, chi scrive sostiene da tempo che è necessario sanzionare con severità i contravventori, e dare la massima pubblicità ai casi sanzionati. Se è vero che il mare è grande e cogliere in fragrante i maleducati è difficile, è anche vero che il grosso della plastica arriva al mare dai fiumi, cioè dalla terra, dove sorprendere ogni tanto i colpevoli non è poi così arduo.

Le professoresse Patrizia Cinelli e Maurizia Seggiani dell’università di Pisa hanno chiarito un errore molto frequente nella mentalità diffusa, che confonde l’origine vegetale di certi materiali plastici con la biodegradabilità: non è affatto detto che queste due qualità si trovino nello stesso polimero. Hanno anche mostrato vasetti e bicchieri sperimentali fatti con PHA (poli-idrossi-alcanoati) che si degradano bene nell’acqua di mare, per quanto i loro effetti sulla fauna marina siano ancora allo studio.

Castelvetro ha smontato certe illusioni eccessive sul riciclo, che di fatto è possibile solo per alcuni tipi di plastica. La Germania — ha detto — sta risolvendo il problema con l’incenerimento. Ha poi insistito sul contributo enorme che alle microplastiche e nanoplastiche marine (la differenza sta nelle dimensioni delle particelle) viene dato dal lavaggio dei tessuti sintetici, in particolare dai tessuti in poliestere: le microfibre rilasciate finiscono nelle fogne e poi raggiungono i mari, entrando nella catena alimentare: non si sa con quali effetti per noi consumatori di pesce.

In sostanza, saremmo portati a concludere, pensar di risolvere il problema eliminando la plastica monouso (piatti, bicchieri, posate, bastoncini con fiocchi di bambagia, cannucce per bibite…) è una pia illusione, nel migliore dei casi.

Gianni Fochi, chimico della Normale di Pisa e giornalista scientifico

 

Camminare velocemente riduce il rischio di ospedalizzazione nei pazienti con problemi cardiaci, secondo una ricerca presentata oggi a EuroPrevent 2018, un congresso della Società Europea di Cardiologia, e pubblicata sull'European Journal of Preventive Cardiology. Lo studio durato tre anni è stato condotto su 1.078 pazienti ipertesi, di cui l'85% era affetto anche da malattie coronariche e il 15% aveva anche una malattia valvolare. Ai pazienti è stato quindi chiesto di camminare per 1 km su un tapis roulant con un'intensità moderata. I pazienti sono stati classificati come lenti (2,6 km / ora), intermedi (3,9 km / ora) e veloci (5,1 km / ora medi). Un totale di 359 pazienti erano camminatori lenti, 362 erano intermedi e 357 erano camminatori veloci. I ricercatori hanno registrato il numero di ospedalizzazioni per tutte le cause e la durata del ricovero nei successivi tre anni. I partecipanti sono stati segnalati dal Registro Sanitario Regionale della Regione Emilia-Romagna, che raccoglie dati sul ricovero per tutte le cause. L'autrice dello studio, dottoressa Carlotta Merlo, ricercatrice presso l'Università di Ferrara, ha dichiarato: "Non abbiamo escluso cause di morte perché la velocità del cammino ha conseguenze significative per la pubblica salute. E' un precursore della disabilità, della malattia e della perdita di autonomia".Durante il triennio, 182 dei "lenti" (51%) hanno avuto almeno un ricovero in ospedale, rispetto a 160 (44%) dei camminatori intermedi e 110 (31%) dei camminatori veloci. I gruppi a movimento lento, intermedio e veloce hanno trascorso rispettivamente un totale di 4.186, 2.240 e 990 giorni in ospedale nel corso del triennio. La durata media della degenza ospedaliera per ciascun paziente era rispettivamente di 23, 14 e 9 giorni per i camminatori lenti, intermedi e veloci. Ogni  km / orario di aumento della velocità di deambulazione ha comportato una riduzione del 19% della probabilità di essere ospedalizzati durante il triennio. Rispetto ai pedoni lenti, i camminatori veloci avevano una probabilità di ospedalizzazione inferiore del 37% in tre anni. La dottoressa Merlo ha affermato: "Più è veloce la velocità di camminata, minore è il rischio di ospedalizzazione e più breve è la durata della degenza ospedaliera, poiché la ridotta velocità di marcia è un indicatore di mobilità limitata, che è stata collegata alla diminuzione dell'attività fisica. Ed ha proseguito: "Camminare è il tipo di esercizio più popolare negli adulti: è gratuito, non richiede un addestramento speciale e può essere svolto praticamente ovunque. Pur brevi, ma regolari, le passeggiate hanno notevoli benefici per la salute. Il nostro studio dimostra che i benefici sono ancora più grandi quando aumenta il ritmo del camminare ". Insomma, per Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” un consiglio da prendere alla lettera che richiede solo un pò di buona volontà.

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI