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Sabato, 01 Giugno 2024

L'Ue valuta l'invio di tre navi. Palazzo Chigi: informati con largo anticipo ma non ci è stato chiesto di partecipare ai raid, lavoriamo per abbassare la tensione. Colpita anche Sanaa. Mosca chiede una riunione urgente dell'Onu e accusa: "Così s' innesca un'escalation distruttiva". Raid su 60 obiettivi, nel mirino le postazioni dei miliziani filo-iraniani in risposta agli attacchi contro le navi che hanno portato a una riduzione del traffico nel Canale di Suez. I ribelli: "Pagheranno un prezzo pesante". Londra: abbiamo dato un segnale forte

'Non abbiamo preso di mira nessun altro paese tranne Israele', ha detto il portavoce Houthi. In azione contro le basi, oltre a Usa e Gb anche 8 Paesi alleati. Per Mosca 'escalation distruttiva'. Hamas: 'Conseguenze'. Fonti Chigi: 'Non chiesta la partecipazione. Richiesta di sottoscrivere la dichiarazione ma Roma non ha firmato'

Il petrolio balza con le tensioni geopolitiche in Medio Oriente e dopo l'attacco in Yemen contro i ribelli Houthi. Il Wti sale del 4,4% a 75,2 dollari al barile.
Il Brent guadagna il 4,2% a 80,6 dollari al barile. Il greggio si porta ai livelli di fine dicembre 2023.  Il prezzo del gas sale con gli operatori che guardano all'ondata di freddo ed ai livelli degli stoccaggi. Sotto i riflettori anche gli effetti delle tensioni geopolitiche. Ad Amsterdam le quotazioni sono in rialzo del 3,2% a 31,8 euro al megawattora.

All’operazione, fanno sapere i media statunitensi, saranno presto coinvolte altre nazioni tra cui Paesi Bassi, Australia, Canada e Bahrein, che dovrebbero fornire logistica, intelligence e altro supporto. Gli attacchi, ha riferito un dirigente Usa alla Cnn, sono stati condotti in particolare con aerei da combattimento e missili Tomahawk. Oltre una dozzina di obiettivi Houthi sono stati colpiti da missili lanciati da cielo, terra e mare (con il sottomarino Uss Florida) e sono stati scelti per indebolire la capacità degli Houthi di attaccare le navi nel Mar Rosso. Tra gli obiettivi colpiti sistemi radar, depositi e siti di lancio di droni, missili balistici e missili da crociera.

Gli attacchi hanno interessato la capitale Sana’a e varie altre città, Hodeidah, Saada, Dhamar, Taiz, Zabid. Gli Stati Uniti e i loro alleati puntano a “ripristinare la stabilità nel Mar Rosso”. È quanto viene sottolineato in una nota stampa congiunta. “Il nostro obiettivo resta quello di allentare le tensioni e ripristinare la stabilità nel Mar Rosso”, spiega la dichiarazione che coinvolge Stati Uniti, Australia, Bahrein, Canada, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Regno Unito 

Immediata la reazione dei miliziani. Gli Houthi “continueranno a prendere di mira le navi legate a Israele nel Mar Rosso”. A dirlo è un portavoce dei ribelli sciiti. “Affermiamo che non c’è assolutamente alcuna giustificazione per questa aggressione contro lo Yemen, poiché non c’era alcuna minaccia alla navigazione internazionale nel Mar Rosso e nel Mar Arabico, e gli attacchi hanno colpito e continueranno a colpire le navi israeliane o quelle dirette ai porti della Palestina occupata”, scrive Mohammed Abdulsalam su “X”.

“Il nostro Paese è stato sottoposto ad una massiccia aggressione da parte di navi, sottomarini e aerei da guerra”, ha detto il viceministro degli Esteri dei ribelli houti, Hussein Al-Ezzi: “L’America e la Gran Bretagna devono prepararsi a pagare un prezzo pesante e a sopportare tutte le terribili conseguenze di questa palese aggressione”.

Soddisfazione invece per Joe Biden, secondo cui le forze statunitensi e britanniche, appoggiate da Australia, Bahrein, Canada e Paesi Bassi, hanno attaccato “con successo” obiettivi dei ribelli Houthi. Il presidente ribadisce che gli attacchi sono la risposta alle azioni contro le navi commerciali in transito nel mar Rosso. E assicura che non esiterà a prendere nuove decisioni di questo tipo perché gli Stati Uniti e i loro alleati “non tollereranno” attacchi da parte degli Houthi.

Gli Houthi in Yemen, le cui postazioni sono state prese di mira da raid Usa e britannici, sono in Occidente definiti 'ribelli' perché sostenuti dall'Iran.

Ma da dieci anni costituiscono la principale forza militare e istituzionale del martoriato Paese arabo. Dal 2014 controllano la capitale Sanaa con tutti i ministeri e la Banca centrale, oltre a vaste regioni del centro e del nord.

Nonostante l'Arabia Saudita abbia finora tenuto un atteggiamento cauto rispetto alla contrapposizione tra Usa e Houthi, questi ultimi sono da anni in lotta con le forze yemenite filo-saudite e quelle sostenute dagli Emirati Arabi Uniti che si spartiscono, con aspre rivalità, il centro-sud del Paese, incluso lo strategico porto di Aden. Le regioni orientali dello Yemen sono invece da decenni dominio del qaedismo locale, lo stesso nel quale si era formato Osama bin Laden.

Il governo filo-iraniano di Sanaa, guidato dal leader Abdel Malek Houthi, nel corso degli anni ha sviluppato un arsenale militare capace di colpire con missili balistici e droni di fabbricazione iraniana obiettivi distanti anche duemila chilometri, come nel caso degli attacchi avvenuti nel recente passato contro installazioni petrolifere saudite e degli Emirati. Il porto israeliano di Eilat dista circa 1.600 chilometri.

Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, afferma che l’Iran “condanna fermamente” gli attacchi aerei statunitensi e britannici nelle aree dello Yemen controllate dagli Houthi, riferisce Nournews citata dal Times of Israel. “La consideriamo una chiara violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dello Yemen, nonché una violazione delle leggi, dei regolamenti e dei diritti internazionali”, aggiunge Kanaani.

L’Arabia Saudita sta seguendo gli attacchi aerei statunitensi e britannici sul vicino Yemen con “grande preoccupazione”. È quanto fa sapere il ministero degli Esteri di Riad. “Il Regno dell’Arabia Saudita segue con grande preoccupazione le operazioni militari che si svolgono nella regione del Mar Rosso e gli attacchi aerei su una serie di siti nella Repubblica dello Yemen”, si legge in una nota che invita “all’autocontrollo” e ad “evitare un’escalation”.

 

Fonti Varie Agenzie/ riformista/msn

 

 

 

 

Prima udienza della Corte internazionale di giustizia (Cig) dell'Aia sul caso presentato a fine dicembre dal Sudafrica contro Israele per presunte violazioni della Convenzione sul genocidio nel conflitto in corso nella Striscia di Gaza. Stando a quanto reso noto dalla Cig, l'udienza vede l'intervento del Sudafrica, seguito il giorno dopo, venerdì, da quello di Israele.

Il termine genocidio nasce dall'unione della parola greca γένος, razza o stirpe, con quella latina caedere, uccidere, ed è stato creato dopo la Seconda guerra mondiale dal giurista polacco di origine ebraica Raphael Lemkin. La sua campagna per il riconoscimento del genocidio come crimine nel diritto internazionale portò all'adozione della Convenzione Onu sul genocidio, nel dicembre del 1948, entrata in vigore il 12 gennaio 1951. 

Il caso per genocidio contro Israele è stato presentato dal Sudafrica a fine dicembre ed è stato sostenuto anche da vari altri paesi, soprattutto arabi. Secondo l'accusa del Sudafrica, le operazioni militari di Israele nella Striscia di Gaza violano la cosiddetta Convenzione sul genocidio, un trattato internazionale approvato dall'Assemblea generale dell'ONU nel 1948 e ratificato tra gli altri da Israele e dal Sudafrica stesso.

Il Sudafrica ha quindi chiesto alla Corte di intervenire attraverso delle misure provvisorie ed emettere un provvedimento urgente che imponga l'interruzione dei bombardamenti e di tutte le operazioni militari dell'esercito israeliano, prima ancora della fine del processo. La Corte si è dimostrata disponibile a seguire la strada richiesta dal Sudafrica e le due giornate di udienze che si aprono l'11 gennaio 2024 cercheranno di stabilire se esistono gli estremi per imporre le misure provvisorie.

Oggi la Corte internazionale di giustizia, il più importante tribunale delle Nazioni Unite, comincia le udienze su un caso presentato dal Sudafrica, secondo cui la guerra nella Striscia di Gaza portata avanti da Israele costituirebbe un atto di genocidio contro il popolo palestinese. Israele nega fermamente questa accusa e ha nominato un gruppo di giuristi e avvocati per difendersi

Cause come quelle intentate dal Sudafrica contro Israele possono durare anche anni, sia per il valore politico del processo sia per la sua complessità. Nel diritto internazionale il crimine di genocidio ha caratteristiche specifiche e stringenti: indipendentemente dal merito del caso, è molto difficile provare in un tribunale internazionale che una guerra come quella di Israele a Gaza costituisca anche un crimine di genocidio. La Corte internazionale di giustizia, fino a oggi, non ha mai condannato per genocidio nessuno stato.

Le ragioni delle parti

"La nostra opposizione al massacro in corso della popolazione di Gaza ci ha spinto come paese a rivolgerci alla Corte internazionale di giustizia", ha dichiarato il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, "come popolo che ha assaggiato i frutti amari dell'espropriazione, della discriminazione, del razzismo e della violenza sponsorizzata dallo Stato, siamo chiari sul fatto che staremo dalla parte giusta della storia".

Ieri il portavoce del governo israeliano Eylon Levy ha dichiarato: "Lo Stato di Israele comparirà davanti alla Corte internazionale di giustizia per smentire l'assurda diffamazione di sangue del Sudafrica, mentre Pretoria dà copertura politica e legale al regime stupratore di Hamas. Il 7 ottobre Hamas ha commesso un atto di genocidio quando ha inviato squadroni della morte ad invadere Israele con la missione di bruciare, decapitare, torturare, mutilare, rapire e stuprare quanti più israeliani possibile, nel modo più brutale possibile. È stata una campagna di sterminio sistematico che hanno giurato di continuare... fino alla distruzione del nostro paese"

Intanto Israele rende disponibile a tutti la documentazione visuale dei crimini contro l'umanità commessi da Hamas il 7 ottobre scorso, pubblicandola su un nuovo apposito sito web.

La mattina del 7 ottobre 2023 Hamas ha invaso Israele da Gaza, con un massiccio attacco terroristico a sorpresa contro i civili via aria, terra e mare.

Più di 1000 civili innocenti massacrati, stuprati e ammazzati nelle loro stesse case; oltre 200 persone rapite e portate in ostaggio a Gaza.

I terroristi di Hamas hanno filmato le loro barbare atrocità con body camera e telefoni cellulari, per mostrare con orgoglio i loro crimini e vantarsene. Molte di queste telecamere sono state recuperate dai corpi dei terroristi neutralizzati. Ora il mondo intero può vedere l'incommensurabile ferocia di Hamas.

I crimini di Hamas contro l'umanità sono un dato di fatto. Sono supportati dalle prove recuperate e raccolte qui. Non cadete nella disinformazione e nella distorsione mediatica di Hamas.

 

Fonti varie agenzie 

 

 

Si apre oggi ad Aqaba, nel sud della Giordania, un vertice su Gaza al quale parteciperanno re Abdallah, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen. I tre leader - secondo l'agenzia Petra - discuteranno della guerra e degli sviluppi in Cisgiordania. Il vertice si terrà "come parte degli sforzi giordani per coordinare le posizioni e premere per un cessate il fuoco immediato e la fornitura di aiuti umanitari senza interruzioni". 

Il segretario di stato Usa Antony Blinken - dopo aver incontrato ieri la leadership israeliana - ha visto a Ramallah, in Cisgiordania, il presidente palestinese Abu Mazen.

Sul tavolo, il dossier della guerra a Gaza: è nota la posizione Usa che vuole un coinvolgimento dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) nella futura gestione della Striscia alla fine della guerra.

Secondo i media, Blinken è stato accolto al suo arrivo a Ramallah da manifestanti che hanno chiesto "Palestina Libera" e "Stop al genocidio". Subito dopo aver visto Blinken, Abu Mazen andrà ad Aqaba, in Giordania, per un incontro sullo stesso tema con re Abdallah e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.

Antony Blinken invece andrà in Bahrain come tappa a sorpresa del tour in Medio Oriente. Lo rende noto un funzionario Usa.

Gaza "è parte inseparabile dello Stato palestinese e non consentiremo alcun tentativo di sradicare il nostro popolo dalla Cisgiordania, da Gerusalemme e dalla Striscia". Lo ha ribadito il presidente palestinese Abu Mazen nell'incontro a Ramallah con il segretario di stato Usa Antony Blinken. Abu Mazen, citato dai media, ha sottolineato "la necessità che siano scongelati i fondi delle tasse perché la loro trattenuta è contraria agli accordi con Israele e alla legge internazionale". Abu Mazen ha anche ribadito l'urgenza di portare "aiuto umanitario a Gaza" e di porre fine alla "guerra di sterminio" contro il popolo palestinese nella Striscia.

Il ministero della Sanità di Hamas ha annunciato che 23.357 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza dall'inizio della guerra. Hamas ha anche riferito di 59.410 feriti. La maggior parte delle vittime, secondo la stessa fonte, "erano donne, adolescenti e bambini".

Israele ha annunciato intanto la morte di un altro soldato, ucciso in battaglia nel centro di Gaza. Lo ha detto il portavoce militare secondo cui si tratta del riservista Elkana Newlander (24 anni). Il bilancio dei soldati uccisi in combattimento dall'inizio dell'operazione di terra nella Striscia è ora di 186.

Israele deve evitare ulteriori danni ai civili nella guerra che sta conducendo contro Hamas a Gaza e che ha già provocato troppi morti, oltre 23mila finora.

Nella sua quarta missione a Tel Aviv dal 7 ottobre, il segretario di Stato Usa Antony Blinken è tornato ieri ad incalzare il premier Benyamin Netanyahu pur ribadendo il pieno sostegno a Israele per impedire in futuro un nuovo attacco terroristico dei miliziani palestinesi. Sebbene per gli Usa l'accusa di genocidio mossa contro lo Stato ebraico all'Aja sia "infondata", il bilancio delle vittime nella Striscia, in particolare di civili e bambini, "è troppo alto", ha avvertito l'inviato di Joe Biden. Che, partecipando a una riunione del gabinetto di guerra israeliano, ha ottenuto che una delegazione dell'Onu visiti il nord di Gaza per rendersi conto della situazione sul terreno, in particolare umanitaria, e per svolgere "una valutazione" in vista del rientro degli sfollati alle loro case.

Per Blinken, "la guerra a Gaza potrebbe finire domani se Hamas prendesse le decisioni giuste" ma, ha insistito, per "una pace duratura" serve la nascita di uno Stato palestinese, così come chiedono molti Paesi della regione visitati dal capo della diplomazia americana prima della tappa a Tel Aviv. "Il punto di vista espresso da questi Paesi - ha spiegato - è fondamentale per porre fine una volta per tutte a un ciclo di violenza attraverso la realizzazione dei diritti politici palestinesi". In omaggio alle preoccupazioni Usa per le attività dei coloni, Israele ha fatto coincidere l'arrivo di Blinken con lo sgombero a sorpresa di un insediamento ebraico presso Betlemme, in Cisgiordania, e la demolizione di abitazioni in alcuni avamposti eretti nelle vicinanze della colonia Pney Kedem, mentre il ministero degli Esteri ha negato che ci sia un piano per trasferire la popolazione di Gaza in Africa: "Non siamo impegnati nell'esame della fattibilità" di questo dossier, ha assicurato il portavoce. Il ministro della destra radicale Itamar Ben Gvir - tra i sostenitori dell'uscita dei palestinesi dalla Striscia e del ritorno dei coloni - ha però avvertito il segretario di Stato che "non è tempo di parlare dolcemente con Hamas" ma "di usare un grosso bastone".

 

Fonti ansa e varie agenzie 

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