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Per l’80% dei medici cresce il numero dei pazienti che rinunciano a curarsi per ragioni economiche. È quanto emerge dall’indagine CGM Health Monitor, realizzata in collaborazione con Il Sole-24Ore Sanità e con l’Omceo della Provincia di Bari, e pubblicata su Il Sole24ore Sanità.

Il sondaggio intende indagare il rapporto tra medicina e condizione di povertà dal punto di osservazione dei medici delle cure primarie, coloro che quotidianamente, nella pratica clinica e nell’attività professionale, si confrontano con le scelte dei pazienti in materia di salute e con le difficoltà che questi incontrano in ambito sanitario.

Per l’80% dei camici bianchi il numero dei pazienti che ha rinunciato a curarsi è aumentato negli ultimi anni, e le rinunce riguarderebbero in prima battuta, per un quarto del campione, i farmaci: medicinali o terapie salvavita per il 74% del campione, terapie essenziali per il 40% e indagini diagnostiche essenziali per il 36% degli intervistati.

La rinuncia a curarsi per ragioni economiche è «talvolta» causa di maggiore diffusione di malattia per il 57% dei medici intervistati e lo è «spesso» per 3 medici su 10 (il 31 per cento).

“L'OMCeO di Bari ha promosso questo sondaggio perché come medici negli ultimi anni di crisi abbiamo visto crescere il disagio dei pazienti rispetto al costo delle medicine e degli esami diagnostici, con conseguenze sulla loro salute, ma anche sulla relazione di cura - spiega Filippo Anelli, Presidente OMCeO Bari - Le criticità derivanti dal connubio malattia-povertà sono purtroppo confermate dai risultati della ricerca portata avanti in collaborazione con Il Sole 24 ore: secondo l'80% dei medici negli ultimi anni è aumentato il numero di pazienti che rinunciano a curarsi per ragioni economiche. La povertà  espone  infatti le  persone  a  fattori  di  rischio  comportamentali  per determinate patologie, e l’insorgere di queste ultime, a sua volta, può diventare un elemento fondamentale nell’innescare la spirale discendente che conduce le famiglie alla povertà. Inoltre, come Ordine di Bari non possiamo non constatare come la situazione sia più esplosiva al sud e apra una "Questione meridionale" in Sanità, che bisogna affrontare rivalutando i parametri di attribuzione del fondo sanitario. Al momento infatti le risorse vengono assegnate in base a fattori demografici come l’invecchiamento della popolazione che penalizzano le regioni del sud – storicamente caratterizzate da una popolazione più giovane – e non tengono in considerazione fattori socio-economici come la povertà e la scarsa consapevolezza culturale. Nell'epoca dei tagli non si può continuare a far finta di ignorare che se un farmaco è a pagamento un cittadino settentrionale mediamente vi accede più facilmente rispetto ad un cittadino meridionale."

Secondo il rapporto annuale 2016 stilato dall'Europol, il mercato della droga varrebbe "almeno 24 milliardi l'anno". Inoltre dalla relazione emergono tre grandi temi. In primis i “legami più forti tra il traffico di droga e altre forme di criminalità: i gruppi della criminalità organizzata coinvolti nel mercato degli stupefacenti diversificano l’offerta di droga, partecipano ad altre forme di criminalità, incluso il terrorismo, stringono alleanze al di là delle frontiere etniche e geografiche e traggono profitto da competenze specialistiche”. In secondo luogo viene rilevata “un’accelerazione del ritmo dei cambiamenti nel mercato degli stupefacenti dovuta alla globalizzazione e alle nuove tecnologie: i gruppi criminali sono pronti a sfruttare le opportunità offerte da un accesso più facile all’informazione, da internet e dalla crescita del commercio internazionale”. Terzo elemento: “la concentrazione geografica dei gruppi specializzati in reati connessi alla droga. La produzione e il traffico di stupefacenti sono concentrati in determinate aree geografiche, sia in Europa che nel resto del mondo. Presentando il rapporto sul mercato delle droghe nell'Unione europea, Rob Wainwright, direttore di Europol, sottolinea che "la cooperazione transfrontaliera delle forze di sicurezza è essenziale per ridurre l'ampiezza e l'impatto" del fenomeno. Il mercato europeo della droga vale "almeno 24 miliardi di euro l'anno" in Europa e non solo è una delle attività più redditizie del crimine organizzato ma "può andare a finanziare il traffico di esseri umani ed il terrorismo e minare gli sforzi per lo sviluppo internazionale", ha aggiunto il Commissario per gli affari interni, Dimitris Avramopoulos. Secondo Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, alla luce di numeri così alti, sul consumo di sostanze stupefacenti non è semplice ipotizzare soluzioni rapide ed efficaci che riducano in maniera drastica i consumi di droghe. È essenziale, quindi, una cooperazione transfrontaliera delle autorità di contrasto per ridurne la portata e l’impatto, obiettivo che può essere conseguito ricorrendo alle capacità operative uniche dell’Europol e degli altri strumenti dell’Unione.

Un gruppo internazionale di ricerca coordinato dall'università di San Diego, California, è riuscito per la prima volta a riparare lesioni nel midollo spinale dei topi con l'utilizzo delle cellule staminali. Il risultato dello studio è stato pubblicato lunedì sulla prestigiosa rivista Nature Medicine. Finora nessuna terapia ha permesso di ripristinare il funzionamento di un particolare circuito nervoso che è presente anche nel corpo umano e che rappresenta la principale via deputata al controllo dei movimenti. Si tratta di una prima assoluta, spiegano gli autori della ricerca, precisando che la rigenerazione ha riguardato il cosiddetto fascio corticospinale, che nell'uomo va dalla corteccia cerebrale al midollo spinale. "Abbiamo usato cellule staminali neurali per verificare se potessero supportarne la rigenerazione e, con nostra grande sorpresa, ne sono state capaci", ha spiegato il coordinatore della ricerca, Mark Tuszynski, che ha subito ammonito: "c'è ancora molto lavoro da fare prima di pensare ad una sperimentazione sulle persone".Una notizia scientifica sensazionale, per Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, che rilancia la speranza in migliaia di pazienti che hanno subìto gravi lesioni midollari che li vedono vivere un'esistenza difficile che potrebbe essere radicalmente cambiata dalla nuova frontiera di terapie che questa scoperta potrebbe aprire.

Studi scientifici confermano come il consumo di olio d’oliva, frutta, verdura e pesce azzurro possa ridurre il rischio ictus fino al 20%. L’ictus cerebrale, purtroppo, rappresenta ancora la seconda causa di morte a livello mondiale e la terza nei paesi industrializzati. E le previsioni non sono delle migliori: entro il 2020 la mortalità per ictus rischia di raddoppiare a causa dell’invecchiamento della popolazione. L’ictus cerebrale, però, non solo si può curare ma si può prevenire nell’80 % dei casi: le linee guida sia nazionali che internazionali raccomandano di seguire adeguati stili di vita, che portino a controllare l’eccessivo peso corporeo e l’obesità, attraverso l’attività fisica moderata e costante, e un’alimentazione sana come quella che prevede la dieta mediterranea. Il controllo della pressione arteriosa è fondamentale, fino dai 40 anni, ancora più importante nei diabetici, così come il riconoscimento della aritmia cardiaca definita fibrillazione atriale e l’astensione dal fumo.

“Con campagne informative come Aprile mese della prevenzione, A.L.I.Ce. Italia Onlus – dichiara Francesco Gaballo, vicepresidente dell’Associazione – intende ridurre l’incidenza dell’ictus cerebrale e migliorare la qualità della vita delle persone colpite, proprio attraverso la diffusione della conoscenza della patologia e dei suoi principali fattori di rischio”. La prevenzione inizia a tavola. In numerosi studi epidemiologici, infatti, la dieta è stata individuata come uno dei principali fattori di rischio modificabile.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha valutato in circa 2.64 milioni di casi all’anno il totale delle morti attribuibili ad un inadeguato consumo di frutta e verdura. Aumentando il consumo individuale fino a 600 grammi al giorno, si potrebbe ridurre il rischio di infarto e ictus rispettivamente del 31% e del 19%. La tradizionale dieta mediterranea è caratterizzata da olio di oliva extravergine come principale fonte di grassi, da un elevato apporto di frutta, noccioline, verdure, legumi e cereali; da un moderato apporto di pesce e pollame, da un basso apporto di latticini, carne rossa e dolci e da un consumo da basso a moderato di vino, in particolare durante i pasti.

Consumare in particolare agrumi, mele, pere e verdure a foglia contribuisce molto alla protezione: un incremento di circa 200 grammi al giorno, sia di frutta che di verdura, fa diminuire il rischio ictus rispettivamente del 32% e dell’11%.

Un alto consumo di olio di oliva extravergine, che rientra tra le caratteristiche principali della dieta mediterranea, viene considerato come uno degli elementi che contribuisce maggiormente a proteggere il sistema cardiovascolare: un incremento di 23 grammi al giorno di consumo di olio di oliva è stato inversamente associato all’incidenza dell’ictus (riduzione del rischio del 20%) e alla mortalità (riduzione del rischio dell’11%).

Se da una parte ci sono nutrienti da consumare con moderazione, come sodio, alcol e grassi saturi perché aumentano il rischio vascolare, per altri, invece, è stato evidenziato un effetto protettivo: omega3, fibre, vitamina B6 e B12, così come l’assunzione di calcio e potassio diminuiscono il rischio di ictus cerebrale

Seguire la dieta mediterranea riduce, dunque, il rischio di ipertensione, diabete, infarto, obesità e sindrome metabolica.

Le regole di una sana alimentazione e uno stile di vita corretto, però, dovrebbero essere adottate sin da piccoli, purtroppo i dati dimostrano il contrario: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in Europa, 1 bambino su 3 tra i 6 e i 9 anni è sovrappeso o obeso. Ed è per questo che A.L.I.Ce. Italia Onlus intende sensibilizzare anche le famiglie su una maggiore attenzione verso le cattive abitudini alimentari fin dall’infanzia. Non si deve dimenticare che una giusta prevenzione, oltre a benefici in termini di salute, comporterebbe un effetto positivo sul budget nazionale dei Paesi dell’Unione Europea, considerando che attualmente ben il 7% di questo budget viene destinato alle patologie collegate all’obesità.

CONSIGLI DIETETICI

1.       Consumare pesce almeno 2 volte alla settimana, soprattutto salmone, pesce spada, pesce azzurro o trota

2.       Ridurre l’apporto di sale – massimo 5 gr al giorno

3.       Consumare almeno 3 porzioni di frutta e almeno 2 di verdura al giorno

4.       Limitare il consumo di grassi e condimenti di origine animale, preferendo quelli di origine vegetale

5.       Bere non più di 2 bicchieri di vino al giorno

 

In occasione di “Aprile mese della prevenzione dell’Ictus Cerebrale”, la Federazione A.L.I.Ce. Italia Onlus con le sue oltre 70 Associazioni locali darà vita a diverse iniziative di prevenzione, sensibilizzazione e di informazione su questa patologia, grave e disabilitante. Anche quest’anno, inoltre, A.L.I.Ce. Italia Onlus può contare su una testimonial d’eccezione: Valentina Vezzali.

L’elenco delle iniziative previste sarà inserito sul sito www.aliceitalia.org

Bibliografia

1.       ISO-SPREAD, Ictus cerebrale: linee guida di prevenzione e trattamento, 2016

A.L.I.Ce. Italia Onlus è una federazione di associazioni regionali di volontariato sparse su tutto il territorio nazionale, oltre 70 tra sedi e sezioni, le quali, pur autonome e indipendenti nelle proprie attività, collaborano al raggiungimento di comuni obiettivi a livello nazionale.

Loro peculiarità è quella di essere le uniche ad essere formate da persone colpite da ictus, dai loro familiari e caregiver, da neurologi e medici esperti nella diagnosi e trattamento dell'ictus, medici di famiglia, fisiatri, infermieri, terapisti della riabilitazione, personale socio-sanitario e volontari. Sono associazioni senza scopo di lucro, democratiche, apolitiche, con personalità giuridica e non, iscritte nei registri regionali delle associazioni di volontariato.

Tra i propri obiettivi statutari: diffondere l’informazione sulla curabilità della malattia; facilitare l’informazione, anche attraverso i media, per un tempestivo riconoscimento dei primi sintomi come delle condizioni che ne favoriscono l’insorgenza; sollecitare gli addetti alla programmazione sanitaria affinché provvedano ad istituire centri specializzati per la prevenzione, la diagnosi, la cura e la riabilitazione delle persone colpite da ictus e ad attuare progetti concreti di screening; tutelare il diritto dei pazienti ad avere su tutto il territorio nazionale livelli di assistenza, uniformi ed omogenei.

 

“Il nostro giocattolo più grande è il cervello”. Così affermava Charlie Chaplin. Non v’è dubbio che l’attore, comico, regista, sceneggiatore, compositore e produttore cinematografico britannico abbia “giocato” e stimolato non poco il proprio cervello, se è vero che l’autore di oltre novanta film è oggi considerato tra i più importanti ed influenti cineasti del XX secolo ed una delle personalità più creative e influenti del cinema muto.

In occasione della Settimana Mondiale del Cervello, gli esperti della Società Italiana di Neurologia (SIN) richiamano l’attenzione sui numerosi studi scientifici che dimostrano come il cervello, a differenza di altri organi, migliori il proprio funzionamento in proporzione al lavoro effettuato e non risenta, quindi, di un particolare processo di usura correlato al suo impegno continuo.

“Fin dall’età giovanile – dichiara il Prof. Leandro Provinciali, Presidente SIN e Direttore della Clinica Neurologica e del Dipartimento di Scienze Neurologiche degli Ospedali Riuniti di Ancona - il cervello riduce la sua componente più nobile, la quantità di neuroni: in pratica, a breve distanza dall’epoca in cui ha completato il proprio sviluppo inizia a perdere cellule ma, con l’apprendimento, crea nuove connessioni fra i neuroni. In realtà, i collegamenti fra i neuroni rimangono attivi se impiegati con continuità, mentre il numero delle cellule decresce progressivamente, pur non compromettendole prestazioni fino all’età molto avanzata”.

Una riduzione dell’efficienza cognitiva potrebbe significare l’inizio di un decadimento cerebrale, ma i meccanismi di compensazione attuati sono tali che l’espressione clinica si realizza molto tardivamente rispetto ai cambiamenti biologici.

“In generale – sottolinea il Prof. Provinciali - è la memoria di episodi che viene inizialmente compromessa e, successivamente, la rievocazione di nomi propri. Quando persistono, quindi, difficoltà delle abilità cognitive, soprattutto memoria e attenzione, è bene rivolgersi al neurologo che valuterà se indagare ulteriormente con esami specifici, qualora si escludano fattori esterni come disturbi del sonno, stress, alimentazione, farmaci etc”.

Numerosi studi scientifici hanno dimostrato come il sonno e l’invecchiamento cerebrale siano strettamente correlati: da un lato, dormire poco e male contribuisce al declino cognitivo e al rischio di demenza; dall’altro, durante la senilità si assiste ad un’alterazione del ciclo sonno/veglia con maggiore vulnerabilità a stimoli esterni a causa della riduzione delle onde delta del sonno profondo, con conseguente maggior frammentazione del sonno.

Il sonno rappresenta, quindi, un’attività fondamentale per l’uomo: un terzo della vita, infatti, si trascorre dormendo. Ma non sempre si riesce a dormire bene, a causa di uno stile di vita frenetico, di comportamenti inadatti o di malattie del sonno, spesso ignorate o sottovalutate.

“I disturbi del sonno colpiscono circa 13 milioni di italiani – ha affermato il Prof. Gianluigi Gigli, Ordinario di Neurologia presso l’Università di Udine -.  I principali sono l’insonnia, che, in forma più o meno grave, colpisce circa il 41% della popolazione, la sindrome delle apnee in sonno, di cui soffrono circa 2 milioni di italiani, la sindrome delle gambe senza riposo, che colpisce 3 milioni di italiani, ed i disturbi del ritmo circadiano. I disturbi del sonno si associano spesso ad altre malattie, soprattutto a carico del Sistema Nervoso”.

Ad esempio, i soggetti affetti da decadimento cognitivo sono frequentemente colpiti anche da alterazioni del sonno. La sindrome delle apnee in sonno è un fattore di rischio riconosciuto per malattie cardio e cerebrovascolari. I pazienti affetti da epilessia lamentano frequenti disturbi del sonno quali insonnia, eccessiva sonnolenza diurna, apnee nel sonno, sonno notturno frammentato, movimenti periodici degli arti in sonno, che spesso sono un fattore limitante il corretto controllo delle crisi. La sclerosi multipla è invece associata a svariati disturbi del sonno, quali insonnia, spasmi notturni, narcolessia, disturbi respiratori in sonno e, in particolare, alla sindrome delle gambe senza riposo.

La recente approvazione della direttiva europea sul rilascio della patente di guida ha costretto anche l’Italia a confrontarsi con il problema della diagnosi della narcolessia e della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno. Ne deriva la necessita di adeguare la risposta, finora insufficiente, del servizio sanitario nazionale alle esigenze diagnostiche legate alla patente di guida, attraverso l'organizzazione di una rete di Servizi di Medicina del Sonno. L'obiettivo è quello di ridurre gli incidenti alla guida dovuti all’eccessiva sonnolenza diurna. Trattandosi di malattie i cui sintomi sono curabili, lo scopo della diagnosi non è quello di togliere il permesso di guidare alle persone affette, limitando ‘uso di un mezzo talora indispensabile per lavorare; al contrario, una diagnosi corretta può far prendere loro consapevolezza della necessità di usare gli strumenti a disposizione per combattere la sonnolenza diurna, a cominciare dal trattamento ventilatorio notturno per le apnee. A seguito di tale trattamento, un controllo neurologico, clinico e strumentale, potrà documentare l’eventuale regressione dei rischi nella guida in condizioni abituali.

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