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IL Museo delle Mura ospita dal 13 ottobre al 10 novembre 2019 la mostra “Non farmi Muro!”, una selezione di oltre 40 fotografie che evidenziano come è cambiata la città di Berlino dal 1989 a oggi. Sarà il gran finale della Settimana tedesca (6-12 ottobre), un progetto dell’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania a Roma.

La mostra, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata dall’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura, è a cura di Clara Labus e Julian Rössler e sarà inaugurata sabato 12 ottobre, alle ore 11.00.

Una riflessione sullo sviluppo di una città nel cuore dell’Europa attraverso quattro diverse proposte fotografiche: le immagini di Livio Senigalliesi della Berlino del 1989, quelle di Daniel Pilar e VisitBerlin della Berlino di oggi e, infine, una sezione intitolata “Il cammino verso l’unità tedesca” realizzata dall’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania in collaborazione con la Bundesstiftung Aufarbeitung.

Berlino 1989: “Da Mosca soffiava il vento della Perestrojka, portando voglia di democrazia e libertà. È un passato che non dobbiamo dimenticare” scrive Livio Senigalliesi, che si trovava a Berlino in quel periodo così importante per la Germania e per l’Europa. Dopo proteste pacifiche in diverse città della Repubblica Democratica Tedesca (RDT), il 9 novembre 1989 cadde il Muro che aveva separato il Paese e la città di Berlino per quasi 30 anni creando, di fatto, due città diverse: Berlino ovest e Berlino est, la capitale della RDT.

Durante la divisione del Paese non ci si poteva muovere liberamente tra le due parti della città: era obbligatorio possedere un permesso, che peraltro per i cittadini della RDT era molto difficile ottenere. Una ferita aperta che ha separato famiglie e amici per tanti anni.

Berlino negli ultimi 30 anni si è trasformata da “città murata” a città libera, con più di tre milioni di abitanti. La caduta del Muro ha lasciato nel panorama urbano spazi inutilizzati che i berlinesi e i nuovi abitanti hanno reso spazi creativi: dall’arte della Brunnenstraße alle start-up del Moritzplatz, che ora godono finalmente dell’accesso libero al fiume Spree.

Berlino è oggi una città moderna e una metropoli vitale: nota per la sua architettura, i festival e la vita notturna (soprattutto la scena tecno) è visitata ogni giorno da innumerevoli turisti ed è una delle capitali europee preferite dai viaggiatori.

Livio Senigalliesi, 63 anni, milanese, inizia la carriera di fotoreporter alla fine degli anni ’70 dedicandosi ai grandi temi della realtà italiana usando la fotocamera come uno strumento di analisi sociale. La passione per la fotografia intesa come testimonianza e l’attenzione ai fatti storici di questi ultimi decenni l’hanno portato su fronti caldi come il Medio-Oriente e il Kurdistan durante la guerra del Golfo, nella Berlino della divisione e della riunificazione, a Mosca durante i giorni del golpe che sancirono la fine dell’Unione Sovietica, a Sarajevo ha vissuto tra la gente l’assedio più lungo della Storia. Negli ultimi anni ha focalizzato le sue energie su due progetti: quello dedicato alle vittime civili dei conflitti e quello sulla condizione umana degli immigrati in Italia. Oltre alle mostre e ai libri, realizza progetti didattici per gli studenti di scuole e Università affinché la sua testimonianza diretta avvicini i giovani ai temi della pace e della guerra e alla comprensione delle migrazioni forzate.

Daniel Pilar si è laureato in fotogiornalismo a Hannover e lavora per alcuni dei giornali e riviste più importanti della Germania. Ha vinto diversi premi per i suoi lavori. Numerosi le sue mostre, sia singole che collettive, anche all’estero, per esempio in Messico e Afghanistan. Sull’Afghanistan ha scritto due libri.

 

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, ha visto oggi la Ministra greca della Cultura e dello sport, Lina Mendoni, in un incontro bilaterale che ha preceduto l’inaugurazione della mostra “Pompei e Santorini. L’eternità in un giorno” promossa alle Scuderie del Quirinale dal parco archeologico di Pompei e dalla Soprintendenza per le Cicladi.

Nel corso del colloquio la Ministra Mendoni ha manifestato grande apprezzamento per la misura dell’Art Bonus, chiedendo informazioni sul suo funzionamento e sui risultati finora raggiunti per poterne valutare l’introduzione nell’ordinamento ellenico. Per la Grecia si tratta di un modello virtuoso di fiscalità di vantaggio in favore della cultura da replicare.

I ministri Franceschini e Mendoni hanno poi ricordato la collaborazione tra Italia e Grecia nel contrasto al traffico illecito di beni culturali, forte del memorandum di intesa siglato a Corfù nel 2017 in occasione del primo vertice intergovernativo. Una cooperazione che vede il pieno coinvolgimento del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, con molteplici attività di recupero e restituzione di opere rubate e di addestramento delle forze di polizia greche.

I due ministri hanno poi condiviso la necessità di una reciproca collaborazione per la promozione e il sostegno alle industrie culturali creative e agli scambi tra i giovani artisti, una sorta di Erasmus Cultura che i due Paesi intendono proporre al tavolo del consiglio dei ministri della cultura europei a novembre.

I ministri Franceschini e Mendoni hanno infine ricordato il prezioso ruolo della scuola archeologica di Atene negli scambi di saperi e conoscenze in campo scientifico e culturale.

Intanto dopo l incontro il Ministro Greco Lina Mendoni insieme a Dario Franceschini hanno inaugurato la mostra  “Pompei e Santorini. Sin dall’antichità le catastrofi vulcaniche hanno scandito lo scorrere della storia. Sono emblematici i casi di Akrotiri, fiorente capitale dell’isola di Thera, oggi conosciuta come Santorini, sepolta da un’eruzione nel 1613 a. C., e Pompei, investita dalla furia del Vesuvio nel 79 d. C. I cataclismi non hanno inghiottito solo le due città, ma un intero sistema di pensiero che riaffiora tramite le indagini archeologiche.

A Roma, alle Scuderie del Quirinale, dall’11 ottobre al 6 gennaio, si potranno ammirare, per la prima volta insieme, le vestigia dei due siti archeologici, tra i più importanti e meglio conservati al mondo.

Curata da Massimo Osanna, Direttore del Parco Archeologico di Pompei e da Demetrios Athanasoulis, Direttore dell'Eforia delle Antichità delle Cicladi, con Luigi Gallo e Luana Toniolo, l’esposizione è frutto di una collaborazione istituzionale e propone un confronto inedito attraverso innovative ricostruzioni e la selezione di preziosi reperti, in molti casi mai esposti al pubblico.

La mostra è concepita come un viaggio nel tempo alla scoperta delle due antiche città, accomunate da un’identica fine e preservate nei millenni dalle ceneri vulcaniche. Più di trecento oggetti fra statue, affreschi, vasi, rilievi, gemme, incunaboli e quadri, ripercorrono un arco cronologico di tremila e cinquecento anni, dall’età del bronzo ai nostri giorni. Un racconto immersivo attraverso le sale delle Scuderie del Quirinale, trasfigurate da un allestimento coinvolgente che si snoda tra ricostruzioni di ambienti, con oggetti di uso quotidiano, e proiezioni di videoarte.

I temi esaminati trattano diverse problematiche archeologiche, come la disamina dei contesti, l’uso dei calchi in gesso, l’analisi delle abitudini sociali e della ritualità, lo studio della connettività economica e culturale nel Mediterraneo antico.

Il percorso espositivo è punteggiato da opere di artisti moderni e contemporanei (Micco Spadaro, Turner, Valenciennes, Filippo Palizzi, Arturo Martini, Renato Guttuso, Andy Warhol, Alberto Burri, Richard Long, Antony Gormley, Giuseppe Penone, Francesco Jodice, Damien Hirst, James P Graham, Hans Op de Beeck, Francesco Simeti), che indicano quanto la riscoperta delle città sepolte abbia nutrito l’immaginario collettivo, accompagnando i visitatori in un viaggio fra passato e presente.


La mostra racconta quindi una storia fatta di repentine catastrofi naturali e affascinanti riscoperte archeologiche per raccontare le origini e gli sviluppi della nostra storia, della nostra cultura.

 “La collaborazione istituzionale fra il Parco Archeologico di Pompei e l’Eforia delle Cicladi- afferma Massimo Osanna - ha in questa mostra il suo naturale punto di arrivo. Abbiamo voluto affiancare all’indagine archeologica anche la lettura geologica degli eventi vulcanici così da poter far capire al pubblico l'unicità dello stato di conservazione delle due città.  Di pari importanza la presenza in mostra di alcune opere moderne e contemporanee, scelte per il loro potere evocatore”.

“L'Eforato delle Cicladi ha deciso di mettere in atto una politica espositiva rivolta verso l’esterno- sottolinea Demetrios Athanasoulis - con mostre sia in Grecia sia all'estero che hanno l’obiettivo di promuovere il patrimonio monumentale delle Cicladi e di rendere l’antichità una fonte di cultura e sapere, ma anche di piacere e intrattenimento di qualità. La mostra presso le Scuderie del Quirinale è espressione di questa visione e, portando per la prima volta fuori dalla Grecia i materiali provenienti dalla città preistorica di Akrotiri, permetterà al grande pubblico di conoscere il volto della “Pompei” dell'Egeo preistorico”.

Eventi speciali e laboratori contribuiscono ad arricchire e approfondire i contenuti di una mostra già di così ampio respiro: gli studenti delle scuole, potranno ad esempio mettersi alla prova con laboratori sul mestiere dell’archeologo dove verranno coinvolti a riconoscere i reperti di uno scavo. I più grandi invece potranno avventurarsi in una visita letteraria della mostra accompagnati dalle parole di scrittori e filosofi dall’antichità fino al Novecento. Oltre ai laboratori ed agli incontri ospitati all’interno delle Scuderie del Quirinale la mostra propone una serie di appuntamenti al Teatro Argentina a Roma condotti da archeologi, storici dell’arte, intellettuali e giornalisti per indagare il fenomeno eruttivo dal punto di vista scientifico, geologico e sociale oltre a proporre una sorta di passeggiata virtuale all’interno delle sale della mostra.

“E’ una mostra che s’inserisce in pieno nella nostra tradizione espositiva- conclude Mario De Simoni, Presidente di Scuderie del Quirinale- fatta di rapporti internazionali di primo livello e di organico collegamento con i principali siti e istituzioni culturali italiane, in questo caso il Parco Archeologico di Pompei. Sempre a proposito delle attività che da sempre contraddistinguono Scuderie del Quirinale, anche per questa mostra abbiamo studiato specifiche proposte didattiche rivolte a differenti fasce d’età, a partire dai bambini di tre anni e un ricco programma di incontri e conferenze a cura di studiosi ed esperti di caratura internazionale”.

Il direttore  dell’Eforato delle Antichità delle Cicladi Demetris Athanasoulis ci ha dichiarato : L'Eforato delle Antichità delle Cicladi ha la responsabilità di gestire il patrimonio culturale delle isole Cicladi, che comprende monumenti e siti emblematici non solo per la Grecia ma per tutta la cultura europea.
Culla della cultura protocicladica, cuore dell’Atene classica, nucleo vitale dell'Impero bizantino, l'arcipelago delle Cicladi è disseminato di inestimabili tesori archeologici – dalla Preistoria al Medioevo – incastonati nella bellezza di un paesaggio straordinario.

 L'Eforato ha deciso di mettere in atto una politica espositiva rivolta verso l’esterno, con mostre in Grecia e all'estero che hanno l’obiettivo di promuovere il patrimonio monumentale delle Cicladi e di rendere l’antichità una fonte di cultura e sapere, ma anche di piacere e intrattenimento di qualità.

 La mostra "Pompei e Santorini. L'eternità in un giorno" presso le Scuderie del Quirinale a Roma è espressione di questa visione e si avvale di una novità assoluta: la collaborazione tra l'Eforato delle Antichità delle Cicladi e il Parco Archeologico di Pompei nel campo della ricerca e della promozione del patrimonio archeologico.

 I materiali provenienti dalla città preistorica di Akrotiri sull'isola di Thera (oggi Santorini), esposti per la prima volta al di fuori della Grecia, restituiscono il volto della “Pompei” dell'Egeo preistorico: una città sepolta dall'esplosione del vulcano Santorini nel 1613 a.C.

La cenere ha preservato i celebri affreschi preistorici, cicli unici e straordinariamente completi di grandi dipinti, insieme a numerosi altri reperti di cui potranno godere i romani e i visitatori della Città Eterna. 

I miei più sentiti e doverosi ringraziamenti al professor Christos Doumas, direttore degli scavi di Akrotiri, e a tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione della mostra: dall’Eforato delle Antichità delle Cicladi al Parco Archeologico di Pompei nella persona del direttore generale Massimo Osanna; dalle Scuderie del Quirinale con il loro direttore Matteo Lafranconi, alla ALES SpA di Luigi Gallo.

Crocevia di popoli, tradizioni e religioni diverse, luogo unico per la sua storia, segnata da stratificazioni millenarie, il Mediterraneo rivendica un’indiscussa centralità nella cultura occidentale.

Sulle sponde del Mare Nostrum sono sorte alcune tra le più grandi civiltà del passato che hanno segnato indelebilmente il corso del Tempo. Il loro sovrapporsi, ibridarsi, avvicendarsi è il soggetto principale dell’indagine archeologica, capace di offrire l’interpretazione contestuale di oggetti, spazi, pratiche e fenomeni di tipo sociale, economico e religioso.

Le diverse identità culturali che compongono l’elaborato mosaico del Mediterraneo antico, trovano ad Akrotiri, sull’isola di Santorini, e Pompei due casi emblematici. Investite da eruzioni simili, distanti più di 1700 anni l’una dall’altra, le città restituiscono edifici, affreschi, manufatti perfettamente conservati che permettono di resuscitare due civiltà ricche e complesse, evocando allo stesso modo la catastrofe che ha messo fine alla loro storia

.
La riscoperta delle città sepolte, inoltre, ha nutrito l’immaginario artistico, offrendosi al contempo come soggetto iconografico e spunto di riflessione per l’evocazione delle catastrofi naturali.

Nata nell’ambito di una collaborazione istituzionale fra il Parco Archeologico di Pompei e l’Eforia delle Cicladi -che prevede anche indagini sul campo, restauri e ricerche congiunte-realizzata da Scuderie del Quirinale-Ales, l’esposizione propone un confronto inedito fra i due siti antichi attraverso innovative ricostituzioni e la selezione di preziosi reperti, in molti casi mai presentati al pubblico.
La mostra, a fronte di un patrimonio dai sensi di lettura così complesso, rappresenta una risorsa straordinaria per offrire al pubblico un racconto inedito e godibile della storia.

Più di 300 oggetti, fra statue, affreschi, vasi, rilievi, gemme, incunaboli e quadri, ripercorrono un arco temporale che va dall’età del bronzo ai nostri giorni. Tramite un percorso concepito come una macchina del tempo, infatti, l’esposizione permette di evocare il passato e la sua sopravvivenza nel mondo contemporaneo.

 Davanti alla ricchezza e alla varietà delle opere antiche e moderne presenti nelle sale delle Scuderie del Quirinale, non possiamo esimerci da un ragionamento sui valori trasmessi dall'arte: l'appartenenza a una cultura più antica, il futuro che ci unisce tutti nell'eredità trasmessa dalla storia. come ha detto Massimo Osanna Direttore del Parco Archeologico di Pompei

Per Mario De Simoni Presidente Ales-Scuderie del Quirinale per ricordare e condividere il valore della cultura e della storia, le Scuderie del Quirinale–Ales organizzano e propongono una mostra ideata dal Parco Archeologico di Pompei in collaborazione con l’Eforato per le Antichità delle Cicladi.


Si conferma così sia la vocazione internazionale delle Scuderie, sia l’intelligenza dell’avvenuto organico collegamento con il sistema museale nazionale, collegamento qui esaltato dalla collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei.

 L’esposizione offre un confronto inedito fra due siti antichi: Pompei, investita dall’esplosione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo e riscoperta nella prima metà del Settecento, e Akrotiri, sull’isola di Santorini, distrutta a metà del II millennio avanti Cristo da una spaventosa eruzione e riportata alla luce nella seconda metà del Novecento.


Sono luoghi unici che occupano una posizione incomparabile nella coscienza collettiva, perché offrono un’immagine viva dell’antico, spesso difficilmente leggibile nella stratificazione storica.


Nelle città sepolte le spettacolari eruzioni hanno d’improvviso bloccato la storia, che riemerge dalle ceneri velatamente presente.
L’indagine archeologica ha permesso di conoscere e interpretare l’organizzazione sociale di due centri del Mediterraneo antico, restituendone il complesso patrimonio artistico e culturale.


Mondi lontanissimi da noi ritrovano forme, figure, colori, sapori, profumi, ritualità e attitudini nell’evocazione di fasti mai interamente dissolti.

Nelle sale monumentali delle Scuderie del Quirinale, trasfigurate da un allestimento immersivo che esalta più di 300 oggetti - fra statue, affreschi, vasi, rilievi, gemme, incunaboli e quadri – i preziosi reperti provenienti dalla Grecia,

datati a più di quattromila anni fa e mai esposti all’estero, dialogano con le straordinarie antichità pompeiane e con opere moderne e contemporanee, selezionate per il loro potere evocativo, evidenziando la persistenza dell’antico nell’immaginario artistico e la complessa riflessione dell’arte contemporanea sul tema della catastrofe.

Ci muoviamo così sino alle origini della nostra cultura, meditando sugli splendori e le fragilità dei nostri destini.




 

 

Lo scorso 20 settembre è venuto a mancare Claudio Misculin, attore, regista e padre dell’Accademia della Follia, il progetto culturale che ha rivoluzionato la concezione della follia negli anni della deistituzionalizzazione voluta da Franco Basaglia e che ancora oggi porta nel mondo artistico e culturale un’innovazione che non ha pari nel mondo.

Un teatro, un metodo teatrale nato fra le mura del manicomio di Trieste proprio ad opera di Misculin che fa del corpo il protagonista indiscusso di un training teatrale che ha l’intento di “realizzare la follia”.  Non parliamo di concetti “alla moda” come la teatro-terapia, concetti che spogliano l’uomo della sua dignità e della sua libertà, parliamo di matti veri che sono soprattutto attori professionisti.

La follia, come amava ripetere senza posa Misculin, è una risorsa, una ricchezza, è vita, è ciò che ci ricorda di essere umani, ma va saputa cavalcare. L’Accademia della follia è questo: ricostruzione di se stessi, ricostruzione di legami, testimonianza delle contraddizioni della società e Claudio Misculin è stato l’uomo che con la sua genialità e la sua follia ha regalato al mondo occhi nuovi per guardasi in quel grande specchio che è il teatro.

Sabato 28 settembre tutta Trieste darà il suo ultimo saluto al maestro Misculin. La giornata di dividerà in due momenti: dalle ore 10.00 alle ore 12.50 presso la Sala Azzurra del Cimitero di Sant'Anna, e dalle ore 15.00 video, musica, mostra di materiali dell'Accademia della Follia presso la Sala Ugo Guarino del Parco di San Giovanni, di fronte al roseto.

Alle ore 16:00 ritrovo al Teatrino Franca e Franco Basaglia, sempre nel Parco di San Giovanni, per il Saluto “spettacolare” dei matt-attori vecchi e nuovi, a cura dell'Accademia della Follia.

Dal 9 ottobre 2019 prende il via Canova. Eterna bellezza: una mostra-evento dedicata a Canova e al suo legame con la città di Roma che, fra Sette e Ottocento, diventò la fucina del suo genio e inesauribile fonte di ispirazione. Un rapporto, quello tra lo scultore e la città, che emerge in una miriade di aspetti, unici e irripetibili.

La mostra “Canova. Eterna bellezza”  - promossa dall’Assessorato alla Crescita culturale di Roma Capitale, prodotta dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Arthemisia, e organizzata con Zètema Progetto Cultura -  è curata da Giuseppe Pavanello e ospitata fino al 15 marzo 2020 al Museo di Roma. La mostra è realizzata in collaborazione con l’Accademia Nazionale di San Luca e con Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno.

Incorniciate all’interno di un allestimento di grande impatto visivo, oltre 170 opere di Canova e di alcuni artisti a lui coevi animano le sale del Museo di Roma in Palazzo Braschi. L’esposizione racconterà in 13 sezioni l’arte canoviana e il contesto che lo scultore trovò giungendo nell’Urbe nel 1779.

Attraverso ricercate soluzioni illuminotecniche, lungo il percorso espositivo sarà rievocata la calda atmosfera a lume di torcia con cui l’artista, a fine Settecento, mostrava le proprie opere agli ospiti, di notte, nell’atelier di via delle Colonnette.


A definire la trama del racconto, importanti prestiti provenienti, fra l’altro, dall’Ermitage di San Pietroburgo, i Musei Vaticani, la Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno, il Museo Civico di Bassano del Grappa, i Musei Capitolini, il Museo Correr di Venezia, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, le Accademie di Belle Arti di Bologna, di carrara e di Ravenna, l'Accademia Nazionale di San Luca, il Musée des Augustins di Tolosa, i Musei di Strada Nuova-Palazzo Tursi di Genova, il Museo Civico di Asolo.

Dai tesori dei Musei Capitolini a quelli dei Musei Vaticani, dalle raccolte dei Farnese e dei Ludovisi ai marmi inseriti nel contesto urbano dell’epoca, furono tantissime le opere che l’artista - rapito dal loro fascino - studiò minuziosamente, rendendole testimoni e protagoniste del suo stretto rapporto con la città.

In mostra si ripercorreranno gli itinerari compiuti dallo scultore alla scoperta di Roma, sin dal suo primo soggiorno. Sorprendenti, ad esempio, le sue parole di ammirazione nei confronti del gruppo di Apollo e Dafne di Bernini, visto a Villa Borghese, e riportate nei suoi Quaderni di viaggio.

Sarà inoltre possibile approfondire, attraverso la presentazione di disegni, bozzetti, modellini e gessi, anche di grande formato, il lavoro dell’artista per i grandi Monumenti funerari di Clemente XIV e di Clemente XIII, e per il Monumento agli ultimi Stuart; spicca tra essi, per la grande qualità esecutiva, il marmo del Genio funerario Rezzonico concesso in prestito dall’Ermitage di San Pietroburgo e il modellino del Monumento Stuart della Gypsotheca di Possagno.


1. 1779: Canova a Roma

2. La nascita del nuovo stile tragico

3. Canova e la Repubblica romana

4. Ercole e Lica

5. I Pugilatori

6. Il teorema perfetto: Antico e Moderno a confronto

7. Canova e l’Accademia di San Luca

8. Canova, Ispettore delle Belle Arti
9. Canova e i busti del Pantheon

10. Ultime opere per Roma

11. Lo studio di Canova

12. La Danzatrice

13. Morte e glorificazione


Il colloquio di Canova con il mondo classico è stato profondo e incise su istanze cruciali, prima fra tutte la volontà di far rinascere l’Antico nel Moderno e di plasmare il Moderno attraverso il filtro dell’Antico.

“L’Antico bisogna mandarselo in sangue – per usare le parole dello stesso Canova - sino a farlo diventare naturale come la vita stessa.”

Anche per tale motivo, lo scultore può essere considerato l’ultimo degli antichi e il primo dei moderni: si rifiutò sempre di realizzare copie di sculture classiche, reputandolo lavoro indegno di un artista creatore, così come non volle mai intervenire con restauri sui marmi antichi, “intoccabili” per definizione.

Il rapporto tra Antico e Moderno sarà rievocato in mostra attraverso il confronto dei marmi di Canova – tra i quali l’Amorino alato proveniente dall’Ermitage di San Pietroburgo – con marmi antichi come l’Eros Farnese del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Una sala accoglierà un focus sul tema del Classico e Neoclassico e accosterà gessi di celebri capolavori antichi a quelli di statue canoviane realizzate per il conte Alessandro Papafava. L’Apollo del Belvedere e il Gladiatore Borghese saranno messi a confronto con il Perseo trionfante e il Pugilatore Creugante di Antonio Canova.

Con l’arrivo di Canova, Roma si confermò centro dell’arte moderna: il Monumento di Clemente XIV, innalzato nella basilica dei Santi Apostoli nel 1787, fu subito acclamato come nuovo esempio di perfezione classica.

Al Museo di Roma si potranno ammirare magnifiche sculture e numerosi disegni, testimonianza dell’attività grafica dello scultore.

Le opere di Canova dialogheranno con quelle realizzate dai maggiori artisti attivi in città a fine Settecento: Gavin Hamilton, presente in mostra con le tele raffiguranti le Storie di Paride, Pompeo Batoni, del quale Canova frequentò l’Accademia di Nudo, Jean-François-Pierre Peyron, il cui Belisario che riceve ospitalità di un contadino (Tolosa, Musée des Augustins)

Canova commissionò numerosi busti a illustri scultori per dare un contributo sostanziale a uno dei più importanti progetti dell’epoca, la trasformazione del Pantheon da chiesa dedicata a Santa Maria ad Martyres in tempio laico dedicato agli artisti. Tra le opere in mostra, erano destinate al Pantheon il Busto di Domenico Cimarosa, ora nella Protomoteca Capitolina assieme a quello raffigurante Pio VII: sculture di straordinaria qualità esecutiva e interpretativa.

Una sezione importante sarà dedicata alla fervida attività dello studio canoviano di via San Giacomo: un’officina senza eguali per l’epoca. Bozzetti in terracotta, piccoli gessi, modelli di grande formato, marmi, e calchi in gesso di sculture già ultimate, costituivano una sorta di ‘antologica’ permanente della produzione del grande scultore. L’atelier di Canova era una tappa obbligata per artisti, aristocratici, intenditori e viaggiatori di passaggio nell’Urbe.


La mostra affronterà anche il rapporto tra lo scultore e la letteratura del suo tempo: una piccola sezione sarà dedicata alla relazione tra Canova e Alfieri, la cui tragedia Antigone, andata in scena a Roma nel 1782, presenta più di uno spunto di riflessione in rapporto alla rivoluzione figurativa canoviana.

In mostra (grazie ad un prestito istituzionale) ci sarà anche la rappresentazione di un episodio della più bella favola dei greci, secondo Voltaire, l'Amore e Psiche stanti, un gesso di Canova, tema oggetto di particolare attenzione da parte di numerosi artisti, pittori soprattutto, alla fine del Settecento, ma che solo Canova riuscì a reinventare connotandolo di significati filosofici. Una rielaborazione del mito in chiave eminentemente spirituale e che trascende i sensi.

Fieramente antigiacobino, Canova abbandonò Roma all’epoca della Repubblica alla fine del Settecento per rifugiarsi nella natia Possagno. Dipinti, sculture, disegni e incisioni documentano in mostra quel momento che vide la fine provvisoria del potere temporale del papato con l’esilio di Pio VI Braschi.

Canova fu incaricato di scolpire la statua di Pio VI, da collocare inizialmente sotto l’altare della Confessione nella Basilica Vaticana, quindi spostata nelle Grotte Vaticane: in mostra - all’interno del palazzo edificato a fine Settecento proprio per i nipoti di Papa Braschi - sarà possibile ammirare un modellino per il monumento.

Dal 1802 Canova fu Ispettore generale delle Belle Arti dello Stato della Chiesa, incarico che rivestì anche durante la seconda dominazione francese a Roma (1809-1814) e nell’epoca della Restaurazione, quando fu incaricato di recuperare le opere d’arte sottratte dai francesi alla fine del Settecento. Negli stessi anni, egli prese anche l’iniziativa di realizzare la statua della Religione, evocata in mostra con modelli in gesso provenienti dall’Accademia Nazionale di San Luca e dai Musei Vaticani. Ad essi si affiancheranno esemplari del Museo di Roma, come l’Autoritratto in gesso e i bozzetti in terracotta del Monumento a George Washington e del Ritratto di Leopoldina Esterhazy Liechtenstein.

Nell’ultima sala della mostra, uno dei marmi più straordinari di Canova: la Danzatrice con le mani sui fianchi, proveniente da San Pietroburgo. Gira sulla sua base, come voleva Canova desiderava, per di più in un ambiente rivestito di specchi. Si ripete il mito di Pigmalione, innamorato della sua statua, Galatea, che si anima: da marmo diventa carne.

Attraverso 30 fotografie di Mimmo Jodice che ritraggono i marmi di Antonio Canova, il pubblico potrà ammirare le opere dello scultore attraverso lo sguardo di uno dei più grandi maestri della fotografia. Jodice è riuscito a offrirne una rilettura del tutto inedita e sorprendente, creando una serie di immagini che si sono da subito imposte come una delle più emozionanti espressioni della fotografia contemporanea. Le immagini saranno una vera e propria mostra nella mostra, offrendo un’occasione unica per accostarsi allo scultore guidati dalla creatività di un grande artista di oggi.

Magister presenta la più contemporanea riproduzione in scala reale del gruppo scultoreo di Amore e Psiche giacente di Antonio Canova. A partire da una scansione 3d del gesso preparatorio della scultura oggi esposta al Louvre di Parigi, un robot ha scolpito incessantemente per 270 ore un blocco di marmo bianco di Carrara di 10 tonnellate.

L’installazione di grande potenza emotiva, ideata da Magister e realizzata in collaborazione con Robotor, apre una nuova sfida sui paradigmi della riproducibilità delle opere d’arte: la riproduzione è infatti da leggersi come forma di rispetto per il pensiero dell’artista ed esprime l’aspirazione contemporanea a valorizzarne ancora una volta l’estro creativo.

Ad accompagnare l’installazione, un documentario sulla realizzazione dell’opera e un racconto video della fiaba di Amore e Psiche di Apuleio, in un percorso tra spettacolo e approfondimento, un racconto sui testi di Giuliano Pisani, con la voce di Adriano Giannini e la musica originale del violoncellista Giovanni Sollima.

La mostra Canova. Eterna bellezza vede come sponsor Generali Italia con il progetto Valore Cultura, il programma per promuove l’arte e la cultura su tutto il territorio italiano e avvicinare un pubblico vasto e trasversale - famiglie, giovani, clienti e dipendenti - al mondo dell’arte attraverso l’ingresso agevolato a mostre, spettacoli teatrali, eventi e attività di divulgazione artistico-culturali con lo scopo di creare valore condiviso.

Special partner Ricola, partner Magister, a brand of Cose Belle d’Italia con Robotor, sponsor tecnico Siat, con il contributo tecnico di Ferrovie dello Stato.

L’evento è consigliato da Sky Arte Catalogo edito da Silvana Editoriale.

A partire dal 7 dicembre 2019, la Pinacoteca De Nittis di Barletta ospiterà la mostra Boldini. L’incantesimo della pittura. Capolavori dal Museo Boldini di Ferrara. Si tratta della prima monografica mai dedicata in Puglia al celebre ritrattista, collega di Giuseppe De Nittis a Parigi, frutto di un virtuoso scambio tra istituzioni civiche simili per storia, natura e vocazione: il Museo Giovanni Boldini di Ferrara e la Pinacoteca – Casa De Nittis di Barletta.
Tra i protagonisti indiscussi della pittura italiana ed europea a cavallo tra Ottocento e Novecento, Giovanni Boldini (Ferrara 1842 – Parigi 1931) è stato uno dei più celebri ritrattisti della Belle Époque assieme a James McNeill Whistler, John Singer Sargent e Joaquín Sorolla e ha immortalato i protagonisti del tempo, da Robert de Montesquiou alla marchesa Luisa Casati, facendo di loro l’immagine stessa di quel momento storico e culturale. Boldini annovera una parabola artistica avvincente e complessa che va oltre il ritratto: il suo talento si è espresso in ogni genere e tecnica, dalla veduta alla natura morta, dalla pittura alla grafica, come dimostrano testimonianze figurative di straordinario fascino e forza, imprescindibili per comprendere l’opera dell’artista nella sua totalità.
Nato a Ferrara nel 1842, si trasferisce nella più vivace e cosmopolita Firenze all’età di 22 anni. Qui, grazie anche alla vicinanza alle poetiche del vero promosse dai “macchaioli”, si distingue per un’interpretazione libera e personale del ritratto. Dopo un breve soggiorno di sei mesi a Londra nell’ottobre del 1871, Boldini si sposta a Parigi, dove rimane fino alla morte, facendo della capitale francese la sua seconda patria. Grazie ad uno spiccato talento, studia e assorbe le differenti tendenze artistiche in voga al tempo: dalla pittura di genere e in costume di Mariano Fortuny e Ernest Meissonier di cui, durante gli anni Settanta, diviene l’erede, a quella di paesaggio e soprattutto di vita moderna della quale offre una personale declinazione facendo tesoro delle innovative lezioni di Eduard Manet e Edgar Degas, oltre che delle poetiche dell’impressionismo.


Grazie a queste esperienze, ma anche ad una vasta cultura del museo, Boldini sviluppa uno stile originale e sofisticato con il quale rinnova l’antica pratica del ritratto, genere al quale si dedica in maniera pressoché esclusiva a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento divenendo, anche grazie a una notevole capacità imprenditoriale, uno dei più richiesti interpreti del ritratto di società. Contestualmente, l’artista si dedica a interessanti declinazioni di una pittura di oggetti e luoghi a lui cari, non destinata al mercato e caratterizzata da uno stile personalissimo, emblematica della sensibilità della fin de siècle: fra tutti, gli affascinanti interni della sua casa e atelier o le vibranti vedute della laguna di Venezia.
Frutto di una collaborazione che permetterà la realizzazione di una grande mostra dedicata a De Nittis al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, la rassegna Boldini. L’incantesimo della pittura intende presentare l’opera di questo grande maestro in ogni aspetto e ambito della sua produzione, dal paesaggio alla natura morta, dalle vedute di città al ritratto, sia quello intimo che ritrae amici e colleghi, che quello di società che gli ha regalato successo e fortuna. Grazie all’ampiezza della collezione del Museo Boldini di Ferrara – la più estesa e rappresentativa raccolta pubblica intitolata al maestro – una straordinaria selezione di quasi 70 opere permetterà di ripercorrere, in maniera esaustiva, i principali snodi della sua vicenda artistica, dalle vibranti prove degli anni fiorentini ai grandi dipinti della maturità, iconici capolavori della Belle Époque come il Piccolo Subercaseaux, i ritratti “alla moda” della Contessa de Leusse, della Principessa Eulalia e Fuoco d’artificio o la magnetica effigie della Signora in rosa, emblematica di una nuova rappresentazione, nervosa ed elegante, della femminilità moderna.
Le due mostre organizzate a Barletta e Ferrara rappresentano l’epilogo virtuoso di un progetto a lungo meditato e fortemente voluto dalle due Istituzioni museali e la piena attuazione di un proficuo scambio culturale e professionale tra enti pubblici.
“Il patrimonio artistico è un bene comune e in quanto tale è importante che sia ammirato e apprezzato da tanti – ha detto il sindaco di Barletta, Cosimo Cannito – e in sedi prestigiose come il Palazzo dei Diamanti di Ferrara o Palazzo Della Marra a Barletta, vista anche l’affinità degli artisti di cui si tratta e i progetti di ricerca del Museo Giovanni Boldini e della nostra Pinacoteca”. “Per De Nittis abbiamo grandi ambizioni, su tutte quella di conferirgli la giusta dimensione internazionale – ha concluso il primo cittadino – quella stessa che caratterizzò l’opera e la vita dell’artista barlettano”.

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