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La Spagna alla conquista del mondo nel segno di Maria

Sabato scorso proprio nel giorno dedicato alla Madonna di Guadalupe ho finito di leggere il libro, “Una Storia unica. Da Saragozza a Guadalupe”, di Angela Pellicciari, Edizioni Cantagalli (2019). Chissà se è un segnale che viene dall’alto.

Sicuramente la storia raccontata dalla scrittrice marchigiana è nel segno della Vergine Maria Madre di Dio.

In poche pagine (centocinquanta) l’autrice riesce a sintetizzare una grande storia, probabilmente unica. Si tratta della liberazione della Spagna, dal dominio musulmano, per la difesa con eroismo di un grande patrimonio di fede, di cultura e di civiltà ereditate dall’epoca romana.

 In un’epoca come l’attuale, molto “suscettibile” in tema di rapporti con l’islam, il libro di Angela Pellicciari decisamente non può non accendere qualche curiosità o polemica. “Se si pensa che la riconquista sia il frutto di arcaismo, superstizione, intolleranza e povertà, inevitabilmente si finisce col ritenere che la Spagna musulmana fosse un modello di tolleranza, apertura culturale, modernità e ricchezza […] il disprezzo per la storia della cattolica Spagna rende incomprensibili due fatti rilevanti, quanto unici, che restano senza spiegazione:

– come mai la Spagna ha saputo non solo mantenere la fede sotto l’occupazione musulmana (anche la Grecia e l’Armenia l’hanno fatto) ma anche, caso unico al mondo, è stata capace di liberarsi dal giogo islamico;

– come mai la Spagna è riuscita in pochissimo tempo a evangelizzare e latinizzare un intero continente».

La risposta a questi interrogativi si trova nel libro della Pellicciari: la forza della Spagna cattolica fu davvero la fede. Non la violenza, non il sopruso, non l’avidità, non la brama di potere e di proselitismo, come invece si sono rassegnati a pensare anche molti cattolici. E pensare che all’epoca (1496, a riconquista appena ultimata) fu il Papa in persona a «gratificare i sovrani spagnoli con un titolo prestigioso, mai utilizzato fino ad allora», quello di “Re Cattolici”, ricorda la Pellicciari.

La Pellicciari inizia da un episodio, frutto della tradizione. Nei primi anni quaranta dell’epoca cristiana, la Vergine Maria appare su una colonna a Giacomo presso Saragozza. Da qui nasce l’immagine venerata attraverso i secoli, la Vergin del Pilar, patrona della Spagna.

Il primo a parlarne di questo miracolo è Isidoro di Siviglia; tuttavia, il miracolo per eccellenza da collegare alla Vergine della Colonna, è quello capitato a un contadino che aveva subito l’amputazione di una gamba, miracolosamente riavuta dalla Madonna.

Il libro affronta i vari passaggi della difficile riconquista dei cristiani spagnoli del proprio territorio occupato dagli eserciti musulmani, a partire dal regno delle Asturie, dalla sperduta grotta di Covadonga (Grotta di Nostra Signora). Da qui inizia la reqonquista, del territorio spagnolo.

I re e le regine a cominciare da Alfonso I, che guidarono questa riconquista sono ricordati “chi come santo, chi come giusto, chi come casto, chi come cattolico. Perché il regno delle Asturie nasce fin dall’inizio in difesa della fede e delle virtù che da questa scaturiscono”. Questi sovrani che difendono la fede cristiana hanno il diritto e dovere della riconquista. Anche perché hanno la protezione celeste, per mezzo di S. Giacomo che riposa nel “campus stellae”, a Compostella.

Il primo a sperimentare l’efficacia di questa protezione del santo patrono è il re Ramiro I delle Asturie. Da allora il grido di guerra degli spagnoli contro i mori sarà: “Santiago y cierra! Espana!”. Santiago Matamoros, Giacomo uccisore dei mori. Intanto, Oviedo diventa la capitale religiosa e politica dell’intera Spagna. E se nelle Asturie “è tutto un fervore di fede, di ricostruzione, di ripopolamento, di strenua difesa della libertà, nell’emirato di Cordoba è tempo di martirio. Schiacciati dall’oppressione del governo musulmano, i cristiani danno testimonianza nell’unico modo che è loro concesso: col sangue”. La Pellicciari racconta della decapitazione di un sacerdote, Perfecto, che nell’850 ha osato sfidare i musulmani, definendo Maometto, un falso profeta. Dopo di lui, altri 49 cristiani, hanno affrontato con coraggio il martirio.

Per la riconquista della Spagna ci sono voluti settecento e ottantuno anni. In questi lunghi secoli succede di tutto, scrive la Pellicciari. “Il fronte cristiano che si scompone e ricompone e il mondo musulmano che attraversa periodi di grande decadenza e lotte intestine per poi tornare a riprendere vigore con nuove dinastie”.

In questo lungo periodo si susseguono personaggi e battaglie di grande valore simbolico. A cominciare della riconquista di Toledo, l’antica capitale, con le eroiche gesta di Rodrigo Diaz, El Cid Campeador, l’uomo valoroso per antonomasia, intrepido, libero, fedele, forte, che segna l’immaginario collettivo spagnolo attraverso l’epica narrazione delle sue gesta nel poema “El Cantar de mio Cid”.

Inoltre, la storica segnala che in questo periodo, nasce in Spagna, la prima specie di parlamento, nato proprio nel 1188, quando Alfonso IX istituisce le Cortes di Leon, un prototipo di parlamento.

Intanto, il Portogallo diventato regno indipendente, inizia le spedizioni sul mare, alla scoperta di nuove terre. Una delle personalità a distinguersi è Enrico il Navigatore.

Ritornando alla Spagna, alla sua riconquista, si tratta di una storia che vale la pena raccontare per Angela Pellicciari. La Chiesa è al centro di questa riconquista, un’impresa incredibile, resa possibile soltanto dalla fede, non certo dalla superiorità militare o dal calcolo di convenienza. Scrive la Pellicciari raccontando la riconquista:

«La Castiglia si forma così: vescovi e monaci, contadini-soldati liberi, città romane ripopolate, roccaforti costruite a presidio del territorio, con la chiesa sempre al centro. Un reticolo di fede, di interessi, di imprese, di attività, che si organizzano per ripopolare, difendere, estendere il territorio strappato ai mori e riguadagnato a Cristo. Per riconquistare la Spagna. Per tornare a vivere liberi, ritrovando la bellezza della cultura romano-cristiana». Tutto questo può accadere grazie all’opera grandiosa di due sovrani, giovani e belli: Isabella e Ferdinando. Due sovrani che hanno saputo amministrare e rendere grande la Spagna, ma anche che hanno saputo dare l’impulso a riformare la Chiesa. Quando ci sarà tempo dovrò presentare l’impareggiabile studio di Jean Dumont, “La regina diffamata”, (SEI, 2003), “Santa o diabolica?” La verità su Isabella la Cattolica, un libro che smonta “la leggenda nera” sulla sovrana di Spagna.

Comunque sia per la Pellicciari, gli spagnoli applicano gli stessi metodi della riconquista alla conquista delle Indie. Infatti, «Non si capisce la conquista senza la riconquista. Perché gli spagnoli applicano in entrambi i casi un modello consolidato: si comportano nella conquista delle Indie come al tempo della riconquista quando c’era da ripopolare i territori sottratti ai mori. Appena si prende possesso di un posto gli si dà un nome, si traccia un minimo di pianta del futuro centro abitato, si costruisce la chiesa, il municipio, la piazza e, intorno, le strade e le case».

Un’altra sorpresa offerta dal libro della Pellicciari è il continuo riferimento al legame tra fede e ragione contenuto nelle Istruzioni inviate ai conquistadores dalla regina Isabella, per la quale l’autrice ha un debole evidente.

«Per rendere possibile e facilitare il superamento dell’arretratezza culturale degli indios, Ferdinando ed Isabella promuovono il matrimonio fra indiani e cristiani: “Che alcuni cristiani si sposino con alcune donne indie, e le donne cristiane con alcuni indios in modo che gli uni e gli altri si aiutino e si insegnino a vicenda, così da conoscere sia la nostra religione sia come lavorare le terre e condurre le proprietà in modo che gli indios e le indie possano vivere come uomini e donne dotati di ragione”. Il diffuso meticciato scaturito dalle indicazioni della corona dà origine a una nuova civiltà, la civiltà indio-latina, con la sua marcata, allegra e vivace originalità, sia artistica che artigianale».

La Pellicciari spiega come i cattolici spagnoli difesero, anche con le armi, anche con la «guerra giusta», le popolazioni indie più deboli dalle altre tribù che le attaccavano, le schiavizzavano, le mangiavano.

«La descrizione delle atrocità commesse in nome degli dèi è così spaventosa che, per capire la rapidità e la stessa possibilità della conquista, vale la pena di leggere alcuni brani dei racconti che ci hanno tramandato gli esterrefatti soldati e religiosi spagnoli. Il soldato Bernal Díaz del Castillo così racconta i primi tempi dell’esplorazione dello Yucatan nel 1517: in un’isoletta “abbiamo trovato due case ben lavorate, davanti ad ogni casa c’erano alcuni gradini da cui si accedeva a degli altari, su quegli altari c’erano idoli di figure malvagie, che erano i loro dèi. Lì in quella notte erano stati sacrificati 5 indios, i cui petti erano stati squarciati, le braccia e le gambe tagliate, le pareti delle case erano piene di sangue”.

Poco lontano da lì, altro orrore. Durante una ricognizione nelle vicinanze di Tenochtitlán i soldati si imbattono in “templi in cui erano stati sacrificati uomini e ragazzi, e le pareti e gli altari dei loro idoli erano pieni di sangue, e i cuori offerti agli idoli; hanno anche trovato i coltelli di selce con cui aprono i corpi per estrarne il cuore. Pedro de Alvarado ha detto che tutti quei corpi erano senza braccia e senza gambe, e che gli indios hanno spiegato che li avevano tagliati per mangiarseli; i nostri soldati sono rimasti inorriditi da tanta crudeltà. E smettiamo di parlare di tanto sacrificio, perché da lì in poi in ogni città non abbiamo trovato altro”».

Secondo la Pellicciari la colonizzazione per i re cattolici di Spagna significava liberazione attraverso l’evangelizzazione. Tanto è vero che il divieto di ridurre in schiavitù gli indios da parte dei sovrani iberici anticipò di trent’anni la condanna della pratica da parte dei papi.

«A maggior ragione Isabella è fermissima contro la mentalità schiavista che rischia di affermarsi nelle nuove provincie sulla scia delle idee e del comportamento di Colombo. Anche se oggi è difficile crederlo, Isabella ordina, sì, la colonizzazione di territori enormi e lontani, ma la sua motivazione principale è l’evangelizzazione. Isabella desidera e, per quanto può, ordina che il Vangelo sia predicato nelle Indie e che ciò avvenga in condizioni di libertà».

In conclusione il testo descrive la straordinaria vicenda dell’apparizione a Juan Diego Cuauhtlatoatzin (letteralmente “aquila che parla”) della Madonna a Guadalupe e della costruzione del santuario. La Pellicciari lascia intendere concludendo il libro, l’apparizione della Madonna potrebbe apparirebbe fuori contesto se non fosse che in quel 1531 «l’adesione al cristianesimo da parte degli indiani è entusiasta. Gli indios hanno sete della dottrina cristiana e fanno chilometri per ascoltare le prediche dei loro catechisti».

La Vergine è apparsa il 12 dicembre 1531, col volto di colore bruno come gli indios (la si chiamerà morenita), con le mani giunte sul petto leggermente rigonfio perché incinta dei suoi figli americani. “Gli spagnoli – scrive Pellicciari – hanno ragione: hanno davvero portato la regina del cielo e suo figlio”.

L’ultima appendice del volume è proprio la ricostruzione del caso stesa in forma quasi poetica dall’azteco Antonio Valeriano. Altra bella sorpresa. E un utile ripasso per ex scolari male indottrinati.

 

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