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Ospedale da campo

«Io vedo con chiarezza — prosegue — che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».

Anche i lettori più distratti avranno riconosciuto, nell’incipit iniziale, le parole pronunciate da Papa Francesco, nell’ormai celebre intervista rilasciata alla Civiltà Cattolica lo scorso 19 agosto, per fotografare con una metafora riuscitissima la situazione attuale della Chiesa. Volendo rispondere affermativamente all’auspicio del pontefice di curare le ferite partendo dal basso, credo sia utile cominciare, come fa ogni buon “medico”, a esaminare queste ferite; capirne la forma, cercare d’individuarne le cause, per meglio iniziare il processo di guarigione”. In pratica, per predisporre una cura adeguata, dobbiamo prima eseguire una diagnosi corretta del problema.

In altre parole, e fuor di metafora, solo conoscendo il quadro, lo sfondo, la cornice entro la quale si muove l’uomo—ed anche il cattolico— contemporaneo, cioè postmoderno, possiamo descrivere adeguatamente i problemi e individuare le soluzioni che, inevitabilmente, sono condizionate dal quadro d’insieme. Allora, chiediamoci: chi è l’uomo postmoderno, quello cui la Chiesa di Francesco deve rispondere? E’ un signore intorno al quale, cinque secoli di processo rivoluzionario hanno finito per creare un’atmosfera, un insieme di tendenze, d’idee, di fatti, totalmente in oppositionem, alle categorie del mondo classico—cristiano dalle quali è nata l’odierna civiltà occidentale. L’uomo coevo, dunque, nega l’esistenza di un ordine di cose, alle quali deve conformarsi per vivere bene; è un uomo al quale è stato inculcato —usque a nauseam— l’identità di essere e pensiero, avviando la dissoluzione —in realtà solo apparente— del principio di non contraddizione, abolendo, di fatto, ogni criterio per distinguere il vero dal falso. Significativamente, a riguardo, così scrisse uno dei guru del 68’, Herbert Marcuse (1898—1979): “L’affermazione del principio di identità e non contraddizione è la radice del fascismo orrido e immenso.”Ben diversa, è la considerazione del padre domenicano Giuseppe Barzaghi: “Il principio di non contraddizione è il trasparire nella nostra mente a modo di enunciato primo della legge assoluta dell’Essere, che è Dio stesso, perché Dio è l’Essere per sé sussistente." Non vi è pilastro della nostra civiltà, che l’uomo postmoderno non abbia messo in discussione: dalla metafisica all’aristotelismo; da San Girolamo (340—419/20) a tutta la patristica; neanche i due giganti del pensiero cattolico, Tommaso D’Aquino e Agostino d’Ippona si sono salvati. Per restare al campo filosofico— venuto meno il principio di non contraddizione—non poteva restare immune, logicamente…, nemmeno quel mirabile edificio costituito dalla sintesi del cristianesimo col pensiero platonico, che per secoli ha scandito la nostra vita. In esso, la verità e il quadro assiologico —valoriale— di riferimento, avevano la prevalenza sui sentimenti e il conseguente emotivismo: perciò, mai sarebbe stato possibile togliere— in quel contesto culturale— il pane e l’acqua a Eluana Englaro (1970—2009), definendo, colmo dell’ironia, umanitario un tale gesto. L’intelligenza, proprio nel senso etimologico di andare dentro le cose, nel mondo classico spesso prevaleva sulla volontà; oggi, con la modernità, la volontà è degenerata –per dirla con Fabro— in wille zur macht, cioè nella nicceana volontà di potenza, la quale non può essere condizionata da nulla nella sua attuazione e meno che mai da considerazioni di ordine morale. Ugualmente, nel mondo postmoderno possiamo rilevare, rispetto a quello classico—cristiano, la progressiva insignificanza di valori come lo spirito, il dominio di sé e dei propri istinti, dell’unità, dell’eternità Ecc. Diversamente, è un plebiscito per i sentimenti slegati da ogni quadro veritativo, per le emozioni forti —anche a costo di mettere in pericolo la vita per futili motivi—, per il piacere fine a se stesso, per una logica contraddittoria secondo la quale posso affermare, nello stesso tempo, tutto e il suo contrario. La Chiesa di Francesco, dunque, deve cercare di “guarire”un uomo particolarmente “ferito” dalla cultura contemporanea di matrice nichilista; una cultura “sazia e disperata”, ben “fotografata”da una battuta folgorante dell’attore e umorista americano Woody Allen: ” Dio è morto, Marx è morto…E anch’io oggi non mi sento molto bene”. Questa è una diagnosi, purtroppo, che può andar bene alla maggior parte di noi: a partire da chi scrive, naturalmente! Il nostro è un mondo alla disperata ricerca di senso...

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