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Domenica, 12 Maggio 2024

Il ministro della Difesa Guido Crosetto torna sulle sue recenti dichiarazioni sulla magistratura, quando aveva parlato di "opposizione giudiziaria al governo". Nell'informativa urgente alla Camera spiega che gli "era stato riferito che in varie riunioni ufficiali della magistratura e congressi venivano dette delle cose che dovevano sollevare preoccupazioni istituzionali, un dibattito. Il mio non è stato un attacco alla magistratura, le mie sono state riflessioni e preoccupazioni riguardo ad alcune tendenze che vedo emergere non in modo carbonaro ma in modo molto evidente".

Ho ascoltato quattro ore di dibattito di un congresso di una delle correnti dei magistrati. La cosa che mi ha colpito di più, negativamente per il mio Paese, era il senso di attacco che vivevano questi magistrati. Sarebbe l'ora di costruire un tavolo di pace nel quale si definiscono le regole per la convivenza per i prossimi anni. Noi non possiamo aver portato avanti questo scontro dal 1994 a oggi, senza riportare la discussione all'interno di quest'aula che è il luogo, secondo quanto stabilisce la Costituzione, dove le regole vengono fatte e dove il popolo trova la sua sostanziale rappresentanza".

"Il mio non è stato un attacco alla magistratura. Le mie sono state alcune riflessioni e preoccupazioni riguardo ad alcune tendenze che vedo emergere non in modo carbonaro ma in modo molto evidente". Lo ha detto il ministro della Difesa, Guido Crosetto in aula alla Camera per l'informativa urgente del governo in merito alle sue recenti dichiarazioni sulla magistratura rilasciate alla stampa.

"Penso sia legittimo che noi ci chiediamo e definiamo, con questo Parlamento e non il governo, le regole entro le quali si confrontano, interagiscono, lavorano i poteri dello Stato: la rappresentanza appartiene alla politica", ha aggiunto il ministro. "La rappresentanza non appartiene alla magistratura e neppure all'Esecutivo: appartiene per la Costituzione a quest'aula e a quella del Senato, appartiene al Parlamento".

"Io penso sia importante se noi vogliamo uscire dallo stallo in cui la politica italiana è da quasi 30 anni, uscire da questo scontro pregiudiziale tra politica e magistratura, definendo le regole entro le quali si muovono il potere esecutivo, legislativo e giudiziario. La volontà popolare risiede qui. La volontà popolare e le Camere fanno le leggi" ha poi aggiunto il ministro "io penso che tutti gli organi costituzionali devono operare nella libertà e nella tranquillità istituzionale e che nessuno debba sentirsi sotto attacco dall'altro o limitato. Per questo alcune dichiarazioni mi hanno preoccupato".

"Io non sono un esperto di diritto costituzionale. Ma rispetto le istituzioni a differenza di qualche presente. - ha chiarito il ministro - Penso sia legittimo che questo Parlamento definisca le regole in cui i poteri dello Stato interagiscono. La rappresentanza appartiene alla politica. Non appartiene alla magistratura né al potere esecutivo. La rappresentanza appartiene a quest'aula e a quella del Senato".

"Principio base è prevedibilità giudizio e alcune frasi magistrati la minano" Uno dei "principi base" su cui "poggia la democrazia" è la "prevedibilità del giudizio e i termini in cui abbiamo sentito parlare prima, della giurisprudenza come contrapposta alla legge mina la prevedibilità del giudizio", ha concluso il ministro della Difesa,, dopo aver letto alcune frasi di magistrati che, ha affermato, destano "preoccupazione". "Quando la legge diventa un accessorio perche' la giurisdizione pensa che qualcuno possa superarla io mi faccio una domanda che si facevano i latini 'quis custodiet custodes'?, chi decide in quel momento qual è la linea da seguire?". Per Crosetto la legge la decide il "Parlamento", non la magistratura, come prescrive la "Costituzione".

 

Fonte tg24 / agi

 

 

Apertura dei lavori: Margherita Boniver (Presidente della Fondazione Bettino Craxi ETS).
Introduce: Giovanni Orsina (Luiss “Guido Carli” - Presidente Comitato storico-scientifico della Fondazione Bettino Craxi ETS).
"Presentazione del volume "Craxi Andreotti. Politiche, stili e visioni tra conflitti e collaborazioni".
Sono intervenuti: Stefania Craxi, Fabio Martini, Umberto Ranieri, Claudio Signorile, Francesco Verderami, Stefano Andreotti.

Si può affermare che la politica italiana degli ultimi trent’anni è un film che non sarebbe decollato senza Craxi e Andreotti. Nonostante l’immensa diversità, sono stati negli anni ’80 i pilastri della politica estera italiana nel suo momento di maggior successo, quando insieme, lavorando solo di diplomazia, avevano reso la penisola la vera potenza locale nel Mediterraneo. Di quella fase e del loro peso hanno discusso ieri in un convegno organizzato al Senato dalla fondazione Craxi storici, giornalisti, intellettuali assieme a Stefano Andreotti e Stefania Craxi, i figli dei due statisti.

Un forte atlantismo, "coniugato con dignità e grande indipendenza" per usare le parole della presidente della Fondazione, Margherita Boniver li ha uniti: sul fronte internazionale le differenze, se c’erano, riguardavano lo stile, non la sostanza. Andreotti fu d’accordo anche nella mossa più drastica dell’allora premier Craxi: quell’ordine, impartito ai carabinieri, di circondare a Sigonella i marines che circondavano a loro volta l’aereo che doveva portare in salvo il terrorista palestinese leader del gruppo responsabile del dirottamento della nave da crociera Achille Lauro e della morte di un passeggero statunitense.

Il rapporto con i palestinesi, del resto, era sì sincero, ma anche strategico: era una delle leve che permettano di oliare i rapporti con i paesi arabi. Quella politica si basava soprattutto su un rapporto con il mondo arabo e con i paesi mediorientali produttori di petrolio molto più stretto di quanto non gradissero, per ragioni politiche, gli americani e per ragioni di competizione energetica inglesi e francesi. Con il senno di poi non si può non concludere che quella linea fu vincente: "Volevano ritagliare un ruolo importante del nostro paese per la pace nel mondo", sottolinea Stefano Andreotti .

Ricorda ancora Stefano –  il rispetto era profondo e sopravvisse allo tsunami di tangentopoli: "Fino all’ultimo – continua – papà cercò nei limiti delle sue possibilità di trovare una soluzione umanitaria per consentire a Craxi di curarsi in Italia". Allora l’eco di Tangentopoli era ancora troppo fragoroso perché ci riuscisse. Oggi forse inizia ad essere possibile valutare gli anni ottanta, gli anni di Craxi-Andreotti con maggiore lucidità e obiettività. Mentre gli storici concordano sul fatto che Bettino "fu vittima del sistema che voleva riformare", la figlia Stefania sorride amaramente: "Andò in Tunisia non solo perché temeva il carcere, ma aveva pure paura di essere ucciso in prigione". Sospira: "Dopo la sua morte in esilio – dichiara – Andreotti ha partecipato ad ogni iniziativa che ho fatto per mio padre".

Il dibattito è stato organizzato  da Fondazione Bettino Craxi e Franco Angeli editore.
Due uomini siffatti perno dell’intero sistema politico e con loro la memoria di ciò che è stato, anzi la memoria di ciò che siamo stati. La fondazione dedicata allo studio del pensiero e dell’azione politica di Bettino Craxi tenta di colmare questo vuoto con una giornata di studio e riflessione su Bettino Craxi e Giulio Andreotti, protagonisti di rilievo del panorama politico-istituzionale italiano per un lungo tratto di storia del secondo Novecento.

L'iniziativa muove dall’ambizione di proporre una prima e originale analisi storico-scientifica a carattere comparato tra due figure che nel corso della loro lunga esperienza pubblica hanno alternato fasi di vicinanza politica e umana a momenti di conflittualità esasperata.Coadiuvata dalla presenza fra i relatori di personalità del mondo accademico, la Fondazione tratteggia un approccio inedito nel contesto della ricerca storiografica, offrendo le chiavi interpretative utili a riflettere in parallelo sulle visioni politico-istituzionali, sulle ricette economiche, sugli orientamenti di politica internazionale che hanno nutrito le visioni dell’esponente socialista e di quello democristiano in merito al futuro del Paese nel contesto della modernità globale.

 

 

 

Una alleanza per 'l'Indipendenza' nel nome della Costituzione "dove c'è anche traccia di Giovanni Gentile". Una alleanza "che non può che portarci a vincere". Gianni Alemanno scommette sul futuro del suo nuovo movimento -'Indipendenza' appunto il nome scelto- che sottoscrive a Roma l'intesa con l'ex  comunista Marco Rizzo. Formazione nuova di cui l'ex sindaco di Roma, ha svelato ieri simbolo (con fiocco tricolore) e programma e che potrebbe essere già in campo alle prossime europee. Un raggruppamento 'multipolare' che vede insieme ex di An, come Fabio Granata e Marcello Taglialatela, l'ex Casapound Simone Di Stefano, Massimo Arlechino, anche lui ex An e ideatore del simbolo. E personaggi appunto come Rizzo e Francesco Toscano, del gruppo di 'Democrazia sovrana e popolare'. Converge anche Cateno De Luca, sindaco di Taormina, presente in sala e tra gli intervenuti. Non manca un ex leghista come il veneto Vito Comencini, che promette il suo appoggio per le battaglie "identitarie".

L'ex rifondazione comunista scandisce il programma: "Vogliamo un'Italia indipendente che non faccia parte della Nato e dell'Ue, che non sia sotto la dittatura dell'euro". Critiche al premier arrivano anche dall'ex leghista veneto, Vito Comencini.

Il percorso è iniziato mesi fa: si è partiti dal comitato 'Fermare la Guerra' - che, ispirato dalle parole di Papa Francesco, chiedeva la risoluzione del conflitto tra Russia e Ucraina -, per arrivare al 'Forum dell’Indipendenza Italiana'. Alemanno è stato portavoce di entrambi e oggi si propone come ariete del nascente movimento che però sarà incentrato soprattutto sul "Noi". Un partito che andrà oltre destra e sinistra e che cercherà di parlare anche con il mondo del dissenso attirato da alcuni temi. Tra questi spiccano sicuramente il rifiuto dell'europeismo sfrenato e, soprattutto, dell'atlantismo e dell'iper atlantismo. "Uno dei 5 pilastri su cui si fondano i principi del nostro nostro movimento è la Dottrina sociale Cattolica", ricorda parlando con l'AGI Alemanno che non nasconde di essere stato ispirato più volte dalle parole di Papa Francesco sul mondo multipolare.

Non sarà un partito cattolico in senso stretto, ma un movimento che guarderà con grande interesse al mondo dei credenti e avrà, tra i fari, la Dottrina sociale della Chiesa. Unirà alcune battaglie identitarie a difesa della famiglia tradizionale, della vita e contro l'aborto alla lotta per il diritto delle classi più svantaggiate e di una borghesia ormai schiacciata dalla grande finanza industriale e dalle multinazionali. Valori di destra dunque, ma idee di sinistra (citazione by Diego Fusaro, controverso filosofo torinese).

La nuova creatura politica di Gianni Alemanno è pronta ad esordire (non si sa ancora se già alle elezioni europee del giugno 2024) e a stupire (l'obiettivo non dichiarato è superare l'asticella del 4%). Si chiamerà 'Movimento dell'Indipendenza Italiana' e, a farne parte, oltre all'ex sindaco di Roma ed ex ministro dell'Agricoltura, ci saranno, tra gli altri, l'ex CasaPound Simone Di Stefano; Massimo Arlechino, già ideatore del simbolo di Alleanza Nazionale, gli ex An Fabio Granata e Marcello Taglialatela e Nicola Colosimo, portavoce dei giovani di 'Magnitudo'.

"L’Italia, per posizionarsi in un mondo multipolare, deve rilanciare il proprio rapporto con i paesi Brics Plus, sviluppando progetti di cooperazione economica, finanziaria e culturale, nel quadro di un positivo e rispettoso rapporto tra Occidente e Oriente, e cercando di coinvolgere le altre Nazioni europee in questi progetti con il 'Sud globale' che è uno spazio abitato da 6.4 miliardi di persone e che rappresenta un grande mercato potenziale per il nostro paese", si legge ancora nel documento. E, per fare questo, "bisogna mettere da parte ogni retorica sulla 'superiorità della civiltà occidentale' e sul 'pericolo delle autocrazie'".

"Oggi nasce un nuovo movimento che ne mette insieme tanti. Così come sono tantissimi i temi e le proposte che faremo: dalla risposta alle emergenze del sociale, a quelle sanitarie e ai vaccini", conclude Di Stefano. E proprio ai vaccini e soprattutto a Big Pharma è dedicata la quinta e ultima parte del programma. "Le multinazionali del farmaco, Big Pharma, stanno costruendo la dittatura sanitaria - si legge -, cominciata con le campagne vaccinali per il Covid e oggi proiettata a conferire ad una Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) privatizzata il controllo della sanità mondiale e della salute di ognuno di noi e delle nostre famiglie". 

"Non condivido il sarcasmo e il corale disprezzo manifestato in questi giorni verso Gianni Alemanno e Marco Rizzo e la loro presunta alleanza "rosso bruna", come è stata definita dai media allo scopo di screditare in partenza. Lo dico oggi in occasione del Forum per l’indipendenza italiana che ha indetto Alemanno a Roma, a cui parteciperà Rizzo.

Conosco Alemanno da svariati anni e ho simpatia per Rizzo; condivido molte delle loro critiche al mainstream e all’establishment, al capitalismo globale, alla politica estera e alla politica sottomessa. Le loro idee sono tutt’altro che isolate, stravaganti o marginali; esprimono anzi un diffuso sentire e un più diffuso scontento, a partire dall’inevitabile delusione nei confronti dei governi che hanno guidato e guidano l’Italia da alcuni anni. Il caso Olanda o Argentina dovrebbe indurre a chiedersi come mai vincono spesso i leader e i movimenti più ostracizzati e screditati dai media". scrive Marcello Veneziani

Fonte adnkronos/affaritaliani/marcello Veneziani/Agi e varie agenzie

 

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