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Lunedì, 13 Maggio 2024

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso ha incontrato presso l’Ambasciata di Svezia a Roma gli ambasciatori dei 26 Paesi appartenenti all'Unione Europea. L'incontro, ospite l’ambasciatore svedese Jan Björklund  è stato l'occasione per un ampio confronto sulle iniziative che sta mettendo in essere l'Italia sul piano industriale ed economico. Un momento particolarmente importante anche in vista dei prossimi appuntamenti sul piano comunitario, fondamentali per delineare una rinnovata politica industriale europea che sia competitiva, pragmatica e sostenibile.

Nel suo programma relativo alla competitività la Presidenza svedese si prefigge di adoperarsi per garantire che l'ambizione di una maggiore competitività europea sia il principio guida. L'invasione russa dell'Ucraina, la crisi energetica e l'aumento dell'inflazione comportano sfide significative per le imprese europee. Per farvi fronte sono necessarie misure di emergenza a breve termine. Tuttavia, le misure di crisi temporanee non possono diventare la "nuova normalità" e l'UE deve tracciare una rotta su come gestirà le sfide e le crisi future. È quindi necessario mettere la competitività in primo piano. Solo attraverso imprese competitive è possibile, secondo la Svezia, creare una crescita sostenibile, accelerare le transizioni verde e digitale, aumentare la resistenza economica e rafforzare l'importanza geopolitica dell'UE. Le misure a livello comunitario devono basarsi su valori fondamentali come l'apertura, la libertà di circolazione, una concorrenza effettiva, quadri normativi uniformi e favorevoli alla crescita e l'innovazione. La presidenza contrassegna il 30° anniversario dell'avvio del mercato interno che ritiene è un punto di partenza naturale per stabilire un percorso per rafforzare la competitività dell'UE a lungo termine. Urso, nel Consiglio Competitività UE del 2 marzo scorso, aveva specificato come “il mercato unico europeo si trova oggi ad affrontare la duplice transizione verde e digitale in un contesto molto diverso del passato: prima la pandemia, poi la guerra della Russia in Ucraina, quindi le misure della amministrazione Biden realizzate per rispondere alla sfida della Cina hanno sconvolto gli assetti della globalizzazione e ci impongono di prendere atto della realtà, per esempio per quanto riguarda l’autonomia strategica europea sulle materie prime critiche, sulle tecnologie verdi e digitali. La Commissione europea deve adeguare le politiche comuni alle nuove realtà economiche e sociali. Nel settore autoveicoli abbiamo dato un segnale di allarme nella convinzione che occorra procedere con una visione pragmatica e non ideologica e nei colloqui che abbiano avuto ci siano resi conto che le nostre riflessioni trovano sempre maggiore consenso. Speriamo che la ragione prevalga nei prossimi dossier, dal regolamento CO2 sui mezzi pesanti a quello sull’EURO 7, sui quali chiediamo un approccio di neutralità tecnologica, così come sugli altri provvedimenti che hanno conseguenze sulla competitività del sistema industriale, come quelli sull’imballaggio, sull’ecodesign, sulle acque reflue”.

In questi giorni stiamo assistendo a un dibattito surreale in merito alla tragedia dei migranti a Cutro, ma poi ancora per la “scazzottata” tra gruppi di studenti davanti al liceo “Michelangiolo” di Firenze. Addirittura per quest'ultimo episodio il Pd e le altre forze di sinistra ha convocato una manifestazione di protesta antifascista, contro le destre al governo e in particolare contro il ministro Valditara, reo di aver offeso la preside di un liceo fiorentino, che ha scritto una lettera contro il nascente pericolo fascista e prendendosela contro chi “Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri”, cioè contro il Governo Meloni. A proposito dello squadrismo nelle aule, è intervenuto con un editoriale il direttore Punzi quel quotidiano online, Atlanticoquotidiano.it,Chi vive e ha vissuto le aule scolastiche e universitarie sa perfettamente come vanno le cose – con alti e bassi praticamente dagli anni ’60. Gli studenti (e a quanto pare anche presidi e rettori) di sinistra ritengono scuola e università territorio loro. Ne occupano aule e spazi a tempo indefinito con il silenzio-assenso. Guai se altri studenti, che la pensano diversamente, osano fare iniziativa politica, organizzare convegni o anche solo volantinare. La vivono come un’invasione e reagiscono di conseguenza. Subito arrivano gli squadristi a strapparti il volantino, ribaltarti il banchetto, insultarti e minacciarti, quando va bene. Ciò che è accaduto al liceo Michelangiolo di Firenze, la vera notizia, è semmai che questa volta lo squadrismo rosso ha trovato pane per i suoi denti, uscendo perdente dalla rissa: per una volta le hanno prese, l’intimidazione non è andata a segno. Fine della storia. Da qui il grande scandalo politico”. (Federico Punzi, Lo squadrismo in Italia c’è, ma è quello rosso nelle piazze e nelle aule, 7.3.23, atlanticoquotidiano.it)

Mentre invece ci sono voluti  mesi perché trovasse spazio in qualche trafiletto sui giornali o talk tv il vero pestaggio, a Bologna, ai danni di studenti di destra, che ha portato al rinvio a giudizio di otto studenti di sinistra.

In pratica la sinistra ha trasformato una zuffa tra adolescenti in una spedizione squadrista.“Una mistificazione pura e semplice su cui hanno fabbricato un caso politico – come solo loro, con l’aiuto delle note corazzate mediatiche, sanno fare – convocato il loro “popolo”, al seguito dei soliti slogan da guerra civile (no pasaran), e sancito una linea di opposizione al governo”.

Pertanto, la manifestazione di Firenze del trio della nuova sinistra radicalpopulista, Landini, Conte, Schlein, contro il fantasma del fascismo, che hanno creato loro stessi. è stata una sceneggiata indegna. Un fascismo immaginario evocato a cominciare dalla feroce campagna elettorale della scorsa estate. Dove si intravedeva un prossimo stravolgimento della Costituzione da parte delle “destre”, il pericolo di una nuova Marcia su Roma, la necessità di un nuovo Cln per evitare il pericolo antidemocratico e autoritario alle porte, sono stati solo alcuni dei tanti allarmi infondati e tuttavia urlati nelle piazze italiane, nonché rilanciati da stampa e televisioni internazionali. Ecco che i nuovi apprendisti stregoni dopo la tragedia di Cutro (io l’avevo detto a qualche amico, la sinistra aspetta che un clandestino si suicida in acqua, per poi dare la colpa alla truce Meloni) hanno riacceso i fuochi e l’inebriante violenza scaturita nelle ultime settimane.

Tuttavia la manifestazione di Firenze si collega a quella degli anarco-comunisti di Torino. Il collegamento è stato fatto da Luca Volontè su Lanuovabq.it. E’ significativo che anche a Firenze c’erano gruppi certamente legati agli anarchici di Torino, e ai centri sociali. Gruppi che imbracciavano bandiere anarchiche e quelle titine, orgogliosamente mostrate dai comunisti jugoslavi quando infoibavano gli italiani non comunisti. E che dire degli slogan pieni di violenza: “ "Il maresciallo Tito ce l’ha insegnato, uccidere un fascista non è reato".

Sulla manifestazione di Torino ha ragione Punzi a criticare l’operato della polizia, “Ve li ricordate i poliziotti in borghese che inseguivano uno ad uno coloro che osavano sfidare il divieto di manifestare contro il Green Pass, disposto con semplice circolare del Viminale? Ma non c’era alcun pericolo fascista, allora… E ve li ricordate i “veri liberali”, anche di centrodestra, venirci a spiegare che quei sabati pomeriggio erano la rovina dei commercianti di Milano?”. Punzi ci invita a confrontare le immagini di allora con quelle viste sabato scorso a Torino, “dove la polizia è praticamente rimasta a guardare mentre gli anarchici mettevano a ferro e fuoco mezza città, distruggendo auto e vetrine”.

Certo, ci sono le riprese e le indagini, come usa dire, faranno il loro corso. “Ma intanto i danni non sono stati impediti, si è lasciato fare, il “corteo” è stato addirittura autorizzato dalla Questura. Se per qualcosa il ministro dell’interno Piantedosi dovrebbe dimettersi, è per Torino, non per le parole – severe ma tristemente vere, se siamo onesti – sul naufragio di Cutro.

Ebbene, scrive Volontè, in merito alla lotta armata anti-Stato degli anarco-comunisti, “pochissimi quotidiani hanno dedicato un rimprovero e nessun politico di sinistra, tantomeno uno del “trio rosso” presente in piazza, ha rivolto un cenno di rimprovero. C’è una violenza giustificabile, quella che da sempre è ritenuta tale dall’informazione (anche all’interno della Rai), cultura e politica di sinistra, dagli anni ‘70 e ‘80: è giustificabile la violenza dei compagni che sbagliano per eccesso, non per i gesti di violenza in sé. Tutto già visto, insomma. Moltissimi ricordiamo quel clima. E molti editoriali di allora assomigliano a ciò che in questi mesi stanno scrivendo editorialisti di giornali come La Stampa e Repubblica ; e sull’asserita lotta antifascista “attuale” speculano anche in tanti nella televisione di Stato, ovviamente pagati dai contribuenti”. (Luca Volontè, Sinistra incendiaria. Se le violenze sono solo quelle “di destra”, 6.3.23, lanuovabq.it).

Non abbiamo notato dichiarazioni di rilievo di nessun uomo o donna di sinistra (tranne il sindaco di Torino costretto a farfugliare qualcosa per ovvi motivi) contro lo scempio e le violenze compiute dagli anarchici a Torino. Ancora, avete ascoltato per caso “la stessa foga da editorialisti e politici di sinistra nel denunciare il violento striscione e i cartelli contro il merito scolastico e le immagini a testa capovolta del primo ministro Giorgia Meloni e del ministro Valditara affissi al liceo classico Carducci di Milano, nei pressi di Piazzale Loreto?”. Naturalmente il fuoco acceso, con le violenze verbali dell’estate scorsa, sta attecchendo. La “triade rossa” e i loro sodali stanno pericolosamente gettando benzina sul fuoco della violenza e lo fanno consapevolmente, nascondendo l’incapacità di proposte con caos e urla. Tutto già visto, e per questo ancora più grave.

Una pagina della nostra storia che ha modificato radicalmente il panorama partitico e politico della fine del secolo scorso. In un momento che vedeva la fine dell’impero sovietico e il crollo del comunismo, almeno di quello europeo e con esso la fine, nominale, dei partiti comunisti, “Mani pulite” smantella i partiti che, almeno in parte, si erano opposti al comunismo. Su Il Foglio del 18 febbraio il direttore Claudio Cerasa, commentando una lettera, traccia un sintetico bilancio parlando del pool di magistrati che dettero il via a quella pagina storica e si chiede: “Chi c’era nel pool? C’era Antonio Di Pietro poi candidato col centrosinistra. C’era Gerardo D’Ambrosio, divenuto poi senatore del Pd. C’era Gherardo Colombo, indicato nel 2012 dal Pd nel cda della Rai e oggi a capo della commissione per la legalità del Comune di Milano (centrosinistra). C’era Francesco Saverio Borrelli, che nel 2017 sostenne la candidatura di Walter Veltroni alla guida del Pd. C’era Francesco Greco, che ieri un sindaco del Pd, Roberto Gualtieri, ha scelto come consulente della legalità del comune di Roma.” Queste “coincidenze” chiariscono una pagina di storia poco chiara? Lo chiediamo a Roberto Pertici,  docente di Storia contemporanea all’Università di Bergamo.

“Effettivamente ci sono aspetti ancora poco chiari in tutta questa storia, nei suoi meccanismi e nelle sue connessioni internazionali. Nessun paese occidentale ha vissuto una crisi di sistema di queste dimensioni, paragonabile solamente a quanto accaduto nei paesi comunisti dopo la caduta del Muro di Berlino.

Cosa è stato veramente “Mani pulite”?

“Un pool di magistrati che ha spazzato via il Partito Socialista, la Democrazia Cristiana, il Partito Repubblicano, quello Socialdemocratico e quello Liberale : cioè le forze che avevano innervato la vita politica della Prima Repubblica. Una serie di partiti storici, che corrispondevano alle grandi correnti ideali della storia italiana dell’ultimo secolo”.

Forse perché il sistema di finanziamento ai partiti vedeva la corruzione in primo piano.  Ma esistevano partiti veramente puliti?

“Per partiti di quel tipo i costi della politica erano molto alti: non solo nel momento delle frequenti campagne elettorali, ma nella loro vita quotidiana (stampa, strutture edilizie, iniziative pubbliche, funzionari di partito). Al tempo stesso, essi svolgevano un ruolo di raccordo fra cittadini e Stato che fu per alcuni decenni di grande importanza, tanto che nel 1974 fu votata una legge che prevedeva un finanziamento pubblico a loro favore (la cosiddetta legge Piccoli). Ma essa evidentemente non bastò, perché da parte dei partiti continuò il ricorso a finanziamenti illeciti, in buona parte ricavati da tangenti sulle commesse pubbliche.  Questa prassi era comune a tutti i partiti, anche se in misura diversa, in relazione al loro peso specifico nei meccanismi del potere. Ne era parzialmente fuori il Partito Comunista per il semplice fatto che aveva ricevuto da sempre finanziamenti cospicui da parte dell’Unione Sovietica. Il libro di Valerio Riva L’oro di Mosca pubblicato nel 1999, fornisce delle cifre piuttosto impressionanti: nel 1978 e nel 1979 si parla ancora di 4 milioni di dollari e il flusso continuò fino agli ultimi anni attraverso diversi canali. Una volta finito il comunismo, il capitalismo italiano, che aveva sempre dovuto pagare queste tangenti, insieme ad alcuni ambienti internazionali, ritenne che era l’ora di farla finita con questo sistema. Altre volte si erano aperte grandi inchieste sulla corruzione, ma sempre erano state insabbiate. Nei mesi di “Mani Pulite” si creò un legame rocambolesco tra una parte della magistratura e alcuni grandi giornali, che facevano riferimento ad alcuni settori dello Stato e a poteri economici e finanziari, per azzerare la classe politica”.

Qual era il loro progetto?

“Su questo la discussione storiografica è ancora molto aperta. Questi ambienti economici e finanziari hanno sempre avuto bisogno di un “partito regime”: il grande centro “liberale” dopo l’unità d’Italia, il fascismo per vent’anni, la Democrazia Cristiana per cinquanta. Un partito affidabile, che gestisca lo Stato e li lasci liberi di fare i loro affari senza preoccuparsi più di tanto della dialettica politica: insomma garantisca stabilità. Io credo che questa nuova forza l’avessero identificata nel partito successore del Partito Comunista, il Pds poi Ds: gli ex comunisti, che intanto si stavano convertendo con grande e disinvolta rapidità all’economia di mercato, che cercavano di dare prova di affidabilità alle istituzioni europee e agli ambienti atlantici, furono ritenuti interlocutori degni di considerazione, per il loro (si diceva) senso dello Stato e per la loro fama di buoni e onesti amministratori. Dopo la bufera giudiziaria, poi, non avevano più rivali”.

Ma qualcosa è andato storto.

Ci fu chi, come Giuliano Urbani, cominciò a chiedersi a chi si sarebbe rivolta quella parte del paese (probabilmente maggioritaria) rimasta sostanzialmente senza rappresentanza politica. Sembra che costoro si siano rivolti prima a Mario Segni, allora sulla cresta dell’onda, per proporgli di capitanare un’aggregazione di forze, fra cui inevitabilmente ci sarebbero dovute essere anche Alleanza Nazionale e la Lega di Bossi. Segni non riuscì a superare la pregiudiziale antifascista e il suo quarto d’ora inesorabilmente passò. Gianni Agnelli, a cui pure alcuni si erano rivolti, non aveva certo voglia di confondersi con la politica, ma fece il nome di Berlusconi: “Lui forse è uomo capace di farle, le cose che chiedete”. La storia successiva è fin troppo nota: Berlusconi “scese in campo” e, inaspettatamente, vinse le elezioni del ‘94.

Ma il Centro destra non diventò mai il “partito regime” e Berlusconi non divenne mai un uomo dei “poteri forti”.

“Certo. Il famoso avviso di garanzia anticipato dal Corriere della Sera fece cadere dopo pochi mesi il primo governo Berlusconi. Qualche anno dopo, in un pubblico dibattito alla Versiliana a Marina di Pietrasanta, chiesi a Paolo Mieli, l’allora direttore del Corriere, se lo avrebbe rifatto. “Forse non lo rifarei più, ma a quel tempo per noi fu una scoop troppo grosso”.

Dopo trent’anni si può dire che il Pci/Pds/Ds/Pd, che non era riuscito nell’intento di bloccare la discesa in campo di Silvio Berlusconi nel 1994, si appresti ora a diventare il nuovo partito regime?

“Difficile dare una risposta precisa.  Se, nonostante l’evidente appoggio degli ambienti che contano e la poca consistenza dei suoi avversari, Il PD non è riuscito finora è diventarlo del tutto, è stato per  i suoi limiti, per le divisioni che lo percorrono, per la debolezza dei suoi leader.

 

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