Più passano gli anni e più l’Ottantanove, ovvero l’anno che cambiò per sempre la storia dell’Europa, sembra lontano. I protagonisti di quei giorni, però, sono ancora vivi e qualcuno nel frattempo è anche diventato un cronista affermato. Tra questi, sicuramente Luigi Geninazzi, già inviato del battagliero settimanale Il Sabato e oggi firma di Avvenire che ha presentato il suo ultimo lavoro pubblicato dall’editore torinese Lindau (cfr. L. Geninazzi, L’Atlantide rossa. La fine del comunismo in Europa, Con prefazione di Lech Walesa, Lindau 2013, Pp. 283, Euro 19,00) nella cornice neorinascimentale di Palazzo Blumenstihl, presso la sede romana dell’Istituto Polacco. Ad introdurre la serata, che vedeva tra il pubblico la presenza di diversi osservatori e personalità importanti (tra gli altri, l’onorevole Rocco Bottiglione, attualmente deputato alla Camera, l’ex europarlamentare Jas Gawronski, il vaticanista del TG2 Rai Vincenzo Romeo e lo scrittore Gian Franco Svidercoschi) è stato il direttore dell’istituto Pawel Stasikowski che ha presentato Geninazzi come uno dei primi giornalisti italiani a recarsi in Polonia quando quel grande movimento di popolo chiamato Solidarność nacque a Danzica nell’agosto del 1980. Da allora i contatti sono stati sempre più intensi e Geninazzi si è ripetutamente confermato come una delle fonti più autorevoli sull’interpretazione dell’evoluzione della società polacca. Lo ha sottolineato, intervenendo subito dopo, anche l’Ambasciatore della Repubblica polacca presso la Santa Sede, Piotr Nowina-Konopka, che ha ricordato la sua amicizia storica con Geninazzi e i numerosi incontri con l’allora leader del primo sindacato libero in un Paese Oltrecortina, Lech Walesa. La serata è quindi entrata nel vivo con una scena tratta dal film L'uomo di ferro (Człowiek z żelaza) di Andrzej Wajda, ambientato proprio sullo sfondo degli scioperi di massa di quei giorni, e l’intervista di Paolo Morawski all’autore. Morawski ha esordito con una considerazione significativa: “Chi oggi ha meno di 33 anni non riesce a credere che c’è stato un tempo in cui l’Europa non era unita e viaggiare verso l’Est poteva essere pericoloso”, tanto sono cambiate le cose da allora. Le foto che sono state successivamente proiettate in sala, che hanno raccontato per immagini i fatti più evocativi e simbolici del lungo decennio 1980-1990, rimandano in effetti a un mondo in bianco e nero, senza tv, internet o la capillare globalizzazione dell’informazione che c’è oggi. Eppure era appena l’altro ieri. Il personaggio che rappresenta forse meglio di altri questo passaggio storico per Geninazzi è il Primo Ministro della Polonia libera, Tadeusz Mazowiecki, morto a Varsavia lo scorso 28 ottobre, a 86 anni di età. Mazowiecki, membro fondatore anch’egli di Solidarność, amico personale di Lech Walesa, oltre che di Papa Giovanni Paolo II, era uno degli ultimi rappresentanti di quell’anima polacca profonda e umana, oltre che irriducibilmente cristiana, che aveva superato serenamente, e senza mai perdere la speranza, sofferenze e intimidazioni indicibili.
Oggi il rischio è che le nuove generazioni – che non hanno vissuto quel clima e quella stagione di conflitto, ma anche di eroismo – non si rendano conto realmente del prezzo pagato sul cammino della libertà e di quanto sia importante avere una chiara identità di sé stessi per sapere dove andare e che tipo di società costruire in futuro. Per questo è più che mai importante – a detta di Geninazzi – non solo scrivere dei libri che raccontino esaurientemente i fatti (in Italia finora l’ha fatto solo Enzo Bettiza nel suo 1989. La fine del Novecento), come sono andati, a chi non li ha vissuti ma che siano le famiglie stesse (genitori o nonni) che s’incarichino di trasmettere questo prezioso patrimonio di memoria che non viene più coltivato come un tempo ai figli e nipoti che saranno la classe dirigente di domani. Ritornando ai suoi primi viaggi nella Polonia degli anni Ottanta, l’autore si è poi soffermato sul ruolo positivo svolto dalla Chiesa nel dibattito pubblico e culturale (“ogni iniziativa creativa o di resistenza nasceva in Chiesa”) e la tipica religiosità popolare dei polacchi che storicamente ha accompagnato le svolte decisive e i momenti più importanti della Nazione. Non è un caso che tre delle figure più citate nel corso della serata per i loro indubbi meriti civici e politici, oltre che pastorali, siano proprio tre pastori: il cardinale Stefan Wyszyński (1901-1981), primate della Nazione per un trentennio, padre Jerzy Popieluszko (1947-1984), il cappellano di Solidarność (e il ricopritore delle celebri ‘Messe per la Patria’ che faranno parlare anche ad Occidente per l’incredibile risveglio spirituale che genereranno), brutalmente assassinato da sicari del regime, e ovviamente Papa Giovanni Paolo II (1920-2005). Ognuno di essi, in un momento diverso, ha dato una spinta – morale, ideale e spirituale – che anni più tardi, contro ogni previsione, ha davvero cambiato le pagine della storia. E’ questo il lascito più importante dell’azione della Chiesa in Polonia in quegli anni: la difesa della dignità di ogni persona, la diffusione della cultura della non-violenza e soprattutto l’anelito alla libertà che deriva dal Vangelo stesso. E si tratta anche qui di qualcosa da riscoprire e promuovere ancora di più oggi: per comprendere che dietro quei tre uomini c’era un mondo intero, una comunità viva e un’insieme di famiglie che avevano fatto della fede e della preghiera il centro della loro vita personale e associata, a casa come sul posto di lavoro.
La conversazione è poi proseguita con dei riferimenti anche a quanto accaduto nello stesso periodo nei Paesi limitrofi, a partire dalla ‘Rivoluzione di velluto’ che tra il novembre e il dicembre del 1989 rovesciò il regime comunista cecoslovacco portando inaspettatamente alla Presidenza della Repubblica l’ex nemico numero-uno del regime stesso, Václav Havel (1936-2011). Quello che però è importante sottolineare, per Geninazzi, è soprattutto il fatto che – contrariamente a quanto si legge e si scrive ancora oggi da più parti – “il Muro di Berlino non fu abbattuto in una notte” ma quella storica giornata venne preparata molti anni prima, pazientemente, giorno dopo giorno, grazie a “un’azione di resistenza di carattere religioso” innescata proprio dal primo viaggio di Papa Giovanni Paolo II in Polonia, nel giugno del 1979, quando il Pontefice fu accolto da oltre un milione di persone che sfidarono apertamente per le strade e nelle piazze il Partito mostrando che dietro Walesa e Solidarność non c’era solo qualche operaio, come si voleva far credere, ma tutta la Polonia. Wojtyla tornerà poi ancora nel 1983 e nel 1987: in ogni occasione registrando un successo che si sarebbe infine rivelato fatale per le sorti del regime. Per tutti questi motivi, il saggio rievocativo di Geninazzi non appare un’operazione nostalgica o dai toni velatamente romantici ma un coraggioso contributo per comprendere meglio un popolo e una storia di libertà che ci rende finalmente tutti – polacchi e non polacchi – un po’ più orgogliosi di essere europei.