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Lunedì, 13 Maggio 2024

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La famosissima serie televisiva di Canale 5 “Squadra Antimafia” giunta alla sua ottava edizione, ha ora un nuovo volto: Hong-hu Ada , la bellissima ed affascinante attrice e cantante italo-giapponese cresciuta a Miami , in USA, e da qualche anno tra l’Italia e Londra. Alta, giovane, occhi a mandorla, labbra carnose, capelli lunghissimi su un corpo da urlo, è uno dei personaggi di punta della serie tv di rete Mediaset, e già in molti sono pronti a scommettere che a breve LEI diventerà icona del cinema e della musica internazionale.

Sei Lingue parlate correntemente, madrelingua inglese e italiana, gli studi di recitazione e canto presso l’Università della Florida e l’Actor Studio di New York, suona il Koto, l’arpa giapponese, e il pianoforte, una laurea in Scienze Politiche, attrice e cantante già conosciuta, con all’attivo ben 13 film per il cinema americano ed italiano tra cui ricordiamo “ Mary” e “ Go Go tales” di Abel Ferrara, “Il papà di Giovanna e “ il Figlio più piccolo” di Pupi Avati”, il teatro con Peter Brooke, “l’Era Glaciale 4” dove è la voce di Shira, la tigre protagonista, ed anche interprete e compositrice della colonna sonora del film d’animazione, il Western “Shuna the Legend” protagonista insieme al grande regista e attore Enzo G. Castellari, il film fantasy “The Key and the Answer” nel ruolo della principessa guerriera Taras , 4 musical da protagonista in teatro negli Stati Uniti e ben 6 dischi già pubblicati.

Dagl’inizi di settembre è già sul set di “Squadra Antimafia 8” ,le cui riprese si svolgono tra Roma e Catania. Il suo è un personaggio forte, di grande azione, che emoziona, intriga, ammalia tutti. Veramente bella, sensuale e coraggiosa, una “Lara Croft” in terra siciliana che non ha paura di sfidare il destino, ma semplicemente incanta tutti con la sua voce e le sue avventure tra sparatorie e corse folli in pattuglia.

Un eroina dei nostri giorni ma anche con un lato umano, a volte un po’ debole. Timida ma felice , Hong-hu Ada ha ottenuto questo ruolo dopo molti provini ma i registi l’hanno definita perfetta per la parte. Hong-hu in una nostra telefonata con il Corriere del sud, si dichiara che e soddisfattissima per questo grande progetto televisivo al quale seguono altri due film di produzione americana che si gireranno quest’autunno in lingua inglese dove sarà la protagonista, e protagonista ancora del suon nuovo disco anch’esso in lingua inglese. Tante interviste e servizi fotografici per la bella attrice e cantante italo-giapponese nel suo momento d’oro ma profondamente meritato e raggiunto.

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Interlenghi

Ieri, nella sua casa romana di Ponte Milvio, è venuto a mancare l’attore Franco Interlenghi, nato a Roma il 29 ottobre 1931, indimenticabile protagonista del Cinema italiano.

La sua brillante carriera d’attore, che ha attraversato oltre sessant’anni di cinematografia, iniziò nel 1946, quando appena adolescente fu il protagonista Pasquale Maggi del film “Sciuscià” diretto da Vittorio De Sica. Questo film ebbe un gran successo, in quanto altamente rappresentativo del Neorealismo italiano.

Grazie alla sua splendida figura, unita ad una recitazione intensa e vera, egli divenne in breve tempo famoso e nella sua carriera, divisa tra cinema e teatro, fu diretto dei più grandi registi, quali M. Antonioni, F. Fellini, L. Visconti, M. Bolognini.

Nel 1955 si unì in matrimonio alla bellissima attrice Antonella Lualdi, che conobbe sul set durante le riprese del film di D. Paolella “Canzoni, canzoni, canzoni”. La loro unione fu allietata dalla nascita di due figlie: Stella ed Antonellina, che hanno seguito le orme dei genitori.

Franco Interlenghi, come molti altri ragazzi in quel periodo, è un attore “preso dalla strada” ed egli spesso, quando ospite di programmi televisivi o nel corso di interviste, amava raccontare come una mattina di luglio del 1945, per pura coincidenza, l’incontro con il Maestro V. De Sica cambiò la sua vita.

Egli in quel periodo abitava in via Palestro, in prossimità della Stazione Termini e con un gruppetto di amici amava giocare davanti ad una villa inglese, che qualche anno dopo venne distrutta, in seguito ad un attentato terroristico.

Allora i ragazzi si accontentavano di gioghi semplici, spesso improvvisati e rudimentali, come il pallone, oppure tirarsi fra loro un pezzo di legno. Quella mattina, un inquilino del suo palazzo, che faceva la comparsa a Cinecittà, infastidito dal fatto che strillavano troppo, disse loro: “Ragazzini, ma che state a fare qui, perché non andate a via Po’, dove c’è De Sica, che cerca giovani come voi per un film?” Franco e gli altri andarono sul posto e trovarono una fila lunghissima, che arrivava a Piazza Fiume. In quel periodo tante persone cercavano di “sbarcare il lunario” attraverso qualche genericata nei vari film in produzione; Roma, come tante altre città, era stata devastata dalla guerra e in giro c’era una gran fame. Il cinema rappresentava una vera e propria risorsa.

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Quando arrivò il suo turno, De Sica gli chiese se sapeva fare a pugni e il ragazzo rispose di no; così fu escluso e si passò al prossimo. Allora Franco si mise di nuovo in fila, ma stavolta, quando giunse dinanzi al regista, alla solita domanda rispose prontamente: “Certo, faccio sempre a pugni con mio fratello, pure con i miei amici e vado a scuola di pugilato…!!!” A quel punto, De Sica disse ai suoi assistenti alla regia di prendere il numero di telefono del ragazzino e questo segnò il suo ingresso nel mondo del cinema.

La sua fama raggiunse l’apice negli anni Cinquanta, periodo in cui ricoprì ruoli di bravo ragazzo, dalla faccia pulita, a lui particolarmente congeniali, dando vita ad una galleria di personaggi, che hanno caratterizzato un periodo felice del nostro cinema.

Dal primo ruolo di piccolo lustrascarpe a giovane di bell’aspetto, romantico e vagamente idealista, egli lavorò con Blasetti in “Fabiola” nel 1949, con Emmer in “Domenica d’agosto” nel 1950 e “Parigi è sempre Parigi” nel 1951, con Antonioni ne “I vinti”. Inoltre, partecipò alla fortunata serie “Don Camillo” per la regia di Julien Duvivier.

Sempre in ricordo dei grandi che lo diressero, non possiamo dimenticare Fellini, che nel 1953 lo volle nel ruolo di Moraldo ne “I vitelloni” e sempre nello stesso anno il regista Soldati lo diresse nel film “La provinciale” accanto a Gina Lollobrigida; questo film fu presentato al Festival di Cannes.

L’attore fu molto apprezzato anche da importanti registi stranieri. Alla fine degli anni Cinquanta visse il momento d’oro della Commedia italiana, interpretando numerosi film di successo.

Dagli anni ’70, periodo in cui cominciò la crisi del cinema italiano, egli si dedicò maggiormente al teatro e in questi ultimi anni ha partecipato anche ad alcune fiction televisive, mentre per il grande schermo interessanti le sue interpretazioni in “Pummarò” e “Le amiche del cuore”, entrambi diretti da M. Placido.

Oltre al suo grande talento di attore, interprete delle più interessanti stagioni del nostro cinema, forse non sufficientemente riconosciuto, va sottolineato lo stile di vita, sempre elegante e discreto, di un uomo che lascia un gran vuoto anche per la sua semplicità.

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IMMAGINE ENZO ED UGO GREGORETTI

Sabato 20 giugno presso il teatro Palladium di Roma si svolgerà la serata di premiazione de “La Pellicola d’Oro”, alla quale parteciperanno ospiti d’eccezione, come Ugo Gregoretti, Claudio Mancini, Giuliano Montaldo, Laura Delli Colli, Carlo Degli Esposti, Beppe Giulietti, Massimo Spano e Silvia Scola.

Questo premio, promosso ed organizzato dal 2011 dall’Associazione Culturale “ARTICOLO 9 Cultura & Spettacolo” e dalla SAS Cinema, ogni anno è indirizzato ad artigiani, tecnici e professionisti italiani attivi nell’ambito cinematografico, ai quali vengono riconosciuti particolari meriti legati all’esercizio della loro professione. Quindi, un giusto riconoscimento rivolto alle varie figure professionali che, con il loro contributo artistico, creativo o artigianale, caratterizzano ogni produzione cinematografica, anche se talvolta i loro ruoli sono meno visibili, rispetto alle figure che ricoprono ruoli apicali, quali il regista oppure il direttore della fotografia.

Ma la realizzazione di un film è un lavoro di squadra, all’interno della quale ogni persona presente sul set conferisce il proprio contributo, per conseguire un comune obiettivo. Quindi, è lodevole l’idea di portare alla ribalta e finalmente premiare: direttore di produzione, operatore di macchina, effetti speciali, costruttori di scena, sarte, sartorie cineteatrali, capi macchinisti e capi elettricisti. Essi, con la loro indispensabile presenza, contribuiscono a dar vita al Cinema, “la fabbrica dei sogni”. Inoltre, vengono assegnati alcuni premi speciali a personalità o aziende che si sono distinte nell’ambito della promozione del Cinema o per la loro carriera.

La giuria, costituita di addetti ai lavori, nel corso delle votazioni, esprime un voto via mail, per selezionare quarantacinque finalisti, (cinque per ogni categoria). Seguirà una seconda votazione, nel corso della quale verranno decretati i vincitori.

Negli anni precedenti sono stati destinatari di premi speciali figure illustri e famosissime come: Giancarlo Giannini, Ugo Gregoretti, Ettore Scola, Manolo Bolognini, Roberto Perpignani, Giulio Base, Kaspar Capparoni, la RAI, il Centro sperimentale di cinematografia, l’ANAC. Questo uno dei motivi principali per cui “La Pellicola d’Oro” annovera significativi patrocini istituzionali di associazioni di rappresentanza, che operano nel campo dello spettacolo.

Ho incontrato Enzo De Camillis, scenografo, regista e presidente della SAS Cinema.

Sei entrato tanti anni fa nel mondo del Cinema come scenografo. Vorresti raccontarmi i tuoi inizi e i ricordi salienti di questa tua lunga esperienza?

Il mio debutto risale al 1977, come assistente del Premio Oscar per la scenografia Dante Ferretti in un film di Luigi Zampa. Fino al 1983, per otto anni sono stato arredatore ed assistente, poi casualmente firmai un lavoro come scenografo in un programma di Italia 1 “Drive in”, mentre il mio esordio da scenografo nel cinema fu con il film “Terno secco”, opera prima come regia per Giancarlo Giannini. Ho avuto l’onore di lavorare in quattro film con Steno, una serie televisiva con Bud Spencer, poi con Pasquale Squitieri ne “Il pentito”, la storia di Tommaso Buscetta, con Max Von Sidon e Tony Musante. Interessanti le esperienze in film di caratura internazionale, come “Dimenticare Palermo” di Francesco Rosi, con James Belushi e Mimi Rogers.

Il grande Regista Francesco Rosi è stata una figura significativa nell’ambito cinematografico e la sua scomparsa ha lasciato un gran vuoto. Mi parli della tua esperienza?

Francesco Rosi era una persona molto esigente e molto gentile; assolutamente serio nel modo di porsi e professionalmente perfetto. A volte chiedeva cose difficili, ai limite dell’impossibile, avendo però sempre cura di mettere a disposizione tutto ciò che necessita per realizzarlo, sia in termini economici, che pratici. Inoltre, chiedeva quanto tempo avrei impiegato, senza porre limiti, ma poi le scadenze andavano rispettate.

Ricordo un aneddoto: stavamo girando un film a Palermo; nel mese di maggio dovemmo ricostruire l’ambientazione del Festino di Santa Rosalia, che si celebra in luglio. Ricordo che in una scena da girare a Mondello, sul litorale palermitano, lui cambiò il campo invertendolo e la scena fu ribaltata completamente. Mi chiese di trovare la soluzione. Così, dalla sera alla mattina riuscii a compiere un mezzo miracolo, ma lui contribuì, mettendo a mia disposizione tutto quanto potesse consentirmi di realizzare il repentino cambiamento.

Questo significava fare lo scenografo in cinema, dove il lavoro da svolgere era una continua ricerca ed implicava una certa progettazione “architettonica”. Oggi questo lavoro non esiste, anche grazie alla televisione, che spesso ti impone dei tempi troppo stretti per realizzare al meglio e quindi con qualità il prodotto.

Il lavoro dello scenografo è stato in qualche modo penalizzato dall’alta tecnologia, che permette accorgimenti virtuali?

Le scenografie virtuali sono ancora decisamente brutte e molto onerose, infatti quelle di grosso effetto sono di produzione americana, oltre ad essere assolutamente riconoscibili. Quindi, la soluzione virtuale la scarterei a priori, poiché non risolve; ha acquisito la post produzione con il montaggio, passando dalla moviola al AVID. E’ cambiato il supporto che contiene l’immagine. Negli anni si è proprio ridimensionato il modo di lavorare, non ci sono più risorse e il passaggio da cinema a fiction è stato devastante, in particolar modo per i mestieri e l’artigianato. Fino al 1993 in cinema si lavorava perché era salvaguardato e difeso da Vittorio Cecchi Gori, che produceva film, si coordinava con la distribuzione nelle sale cinematografiche e dopo un anno i film passavano alla messa in onda televisiva, secondo accordi fra le parti. Dopo la sua scomparsa le condizioni di difesa del cinema sono scomparse e la qualità è scesa drasticamente.

Una curiosità: cosa ha determinato il tuo passaggio alla regia?

Ero stanco di fare lo scenografo, non era più un lavoro di ricerca per personalizzare un ambiente o un personaggio. Il vissuto il Cinema di una volta fino alla fine; il cambiamento è stato dettato dalla fiction, che si basa su una costruzione scenografica che a volte mi metteva in forte imbarazzo. Lo scenografo deve costruire, scegliere location e collaborare con il regista ma, contrariamente a quanto accade oggi, dove le nuove generazioni ambiscono a questa professione senza saper progettare e come dicevo prima, la Tv ha dato un decisivo contributo alla caduta della professionalità e della qualità. Insomma, non sono riuscito ad adattarmi a questo cambiamento, optando per la regia. L’idea di realizzare docufilm parte dall’osservazione che il cinema è concepito anche per raccontare fatti o storie di rilevanza sociale. Il caso ha voluto che una vicenda personale mi ha avvicinato alla regia di docufilm di impegno civile.

Quindi, nel 2010 la mia opera prima da regista con “Diciannove giorni di massima sicurezza”, un corto interpretato da Luisa Ranieri, dove racconto la storia di una donna che ha ingiustamente subito l’art.41 Bis del cpp, riservato ai mafiosi, senza aver commesso alcun reato. Una verità processuale costruita da un Gip arrogante, convinto della colpevolezza di questa donna, anche di fronte a prove insuperabili, un’indagine condotta in modo superficiale ed un processo doloroso, durato quattro lunghi anni; un clamoroso caso di ingiustizia che andava assolutamente denunciato.

Il tuo più recente docufilm “Un intellettuale in borgata” uscito circa un anno fa, sta riscuotendo un notevole successo di pubblico e critica. Vorresti parlarmene?

Questo documentario è un grido d’aiuto rispetto a una politica che si disinteressa totalmente della cultura. Uno Stato senza cultura non avrà più memoria storica. L’attore Leo Gullotta interpreta la lettera “Io so ma non ho le prove” di Pier Paolo Pasolini, pubblicata nel 1974 sul Corriere della Sera. E’ un attacco allo Stato di quel momento storico, che è identico al panorama socio-politico attuale. In altre parole, Pasolini ha anticipato di quarant’anni una situazione che poi si è avverata, anche a causa di scelte politiche che, con grande lungimiranza, aveva previsto. Egli già nel 1971, durante un’intervista Rai di Enzo Biagi, sosteneva che la Tv non è una strumento democratico, poiché distorceva la realtà. “Un intellettuale in borgata” è un documento storico, nel quale vengono trasmesse tredici interviste, rilasciate da personaggi noti, fra i quali Stefano Rodotà, Ugo Gregoretti, Gianni Borgna, Pupi Avati ed altri. Per arrivare alla poesia dal titolo “Alì dagli occhi azzurri” che anticipa lo sbarco degli africani in Italia. Dalle interviste emerge in modo significativo l’impegno intellettuale di Pasolini nella poesia e come cineasta, nella sua continua ricerca della verità.

Fra pochi giorni si svolgerà la serata di premiazione de “La pellicola d’Oro”. Cosa vorresti aggiungere, rispetto a quanto ho premesso?

Questo premio è stato pensato e studiato per gratificare le maestranze e l’artigianato del cinema, come hai correttamente anticipato. Le nuove generazioni, sempre grazie alla Tv, conoscono solo il regista e l’attore, ignorando che esistono altre tredici figure professionali che compongono il set. Quindi, sotto il patrocinio del David di Donatello, del Mibec, Comune di Roma e Regione Lazio è nato questo evento, visto che il Italia nessuno si ricorda degli artisti e dei tecnici della vecchia generazione. Quest’anno premieremo persone che hanno dato un grande contributo al cinema, come Ugo Gregoretti, che ha iniziato da giornalista e regista televisivo nel 1954, venendo assunto in Rai e poi in qualità di autore e regista ha profuso molte energie a favore della cultura italiana. Inoltre, è stato per diversi anni presidente dell’ANAC (Associazione autori cinematografici). Un doveroso riconoscimento alla sua lunga e prestigiosa carriera e per i contributi dati all’ANAC.

Sarà premiato anche Claudio Mancini, per la sua poliedrica attività di cineasta, iniziata nel 1948 come elettricista. Precedentemente, a vent’anni era stato manutentore di un deposito di lampade per il cinema. Nel 1961 il grande salto nella produzione cinematografica, con film entrati nella storia, come “La grande guerra”, “I magnifici sette”, tutti i film western all’italiana di Sergio Leone, per arrivare al magnifico film “C’era una volta in America”. Ha lavorato fino agli inizi del 2000 nella serie di Montalbano. Pertanto, un premio per il suo impegno nel cinema come produttore esecutivo ed organizzatore generale.

Anche Francesco Brescini, capo elettricista da una vita, ad ottansei anni riceverà il premio speciale per ringraziarlo di aver contribuito a dare lustro al cinema italiano, grazie alla partecipazione a film di spessore internazionale, come “Il Padrino II” di F. Coppola. Una vera tradizione nella famiglia Brescini, che va avanti dal 1924, quando suo padre lavorava nel cinema muto ed ora portata avanti dai nipoti, con ruoli e mestieri diversi, ma sempre nell’ambito cinematografico, come Giovanni Brescini direttore della fotografia.

Quali sono i tuoi programmi a breve termine?

Sto lavorando su un altro docufilm, grazie all’amico produttore Massimo Spano e l’idea è quella di sottolineare l’attuale difficile situazione sociale. Il problema più grande è quello costituito dal “Sistema Italia”, all’interno del quale si è innescato da qualche anno un meccanismo perverso, che ha indotto al suicidio molti imprenditori del nord Italia e tante persone rimaste dovunque senza un posto di lavoro. Le istituzioni danno appalti di lavori che poi pagano in forte ritardo. Ma chi svolge attività private a favore dello Stato deve, comunque, onorare i suoi impegni con le banche, che a fronte di un appalto chiedono fidejussioni, poi con il fisco ed il complicatissimo sistema tributario ed infine, ultimo anello della catena, Equitalia, che ti chiede di pagare con sanzioni eccessive anche se non hai riscosso. Tutto questo è paradossale e ritengo doveroso raccontarlo attraverso immagini, documenti, interviste. Dietro abbiamo numerose associazioni che ci sostengono, fra esse l’Associazione dei consumatori e l’Associazione dei familiari delle vittime. Credo che la maniera migliore per fronteggiare gli ostacoli e le difficoltà sia quella di renderli visibili, alla portata di tutti, sollecitando lo Stato a rivedere il sistema, nell’intima speranza che questo possa accadere presto.

La VI edizione della Rassegna di Teatro Amatoriale del Teatro Augusteo prosegue con il 6° appuntamento in scaletta: “La Cattedrale”.

La Rassegna di Teatro Amatoriale del Teatro Augusteo presenterà martedì 14 luglio alle ore 20:00, a Napoli in Piazzetta Duca D’Aosta 263, nella storica sala con aria condizionata del Teatro Augusteo, la compagnia di teatro amatoriale “Costellazione”, che porterà in scena “La Cattedrale”, un libero adattamento dal “Notre Dame de Paris” di V. Hugo e da “L’Opera da tre soldi” di B. Brecht.

La compagnia di teatro amatoriale “Costellazione” da anni è regolarmente selezionata per rappresentare l’Italia in vari Festival internazionali, raccogliendo importanti riconoscimenti. Grande merito di ciò alla direzione e alla regia di Roberta Costantini, che a Formia, in provincia di Latina, conduce laboratori di studio, formazione e ricerca teatrale.

Sinossi de “La Cattedrale”.

Non è solo la storia di Quasimodo, ma una narrazione corale che rappresenta l'universalità delle grandezze e delle miserie dei vari personaggi di V. Hugo. Immersa in un tempo dentro un altro tempo, ciò che permane è la pietra, imbevuta di ideali, immaginazioni, conflitti, sofferenze e bisogni degli esseri umani. In quest’opera gli attori proteiformi mutano d'aspetto e di ruolo evidenziando un mondo di finzione, falsità e convenienza, in cui imperversano l'accattonaggio morale e la pochezza etica, così pericolosamente specchio della quotidianità odierna. le strutture scenografiche sono perennemente in movimento, mentre gli attori usano costumi e teli come elementi aggiuntivi di un incessante divenire.

Teatro

Fra pochi giorni scadrà il bando indetto dal Teatro Agorà di Roma, in collaborazione artistica con l’Associazione culturale “Enter” per il Teatro storico italiano: “1946-2016, nel 70° Anniversario della Repubblica. Cronache. Storie e fatti della scena italiana”. Le compagnie teatrali interessate dovranno inviare la loro domanda di partecipazione entro il prossimo 15 giugno 2015.

Questo progetto è nato dall’esigenza di selezionare le migliori compagnie, caratterizzate da criteri di professionalità artistica e gestionale e gli spettacoli più interessanti riconducibili a tematiche storiche e storico-religiose. Quindi, attraverso questo bando sarà possibile portare sul palcoscenico del Teatro Agorà una serie di spettacoli accuratamente selezionati, che andranno in scena per una settimana teatrale tra novembre 2015 e marzo 2016.

Il principale obiettivo del bando è quello di promuovere il Teatro storico italiano, consentendo alle compagnie teatrali di rappresentare le loro opere in un teatro situato proprio nel cuore di Roma. Il risultato sarà quello di proporre al pubblico la conoscenza di nuovi testi teatrali.

Per l’occasione, l’attore e regista Luca Milesi, anche docente di lettura interpretativa e recitazione e co-fondatore e direttore artistico dell’Associazione culturale “Enter” di Roma, ha concesso un’interessante intervista, attraverso la quale emergono diversi spunti di riflessione nei confronti del teatro e della sua funzione socialmente rilevante.

Il Teatro Agorà, che sorge a Trastevere, nei pressi dell’Orto Botanico, con una capienza complessiva di centoquaranta posti, è gestito dall’omonima Associazione culturale. Con quanta forza la vera passione per il teatro vi ha spinti in questo progetto?

In qualche modo siamo legati al Teatro Agorà ’80 come dei nipoti alla casa del nonno: quelle sale ospitavano la scuola di teatro nella quale abbiamo compiuto i nostri primi studi, verso la fine degli anni ’90. Quasi un “debito” artistico se vogliamo. L’apertura verso le collaborazioni esterne dimostrata dalla direzione artistica dell’Agorà ’80 ha fatto il resto, determinando la nascita di un progetto che vuole scommettere sulle qualità artistiche e non solo; cerchiamo testi che sappiano inquadrare, con fedeltà storica e creatività del linguaggio, i momenti più cruciali della storia del nostro Paese dopo il 1945.

L’attività della Compagnia Agorà ’80 era inizialmente indirizzata al Teatro per Ragazzi, un genere teatrale ingiustamente considerato minore. Il vostro comune intento di risvegliare le coscienze degli adolescenti, generalmente dimenticati dalla letteratura, nel tempo, ha dato i risultati sperati?

I risultati arrivano gradualmente, in proporzione alla sistematicità ed alla continuità degli sforzi profusi. Le istituzioni non sempre possono aiutare. Sarebbe auspicabile ricevere più attenzioni dal corpo docente delle scuole. Molto spesso anche i professori inseguono il “grande nome”, così come gli sponsor e questo non fa il bene dei ragazzi, i principali destinatari e fruitori dei progetti.

La storica sede del Teatro Agorà di via della Penitenza, 33 riporta una targa dove si legge: “Libero Teatro da Sala”. Una frase dall’ efficace messaggio simbolico, che rimanda all’orientamento drammaturgico conferito allo spazio teatrale. Fra gli obiettivi, figurava anche quello di offrire al pubblico un prodotto alternativo a quello “commerciale”?

Ritengo che i fondatori dell’Agorà ’80 con quella targa volessero principalmente aprire le porte ad un teatro che non fosse solo “politico”. Ed avevano ragione, in quel caso. Ma è un discorso antico.

Molti attori di successo hanno mosso i primi passi all’interno della vostra compagnia. Quali di essi ricorda con maggior interesse?

Ho un bellissimo ricordo di Salvatore Lazzaro, attore formatosi in Sicilia, protagonista della nostra versione di Terapia di gruppo (di C. Durang) nel ruolo di “Bruce”, andato in scena nel 2011 al Teatro Trastevere. Ma Salvatore all’epoca era già famoso e calcava i palcoscenici da diversi anni: quando ci incontrammo, proveniva dalla bellissima esperienza del “Capo dei Capi”, nel ruolo di Bernardo Provenzano.

Lei è fondatore e direttore artistico dell’associazione “Enter”. Vorrebbe illustrarmela?

La “Enter” è nata per far conoscere al pubblico romano e soprattutto a quello dei più giovani le maggiori opere del teatro italiano e straniero poco “calcolate” dalle istituzioni teatrali del nostro paese. Prendiamo come esempio il caso di “El Triciclo”, opera grandiosa del genio di Fernando Arrabal, fondatore del Movimento del Teatro Panico negli anni ’50. Praticamente siamo stati i primi a rappresentarlo in Italia: con nostra sorpresa, nel 2004 scoprimmo che in Siae non disponevano di una traduzione. Un’ esperienza meravigliosa arrivata fino al teatro Flaiano. Poi vennero Don Chisciotte, (con il quale vincemmo il premio “Salvo Randone” a Calamonaci nel 2006), il testo Zona Protetta dello spagnolo Ernesto Caballero, (migliore regia al Festival di Moncalvo “Sipari di occasione” nel 2008), lo spettacolo sul Che nel 2012, “Tribù” di Duccio Camerini sul ‘900 italiano e la storia del brigante Ninco Nanco, nel 150° del suo assassinio. Nella “Enter” il seme del teatro contemporaneo viene impiantato su un humus che affonda profondamente le radici nella storia degli esseri umani veri, quelli “in carne ed ossa”.

In occasione del 70° Anniversario della Repubblica Italiana e dell’apertura del Giubileo, il teatro “Agorà”, in collaborazione artistica con l’associazione “Enter”, ha indetto il bando di concorso “Storie e fatti della scena italiana”, che scade il prossimo 15 giugno 2015 e persegue l’obiettivo di promuovere il teatro storico italiano, attraverso la rappresentazione di spettacoli selezionati afferenti alle tematiche storiche e storico-religiose. Vorrebbe parlarmi di questo interessante progetto?

Si parla tanto di quanto sia brutta questa Seconda, quasi Terza Repubblica nella quale stiamo vivendo. Ma forse i conti con la Prima non sono stati ancora saldati fino in fondo, soprattutto per quanto riguarda gli usi, i costumi e l’immaginario collettivo di una generazione, che si fece carico della pesante responsabilità di ricostruire da zero un Paese prostrato dal Fascismo e annientato dalla Guerra. La generazione successiva, quella del ’68, è stata celebrata maggiormente da tutti i media, in tutti i settori delle arti espressive. Personalmente, da qualche anno mi domando se il patrimonio culturale della generazione nata ad esempio nel 1925 fosse realmente tutto da rottamare. Non credo per questo di essere un reazionario. No? Dunque apriamo le porte del teatro ad una sorta di “Come erano”. “Come eravamo” non possiamo più dirlo, dal momento che noi non c’eravamo.

Nel suo bagaglio artistico noto che lei ha una certa esperienza come docente di lettura interpretativa e di recitazione, anche nell’ambito del laboratorio “Tangram”, diretto da Massimo Bonetti. Inoltre, ha curato l’allestimento di spettacoli presso la scuola di Massimiliano Milesi, dove ha insegnato per cinque anni. Questo denota la sua autentica passione per il teatro. Ha mai pensato al cinema?

Ci ho pensato tantissimo, ma quando le porte non si aprono bisogna farsene una ragione. E non ho mai pensato che fosse giusto solo piagnucolare e prendersela con i raccomandati, che comunque certamente esistono. Forse, più semplicemente, sono nato per il Palcoscenico e non per la Cinepresa: accettarlo non è stato facile. Ma tutto passa.

Si sente ottimista in un’ottica proiettata verso il futuro del panorama artistico, nel suo insieme?

Sarei molto più ottimista se un governo dicesse: da oggi zero finanziamenti a tutti ( a tutti!), per valutare realmente i livelli di creatività dei teatranti italiani. Mettiamo a disposizione solo un palcoscenico…

Questo mi renderebbe non solo ottimista fino in fondo, ma anche strafelice. Ovviamente è una utopia. Ma ugualmente non mi arrendo e non smetterò mai di lavorare con le scuole superiori, per aiutare la formazione del pubblico di domani, spero più cosciente e consapevole.

 

 

 

 

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