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Sabato, 01 Giugno 2024

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La vita sociale e l’atmosfera culturale, politica, etica e spirituale in cui, oggi, siamo immersi, determinano un crescente e forte bisogno di formazione interiore e di conversione continua.

Si tratta di una realtà connotata dagli elementi caratteristici del consumismo, dal desiderio di volere sempre di più e subito, dai ritmi vertiginosi della vita quotidiana, dalla corsa al successo ed all’apparire più che all’essere, ma soprattutto dall’incertezza del futuro e dall’affievolirsi della fiducia negli altri e nelle istituzioni.

In questo vortice frenetico in cui si consuma la nostra vita, le ricorrenze, le giornate “dedicate”, assumono un importante significato: la necessità di fermarsi un attimo a pensare, a meditare, a ricordare i valori imprescindibili della nostra esistenza.

Il mese di maggio è il mese delle rose, ma è anche il mese dedicato alle donne e, in particolare, alle mamme; è il mese dedicato a Maria, Donna e Madre.

Sono tante le donne che, nel mondo della cultura, della ricerca scientifica, dell’economia, della letteratura, della solidarietà sociale, hanno consegnato alla memoria e agli annali dell’umanità l’impronta del loro passaggio, della loro presenza, della loro saggezza. Si tratta di donne celebri che, con il loro pensiero, le loro scoperte, la loro dedizione ai bisognosi di aiuto e di assistenza, hanno arricchito l’umanità.

Ma per ogni persona, la donna più importante è sempre la stessa: la propria mamma.

E alla mamma, nella seconda domenica di maggio, ogni figlio dona una rosa in segno di affetto e di riconoscenza.

Nel mese delle rose, la scelta dell’omaggio floreale forse è stata obbligata, ma nessun altro fiore avrebbe potuto “simboleggiare” meglio la mamma: tanti petali colorati e profumati e tante spine, come tante sono le gioie e le soddisfazioni e tanti i dolori nella vita di ogni mamma, di ogni donna.

Questa ricorrenza ha origini lontane: negli Stati Uniti, nel maggio 1870, Julia WardHowe, attivista pacifista e abolizionista, propose l’istituzione del Mother’sDay for Peace (Giornata della madre per la pace), come momento di riflessione contro la guerra, ma solo nel 1914 la giornata fu ufficializzata dal presidenteWoodrow Wilson, con la delibera del Congresso di festeggiarla la seconda domenica di maggio, come espressione pubblica di amore e di gratitudine per le madri.

La festa si è poi diffusa in molti Paesi del mondo e oggi è un evento che, ormai, ci appartiene: rappresenta, infatti, l’occasione migliore per manifestare, a chi ci ha dato la vita, la nostra gratitudine e il nostro calore, il nostro affetto.

E’ vero, in questa ricorrenza spesso rischia di prevalere l’aspetto commerciale, ma un momento di riflessione, un pensiero profondo alla persona che, con tenerezza e dedizione, ci ha aiutati a crescere, è importante e non va sottovalutato, né sminuito nel suo significato autentico, anche se le mamme non chiedono ai figli alcun dono o alcun riconoscimento materiale, ma solo il loro affetto e il loro amore.

Come tutti i sentimenti, anche quello che lega madre e figlio si modifica continuamente nel tempo, nei modi e nelle forme, ma non nella profondità: l’amore del figlio bambino è un amore totale, incondizionato, ancestrale, la mamma è un mito a cui affidarsi completamente; l’amore del figlio adulto è un amore più critico, maturo, protettivo, ma non meno intenso.

Quando poi il figlio, a sua volta, diventa genitore, l’amore per la propria mamma diventa “consapevole”, allora si capisce veramente la profondità di questo rapporto.

Come ogni regola, anche questo legame empatico ha le sue eccezioni, da entrambi i lati ci sono “amori malati”: c’è l’amore materno soffocante, geloso, che non lascia crescere perché ha paura del cambiamento e non vuol lasciare andare l’oggetto del proprio amore; c’è il figlio che rinnega e ripudia le proprie origini per un falso desiderio di libertà, ma non può esserci libertà fuori da noi stessi, solo il riconoscimento e l’accettazione di quello che siamo e da dove veniamo rappresentano i punti di partenza per il raggiungimento di una autentica autonomia.

L’attuale crisi economica logora le persone, ma, purtroppo, logora anche i sentimenti perché obbliga a delle situazioni “innaturali” che spesso scaturiscono in conflitti e drammi.

Per tutti i “cuccioli” è naturale, ad un certo punto della vita, abbandonare la tana dei genitori, anche i nostri giovani hanno l’esigenza di rendersi indipendenti, ma questo diritto spesso, oggi, viene loro negato dalla disoccupazione e dalla difficoltà di “mantenersi”, di sostentarsi.

Sono costretti a restare in famiglia, ma questa scelta obbligata spesso inasprisce i rapporti proprio con la persona dalla quale si dipende maggiormente e che si ama di più: la mamma.

Ma quando ci sentiamo soli, quando siamo impauriti o disperati, la parola che sale alle labbra è sempre una, è sempre la stessa: MAMMA!

Poesie, citazioni, pensieri, canzoni …. sembra impossibile trovare ancora parole nuove per la mamma, ma ogni figlio, in questa ricorrenza, saprà trovare le parole giuste e uniche per dire alla propria madre “ti voglio bene”!

 

 

"Assassino, gli hanno detto. Lui si è girato, è andato al bar e ha chiesto un caffè. La moglie l’hanno chiamata subito: vieni, non sta bene. Il sipario si è abbassato qualche ora dopo: Roberto Gerardi, 60 anni, è morto d’infarto. In questo circo non si ride, oggi. Il domatore di cammelli va sottoterra senza applausi. Basta il pianto di un organo, a salutarlo. Arrivano clown, trapezisti, domatori. Da ovunque. Niente trucco, si sarebbe sciolto con le lacrime. Sono qui per portarlo a Reggio Emilia, dove c’è la tomba di famiglia. Al tendone è appeso un cartello: «gli animali al circo si riproducono, fuori si estinguono». Due righe per chi non ci crede e attacca. 
Domenica pomeriggio, Cazzago San Martino, zona autostrada: gli animalisti arrivano al circo di Praga con megafono e cartelli. Roberto esce a controllare. Volano spintoni. Parole grosse. «Fallito, fai schifo». Inizia a sentirsi male. È morto due giorni dopo, in ospedale. Martire, lo chiamano ora tutti, quest’uomo che aveva scelto i cammelli. O, forse, i cammelli avevano scelto lui. «Sono loro che decidono con chi lavorare - dice la nipote Tara -. Uno che doma animali esotici non può far ruggire le tigri: lo zio era uno da cammelli. Pacato, morbido, buono». Sua moglie Dalila l’ha conosciuta che faceva la trapezista. Avevano fondato un circo loro, poi gli affari hanno iniziato a girare male: per qualche mese si erano appoggiati a quello di Praga. Il figlio Steven non si stacca dal suo papà: ha la mano incollata alla bara. Lui è un clown, tiene le spade in equilibrio sulla fronte."

Questo l'articolo che Alessandra Troncana ha scritto per la cronaca di Brescia del Corriere della sera, giovedì 20 marzo.

Il domatore di cammelli era parte della grande famiglia circense che, ricevuta in udienza da Benedetto XVI (1-12-2012)si sentì rivolgere queste affettuose parole: "Ciò che anzitutto contraddistingue la vostra grande famiglia è la capacità di usare il linguaggio particolare e specifico della vostra arte. L’allegria degli spettacoli, la gioia ricreativa del gioco, la grazia delle coreografie, il ritmo della musica costituiscono proprio una via immediata di comunicazione per mettersi in dialogo con i piccoli e con i grandi, suscitando sentimenti di serenità, di gioia, di concordia. Con la varietà delle vostre professioni e l’originalità delle esibizioni, voi sapete stupire e suscitare meraviglia, offrire occasioni di festa e di sano divertimento."

I contestatori che fanno del loro amore per gli animali una ideologia contro l'uomo hanno raggiunto il loro scopo? Hanno sospeso le contestazioni in segno di lutto e speriamo che questa pausa di riflessione faccia loro recuperare il senso della realtà. Nessun animale libero vale un uomo morto!

Anche questo Natale è ormai passato e, come ogni anno, ci siamo scambiati gli auguri. Si tratta di auguri più sentiti delle altre volte e non per mantenere viva la tradizione, ma perché avvertiamo sempre più forte l’esigenza di dimenticare, il più presto possibile, questi momenti di forte crisi economica e di sfiducia nelle istituzioni e in chi le rappresenta.

In effetti, soprattutto l’ultimo triennio, può essere considerato un periodo buio che ha visto la chiusura di tante piccole e medie aziende, l’aumento della cassa integrazione sfiorare il miliardo di ore, un sempre crescente numero di famiglie in difficoltà esistenziale. Si tratta di uno spazio di tempo che ha visto gli italiani vivere con la preoccupazione e il tormento dei radicali mutamenti della vita politica i cui effetti sono stati immediatamente avvertiti sul piano sociale, economico, culturale.

In questi giorni il Governo è alle prese con la “legge di stabilità” e, da quello che riusciamo ad intuire, lo scenario non presenta alcun cambiamento migliorativo né sul versante della riduzione della pressione fiscale, né per quanto riguarda le opportunità di lavoro, settore che denota un inarrestabile calo.

Quello che risulta essere particolarmente preoccupante è l’assenza di risposte da parte della collettività all’insieme dei complessi problemi che frenano ogni forma di sviluppo e di crescita. Ed è proprio il modo in cui viene percepito il carattere eccezionale di questo particolare momento che contribuisce a far crescere nei cittadini una certa forma di adattamento a questa nuova realtà. È anche vero che si registrano sporadiche ed isolate forme di opposizione, di ribellione, di appelli rivolti al capo dello Stato sulle difficoltà che sempre più numerose famiglie, oggi, vivono, ma oltre a questi accorati e discontinui appelli niente di più è stato fatto. Certamente non è facile capire cosa potrebbe e dovrebbe essere fatto, ma continuare ad attendere, sperando che altri facciano anche per noi, vuol dire arrendersi e lasciarsi vincere dall’inerzia.

Alla luce di un siffatto e complesso quadro nazionale, quale significato assume il reciproco scambio di auguri per un felice e sereno anno nuovo? Forse proprio nessuno, fino a quando non saremo in grado di capire appieno le molteplici difficoltà del momento, e fino a quando non riusciremo ad agire in modo da creare le condizione per un reale e radicale rinnovamento culturale, sociale ed economico.

Certamente non bastano i soli buoni propositi, i “decreti del fare” del nostro Governo, il dichiarare che bisogna fare di più per i giovani, per il lavoro, per le famiglie in difficoltà. Forse c’è bisogno di qualcos’altro; c’è bisogno di rifare, nuovamente, proprio l’uomo. Non dobbiamo perdere di vista, però, che l’uomo possiede dei valori che non solo devono emergere, ma devono essere tradotti in forme di vita autentica, anche se con i suoi comportamenti, non sempre leali e corretti, finisce con il far perdere la speranza e la fiducia riposta nell’uomo stesso. Questo vuol dire che la speranza e la fiducia non devono essere mai perse, e sta solo a noi cercare di orientare la politica, la scienza, l’arte, l’etica, l’economia alla realizzazione piena e incondizionata dell’uomo, considerando la persona non più uno strumento, ma un fine, non più un mezzo, ma il vero e, forse, unico valore.

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