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Che non sia una brutta parola “conservatore”, basta andare a sfogliare una rivista di due decenni fa, il suo nome PERCORSI, col sottotitolo: “di politica, cultura, economia”, un mensile diretto da Gennaro Malgieri che ha iniziato la pubblicazione nel dicembre del 1997 e conclusa nel giugno del 2000. Appena tre anni di esistenza, ma che hanno inciso profondamente nel panorama politico e culturale di una certa Destra, visto che il recente libro “Conservatori” di Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti le ha dedicato un capitolo. E proprio questo imput culturale mi ha spinto alla ricerca dei fascicoli che per fortuna erano custoditi tra gli scomparti delle mie librerie in Sicilia. Probabilmente avevo intuito che meritavano la mia attenzione. Durante la mia recente permanenza nell'isola, ho dato una attenta sfogliata a tutti i numeri in mio possesso ed ho capito che sono particolarmente preziosi per quel “Laboratorio sul Conservatorismo”, nato sotto la spinta di un possibile futuro partito dei conservatori. Anticipo subito: ho fatto un gran lavoro, non richiesto, a tratti anche faticoso, ho cercato di selezionare gli articoli che trattano i temi che interessano lo studio del conservatorismo. Non voglio scoraggiare i lettori, ma credo che un lavoro di questa portata andava fatto e che interesserà soprattutto chi vuole approfondire l'argomento.

Il 1° numero (dicembre 1997) Inizia con un editoriale di presentazione del direttore Malgieri (Facciamo la Destra) “si tratta di servire il ritorno dei valori qualitativi della politica e della socialità, ma anche di aderire senza tentennamenti a quell'universo del diritto naturale, che è fondamento esclusivo dell'ordine civile, ripudiando tutte le tentazioni relativiste”. Già col primo numero si delineano chiaramente le tracce del discorso conservatore, ci pensa Marco Respinti, che fa parte della redazione, insieme ad Andrea Morigi, Giancristiano Desiderio, Angelo Iacoviella, Aldo Di Lello. Respinti esperto di politica e del Pensiero Forte americano, con riferimenti precisi a pensatori come Russell Kirk, Irving Kristol, ma soprattutto a Edmund Burke, col corposo studio apparso nella rubrica “Il Ramo d'Oro”.

*Numero 2 (Gennaio 1998) da segnalare tra gli “Scenari”: “Dieci idee per la Destra che verrà”, un dibattito a cui partecipano una serie di studiosi, Accame,Besana, Cangini, Cantoni, Cardini, De Turris, Invernizzi, Mita, Nistri, Roberti. Nello spazio “Il tema”: “Alla riscoperta dei Corpi Intermedi”, partecipano Alfredo Mantovano, Andrea Morigi, Gianluca Galantini, Enzo Peserico, Riccardo Migliori.

*Numero 3 (Febbraio 1998) Nella presentazione del numero si sottolinea la decadenza del nostro Paese, provocata soprattutto dal decremento demografico. In questo fascicolo è presente il Dossier, “La Memoria orribile del comunismo”, con i contributi di De Mattei, Bensi, Pettinato e J.P. Blanchard. Mentre Gianfranco Legitimo presenta la figura di Joseph De Maistre.

*Numero 4 (Marzo 1998) “La Scienza ritrova l'uomo”, da segnalare gli interventi Mantovano, Pedrizzi, Morigi, Chiara Mantovani. Altro contributo importante nel fascicolo è quello di Massimo introvigne e Pierluigi Zoccatelli, “La religiosità minacciata”, mentre Marco Respinti, presenta A. James Gregor, cattedratico americano che approfondisce il fenomeno fascista anche in relazione con il nazionalsocialismo e al marxismo-leninismo con riferimento agli studi di Renzo De Felice.

*Numero 5 (Aprile 1998) “Cercando una vera politica”, l'editoriale di Malgieri, che è interessato a un programma organico e coerente intorno al quale mobilitare coscienze e energie. Sostanzialmente un Polo da reinventare (cioè l'alleanza tra i partiti di centrodestra) Su questo tema si confrontano i professori Antonio Martino e Domenico Fisichella e tanti altri. Naturalmente in questo profluvio di nomi, alcuni di queste personalità che hanno collaborato con la rivista ora non sono più con noi. Intanto in questo numero viene presentato l'importante figura del filosofo napoletano Giambattista Vico da parte del compianto professore Antonio Livi, nella sezione “Il Ramo d'Oro”: “L'ordine sociale fondato sul Diritto Naturale”.

*Numero 6 (Maggio 1998) “L'Europa che non finisce a Maastrich”. Interviene Nistri e il professore Marco Tangheroni, mi soffermo sul contributo di quest'ultimo. Si occupa delle radici e la prospettiva culturale dell'Europa. “L'identificazione del patrimonio comune dei popoli che costituiscono la Cristianità è causa di imbarazzo per le moderne istituzioni comunitarie che mirano a fondare l'unità sull'economia”. Tangheroni sostiene, che, “La grande famiglia degli Stati cattolici conobbe un'unità fondamentale di fede, di diritto, di lingua colta conquistata attraverso passaggi difficili, segnati dal sangue dei martiri”. Il professore pisano fa riferimento all'importante discorso di S. Giovanni Paolo II pronunciato davanti alla stupenda cattedrale di Spira il 4 maggio 1987. “Questo duomo – dice il papa – è così testimone della grandezza dell'Europa cristiana e nello stesso tempo testimone di quella decadenza di cui essa stessa è colpevole”. Inoltre, in questo numero si trova un ampio dibattito su Julius Evola a cento anni dalla sua nascita. Intervengono Mario Bernardi Guardi, Claudio Risè, Stefano Zecchi, Carlo Fabrizio Carli, Gianfranco De Turris. Segue un reportage di Gennaro Sangiuliano su Sarajevo.

*Numero 7 (Giugno 1998) E' quello con la copertina dello Stadio Maracanà, “Il mondo nel pallone”; la globalizzazione ha investito anche il calcio trasformandolo in uno strumento di potere. “Il calcio metafora della Modernità”, il tema è trattato dal direttore Malgieri, Giuseppe Del Ninno, Maurizio Mosca ed altri. Nella sezione “Orizzonti” si discute “Contro il Meridionalismo”, ne parlano Giancristiano Desiderio, Mario Landolfi, Carlo fabrizio Carli, Gabriele Fergola, Carlo Pace. In pratica “Dall'Unità d'Italia a oggi è mancato un modello di sviluppo complessivo per il Meridione e l'economia nazionale. Le responsabilità di un'industrializzazione demagogica e “assistita”. Se si vuole affrancare il Meridione si deve inventare un sistema economico complementare e non antagonista a quello del Nord. “Il meridionalismo” da impegno politico e passione civile, si è trasformato sempre più in una sterile esercitazione intellettualistica. Interessante riflessione sui giacimenti culturali, un'occasione per la rinascita del Mezzogiorno. Un retaggio d'arte e di Storia unico al mondo e male amministrato.

*Numero 8 (Luglio 1998) Il tema principale è l'Identità da ricostruire. Da segnalare l'intervento di Enrico Nistri, Lingua e cultura, religione e diritto traggono origine da un'”ethos” condiviso. Nella rubrica “Orizzonti” si discute di “Abortismo/Sadismo: Il crimine illuminato”, un ampio reportage del direttore responsabile di Percorsi, Marco Respinti. Sul violento rifiuto del Diritto Naturale si staglia l'ombra e il terrore del marchese De Sade. La Modernità  filosofica-politica si è aperta con il primo genocidio della Storia (Vandea) e si è chiusa con l'esperimento ideocratico del Totalitarismo comunista: “La Vandea di oggi si chiama aborto”. Juan A. Montes si occupa delle quattro Rivoluzioni in Cile in soli trent'anni. Chiude il numero la consueta rubrica, “Il Ramo d'Oro”, Rino Cammilleri descrive il grande conservatore spagnolo Juan Donoso Cortes.

*Numero 9 (Agosto 1998) Il tema centrale, “Una Scuola da rifare”. Intervengono diversi studiosi ed esperti, ne cito qualcuno, il professore Tangheroni, Riccardo Pedrizzi, il filosofo Dario Antiseri. “Crisi di educazione”, è l'intervento di Tangheroni. Si occupa delle tappe dell'Italia scolastica dall'Unità a oggi. Dal modello piemontese a quello fascista, con lo sperimentalismo marxista. Per quanto riguarda gli anniversari nel fascicolo, si ricordano gli ottant'anni del libro famoso, “Il Tramonto dell'Occidente”, di Oswald Spengler, lo affrontano Malgieri, Staglieno, Respinti e Morigi. Un libro che ha colto in modo drammatico il destino dell'Occidente. “Ancora oggi il testo è un severo ammonimento per quanti fingono di non accorgersi che cultura, tradizioni, valori, sono seriamente minacciati”. Infine è presente uno studio di Evola sul senatore americano Barry Goldwater, “Il vero conservatore”.

*Numero 10 (Settembre 1998) “La Sfida del Conservatorismo”. Il fascicolo si pone la domanda chiave: “Conservatori, Perché?”. A questa domanda rispondono in tanti a cominciare di Respinti: “Il conservatore non è il semplice custode di nostalgie passate, ma il ragioniere, l'economo e il cassiere di quanto c'è ai piedi della montagna non prima dell'ascensione[...]”. Pertanto, scrive Respinti, “La posizione conservatrice è dunque quella dell'essere non la coda della carovana attardatesi perché pesante di masserizie, ma l'avanguardia[...]”. Poter contare sulle macerie è già patrimonio enorme. La tradizione non è un cimitero di sepolcri imbiancati e di cenotafi, mirando e rimirando i quali ci si può cullare in sogni d'ipotetici mondi migliori passati dove tutto viene illusoriamente ritenuto perfetto”. Per Respinti, “La Tradizione senza la verità è solo un errore invecchiato”. Interessante riportare la lunga citazione di Carlo Sgorlon che asserisce:L'uomo di destra è prevalentemente conservatore”. “Chi è di destra si sforza di conservare del passato non le cose chiaramente ingiuste, ma quelle che servono a migliorare l'uomo e la società”.

Una descrizione del conservatorismo come antiutopia viene offerta da Russell Kirk: “In senso stretto, il conservatorismo è la negazione dell'ideologia”. Diversamente dal socialismo, dall'anarchismo e anche dal liberalismo, il conservatorismo non offre quindi alcun modello politico universale adattabile dappertutto. Continua Kirk: “I conservatori credono che gli uomini e le donne moderni siano dei nani sulle spalle di giganti, in grado di vedere più lontano dei propri antenati [...]”. Il fascicolo si chiude con una scheda descrittiva ne “Il Ramo d'Oro” del filosofo tedesco Eric Voegelin col titolo: “Il mistero dell'Ordine”. Alle radici della critica dell'idea di Modernità.

*Numero 11 (Ottobre 1998) “La Partitocrazia nemico da battere”. E' il tema centrale del fascicolo. Nell'editoriale Malgieri sostiene che la destra deve guardare oltre la politica politicante, non dev'essere un soggetto politico che si spende solo nella pratica parlamentare, l'accento deve essere posto sul diritto naturale, la difesa della famiglia, della vita, dei corpi intermedi, sulla reazione all'omologazione culturale quale nuova forma di totalitarismo. Interessante l'approfondimento sulla Russia dopo il crollo del Muro. Percorsi già venticinque anni fa aveva lanciato l'allarme della deriva russa, dietro la facciata democratica c'è una sostanza sovietica, già da allora si profilava una svolta neocomunista. Nella sezione “Revisione”, diversi studiosi e giornalisti affrontano il tema della “Galassia di Carta” della Destra, dove si sfata il mito che a destra non c'è cultura. Mario Bozzi Sentieri fa un lungo viaggio attraverso le riviste di destra. Un nome tra tutti emerge ed è quello dell'editore Giovanni Volpe. E' utile fare qualche nome di riviste: La Torre (per anni sono stato abbonato), Elementi, Ideazione, La Destra, Linea, Intervento, Il Conciliatore, l'Italiano, L'Alfiere, Tabula rasa, Cristianità, la rivista di Alleanza Cattolica. Molte di queste riviste hanno cessato la pubblicazione da tempo.

*Numero 12 (Novembre 1998) “L'Occidente svuotato: dal declino demografico alla morte dei popoli” è il tema centrale di questo numero, contributi di Morigi e Giovanni Monastra. Da segnalare una scheda su Francesco Crispi di Vincenzo Pacifici.

*Numero 13 (Dicembre 1998) “Pensiero unico, il Nuovo Totalitarismo”, contribuiscono a sviscerare il tema, Malgieri, Nando Della Chiesa, Marcigliano, Saccà ed altri. “Il pensiero unico è l'ideologia di fine millennio che si arroga il ruolo esclusivo interprete degli aspetti superiori della modernità. Junger non fu compreso quando presentava l'avvento di una società di massa che tutto omologasse e rendesse uniforme, costringendo gli uomini a un regresso evolutivo fino al formicaio o all'alveare”. Nelle consuete rubriche si trovano interessanti temi, ma devo sorvolare, segnalo solo una scheda dedicata al grande scienziato e studioso della genetica, Giuseppe Sermonti. Mentre il “Ramo d'Oro” è dedicato al professore Plinio Correa de Oliveira, il fondatore della TFP, brasiliana, che ha dedicato la sua vita all'ideale della restaurazione di una civiltà cristiana. Il suo capolavoro è il testo “Rivoluzione e Controrivoluzione”, testo base per l'attività di tanti militanti cattolici della TFP sparsi nel mondo, in Italia per i soci di Alleanza Cattolica.

*Numero 14 (Gennaio 1999) “Il tema: “E' tutta un'altra Storia”, un fascicolo richiestissimo per chi ha inteso fare del sano revisionismo, come il sottoscritto. Il revisionismo necessario per Ricostruire l'identità nazionale. “Il passato ritorna”. A questo tema intervengono Francesco pappalardo,Sergio Romano, Morigi, Tangheroni, Di Lello, Galantini. Pappalardo parla di “Pagine strappate” della Storia. C'è troppo silenzio sulle colpe dei rivoluzionari e la distinzione tra totalitarismi “buoni” e “cattivi”, sono ancora motivo di “scomunica” contro chi opera una rilettura seria e oggettiva degli avvenimenti della Storia. “Il Revisionismo serio nasce da un atteggiamento di ricerca della verità e di amorosa 'pietas' nei confronti dei nostri antenati. Esso è dunque lecito e doveroso per ricostruire il tessuto connettivo del paese”. A 150 anni dal Risorgimento e a mezzo secolo dalla resistenza, va verificato se e quanto i miti di fondazione e di ri-fondazione della nazione italiana ne abbiano rispettato l'identità”. C'è, tuttavia un atteggiamento di chiusura e di ostilità verso ciò che può incrinare gli schemi interpretativi della storia italiana. Il professore Tangheroni nel suo intervento rivaluta la Civiltà Cristiana. E avverte che, “occorre guardarsi dall'opporre una “leggenda rosa” a quella “nera”, così come dall'invenzione di un Medioevo puramente fantastico o peggio, nel quale ci sia spazio per artificiosi isterismi”. Occorre affrancare la storiografia dall'ideologia e utilizzare il metodo di Renzo De Felice, attaccato ingiustamente dai vari pasdaram attenti difensori della Storia ufficiale. Galantini si occupa di studiare il Ventesimo secolo, il Novecento senza miti. Occorre superare gli schematismi ideologici che incasellano gli avvenimenti, con maggior rigore metodologico e lettura critica. La Storia va intesa come conoscenza che si attua tramite continue revisioni diceva Furet. Tra le “Revisioni”, da segnalare, un ottimo intervento del direttore Malgieri sulla figura, forse più rappresentativa che ha generato la destra politica degli ultimi tempi, Adriano Romualdi, scomparso prematuramente.  Il “Ramo d'Oro” è dedicato al sociologo integrale, studioso dell'umanità, Roberto Michels.

*Numero 15 (Febbraio 1999) “1799: Siamo figli dei Lazzari o dei Giacobini?” E' la suggestiva domanda che si pongono gli studiosi di “Percorsi”, da Aldo Di Lello a Malgieri. E' l'eredità di una tragedia; ecco perchè NON celebriamo il 1799. Per Di Lello, “la Rivoluzione partenopea sintetizza guai che si producono nella società quando quando un ceto intellettuale pretende di guidare il popolo verso il progresso non tenendo conto dei suoi bisogni concreti”. Pertanto, Di Lello, fa riferimento allaNazione spontanea” che si manifesta per la prima volta in Italia come reazione ai soprusi di una dominazione dal marcato aspetto antireligioso”. Le Tre giornate di Napoli si possono benissimo qualificare come “Insorgenza di popolo”. “Gli occupanti francesi si trovarono di fronte a una crociata inattesa”, scrive Pappalardo, “ma la monarchia restaurata non comprese la necessità di formare un'elite controrivoluzionaria e di combattere il settarismo”. Il Popolo anziché lasciarsi incantare dalla libertà astratta dei rivoluzionari, insorse in difesa delle tradizioni e delle libertà, dimostrando che il vero elemento unificante della nazione italiana era l'identità religiosa e culturale. La storiografia ideologica nega l'unico motivo dell'insurrezione di popoli italiani. “Sant'Alfonso l'antilluminista” è la scheda di Andrea Morigi. La rubrica Revisoni si occupa dell'incorreggibile De Maistre, il pensatore savoiardo paga ancora oggi per aver osato formulare interrogativi “vietati”. Il “Ramo d'Oro” di questo fascicolo è riservato al grande filosofo torinese Augusto Del Noce.

*Numero 16 (Marzo 1999) “Sinistra nichilista”, (Aborto, inseminazione artificiale, Eutanasia,omosessualità, Droga, Clonazione) E' la pratica del Relativismo etico, ultima frontiera del caos. L'ultimo oggetto di accanimento dell'utopia della sinistra – dopo la distruzione di religione, Stato, società, economia, costume, pensiero – è l'intimità dell'essere umano.

*Numero 17 (Aprile 1999) Europa lacerata...Dopo la guerra in Jugoslavia. Il tema del fascicolo è quello della “Crisi della Giustizia, partecipano al dibattito Mantovano, Mario Cicala, Domenico Airoma, Mauro Ronco. La strategia gramsciana della conquista della società, della scuola, delle università, del mondo sindacale e del lavoro, è avvenuta anche con la magistratura. Interessante la riflessione di Airoma, sulla “svolta criminale”.

*Numero 18 (Maggio 1999) Democrazia diretta per reagire alla crisi di partecipazione. Si propone la partecipazione attiva dell'elettorato. Da segnalare l'intervento di Tomas Molnar, su “Ripensare la Modernità”. Reportage sul declino di Cuba e di Fidel Castro. Il “Ramo d'Oro” di Massobrio è dedicato ad Antoine de Rivarol.

*Numero 19 (Giugno 1999) La Povertà insostenibile. Il fascicolo si occupa del debito dei paesi in via di sviluppo. Nella rubrica Orizzonti si discute su un interessante tema: Il Patrimonio identitario. Cultura, patrimonio artististico, paesaggio, tutto in stato di abbandono. Interessante il saggio di Claes G. Ryn su uno Stato per la Comunità.

*Numero 20 (Luglio 1999) Dopo la caduta. “A Dieci anni dal Crollo del Muro di Berlino”, gli effetti devastanti del dominio comunista continuano a farsi sentire a Oriente come a Occidente e sono soprattutto morali e culturali. Hanno partecipato al dibattito diversi studiosi, da Di Lello a Marco Respinti, Stephan Courtois, Robert Conquest. La grande impostura; il comunismo è una menzogna antropologica e filosofica. Se occupa Aldo Di Lello. La violenza su milioni di uomini è frutto del rifiuto della realtà. Finchè la sinistra non denunzierà le aberrazioni dell'utopismo, non potrà dire di aver fatto i conti con il suo passato comunista. Su “Le ferite ancora aperte”, è l'intervento di Respinti. All'Esta per respinti si tende ancora a riciclare l'ideario e il personale comunista. Su “Le origini del terrore”, ha scritto lo storico Robert Conquest. Yan Baly si occupa del genocidio cambogiano dei comunisti Khmer rossi di Pol Pot. Infine da segnalare una conversazione di Marco respinti con Annette Y. Kirk, continua con la moglie l'opera di Russell Kirk sul Conservatorismo. Interessante il contributo alla destra americana di Kirk: “Prima di sperare di poter ottenere un qualsiasi ordine sociale giusto è necessario ordinare la propria vita interiore”.

*Numeri 21/22 (Agosto-settembre 1999) Il tema: Il Disordine mondiale. Nessun governo planetario è in grado di assicurare la pace e i diritti umani. Il professore Tangheroni, fa un interessante analisi del Continente africano, vittima del “Terzomondismo”. Quadro di un disastro. La colpa del disastro africano viene dato al colonialismo, eppure per il professore toscano, i disastri e lo sfruttamento più disumani sono avvenuti dopo l'indipendenza. E' una analisi che potrebbe servire oggi al Governo Meloni, che sta cercando di aprire nuovi rapporti con i Paesi africani. In questo fascicolo troviamo un bel dibattito su “L'Equivoco ecologico”, l'ideologia verde è incapace di affrontare i problemi.

*Numero 23 (Ottobre/Novembre 1999) La rivista cambia grafica. Si inizia con intervento di Giuseppe Valditara, l'attuale ministro della Pubblica istruzione e del merito. Già ventiquattro anni fa si scopre che l'Italia è l'ultimo Paese in Europa per investimento nella ricerca, anche se è il futuro di uno Stato.

Il Dossier di questo numero si concentra su Giubileo: Redenzione o affarismo? Luci ed ombre dell'Anno Santo della post-cristianità, sviluppano il tema, Tangheroni, don Luigi Negri ed altri.

*Numero 24 (Dicembre 1999) Il Novecento. Che cosa resta? E' il Dossier di questo numero. Si prospetta un futuro pieno di incertezze. Marcello Veneziani affronta il tema con dieci parole chiave. Il '900 nato all'insegna del rifiuto del Padre, si chiude con il rifiuto del figlio. Da segnalare un lungo articolo di Marcigliano: “Il Conservatorismo necessario”. Lo studioso fa riferimento a Respinti che da esperto studioso di politica e storia americana, ha messo a fuoco l'opera mirabile del pensatore della Destra conservatrice americana, Russell Kirk. La Destra non può che essere conservatrice; un conservatorismo, mai inteso come ottuso attaccamento ad uno status quo predefinito, né, soprattutto, come difesa e privilegi di interessi di casta. Ben altra dev'essere la tradizione conservatrice da recuperare e far nostra: una tradizione nobile, che si rifà al grande filone del moderno pensiero conservatore Europeo, ma al contempo alla cultura italiana. Bisogna essere conservatori come l'intendeva Moeller van Den Bruck: conservatori della dimensione spirituale della nazione, del legame di un popolo con le sue origini, con le sue tradizioni. Per questo egli scrisse che “il Conservatore ha dalla sua l'eternità” e per questo affermò decisamente che il Conservatore è anche l'unico rivoluzionario. Perché è capace di cogliere il mutamento nella continuità; capace di perseguire le vie del nuovo senza dimenticare l'antico; Modernità e Tradizione insieme.

*Numero 25 (gennaio 2000) Da segnale in questo fascicolo il Dossier: “Alla tavola di Frankenstein”. Già due decenni fa si metteva in allarme sui possibili cambiamenti alimentari.

*Numero 26 (Febbraio 2000) Nel Dossier si analizza “La Sovranità proibita”. La cessione di sovranità e le sue conseguenze. I popoli sono meno liberi  e maggiormente condizionati da poteri estranei alle loro ragioni. In questo numero da segnalare una pregevole presentazione di Giovanni Cantoni, dello scrittore  colombiano,“Certosino dell'altopiano” estremo conservatore e coscienza critica, Gomez Davila.

°Numero 30, è l'ultimo pubblicato è dedicato soprattutto al Convegno promosso da “Gymnasium-Osservatorio Permanente dei Libri di testo”. Tempo fa ho cercato su internet ma non ho trovato nessuna traccia dell'Osservatorio. Peccato. Il tema del Convegno era: “Scuola Italiana. Libro di testo, omologazione culturale”, in collaborazione con la regione Lombardia del 13-14 novembre 1999. Interessante il dibattito  della I Sessione sul tema: “Il Testo scolastico, Spazio di libertà”, ma anche la Iia Sessione, “Scuola Italiana e libri di testo:primi elementi per una valutazione critica”. “Non può esistere una cultura settoriale, perchè ogni cultura nasce da giudizi che l'uomo esprime sul mondo [...]”, afferma Laura Boccenti Invernizzi, “Non si tratta di difendere un'ideologia dagli attacchi di un'altra ideologia [...]” Il teso deve aiutare lo studente alla capacità critica, deve rispondere alle grandi domande della vita. Nella IIIa Sessione, il dibattito si concentra sulla Caduta del Muro di Berlino. Come presentarlo nelle Scuole. Coordinati da Mario Bernardi Guardi, ha partecipato Massimo Caprara e Giovanni Cantoni.

 

Essere conservatori che significa? E poi che cosa bisogna conservare e per quale motivo è meglio essere conservatori che progressisti? Il Conservatorismo è l'alternativa alle ideologie? E' esistito un conservatorismo in Italia? Non è facile rispondere a queste domande poste tutte insieme. Ci ha provato a rispondere un lavoro collettaneo in un libro,Conservatori. Storia e attualità di un pensiero politico”, pubblicato da Edizioni Ares di Milano nel 2023. Gli autori sono Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti, con contributi di Giovanni Orsina, Andrea Morigi, Francesco Pappalardo, Mauro Ronco. Tra l'altro questo è un libro che ha messo in moto un interessante “Laboratorio” dei conservatori sul sito online di alleanzacattolica.org, che intende essere uno spazio aperto alla discussione e all'approfondimento.

Affrontare il mondo del conservatorismo non si presenta un'operazione semplice: da un lato la complessità perfino definitoria del termine prima ancora del tema, dall’altro la necessità di un approfondimento che ricostruisca in una prospettiva storica, politica, culturale e scientifica. Del resto gli autori del testo sono consapevoli di questa necessaria premessa. Il libro offre una ricostruzione quanto mai ricca di dettagli, protagonisti, eventi, ripercorrendo i passaggi fondamentali degli ultimi duecento anni di storia occidentale e soffermandosi, in particolare, sulla tradizione conservatrice difficile italiana. “Un autentico tour de force”, ha scritto il professore Giovanni Orsina.

Cosa ha spinto in questo momento storico gli autori del libro a occuparsi del conservatorismo? La risposta si trova nell'introduzione. Tutto parte da una dichiarazione del Capo del Governo italiano Giorgia Meloni. Un governo “eccezionale”, che “rompe” con tutto un passato, in quanto per la prima volta è guidato da un personaggio politico nazional-conservatore. Infatti in uno dei primi discorsi del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha citato il filosofo Roger Scruton, “uno dei grandi maestri del conservatorismo europeo”, costringendo i mezzi di informazione a chiedersi cosa, e come mai, fosse cambiato nel pantheon culturale della Destra italiana, scrive Andrea Morigi nel contributo finale del libro.

Ed effettivamente da un po' di tempo, qualcosa è cambiato nella Destra, un forte segnale nell'ambiente culturale e politico, l'aveva dato una rivista molto originale e particolare: “Percorsi di politica, cultura, economia”, un mensile, fondato e diretto da Gennaro Malgieri, all'epoca parlamentare di Alleanza Nazionale (An) e direttore del quotidiano Secolo d'Italia, organo della stessa An. Un lavoro purtroppo durato solo tre anni (il primo numero è uscito nel dicembre del 1997), ma che ha tracciato un percorso culturale, politico nella Destra. Morigi ne evidenzia alcuni importanti contributi di eminenti scrittori e studiosi del mondo conservatore pubblicati dalla rivista, tra questi Giovanni Cantoni, Marco Respinti che propone la figura dell'americano conservatore Russel Kirk, e poi scritti di Thomas Molnar, dell'insigne medievalista Marco Tangheroni, Roger Scruton, ma sono presenti anche articoli di autorevoli scrittori dell'area politica della Destra a cominciare dal Malgieri stesso, Riccardo Pedrizzi, Aldo Di Lello e tanti altri.

Tornando al libro “Conservatori”, è un testo di quasi 300 pagine, composto di quattro densi capitoli, arricchito di tre contributi finali e di approfondite indicazioni bibliografiche. Il libro propone una mappa storico – politica per orientarsi di fronte a un termine spesso frainteso o distorto. Infatti il termine “conservatore” segue la sorte del termine “destra”, usato spesso per chi “si trova” a destra, piuttosto che a chi “è di” destra. A questo proposito scriveva Clemente Solaro della Margarita (1792-1869): “Una sola è la destra e vi appartengono color che la Religione, il bene e la gloria dello Stato hanno in mira”. Tuttavia, “Il conservatorismo non è semplicemente una mentalità individuale o una condizione di fatto: è anche un fenomeno  - sostengono gli autori -, una realtà osservabile, di natura collettiva e culturale, civica e politica, ovvero un insieme di giudizi non episodici sul reale che un gruppo umano ha formulato nel tempo e continua a formulare: possiede cioè un pensiero, ha avuto e ha dei teorici, ha una ricaduta sulla società e sulla politica e, ormai, anche data da qualche secolo.“Non è tuttavia un’ideologia, almeno – viene precisato – come la si intende comunemente”. E' bene chiarire che “il conservatorismo non è l'ennesima ideologia moderna, come il liberalismo, il comunismo, il nazionalismo, il nazionalsocialismo”. In pratica non è quella costruzione intellettuale sistematica costruita a tavolino. Nell'introduzione si fa un paragone per individuare chi è il vero conservatore: non è il politologo statunitense Francis Fukuyama, che pensava che dopo il crollo del comunismo, la vittoria del mondo liberaldemocratico segnasse la “fine della storia”. Ma lo è invece Aleksandr Isaevic Solzenicyn (1918-2008), che“quando ha accolto l'ammainabandiera del vessillo rosso dalla torre più alta del Cremlino non solo come un osanna alla libertà che finalmente invadeva anche l'ex impero zarista, ma anche come il preludio alla rinascita della tradizione russa di sempre”.

I curatori del libro precisano che “il conservatorismo non è e non è stato il proprium di aristocratici misoneisti o di borghesi desiderosi solo di salvaguardare il loro benessere e il loro status sociale”. Al contrario, i conservatori difendono e promuovono “le fasce meno altolocate della società, tanto è vero che la prima reazione contro la Rivoluzione francese non viene dagli ecclesiastici, dai nobili, dagli intellettuali, bensì dalle plebi rurali e urbane [...]”.

Il 1 tema affrontato dal testo è Il conservatorismo: un profilo ideale e storico.

Il conservatorismo reagisce contro il fenomeno rivoluzionario e si oppone a chi “adora” il cambiamento in quanto tale e che odia ogni punto fermo, ogni radice, ogni fattore di stabilità, ogni idea di creazione. Per affrontare il pensiero conservatore occorre partire dalla Rivoluzione francese, infatti, “la dottrina conservatrice è figlia di un avvenimento. Essa è nata da una reazione contro la Rivoluzione francese […]” Scrive il francese Philippe Beneton. “La dottrina conservatrice è dunque nata contro-rivoluzionaria”. L'89 dei rivoluzionari ha preteso insorgere contro le ingiustizie della “società feudale”, mentre in realtà sono insorti proprio a causa dei difetti di quell'epoca feudale, che aveva provocato l'assolutismo regio, che a sua volta, aveva soppresso tutte le libertà concrete.

Il 1789 è stato un anno epocale perchè segna l'inizio di una rivoluzione come non se ne erano mai viste fino ad allora. Il primo a rendersene conto della portata epocale della rivoluzione francese fu un irlandese, vissuto in Inghilterra, Edmund Burke (1729-1797) nato a Dublino. Considerato il primo conservatore, il “padre” del conservatorismo. Ha scritto un libro che viene considerato “il manifesto di una controrivoluzione”, “Riflessioni sulla Rivoluzione francese”, scritto nel 1790, quindi in piena rivoluzione. Il libro racconta i tragici anni rivoluzionari, il terrore della ghigliottina. Invernizzi e Sanguinetti fanno riferimento ai contributi indispensabili di due studiosi francesi, Pierre Gaxotte e Augustin Cochin. Quest'ultimo è autore di un'opera eccezionale per comprendere la Rivoluzione: “Meccanica della Rivoluzione”. La reazione e la critica alla Rivoluzione francese non arriva solo da Burke ma anche dal conte Joseph De Maistre con le sue “Considerations sur la France”. In Italia non abbiamo avuto figure autorevoli del conservatorismo però, scrive Invernizzi, “come definire se non conservatori quegli 'insorgenti' che si ribellano contro Napoleone Bonaparte (1796-1821)?” Napoleone tra il 1796 e il 1814 con le sue guerre di invasione, ha scatenato ovunque in Europa, centinaia di insurrezioni popolari causando decine di migliaia di vittime. Eppure in Italia Napoleone è stato e viene ancora celebrato come un liberatore, gli sono state intitolati monumenti, strade, piazze, mentre sono state accuratamente coperti dal silenzio i suoi numerosi furti e le devastazioni del patrimonio artistico, laico ed ecclesiale del nostro Paese.

Nell’excursus storico-politico il saggio esamina gli sviluppi in Europa ma anche in America del movimento conservatore in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna, in Austria, Svizzera, Germania e negli Stati Uniti. Non manca un capitolo dedicato alle “tentazioni” del pensiero conservatore che spesso cede ai compromessi con la modernità e che se comporta inizialmente un forte consenso, paga poi con cadute che lo azzerano del tutto (i casi di Action Française e del Fascismo italiano).

In questo viaggio voglio ricordare qualche nome significativo di questo movimento Gustave Thibon, Juan Donoso Cortes (1809-1853), Giacinto de Sivo (1814-1867). Antonio Capece Minutolo, Principe di Canosa, Cesare Taparelli d'Azeglio (1763-1830) il movimento Carlista, lo spagnolo Francisco Elias de Teyada y Spinola. Karl Ludwig von Haller (1768-1854), Gonzague de Reynold, Karl Lueger, il cancelliere Engelbert Dollfuss (1892-1934), infine negli Usa, Russell Amos Kirk.  Da ricordare c'è l'esperienza culturale intorno alla casa editrice Rusconi di Milano, “anima” delle varie collane è stato Alfredo Cattabiani (1937-2003) Altre figure importanti di studiosi sono Emanuele Samek Lodovici (1942-1981), il prof. Augusto Del Noce, Carlo Alianello (1901-1981), grande studioso del brigantaggio e del Regno delle due Sicilie, infine l'animatore culturale napoletano, Silvio Vitale (1928-2005), con la sua rivista L'Alfiere. Pubblicazione tradizionalista napoletana”. Sicuramente ci sono altri nomi significativi del conservatorismo.

Passando al profilo ideale del conservatorismo si individua la filosofia, che non può prescindere da San Tommaso d'Aquino (1225-1274) e dal pensiero di Giambattista Vico (1688-1744) Il conservatorismo “indossa” ogni filosofia che si conformi ai canoni della philosophia perennis, quella della verità oggettiva e del senso comune.

“Il conservatore si ispira dunque a principi e a valori perenni quelli che hanno creato e retto la civiltà europea e occidentale per secoli”. E poi c'è la Tradizione, che significa continuità con il passato migliore, perché il conservatore non è solo tradizionalista ma anche riformatore. Il conservatore è agli antipodi della società totalitaria, come quella comunista, o dello Stato etico, come nei fascismi o nel nazionalsocialismo. Il conservatore si affida alla Dottrina Sociale della Chiesa.

I pensatori conservatori hanno criticato i principi delle varie ideologie della modernità radicale, mostrandone l'inconsistenza, l'astrazione e la contraddittorietà.

Interessanti le nozioni sulle “tentazioni” del conservatorismo, a cominciare dal nazionalismo, l'autoritarismo, il totalitarismo, la dittatura, il conservatorismo liberale e socialista, il populismo.

Il 2 tema affrontato dal libro è “Il conservatorismo nell'Italia post-unitaria”. E qui si comincia ad analizzare le varie fasi dell'Insorgenza nella Penisola italiana, poi la fase della cosiddetta restaurazione, quindi il Risorgimento. Attenzione il conservatore non ha nostalgia per gli Stati preunitari in quanto tali, perché la Storia non torna indietro. Certamente l'unità era necessaria, ma non come è stata fatta, imposta con la forza, contro il diritto internazionale, contro le radici stesse della storia italiana. “Il Risorgimento è stata una rivoluzione, la Rivoluzione 'italiana'. Sebbene più moderata rispetto a quella francese, ma sotto il paravento dell'unità e della lotta allo straniero, ma è stata una vera rivoluzione. “Se siamo onesti non possiamo avere seri dubbi su chi fosse più italiano fra il re di Napoli, Francesco II di Borbone (1836-1894), sovrano delle Due Sicilie, il 'franceschiello' messo alla berlina dai liberali e dai nazionalisti, che parlava in dialetto ai suoi sudditi, e quello di Torino, Vittorio Emanuele II di Savoia (1820-1878), che usava abitualmente il francese”.

Il Risorgimento, la Rivoluzione italiana, è un argomento delicato da trattare, ma quello che è stato veramente occorre dirlo e scriverlo. Brandiva un'ideologia nazionalista contro la libertà della Chiesa e le radici cristiane dell'Italia. Per decenni, grosso modo i conservatori, i cattolici, coincisero con i cosiddetti “intransigenti”, quelli che non dimenticavano il sopruso di Porta Pia e si organizzarono nell'Opera dei Congressi. Era il movimento cattolico, che rappresentava il “Paese reale” contro quello “legale”. Una minoranza che rappresentava lo Stato risorgimentale, che poi votava, cercava di imporre alla maggioranza un'azione “pedagogica”, era quel “fare gli italiani” di Massimo D'Azeglio. Tuttavia il Risorgimento aveva prodotto la questione romana, quella meridionale e poi quella sociale.

Arriviamo alla Grande Guerra del 15-18. Anche questo un avvenimento che ha segnato la Storia, un vero spartiacque. Una società ancora contadina e religiosa conobbe in tre anni di guerra grandi trasformazioni. Migliaia di giovani costretti a vivere nelle trincee per combattere. L'esito oltre ai milioni di morti e di feriti, è la “nazionalizzazione delle masse” e la penetrazione capillare delle ideologie nel corpo sociale. Di fronte alla guerra i cattolici si dividono tra interventisti come don Luigi Sturzo (1871-1959), fondatore del Ppi e non interventisti.

“La Grande Guerra - scrivono gli autori del libro - è un'occasione proficua per distinguere i conservatori autentici, quelli legati ai principi perenni, da chi vuole semplicemente evitare un male peggiore. Chi è veramente conservatore intuisce la portata rivoluzionaria e l'ispirazione massonica del conflitto, voluto non solo “per Trento e Trieste”, ma anche per distruggere gli imperi centrali, in particolare  quello asburgico, e per depauperare della propria cultura e destrutturare una società ancora cristiana, limitando l'influenza internazionale della Chiesa”. Infatti, i cattolici conservatori seguono le indicazioni del Papa Benedetto XV sull'inutile strage. “Sono per la neutralità e per il non intervento, anche perchè ideologicamente ostili a quel nazionalismo che con la guerra  avrebbe diviso episcopati e fedeli delle diverse nazioni in guerra fra loro”.

I conservatori con il Fascismo non hanno avuto un ruolo significativo nel nuovo regime. Gli autori del libro per capire il ventennio consigliano di fare riferimento agli studi di Renzo De Felice, intanto si chiedono: il consenso che sostenne il regime fra il 1925 e il 1938, fu un consenso di tipo conservatore? La risposta non è facile. Si può sostenere che ci fu un tentativo del rettore della Università Cattolica, Agostino Gemelli di cristianizzare il fascismo.

Il Referendum istituzionale del 1948. Grazie ai Comitati Civici di Luigi Gedda, la Democrazia Cristiana di De Gasperi riesce a vincere le elezioni contro il Fronte Popolare delle sinistre. E dopo questo voto si apre la questione del rapporto tra la DC e i conservatori. La vittoria del 1948 non comportò nessun cambiamento per quanto riguarda un certo revisionismo storico, fra l'Italia liberale, quella fascista e quella democratico-cristiana, dal punto di vista della lettura storica del passato nazionale, non vi è stata una grande differenza.“I padri della patria rimasero quelli che l'avevano scristianizzata”, scrive Marco Invernizzi. Mentre per gli insorgenti e i “vinti del Risorgimento”, invece non c'è posto nel pantheon nazionale. La DC si preoccupava di mantenere la titolarità del potere, mentre “la cultura, la scuola, l'università, l'editoria, cioè tutti i luoghi della vita pubblica che contribuivano alla formazione del senso comune, erano invece lasciati alla gestione da parte di altre forze politiche-ideologiche, con una egemonia della cultura marxista e di sinistra”. Ne abbiamo una prova recentissima con le università di Pisa e di Torino che boicottano le attività di ricerca con Israele perché glielo ordinano i collettivi studenteschi di sinistra.

Arriva il 1968, il “maggio francese”, il fronte conservatore avrebbe dovuto combattere una battaglia anzitutto culturale, perchè si trovava davanti a una rivoluzione che come obiettivo non aveva la conquista del potere, ma soprattutto la trasformazione del modo di pensare e di agire degli uomini. Il mondo stava per cambiare, intanto nel 1989 implode l'impero socialcomunista, cade il Muro di Berlino, il pool di magistrati“Mani pulite”, spazza via la DC e tutti i partiti dell'Arco costituzionale rimane solo il PCI e l'MSI. Il Pci si trasforma in Pds, Achille Occhetto aveva pronta la “gioiosa macchina da guerra” per vincere le elezioni, ma un imprenditore milanese Silvio Berlusconi scende in campo con la sua Forza Italia e si verifica un altro “miracolo” politico conservatore, un miracolo “muto” ma reale.  Vince le elezioni Berlusconi con il centrodestra. Ormai siamo ai giorni nostri, la storia politica del centrodestra continua.

Il testo di Invernizzi e Sanguinetti prosegue con altri due temi: “Il pensiero conservatore correnti e protagonisti”; “L'identikit dell'Italia conservatrice”. Infine i tre contributi, in ordine di pubblicazione: 1 Francesco Pappalardo (Come è nata l'Italia); 2 Mauro Ronco (Vico e la verità del diritto); 3 Andrea Morigi (Una rivista conservatrice negli anni 1990) Io mi fermo per non appesantire ulteriormente lo studio del libro. Avrò modo sicuramente di riprendere l'importante tema.

Può essere utile leggere e proporre alcuni pensieri e scritti di un nobile torinese scritti più di 180 anni fa? Avendo letto ormai altri libri che lo riguardano penso di si. Mi riferisco a Carlo Tancredi Falletti, marchese di Barolo. Il saggio che si occupa degli scritti spirituali e pedagogici del marchese si intitola: “Chiamati alla felicità”, pubblicati da Edizioni San Paolo (2002). Il saggio è stato curato da Suor Franceschina Milanesio, Superiora generale delle Suore di Sant'Anna, con la collaborazione di Angelo Montonati, studioso dei marchesi di Barolo.

Potrebbe apparire inutile e ozioso riproporre delle operette che per tanti anni nessuno ha mai letto. Tuttavia le suore di Sant'Anna sentono il dovere e la responsabilità di proporle (del resto sono state fondate dal marchese) perchè continuano nonostante l'età ad essere utili alla società di oggi. Dei saggi proposti nel libro mi hanno colpito maggiormente, quelli che riguardano l'educazione della Prima Infanzia nella classe indigente e i Brevissimi cenni diretti alla gioventù. Carlo Tancredi qui affronta concretamente i problemi legati all'educazione dei fanciulli e dei giovani, superando le astruse ed astratte teorie filosofiche o psicologiche degli ambienti filantropoci liberal illuministi del suo tempo. Sono degli scritti avvincenti per la loro concretezza dei particolari descritti e per l'attualità dei principi e dei suggerimenti contenuti. Carlo insieme alla consorte Giulia Colbert, entrambi ferventi credenti nella Redenzione di Nostro Signore Gesù Cristo, intendevano riportare l'uomo a quella felicità per la quale è stato creato.

Prima di passare ai suggerimenti pedagogici, è necessario fare un breve profilo biografico di Carlo Tancredi, nato a Torino nel 1782, dai genitori oltre ad ereditare una ingente ricchezza, ereditò soprattutto dalla madre una profonda fede religiosa e devozione sincera alla Chiesa cattolica. Alla corte di Napoleone conobbe Giulia Colbert, figlia del marchese di Maulevrier, che sposò a Versailles nel 1806. Non avendo avuto figli, i due coniugi gareggiarono nel farsi apostoli di carità cristiana, “adottando “ i poveri di Torino. “Vissero così una maternità e una paternità spirituali fecondissime, dando un esempio attuale di famiglia aperta alla evangelizzazione e a l dono di sé ai fratelli”.

Carlo Tancredi fu protagonista di eventi rilevanti della società torinese di allora. A 34 anni entrò a far parte dei “Decurioni” di Torino, un corpus municipale, composto di 60 membri. Per qualche anno rilevò la carica di sindaco della città. Individuando nel pauperismo e nell'analfabetismo le due piaghe principali della società del suo tempo, nel corso dei 22 anni di impegno come amministratore, si fece promotore e sostenitore di opere tendenti non soltanto al soccorso degli indigenti, ma anche all'armonia tra le diverse classi sociali. Tra le tante iniziative, istituì nel suo palazzo, per i più piccoli,“stanze di ricovero” o “sale d'asilo”, sull'esempio di quelle già realizzate in Francia. Probabilmente furono le prime scuole per l'infanzia istituite in Italia. Nei miei studi pedagogici imposti dal sistema scolastico italiano non ho mai incontrato il marchese di Barolo come pioniere degli asili infantili.

In questi sale bisognava accogliere il maggior numero possibile di bambini, maschi e femmine, non ancora in età di frequentare le scuole ordinarie, e di custodirle durante il giorno, consentendo al resto della famiglia di lavorare. Qui Tancredi, per l'assistenza si fece aiutare da donne laiche, dedicandosi all'educazione fisica e morale per i bambini. Il marchese era convinto che il fisico ha un grande influsso sul morale, specialmente nella prima infanzia. Successivamente d'accordo con la moglie nel 1834 fondò l'istituto delle Suore di Sant'Anna con lo scopo principale di dedicarsi all'educazione dei bambini. Morì prematuramente nel 1838 presso Chiari, vicino Brescia.

Tornando ai suggerimenti pedagogici e alle sale educative di Carlo Tancredi, oggi per noi sembrano delle istituzioni ordinarie, ma allora nei primi anni dell'Ottocento sono delle istituzioni straordinarie. Difficilmente la società di allora si occupava di questi piccoli “disgraziati”, provenienti da famiglie povere emarginate e da ambienti malsani. Il marchese in questo saggio pedagogico è abbastanza preciso nella descrizione e nella predisposizione di come devono essere gli ambienti per accogliere questi ragazzini, cosa fare durante la giornata, e chi deve occuparsi della loro salute fisica e mentale. Il nostro scende nei dettagli, individuando gli orari del gioco, della rilassamento, dei lavoretti manuali, della preghiera. Occorre badare anche alla pulizia sia dei locali che dei bambini.

E' interessante analizzare il metodo educativo che intende attuare il Marchese di Barolo, chiamato simultaneo. Sono diverse le virtù da infondere nei piccoli, il timore di Dio, il rispetto dei genitori, l'obbedienza, l'amorevolezza vicendevole, l'abitudine alla sincerità. “Si deve cogliere ogni opportunità per combattere e svergognare la pigrizia...”. Non bisogna mai sminuire l'autorevolezza dei genitori e il rispetto. Incoraggiarli a dire sempre la verità, mai alla delazione. Evitare le punizioni corporali, utilizzare qualche castigo, ma anche i primi.

Sono altrettanti interessanti gli spunti educativi che riguardano la gioventù e i consigli che vengono offerti per i vari stati da conseguire durante la giovane età. In pratica il marchese anticipava i tempi per quanto riguarda il ruolo cruciale dell'orientamento scolastico nell'aiutare i giovani a discernere a prendere decisioni informate riguardo al percorso scolastico, ma anche alle scelte professionali future. Anche in questo saggio Carlo Tancredi offre ai giovani dei consigli dettagliati per quanto riguarda il lavoro e il raggiungimento del proprio stato. Interessanti le riflessioni sulle “arti liberali”, come l'architettura, l'ingegneria, la pittura, la scultura.

Per quanto riguarda gli impieghi civili, negli uffici pubblici, Tancredi sottolinea l'importanza dei doveri e non solo dei diritti sul posto di lavoro. Ci sono anche consigli per quanto riguarda il commercio e le arti meccaniche. Certo oggi, l'organizzazione del lavoro, i mestieri, le professioni, rispetto al tempo del marchese è tutto cambiato, ma i suoi consigli potrebbero essere ancora utili.

In un pamphlet di alcuni anni fa Alfredo Mantovano cercava di spiegare che cosa sia un politico conservatore, il testo prendeva il titolo di Ritorno all'Occidente. Bloc-Notes di un conservatore”, edizioni Spirali (2004). Presentando il libro, Giovanni Cantoni, sollecitava i lettori a non turbarsi del termine,“conservatore” e per l'occasione citava,“un brano di uno dei fondatori del Partido Conservador colombiano, José Eusebio Caro Ibáñez (1817-1853): “Siamo conservatori — scriveva il 4 ottobre 1849 — e ci denominiamo così con orgoglio perché vi è molto da conservare, va conservato l’individuo, va conservata la dignità della persona umana, va conservata la famiglia, va conservata la proprietà, va conservato il diritto, va conservata la giustizia, va conservata la società, va conservata la repubblica. Il nome conservatore significa che quanti appartengono al partito vogliono conservare la civiltà, la cultura e i valori essenziali della nazionalità”. (Giovanni Cantoni, Presentazione di «Ritorno all’Occidente», 6.2.2005, Cristianità, n. 327). L'esponente colombiano propone un manifesto sintetico dei conservatori.

Ho riletto il libro di Mantovano e mi sono convinto, che oltre ad essere profetico, potrebbe dare un grosso contributo al dibattito che si è aperto negli ambienti della Destra per la nascita di un eventuale partito conservatore. Introdotto dal giornalista Giuliano Ferrara, lontano culturalmente dalla fede di Mantovano, ma nello stesso tempo è riuscito a descriverne le qualità meglio di chiunque: “Una persona seria, documentata, che fa una cosa alla volta, che si prepara...Ha una fede cattolica non invasiva però mai assente, mai in fuga...Scrive bene, con uno stile asciutto ma non burocratico, perché ha letto, conosce i classici antichi e moderni...” Sarei tentato di scrivere che forse la premier Giorgia Meloni dopo aver letto queste righe, lo ha scelto come suo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Ferrara, considera Mantovano, “il Violante del Centrodestra”, anche per la sua esperienza, vissuta con rigore e tormento di magistrato. “Mantovano sa esemplificare senza ricattare moralmente alcuno, sa raccontare storie e non soltanto esporre opinioni, ciò che fa di lui uno scrittore da leggere per l'interesse politico delle sue posizioni...” Continua Ferrara,“Del conservatore moderno ha quel sentimento un po' antico che è la compassione, ma conosce l'itinerario del rispetto, sa parlare delle donne, che sono il centro di una furiosa battaglia di civiltà e di grandi equivoci nel campo delle tensioni religiose del nostro tempo...”. Mantovano in queste pagine presenta una Destra che probabilmente non trovate in altre parti. “Tollerante, ma non ignara, benigna e anche paludata ma aggressiva nelle questioni che contano, informata e colta”. Una Destra così è necessaria per l'Italia e per l'Europa. La prefazione del libro è di Gianfranco Fini, allora segretario e presidente di Alleanza Nazionale. “Ritorno all'Occidente”, è un libro di 312 pagine che si legge tutto d'un fiato. Mantovano alla visione tecnicistica della politica, contrappone una visione realistica, una visione “conservatrice”, che si riappropria della migliore tradizione europea. Fini nota che dopo il Manifesto di Prezzolini, questo di Mantovano sia l'unico libro nel quale un protagonista di primo piano nella politica nazionale rivendichi a voce alta il diritto di definirsi conservatore e il dovere di professare 'verità' che non da tutti sono più avvertite come tali e che anzi, in alcuni casi, suonano come politicamente scorrette”. Il testo è anche una sfida al politicamente corretto, per la storia del nostro passato come il Risorgimento e la formazione dello stato unitario. “Parlare male di Garibaldi”, non significa non amare la Patria. Fini individua la necessità di un “pensatoio” nella Destra per discutere i temi alti, che superi le correnti partitiche, per dare una scossa alla politica italiana. Quello del “pensatoio” nella Destra è un progetto di vecchia data, ma che non parte mai.

Mantovano non si tira indietro. Non solo egli ritiene che il pensiero conservatore sia nel giusto”. Ma pensa che, “le vere riforme può farle solo un conservatore. La riforma è un aggiornamento della tradizione, altrimenti è utopia. Tradizione, dal latino “tradere”, significa portare avanti”. (Gianfranco Morra, Sul Bloc notes di Mantovano gli appunti di un conservatore doc, 3.1.2005, Libero)

Mantovano apre il volume partendo dal diritto naturale, da un quadro di valori, la cui esistenza non dipende dai mutamenti della storia, dai conflitti di classe o di razza, dalla costruzione di mondi utopici, ma da valori che sono iscritti in modo stabile e immutabile nella natura dell'uomo; regole essenziali valide in ogni epoca e in ogni luogo. Per superare la degenerazione politica e del relativismo etico dell'Occidente, il sottosegretario propone una nuova forma mentis sul modello di quella dei neo conservatori americani. Ritorno all'Occidente è un testo documentato, le citazioni sono scelte con cura, soprattutto quelle tratte dall'alto magistero di quel gigante della Storia che è Sua Santità Giovanni Paolo II: “una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto, oppure subdolo, come dimostra la storia”.

Mantovano inizia da un lungo riferimento alla trilogia de “Il Signore degli Anelli”, del grande narratore e scrittore inglese John Ronald Reuel Tolkien: “Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare”. Così spiega Gandalf ai compagni di avventura, alla vigilia della battaglia decisiva contro le armate di Sauron. Il Signore degli Anelli è un romanzo che per decenni ha riempito il cuore di tanti giovani di Destra che hanno il senso dell'onore e amore per la terra, coraggio e disprezzo per la difficoltà, esaltazione dell'amicizia e gerarchia di valori fondati sulla tradizione. Tolkien, ma anche Thomas Stearns Eliot e di Clive Staples Lewis, una scuola di letterati inglesi di orientamento conservatore che erano apprezzati negli ambienti culturali e giovanili della destra, dai campeggi tematici, i campi Hobbit, per i militanti del Fronte della Gioventù. La gioventù di destra ispirandosi alle gesta di Frodo e Aragorn, hanno ricordato i tempi in cui coerenza e coraggio si traducevano in una difficile testimonianza quotidiana nelle scuole e nelle università, ma anche nei luoghi di lavoro e nelle sedi politiche.

Tanti gli argomenti affrontati da Mantovano, cercherò di fare una selezione, privilegiando quelli che a mio parere, possono dare un contributo al lavoro, al “Laboratorio” di Alleanza Cattolica sul conservatorismo. Per parlare di conservatorismo non si può prescindere dall'itinerario del  processo rivoluzionario, che per secoli è stato protagonista nella Storia dell'Occidente. Un processo che svestito a poco a poco l'uomo e la società, descritto lucidamente dal pensatore cattolico brasiliano Plinio Correa de Oliveira. Esiste una connessione strutturale secondo Gramsci tra la Riforma protestante e la Rivoluzione francese, due tappe fondamentali del processo, che si generano a vicenda. In pratica in queste rivoluzioni c'è una comune convinzione ideologica che il mondo è stato fatto male; così com'è non va, va cambiato alla radice, nei suoi elementi strutturali. Però non tutti possono dare il contributo per il cambiamento, saranno chiamati a farlo una ristretta cerchia di persone, le avanguardie della rivoluzione, dai capi giacobini ai dirigenti del partito comunista. Tuttavia, il processo unitario richiamato da Gramsci alla fine implode e finisce in un vicolo cieco. L'esito è il crollo del Muro, le pietre rotolano, e così va in crisi nel suo insieme l'itinerario del fondatore del PCI.

IL LIBRO NERO NON E' BASTATO A FARE I CONTI CON IL COMUNISMO.

I Vescovi europei nel 1991 a conclusione del Sinodo per l'Europa hanno dichiarato: “il crollo del comunismo, mette in questione l'intero itinerario culturale e sociopolitico dell'umanesimo europeo, segnato dall'ateismo non solo nel suo esito marxista”. L'implosione dei regimi totalitari dell'Europa centrale e orientale è la certificazione storica della falsità della tesi di fondo del processo rivoluzionario sfociato nel comunismo. La logia, secondo Mantovano, imporrebbe risalire indietro, fino a scoprire dove si è sbagliato strada: “non per riprendere ad andare a cavallo invece che in aereo, ma per cogliere quei presupposti remoti, culturali e politici, che hanno condotto senza soluzione di continuità all'universo dei gulag. Questo finora non è stato fatto, o è stato fatto in modo incompleto e parziale. La sinistra non riesce a rinunciare alla sua creatura ideologica. Il Libro Nero del Comunismo di Stephane Courtois non è bastato a criticare l'intero iter rivoluzionario e le sue basi. Il costo umano del comunismo quantificato dal grande scrittore cattolico Eugenio Corti è spaventoso, circa 200 milioni di morti. Pertanto, la Sinistra oggi dopo il fallimento comunista è dovuta arretrare al trinomio del 1789, con le dovute attualizzazioni. Infatti, una parte della sinistra arretra di una tappa di quel processo rivoluzionario, che peraltro reca in sé per intero i germi (e non solo i germi) del socialcomunismo. Del resto non c'è tanta differenza fra l'egalitè giacobina e il livellamento realizzato dai comunisti, o fra la ghigliottina uguale per tutti e il Gulag. Per Mantovano si tratta di un arretramento tattico che consente di evitare l'abiura della struttura profonda del processo rivoluzionario.

IL SUICIDIO DELL'EUROPA.

Il III capitolo, offre diversi spunti (La sindrome di Pilato) che riguarda la nostra Europa, che quasi sempre sugli argomenti sensibili se ne lava le mani. Rifiuta la verità e condanna a morte tanti innocenti anche se con l'Ucraina ha avuto un sussulto di dignità. Qui Mantovano tocca la grave questione dell'aborto, i vari Parlamenti europei che hanno introdotto l'aborto libero finanziato dal servizio pubblico.

Oggi dopo la scomparsa delle ideologie totalitarie marxiste si rischia di cadere in altre derive totalitarie, non meno gravi, come quelle dei fondamentali diritti della persona umana: “è il rischio dell'alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità”. Sono parole di Giovanni Paolo II. Il Papa polacco conosce bene che cosa è stato il marxismo quante ferite incalcolabili ha provocato al suo popolo. “Paragonare la negazione dei diritti della persona causata dal comunismo – scrive Mantovano – che ha seminato il novecento di lutti e di tragedie, e la negazione dei diritti della persona che deriva dal relativismo etico significa mettere in guardia da un rischio che è tanto più forte e reale quanto più è subdolo e veste abiti di apparente democrazia”.

Le pagine del libro affrontano le questioni sensibili come quelle della bioetica e il rapporto che esiste con lo Stato totalitario. La democrazia ha dei limiti, ci sono dei valori e dei principi che non possono essere messi ai voti, Anche se questo non significa che si vuole imporre ad altri la propria opinione. La natura dell'uomo e l'oggettività dell'essere, prescindono dai voti e dalle maggioranze.

Il GULAG e la PROVETTA. Mantovano cita Aldous  Huxley, autore de “Il Mondo Nuovo”, ma anche “1984” di George Orwell o “Il Padrone del mondo” di Robert Hugh Benson, per descrivere le caratteristiche dello Stato totalitario che assomiglia molto a quello socialcomunista che controlla anche i momenti intimi della vita privata. Fino ad arrivare a pianificare la società attraverso al manipolazione genetica. Tuttavia, la società totalitaria che descrivono questi libri è più subdola e insidiosa di quella che volevano creare Marx, Lenin, Hitler. Del resto la meccanica di ogni totalitarismo è stata sempre quella di chiudere il mondo, o porzioni di esso, in un immenso lager/gulag, allo scopo di evitare in questo modo inquinamenti esterni, la realtà trasformata in una grande campo di concentramento si realizzano le condizioni per fare l'uomo nuovo.

Fondamentale il DIRITTO alla VITA  e il DIRITTO NATURALE. Secondo Mantovano una battaglia d'avanguardia che la Destra è chiamata a combattere in prima linea, è quella della tutela e la promozione della vita sempre e comunque, con intelligenza, anche perché chiaramente, “la provetta non impressiona come il carro armato con la Stella rossa”. E' una battaglia di resistenza e di coraggio. Attenzione a tenere distinta in questa battaglia la sfera confessionale religiosa da quella politica e giuridica, “si che parlare di difesa della vita equivale automaticamente a salire sull'altare, a indossare i paramenti sacri, e a iniziare un'omelia”. La difesa della vita non è una questione di catechismo. La contrapposizione non è tra cattolici e non cattolici. Ma tra chi intende la natura un dato certo e normativo e chi un mero postulato culturale e quindi soggetto a contrattazione. Collegato a questo contesto c'è la sana laicità che dovrebbe rifiutare il relativismo di matrice giacobina e non comprimere la libertà religiosa. Il fondamento di tutto è il DIRITTO NATURALE, un quadro di valori e di istituti come il matrimonio e la famiglia, la cui esistenza non dipende dai mutamenti della Storia, dai conflitti di classe o di razza, dalla costruzione di mondi utopici...La Destra non inventa nulla, fa esplicito riferimento al “realismo” contrapposto alla utopia della sinistra. Chi difenda la vita umana, chi propone la famiglia naturale tra un uomo e una donna, viene definito integralista, confessionale, se non “fascista”. Mantovano si concentra sul trasformismo politico del PCI, dal centralismo monolitico si passa al relativismo etico. Il partito nato dal Pc diventa una specie di supermarket, un partito radicale di massa.

Nel V° capitolo (Un'anima per l'Europa) si affronta il tema tanto discusso del rifiuto delle radici cristiane, si fa riferimento all'Esortazione apostolica “Ecclesia in Europa” nel quale Giovanni Paolo II parla di apostasia silenziosa della cultura europea, frutto di un plurisecolare processo di secolarizzazione. L'Europa non esisterebbe se si eliminassero le sue radici che sono cristiane. Nessuna imposizione, ma conoscere e capire da dove veniamo. Del resto, ogni Paese o nazione europea è stata fondata da un Santo. Non si può non fare accenno a S. Benedetto e ai suoi monaci, che “aravano e seminavano i campi e le coscienze dei popoli europei”.  L'Europa, l'Occidente sta morendo perché abbiamo negato e rotto con la nostra lunga Storia e la nostra civiltà. Mantovano su questi temi si affida allo storico delle civiltà, lo svizzero Gonzague de Reynold. Mantovano accenna al grande problema demografico del nostro continente, che sta mettendo in atto un vero e proprio suicidio demografico, come più volte ha sottolineato Giovanni Paolo II.

Naturalmente il libro accenna alla questione dell'immigrazione senza controllo, alla difficile integrazione soprattutto dei soggetti di religione musulmana, ma per farla bisogna avere una forte identità.

IL REVISIONISMO STORICO.

Il VI° capitolo (La Destra per una Storia condivisa) La Storia ha bisogno del revisionismo, conoscere la vera Storia: “La Verità è l'unica carità concessa alla storia” diceva Jaques Cretineau- Joly. Occorre andare alle radici del totalitarismo, ma la sinistra non lo vuole fare. Bisogna avere il coraggio di mettere in discussione i presupposti filosofici che hanno condotto al Gulag. Si crede ancora che l'arcipelago “è stato il frutto della follia o della cattiveria di singoli, e non l'esito coerente di ben determinate premesse di principio”. Parlando di Storia, si apre la questione dell'egemonia culturale di destra, in sostituzione a quella di sinistra, all'insegna del “governiamo noi, e quindi riscriviamo i libri di Storia”. Sempre in questo contesto si apre un'altra questione , quella dei Miti FONDATIVI Artificiali e la RICERCA della Reale IDENTITA' Italiana. In pratica, “Fare i conti con la Storia”.

“A centocinquant'anni dall'unificazione e a sessant'anni dalla resistenza, non è forse giunto il momento di accertare se il mito di fondazione e il mito di rifondazione della nostra nazione hanno rispettato la sua vera identità?” Era il quesito che aveva posto Luciano Violante, costruire una storia unica della nostra Repubblica, nella quale tutti possano riconoscersi. Il problema per Mantovano non è una riscrittura dei manuali e delle monografie ad opera del Ministero dell'Università, come una sorta di “Storia di Stato”. La sfida invece che interpella la Destra come la Sinistra è di provare a intendere una storia unica con le caratteristiche di “storia oggettiva”, “cioè di storia come descrizione fattuale di tutto ciò che è realmente accaduto, lasciando da parte le lenti dell'ideologia”. A questo punto Mantovano fa qualche esempio di storia che prende in conto i fatti. Certamente l'Italia non nasce nel 1861, inoltre l'unità risorgimentale è stata imposta con la forza militare. Sempre per rimanere ai fatti, Mantovano ricorda la bellissima pagina storica delle Insorgenze del popolo italiano contro gli eserciti invasori francesi di Napoleone.

RISCOPRIRE L'IDENTITA', RITROVARSI ITALIANI. Certamente l'unità d'Italia non si può cancellare. Studiare e recuperare tutte le pagine di storia non dev'essere una operazione nostalgica: “nessuno intende sostituire l'inno borbonico a quello di Mameli, né eliminare le lapidi commemorative di Garibaldi o di Cavour...”. E non basta recuperare solo la memoria delle foibe. Gli elementi di connessione fra storia, cultura e politica sono tanti...”La buona conoscenza della storia ci unisce, la cattiva conoscenza ci divide”. Non bisogna cancellare niente, apriamo tutti gli archivi, non soltanto quelli del PCUS, ma anche quelli del PCI.

Un importante capitolo da studiare è l'VIII° (Terrorismo, “questione religiosa” e libertà religiosa) Occorre vincere l'antiamericanismo residuale, è un monito sempre attuale. Qui Mantovano fa riferimento agli studi di Giovanni Cantoni e Massimo Introvigne e poi alla Dottrina Sociale della Chiesa che ci indica la distinzione tra politica e religione. Stando attenti a non separare totalmente la politica, la cultura dalla fede. Giovanni Paolo II ha più volte ricordato che una fede che non diventi cultura non è fedelmente vissuta. Questo tema porta a trattare la spinosa questione islamica in Occidente.

“MAGNA EUROPA”.

Salto qualche tema come quello del terrorismo (Capitolo IX°) e passo al X° capitolo (La Destra italiana nella “Magna Europa”) Siamo eredi di un patrimonio dilapidato. “L'Italia esiste almeno da Mille anni come unità culturale, frutto dell'eredità romana, forgiata in un crogiolo di lingue e di stirpi, la cui complessità si manifesta nel nostro caratteristico particolarismo”. Piaccia o non piaccia l'elemento unificante di tale composito quadro è stato nel corso dei secoli l'attaccamento al successore di Pietro. Attenzione, l'Europa e quindi la Magna Europa frutto della cultura europea diffusa nel mondo, poggia su tre colli: il Partenone, il Campidoglio e il Golgota. Lo ha scritto il giurista austriaco Paul Koschaker (1879-1951). L'America non è quella di Hollywood, ci sono radici comuni con l'Europa, è figlia di Gerusalemme, Atene e Roma. Qui Mantovano cita lo splendido e documentato libro del professore argentino Alberto Caturelli, “Il Nuovo Mondo riscoperto. La scoperta, la conquista, l'evangelizzazione dell'America e la cultura occidentale”, edizioni Ares 1992

Dalla cultura della “MAGNA EUROPA” alla sua difesa. Mantovano chiude con la straordinaria testimonianza degli 800 martiri di Otranto, tutti decapitati dai turchi nel 1480. Ottocento martiri che in pratica hanno salvato Roma. Il 5 ottobre 1980, cinquecento anni dopo, Giovanni Paolo II si reca a Otranto per ricordare il sacrificio degli Ottocento. Nell'occasione rivolge un invito: “non dimentichiamo i martiri dei nostri tempi”. Il sacrificio di Otranto non è importante soltanto sul piano della fede. Le due settimane di resistenza della città salentina hanno un grande significato anche per l'europeo di oggi, sovente disorientato, nella Storia della cristianità non sono mai mancate testimonianze di fede e di valori civili. Mantovano mette a confronto la “naturalezza” del sacrificio di Otranto e la “stanchezza dell'Occidente”.

A Otranto cinque secoli fa nessuno ha esposto i drappi arcobaleno, né invocato risoluzioni internazionali, o ha chiesto la convocazione del Consiglio comunale, nessuno si è incatenato sotto le mura per “costruire la pace”.

Il testo si chiude con un invito che potremmo fare nostro anche oggi: “Cercasi uomini (e donne) disposti a “correre qualche rischio per le proprie idee”.

 

Il cardinale Giacomo Biffi, milanese, ma per vent'anni arcivescovo di Bologna, è una figura che ha segnato la Storia della Chiesa per molti anni. Il prossimo anno ricorre il decimo anniversario della sua salita al cielo, è scomparso il 11 luglio 2015.

Un anno esatto dopo la sua scomparsa è stato pubblicato dall'editore Cantagalli, un'opera di scritti in onore del cardinale Giacomo Biffi, un'opera miscellanea, curata da Samuele Pinna e Davide Riserbato, è stato dato il significativo titolo, “Ubi Fides ibi libertas”, (“Dov'è la Fede, lì c'è la libertà”) il motto episcopale utilizzato da Biffi, ripreso dal grande Sant'Ambrogio.

L'opera è una raccolta di scritti: ricordi e studi sul pensiero e il magistero di Giacomo Biffi. Il volume si articola in due sezioni corredate da appendici. Nella Prima Parte, ci sono diversi interventi di alcune personalità religiose e laiche. La Seconda Parte è dedicata al pensiero e all'attività pastorale di Giacomo Biffi. Alla fine impreziosiscono il volume alcune Appendici.

Il testo inizia con una lettera di saluto di Benedetto XVI, che definisce il cardinale un pastore esemplare della Chiesa di Dio in tempi tempestosi. Un uomo di coraggio straordinario, senza paura di popolarità o di impopolarità, orientato solo dalla luce della verità. Nella seconda di copertina, c'è il lungo elenco degli interventi presenti nel testo. Chiaramente non farò riferimento a tutti i contributi ma ad alcuni.

Inizio con la presentazione di Matteo Maria Zuppi, attuale arcivescovo di Bologna e presidente della Cei. Biffi, si è distinto “come un testimone autentico della Verità, aperto alla letizia del Vangelo: da pastore avveduto, ha agito per il bene del gregge che gli fu affidato”. Dopo aver ringraziato i curatori e Papa Benedetto XVI, ha raccomandato questo libro non solo ai fedeli della Chiesa di Bologna, “ma a tutti i credenti e a coloro che ricercano nel loro intimo la ragionevolezza del pensiero cristiano […] Possa san Petronio aiutarci a conservare viva la sua memoria e a mettere in pratica il suo insegnamento”.

Per quanto possa valere il mio giudizio, il cardinale Biffi, è l'uomo di Chiesa che più di ogni altro, ho fatto riferimento e citato nei miei interventi, soprattutto quelli in riguardo all'immigrazione senza controllo.

Segue il telegramma di cordoglio del Santo Padre Francesco, indirizzato al Cardinale Carlo Caffarra, dove sottolinea di Biffi, “l'instancabile servizio da lui reso alla formazione umana e cristiana di intere generazioni mediante l'insegnamento e la pubblicazione di diverse opere”. Nell'omelia nelle Solenni Esequie di Biffi, il cardinale Carlo Caffarra, vede il fratello Giacomo come un vero testimone di Cristo, che ci indica di rimanere saldi nella fede, che ci mette in guardia contro gli errori. “Egli aveva un concetto molto alto del dialogo, e disprezzava profondamente chi lo praticava o come sforzo di ridurci tutti a un minimo comune denominatore o al perditempo della chiacchiera da salotto. In breve: il dialogo coincide con l'evangelizzazione”. Avviandosi alla conclusione, Caffarra dice che il nostro vescovo Giacomo, usando le parole di san Massimo il Confessore, “ci ha insegnato a pensare ogni cosa per mezzo di Gesù Cristo, e Gesù Cristo per mezzo di ogni cosa. E Dio solo sa quanto oggi nella nostra Chiesa italiana abbiamo bisogno di una fede capace di generare un giudizio sugli avvenimenti”. Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, ricorda la sua amicizia con Biffi. Del cardinale Bettazzi fa riferimento alla passione delle “Avventure di Pinocchio”, il simbolo del “cristiano anonimo”. Bettazzi ricorda l'anticomunismo di Biffi e una certa allergia nei confronti di don Giuseppe Dossetti che vedeva del positivo nell'ideologia di sinistra.

Giacomo Biffi secondo il Cardinale Giovanni Battista Re, aveva una straordinaria facilità di scrivere, aveva il dono della comunicazione convincente e della certezza. I suoi brillanti scritti suscitavano interesse, sia che riguardavano testi teologici, che divulgativi. Biffi,non era certamente un uomo condizionato dalla mentalità dominante o dalle opinioni del mondo, il vento contrario non lo portava ad addolcire le sue parole, ma a ribadirle con maggior forza”. Tuttavia, Biffi, “non si preoccupò mai di essere 'politicamente corretto', ma espresse sempre le sue valutazioni con chiarezza e franchezza; e in ogni caso con arguzia e brio, e a volte anche in modo mordace”. Monsignor Re ricorda il commento sarcastico e la forte critica nei confronti del rettore dell'Università Cattolica, Giuseppe Lazzati, che nel maggio 1974, in occasione del referendum popolare sulla Legge del divorzio, dopo aver dato spazio ai paladini del divorzio, ha negato lo spazio per “motivi di ordine pubblico” a Sergio Cotta, che si batteva per abrogare la Legge.

Filippo Rizzi, giornalista di Avvenire, di Biffi evidenzia che fu “il più grande 'Pinocchiologo'”. Inoltre ancora ricorda che “per quasi un ventennio ha fatto parlare di sé sui media italiani per la sua capacità di sintesi sulle verità essenziali del cristianesimo, di proporsi come un interlocutore mai banale nelle sue riflessioni spesso controcorrente rispetto alla mentalità comune, ma soprattutto di andare alla radice, all'osso di questioni come il Risorgimento, la laicità dello Stato, il cristocentrismo nella Chiesa Cattolica”.

Rizzi sottolinea la impressionante e sterminata cultura del cardinale, in particolare, la conoscenza della letteratura russa, dell'amato Solov'ev e della figura dell'Anticristo.

Interessante l'intervento di Paolo Francia, giornalista professionista e vaticanista. Il Francia evidenzia l'attenzione del Cardinale nei confronti dei giovani e una forte critica degli adulti che hanno rinunciato ad educarli. Questi adulti di oggi si meravigliano di aver ritrovato in casa dei selvaggi. Dopo “aver annullato ogni distinzione fra bene e male e poi si lamenta che i giovani non rispettino più le regole del gioco sociale”. C'è un mondo di adulti che ha “irriso le certezze cristiane del rendiconto finale e della vita eterna e poi fa le tavole rotonde sul perchè i figli dilapidano la loro giovinezza nella droga, nell'apatia, nella violenza gratuita. Stiamo segando il ramo su cui siamo seduti e ci angosciamo per gli scricchiolii che sentiamo sotto di noi”. Una linea di pensiero del cardinale sui giovani, uguale a quella del pontificato di san Giovanni Paolo II.

Anche il giornalista fa riferimento alla definizione di Bologna,“città sazia e disperata” che Biffi pare non abbia mai detto così letteralmente, probabilmente si tratta di una estrapolazione giornalistica. Allora il cardinale fu pesantemente contestato, con accuse di integralismo, di prevaricazione clericale, di intolleranza, di atteggiamento antievangelico.

In conclusione Francia fa riferimento ad altro tema tanto contestato dalla sinistra cattolica, mi riferisco alle problematiche dell'immigrazione, in particolare a quella islamica che difficilmente si integra nella nostra società. Segue il contributo di Giuliano Ferrara, l'ex direttore de Il Foglio. Da buon giornalista fa un'ottima sintesi del pensiero biffiano. La funzione della Chiesa è quella di diffondere e garantire certezza. Essere integralisti per i cattolici equivale ad essere chiamati cristiani. La società odierna si avvicina all'anticristo di Solov'ev che era un pacifista, un vegetariano pieno di buoni sentimenti. Inoltre nessuna ecologia è credibile se non parte dalla difesa della vita.

Il tema dell'immigrazione è stato affrontato anche dall'ex presidente del Senato, Marcello Pera. All'uomo politico piaceva la chiarezza e il coraggio dei discorsi del cardinale. In particolare Pera ha apprezzato molto il discorso controcorrente che l'arcivescovo di Bologna ha fatto al Seminario della Fondazione Migrantes il 30 settembre del 2000. In questa occasione il prelato ha detto che i criteri per ammettere gli immigrati, non possono essere solamente economici e previdenziali (che pure hanno il loro peso). Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l'identità propria  della nazione. L'Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza un'inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto”. Pertanto le autorità civili non dovrebbero trascurare questo dato della questione.

Inoltre la questione si complica con l'immigrazione musulmana, questi ha detto Biffi, “hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino ad ammettere e praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicchè la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se di solito a proclamarla e farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti”.

Nel discorso di Biffi si evidenziavano due grossi problemi: l'evangelizzazione da parte della Chiesa e la definizione dell'identità nazionale da parte dello Stato. Chiaramente secondo Pera dalle riflessioni del cardinale emergono dei punti indiscutibili: Lo Stato non è un supermercato, dove ciascuno convive e sceglie secondo i propri gusti. Lo Stato può accogliere solo quelli che si riconoscono nei suoi principi. Ma anche delle domande: quali principi dobbiamo riconoscere ai nostri Stati europei? E' possibile mantenere la nostra identità trascurando la nostra storia, tradizione, cultura, religione? Il cardinale Biffi nei suoi ragionamenti è stato abbastanza profetico, sia nei riguardi dell'Europa, che del nostro Paese. Non si può trattare la questione immigrazione con superficialità, perchè facilmente si rischia domani di trasformarla in un dramma.

Nella Seconda Parte si dà spazio agli Studi sul pensiero di Giacomo Biffi. Inizia il professore di teologia Inos Biffi che evidenzia alcuni tratti del Magistero limpido e incisivo, esemplare del vescovo, dottore nella Chiesa. Prudenza, sana dottrina e concretezza, questi erano le doti principali del vescovo “il bolognese di Milano”, come veniva chiamato. Segue l'interessante intervento del professore Davide Riserbato, sul tema della Misericordia e della Verità. Misericordia non significa permissivismo; misericordia nella Verità, infatti “non può essere esercitata senza la condanna esplicita, ferma, costante di ogni travisamento e di ogni alterazione del 'deposito' della fede, che va custodito”. C'è un'interessante sottolineatura di Riserbato in merito alla diversità, “il vero diverso”, oggi è il cristiano che non si deve meravigliare se viene lasciato da parte. “La sventura più grave è data dai cristiani che sembrano in larga parte inclini a dimenticare di essere chiamati a prendere posizione; che si illudono di poter essere discepoli di Cristo e insieme di non essere in contrasto di idee con nessuno”. Inoltre conclude il professore, “Non possiamo confondere la doverosa fraterna pietà verso tutti quelli che sbagliano, (e che chiedono di essere più aiutati e amati che giudicati) con la benevola comprensione per l'errore e per l'iniquità; comprensione che rischia di diventare o almeno di apparire connivenza”.

Seguono tutti gli altri interventi a cominciare del cardinale Angelo Scola, del cardinale Dionigi Tettamanzi, del sacerdote Samuele Pinna (l'altro curatore del libro) che mette a confronto la teologia di Biffi con l'ecclesiologia di Charles Journet. E di altri contributi che devo tralasciare per non appesantire la recensione.

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