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Incontro con il poeta Francesco Belluomini… e la memoria scorre!

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La scorsa settimana ho intervistato il poeta e scrittore viareggino Francesco Belluomini, operatore culturale di notevole caratura che si dedica da sempre alle arti letterarie e negli anni ha pubblicato decine di libri di poesia e narrativa.

Le sue opere antologiche e monografiche, frequentemente curate da esponenti di spicco del mondo letterario, sono il frutto di una quarantennale esperienza, immancabilmente confermata da ampi e lusinghieri consensi di pubblico e critica.

Nel 1981 ha fondato il prestigioso “Premio Letterario di Camaiore” dedicato alla poesia, di cui è presidente. Il Premio, giunto alla sua XXVIII edizione, porta con orgoglio il nome di Camaiore in tutto il mondo, essendo ormai il riconoscimento della sua identità socio-culturale. In un tessuto sociale troppo spesso incapace di manifestare i propri sentimenti, poco ricettivo se non totalmente avulso alla poesia, a causa del disgregamento culturale in atto da alcuni anni nel nostro Paese, il successo di questo Premio Letterario rappresenta un punto di riferimento sul quale soffermarsi a riflettere. La buona organizzazione e la qualità, consolidate nel tempo, non possono che essere foriere di risultati positivi.

Il periodo di gravi difficoltà economiche che stiamo attraversando già da alcuni anni a livello planetario ha ingiustamente penalizzato l’universo artistico-culturale.

Tuttavia, nonostante la crisi che investe anche il settore dell’editoria, nella scorsa edizione del “Premio Letterario di Camaiore 2015” sono pervenute ben 150 opere, un risultato assolutamente vincente. La conferma dell’aulico livello di questo noto evento culturale, che ogni anno vede coinvolti autori di fama e tanti personaggi di rilievo nell’ambito culturale italiano ed internazionale.

Francesco Belluomini è un poeta molto sensibile ed attento alle tematiche sociali e ciò di riflette sulla sua elevatissima produzione letteraria.

Nel 2009, in occasione della strage di Viareggio, che toccò l’animo e la sensibilità di ognuno di noi, egli ha scritto il libro di poesie “29 giugno 2009. Nell’arso delle sponde” (Bonaccorso Editore, 2010), un atto di denuncia sociale, un’indagine introspettiva per misurare se stesso e al tempo stesso entrare nel cuore delle persone coinvolte nella drammatica vicenda, che va oltre al fatto di cronaca ed entra in un altro firmamento, quello fragilissimo e profondo degli umani sentimenti, dai quali scaturiscono riflessioni sulle persone travolte da questa incommensurabile tragedia.

Egli fa della poesia sociale un efficace strumento attraverso il quale squarciare le soglie del tempo, per approdare, quindi, nell’aspetto immateriale dell’essere umano, quello delle intime sfere.

Nel più recente libro di poesie “Intimi riflessi” (Bonaccorso Editore,2015) le tematiche sono poste in relazione agli affetti personali, ai legami di sangue, sedimentati nell’arco di trent’anni di vita, nel rispetto di una memoria talvolta pudicamente soffocata, per occultare il grido, fortemente evocativo, di sofferenza e di dolore. Il poeta inizia un percorso di riflessione, basato sull’osservazione diretta e intenzionale della propria coscienza, che parte dalle sue radici; un’elaborata e intima indagine, per meglio comprendere quello che è l’oggi, in un flusso di ricordi incisi nella lontana memoria e scanditi puntualmente attraverso liriche ricche di phatos e spesso struggenti.

Ogni tanto rileggo le splendide poesie contenute nel suo libro “29 giugno 2009. Nell’arso delle sponde” (Bonaccorso, 2010), che ha scritto dopo la terribile strage di Viareggio. Nelle liriche riesce magistralmente ad andare oltre al fatto di cronaca, conducendo un’indagine interiore, in una semantica chiara, ricca di contenuti sociali, sempre espressi in modo estremamente vero e diretto, insomma, senza mezzi termini. Quindi, la poesia e la prosa rappresentano un valido strumento di denuncia sociale?

Certo, con me sfonda una porta aperta. La poesia civile mi appartiene e questo mi è stato più volte riconosciuto, anche in occasione di importante convegni, ai quali sono stato invitato a partecipare. Attraverso la poesia e la narrativa riparo i torti, le ingiustizie sociali, in un linguaggio avulso da stilemi ridondanti e sdolcinati; in altre parole, non uso nè la flora, nè la fauna. Anni fa ho scritto un poema dedicato a Ermanno Lavorini, il povero ragazzino tredicenne ucciso nel 1969, semplicemente perché ho sentito di doverlo fare, per lasciare qualcosa di incancellabile, che potesse ricordare questo efferato omicidio.

Ho sempre vissuto a Viareggio, quindi, per tanto tempo non sono stato al corrente della strage compiuta dai nazisti il 12 agosto 1944 nel paese toscano di Sant’Anna di Stazzema, dove vennero barbaramente trucidate 560 persone. Ma quando ne sono venuto a conoscenza, ho subito pensato di scrivere un romanzo; per la verità, i romanzi sono due. Al secondo ho solo aggiunto alcune cose. Il libro “Sant’Anna di Stazzema” (Narrativa Bonaccorso) è stato pubblicato nel 1989. Questo è il mio modo di intendere la letteratura a sfondo sociale.

Ha conosciuto il Poeta Pier Paolo Pasolini?

No, purtroppo non ho fatto in tempo, ma negli anni ’90 ho organizzato il ventennale dalla morte, attraverso convegni, mostri e la proiezione gratuita dei suoi film, che è andata avanti per una settimana. Per l’occasione, sono stati invitati Elio Pecora, Valentino Zeichen, nell’ambito del “Premio di Viareggio”, con l’allora presidente Rosario Villari.

Quando nelle liriche si parla di fatti cruenti, di violenza efferata, ritiene indispensabile l’utilizzo di una semantica forte, fin anche pleonastica, per conferire ad un concetto maggiore intensità e chiarezza?

No, non lo ritengo assolutamente necessario. Le faccio un esempio: quando ho scritto sul massacro di Sant’Anna di Stazzema, avrei avuto validissimi motivi per utilizzare toni crudi; al contrario, nonostante tutto, sono riuscito ad essere delicato e struggente, al tempo stesso. Sono convinto che seguendo tali modalità il messaggio arrivi al lettore sostanzialmente più forte.

Le sue profonde liriche riconducono a nostalgici ricordi, a volte legati alle persone care della sua famiglia, negli anni scomparse. Quindi, il compito della poesia è anche quello di obliterare la memoria nelle nostre menti?

Scrivere significa dare testimonianza. La memoria ha un ruolo fondamentale nella vita ed io non mi sono improvvisato poeta e scrittore; piuttosto, sono stato chiamato, come dire, obbligato ad offrire la mia testimonianza, diretta o indiretta. Ad ogni edizione del “Premio di Camaiore” arrivano numerosissime opere da esaminare e spesso e con rammarico mi accorgo della mancanza di idee, dettata purtroppo dalla poca fantasia. Le persone sono invecchiate prima del tempo; al contrario, a me personalmente servirebbe una seconda vita per pubblicare tutto ciò che penso. Oggi mancano le idee! Proprio nel rispetto della memoria, nella mia vita ho realizzato libri dedicati a tanti grandissimi scrittori, per farli rivivere attraverso i ricordi. Riesco a dialogare con loro, come se fossero vivi e questo è straordinario. Nel mio libro “Senza distanze”(Bonaccorso Editore),sicuramente l’opera maggiore che abbia mai scritto, ho dedicato i miei poemetti ad artisti per i quali nutro profonda stima e sono: Dario Bellezza, Enrico Pea, Pier Paolo Pasolini, Isaac Bashevis Singer e Lorenzo Viani, confrontandomi nella quotidianità con ognuno di loro.

Il poeta, nel seguire il suo istinto creativo, è giusto che si ponga limite nelle tematiche?

Non credo sia corretto porsi dei limiti; secondo me non dovrebbero esistere gabbie. Per quanto mi riguarda, vado avanti per le mie cose e sono aperto a qualsiasi tipo di discorso. Spesso al mio premio partecipano autori che portano alla luce scrittori e poeti scomparsi e ritengo che questo sia un grande tributo. Insomma, gli argomenti sui quali spaziare sono infiniti, l’importante è scrivere con sentimento e sincerità.

Qual è il suo personale ricordo di Dario Bellezza?

Dario era mio carissimo amico da anni. Ricordo l’anno in cui partecipò al mio premio e pur risultando finalista, non vinse. Il Primo Premio consisteva in un quadro di Ernesto Treccani, che il mio amico avrebbe gradito ricevere. Quindi, per accontentarlo, alzai il telefono ed esposi al pittore la questione. Egli volle esaudire il suo desiderio e gli inviò un bellissimo quadro. Quindi, Dario Bellezza mandò un gentile biglietto di ringraziamento all’artista, invitandolo a festeggiare tutti e tre in una trattoria tipica di Roma, che si trova al Portico d’Ottavia, nel cuore del ghetto ebraico, luogo famoso per gustare la vera cucina romana.

In giuria del “Premio Letterario di Camaiore” è stato presente l’indimenticabile scrittore Alberto Bevilacqua. Qual è l’aspetto di questo grande uomo di cultura che l’ha maggiormente colpita?

Anche Alberto è stato un prezioso amico ed è venuto a mancare proprio mentre si trovava in giuria con tutti noi. Mi è rimasto impresso nella mente il suo forte spessore umano. Un immenso poeta.

Esistono poeti professionisti?

Si, esistono ed io li chiamo i ragionieri della poesia. Il poeta dovrebbe prima di tutto dar voce al cuore, senza andare in cerca di inutili orpelli, spesso di cose di bassa qualità.

Secondo lei, la poesia è davvero in crisi?

La poesia è una fiammella che mantiene viva la letteratura italiana, poiché oggi la narrativa non esiste più. Il Italia il panorama editoriale non offre più buoni romanzi, poiché scrivono tutti. Purtroppo, la qualità è di basso livello, i testi sono scopiazzati dalle fiction televisive, oppure dal web e questo si vede. La creatività non appartiene a tutti; al contrario, oggigiorno tutti vogliono scrivere e il risultato è dinanzi ai nostri occhi.

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