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Rosario Di Rosa e Vittorio Solimene, due modi di fare pianismo

Caravaggio, Van Gogh, Syd Barrett, Thelonious Monk, se "trattati" sul lettino dello psicoanalista, si sarebbero "corretti" in luciditá ma autodanneggiando l'elaborazione dell'atto creativo?
O non è più probabile che la bizzarria non esista come tale, che l'artista eccentrico sia solo uno che si colloca dall'altra parte del cancello per esprimere una visione differente rispetto alla veduta corrente che si ha delle cose e del mondo?
Rosario Di Rosa, pianista sperimentatore, non è estraneo, in quanto a poetica, a tali interrogativi; esplora strade inedite, indaga l'a-razionale, si pone emblematicamente come Robert Johnson di fronte al Crocevia e in Crossroad Blues, il nuovo album registrato con Basic Phonetics (Deep Voice) si schiude a più possibilitá, anche non prevedibili rispetto ai canoni dell'accettabile/non accettabile, agli steccati di genere musicale, per lasciar scaturire invenzioni senza sbarramento alcuno, ad ogni "costo" per "musica che si divide. E che divide. Crocevia tra il giorno e la notte".
Minimale, elettronico, cyber, "concreto", si presenta sfaccettato il sound prodotto col flautista Carlo Nicita, il chitarrista Alberto N. A. Turra, il batterista Davide Bussoleni e la vocalist Sarah Stride. Si avverte che l'istanza di base è jazzistica. Davanti al quadrivio, sceglie il passaggio più emancipato e coerente rispetto al grembo da cui Di Rosa ha partorito le idee sonore che solcano le nove tracce del disco, tutte di sua composizione tranne l'ultima, Dusk, di Andrew Hill: oggetti sonori, spesso prolungati in successione ambivalente tensione-distensione, che non rispettano gerarchie; sono cellule tematiche di un linguaggio di grammaticalitá slegata e metallica, maniera di far musica non di maniera a partire dai pricipi psichici che stanno a fondamento del nostro essere: vita, mente, anima.
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Di diverso tenore la proposta discografica del pianista Vittorio Solimene in trio con Francesco Ponticelli al contrabbasso e Riccardo Gambatesa alla batteria. L'album è Urlo Piano ed è inciso su etichetta Auand. Si tratta di un talento da poco emerso negli under 21 del jazz nazionale che si cimenta in uno standard, El Gaucho di Shorter, ed in brani suoi lavorando sul concetto-antinomia dell'Urlo (sussurrato, non alla Munch) e di Piano (avverbio di modo, sostantivo sinonimo di quiete ma anche abbreviazione di pianoforte). Opposti che si conciliano nell'alternare ragionato di temi e impro, nel conciliare dinamiche e ritmica, nel lavorare al meglio su un interplaying integrato, sull' espressivitá, lo stile melodico, il disegno armonico. Il risultato è un cd di fattura morbida ed andamento ondulato. Una prova di precoce maturitá artistica.

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