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Alcuni tra i “5” benevoli lettori dei miei “foglietti”, incontrandomi dopo le vacanze, mi hanno chiesto una opinione intorno alla “nuova” situazione politica. La cosa mi provoca qualche timore perché, evidentemente, questi amici sopravvalutano le mie possibilità e magari immaginano che mi sia facile sciorinare giudizi su una materia difficile e in evoluzione. E, infatti, come si fa a valutare in modo equanime persone che prima si insultano e quasi vengono alle mani e, poi, fra notte e giorno, si scoprono amici fraterni? Un osservatore, povero come sono io, di fronte a così subitanee metamorfosi, resta, a dir poco, confuso e senza parole anche se constata il degrado di una tale improvvisata e disinvolta classe “dirigente” a cui la Democrazia affida il potere di fare le leggi e condurre i destini di una nazione!

Ciò premesso, a chi volesse conoscere una chiave di lettura – fra tante – della situazione attuale, propongo di fermarsi a riflettere possibilmente lontano da clamori affrettati. A mio parere questi signori vanno giudicati alla luce di valori “primari” o, come li chiamava Papa Ratzinger, “non negoziabili”, che per me sono quelli che si riferiscono a Vita e Famiglia. Io, infatti, faccio discendere tutto, “per li rami” direbbe Dante, dalla difesa di questi valori che ritengo  fondamentali per qualsiasi società; le altre cose (poltrone, sottosegretari, banche, economia, deficit, pil, spread, ius soli, ius culturae, reddito di cittadinanza, legge elettorale, imposizioni di Bruxelles all’Italia, aumento vero o presunto di pensioni e salari, il problema dei migranti con la polemica che se ne fa, perfino i 5 milioni di nostri poveri italiani di cui nessuno parla…) saranno pure importanti ma sono anche opinabili e vengono dopo.

A questo punto il discorso diventa semplice e perfino banale: basta controllare quanto questi “giovinotti” hanno detto, scritto e fatto pro o contro Vita e Famiglia e, quindi, trarre tranquillamente le conclusioni.

Per meglio approfondire, poi, consiglio di informarsi – ove possibile –  su filosofie e maestri a cui costoro fanno riferimento. Io sono a favore – e l’ho ripetuto innumerevoli volte come il grillo parlante di Pinocchio! – della Vita che deve nascere e che è già nata e della Famiglia, formata da uomo-padre, donna-madre che generano figli, in ciò attingendo al Diritto naturale valevole per ogni uomo sulla faccia della  terra e alla Dottrina sociale della Chiesa che da quel Diritto deriva. Sono convinto, infatti, che dalla salvaguardia di principi inviolabili come quelli inerenti a Vita e Famiglia possa discendere la libertà vera, il benessere spirituale e fisico dell’individuo e il progresso anche economico e la pace di qualsiasi società.

Di conseguenza mi oppongo a chi vuole stravolgere queste due realtà e segnatamente sono contro:

1) l’aborto, sia “pre-natale” (7 milioni dal 1978 solo in Italia, alla faccia della “tutela della maternità” di cui parla la “legge” 194!) sia “post-natale” (infanticidio, già legale nelle nazioni “civili” neopagane del Nord come Belgio e Olanda)

2) alle famiglie “altre” (due uomini, due donne) che pretendono il possesso impossibile di figli

3) all’utero “in affitto”: in burocratese parlano di “maternità surrogata”, in realtà è compravendita di corpi di donne e di bambini

4) al “gender” che si infiltra ormai nelle scuole ad opera di libri di testo, insegnanti “primi della classe” (è dal “1968” che imperversano!) con l’acquiescienza dei colleghi che, per non avere noie, preferiscono ignorare l’argomento: genitori, nonni, informatevi e aprite gli occhi, nelle scuole pubbliche stanno già tentando di cambiare i connotati sessuali a figli e nipoti!

5) al progetto di legge sull’ “omofobia” che, giacente al Senato, ora con la “nuova” maggioranza potrà passare facilmente e chiuderà la bocca, a colpi di Codice Penale, a chi oserà dissentire dalle famiglie “arcobaleno”

6) alla ormai prossima eutanasia che ci faranno accettare come divieto all’accanimento terapeutico mentre, invece, sarà morte per fame e per sete.

Ora, tra i partiti che siedono in Parlamento, ce ne sono alcuni dichiaratamente favorevoli a queste “belle” cose che con vocaboli innocui e suadenti (“orwelliani”) chiamano “diritti civili”; le hanno scritte – nero su bianco – nei loro programmi e, vantandosene, le hanno elevate al rango di “valori”.

Pertanto sono certo che il governo “nuovo” formato da “5 stelle”, neo-comunisti del Partito Democratico ed ex democristiani catto-progressisti, magari per gradi (tre passi avanti e uno o due indietro!), faciliterà l’approvazione di quelle “belle” cose incrementando, così, il disordine e la corruzione come se non ce ne fossero già  abbastanza nella nostra squallida società.

Attenzione. Occorre aggiungere che tutto ciò non è solo parto dei piccoli  politicanti nostrani, esso è iscritto nel programma più ampio delle “massonerie” e dei potentati europei di cui i nostri “giovinotti” – consapevoli o no – sono accoliti e servitori. Bisogna sapere che da secoli è in atto una guerra senza quartiere contro il Cristianesimo con l’intento dichiarato di cancellarlo dall’Europa, non con spargimento di sangue come avvenne col Giacobinismo, il Comunismo ateo e il Nazional Socialismo pagano, ma con un’azione subdola e, sotto certi aspetti, ancora più pericolosa. Giustamente “Avvenire” (15-IX-2019) parla di “ricristianizzazione dell’Europa”. Alla luce di tutto ciò, si può spiegare il favore con cui molti cattolici, pur con tante ovvie  e legittime cautele,  guardiamo al giovine Salvini che in piazza bacia il Rosario e invoca i Santi Patroni  dell’Europa!

Alcune domande finali:

 Quando quelle “cose” saranno approvate, come si comporterà “Famiglia Cristiana”? Concederà interviste benevole al segretario del Partito Democratico Zingaretti, simili a quella del 17-III-2019? E “Civiltà Cattolica” di padre Spadaro? E i preti e le suore che vestirono camicie rosse non so per quale protesta in piazza? Innalzeranno cartelli con su scritto “Vogliamo rimanere umani” come mi capitò di vedere tempo fa in una processione della Madonna del Carmine in Sicilia? E i “cattolici” ex dc diluiti fra i neo-comunisti del PD proporranno ancora “paletti”, ridicoli, nel tentativo inane di frenare la deriva che quelle “leggi” producono? E il Presidente della Repubblica le firmerà come ha fatto per le “unioni civili” di qualche anno fa?

Un tripudio di applausi, sventolio di bandiere tricolori e di Fratelli d'Italia saluta l'ingresso sul palco di Giorgia Meloni, per il discorso conclusivo della 22esima edizione di Atreju. Il tendone principale è gremito.

Ad Atreju, il raduno di FdI, che ha festeggiato la sua ventesima edizione all’isola Tiberina, forse la più riuscita di sempre a sentire gli organizzatori, è iniziata forse una nuova fase della politica italiana nello schieramento del centrodestra. Mentre prima di questa estate tutti davano Salvini come leader incontrastato dei cosiddetti “sovranisti” italiani, adesso pare che lo scettro passi di diritto a Giorgia Meloni. Ed a certificarlo sono  la presenza alla festa di tutti i leader del fronte di centrodestra a partire da Orban, premier ungherese, da Abascal, leader di Vox, Thierry Baudet, presidente Forum voor Democratie, per finire Jan Zahradil presidente ECR Party, Repubblica Ceca e candidato conservatore alla presidenza della commissione. E FdI è fiera ed orgogliosa di fare parte di uno schieramento che “ difende la sovranità nazionale, combatte l’immigrazione clandestina, mette la famiglia al centro del progetto politico”. Il suo popolo è tutto con lei e il suo lungo discorso appassionato e vibrante è più volte interrotto dai boati della folla stipata in ogni ordine di posto.  

Lo stile per Giorgia Meloni viene prima di tutto e l’intervento di Conte, intervistato Sabato da Vespa, viene seguito dal pubblico numerosissimo in religioso e rispettoso silenzio. Anche qui come per rimarcare una certa differenza con quanto accaduto a Pontida con la Lega. Ma la critica verso il  governo “rosso giallo” ( per rimarcare forse chi comanda all’interno della coalizione), come lo ridefinisce la stessa leader di FdI è totale ed assoluta. L’accordo, infatti, avrebbe usurpato un diritto che è quello di votare e perciò è “inutile adesso accusare Orban di ingerenze nella politica italiana, se lo stesso governo è una espressione delle ingerenze di Francia e Germania” come rivendica la Meloni. Ma non durerà molto questo governo: ne è convinta la Meloni, e quando le diatribe e le diversità verranno fuori (magari dopo un deludente risultato alle elezioni regionali) il centrodestra dovrà “essere unito e coeso”, ma soprattutto rispettoso degli accordi preelettorali.

La proposta è  allora quella di firmare un contratto non di governo, ma di lealtà alla coalizione e contro gli inciuci. Non le manda a dire insomma a chi come Salvini, ha pensato bene di allearsi con i 5 Stelle, “che con il PD sono due facce della stessa medaglia”, ma il riferimento è anche rivolto a quanti in Forza Italia possano farsi incantare dalle sirene governative. La coerenza prima di tutto. Non è possibile scendere a compromessi con chi ( i 5 stelle) ha una storia che può essere riassunta nella trama del romanzo di George Orwell “ la fattoria degli animali”. L’allegoria orwelliana in cui una rivoluzione dal basso, cioè degli animali di un fattoria contro l’uomo che li sfruttava, fallisce proprio perché chi aveva guidato questa rivoluzione (i maiali) diventa alla fine più dispotico di chi comandava prima. I 5 stelle nella tre giorni della festa sono stati accusati di essersi venduti al potere precostituito e tutto questo sarebbe cominciato con il discusso voto alla Von der Layen alla presidenza del parlamento europeo.

FdI, che secondo gli ultimi sondaggi sarebbe accreditata  all’8%, rivendica con forza e con orgoglio, di essere stata l’unica forza politica a non essere mai scesa a compromessi con nessuno. E forti di questo adesso possono partire da una posizione di forza anche nei confronti di chi, come la Lega, ha il quadruplo dei loro voti. Non è un caso forse se lo stesso Salvini si è dovuto accodare alla manifestazione organizzata da FdI davanti alla camera il giorno della fiducia del Conte bis. Ma molto signorilmente  il capo leghista non viene mai citato direttamente, perché coerentemente la Meloni riconosce chi è l’avversario e non è interessata a sterili posizioni di rendita, vuole cambiare lo status quo “quello che conta sono i fatti”. E’ pungente e anche ironica come quando ricorda le contumelie del Pd contro Di Maio, che sarebbe presto tronato a fare il “bibitaro“ al San Paolo. “Adesso il bibitaro lo andrà a fare a S.Paolo del Brasile”. Ma non mancano certo i riferimenti al “povero” Zingaretti e al “campione del mondo delle facce di bronzo” Renzi, che avrebbe creato un partito con il nome (Italia viva) che è un ossimoro, dal momento che è “popolato di gente morta”.

Non mancano poi i riferimenti alla necessita di blocchi navali al largo delle coste libiche, cavallo di battaglia di FdI, o il riferimento alla lotta all’evasione di facciata del Pd, che lascia prosperare i grandi evasori, ma combatte artigiani e piccoli imprenditori con “leggi inutili” come la proposta della tassa sull’eccessivo prelievo di contanti o quelle in favore dell’utilizzo dei pagamenti con carta di credito “per favorire gli amici banchieri”. Ecco che allora le elezioni, che aleggiano come un mantra tra gli stand della festa, sono evocate per porre fine ad un governo “che è in ginocchio di fronte all’Europa”. La netta sensazione che si ha, uscendo dalla festa di Atreju, è che adesso nel centrodestra sempre più tutti dovranno fare i conti con Giorgia Meloni.

Poi la seconda giornata della festa di Atreju ha visto come protagonista assoluto Viktor Orban, il Primo Ministro Ungherese, tra i politici più a destra d'Europa. "La Meloni in Ungheria sarebbe una centrista rispetto a me"

Alla festa organizzata da Fratelli d'Italia, Orban è salito sul palco con un mazzo di fiori per Giorgia Meloni. La vicinanza alle idee di Orban da parte del partito della Presidentessa Meloni è innegabile, anche se Orban è molto più estremo come posizioni e come ideologie.

"Non ho paura di dire ciò che penso e ciò che pensano gli ungheresi, il mio governo è in piedi senza coalizioni", parole dure di Orban. Meloni lo reputa un patriota vero, un modello da seguire "che dimostra come una Europa diversa sia possibile".  

22 anni di Atreju. Molti dei nostri consiglieri comunali non erano nati, quando ci fu la prima edizione di Atreju. La destra era molto diversa, ma questa manifestazione è stata l'unico punto fermo, al di là dei momenti che la destra ha vissuto"
Questi sono i punti piu importanti del suo discorso alla fine della manifestazione

"Dai giorni della nostra nascita ci siamo sorbiti questi soloni che ci spiegavano che non ci sarebbe stato nessuno spazio politico di Fratelli d'Italia. Invece dopo i nostri risultati che abbiamo ottenuto mandiamo una bella cartolina a questi esperti. Il nostro successo elettorale non è una questione numerica, ma è una questione di visione. Abbiamo dimostrato che c'è spazio per una politica che non prende le scorciatoie e non fa le sparate. Per noi la parola data è sacra. Ce lo ha insegnato Giorgio Almirante, a guardare la gente negli occhi. L'anno che abbiamo passato ci ha regalato grandi soddisfazioni: l'elezione del primo presidente di regioni, i sindaci dei comuni capoluogo, la nostra pattuglia al parlamento europeo. Dove sediamo nella famiglia dei conservatori, per dire no all'Europa dei burocrati e degli usurai. Per questo noi siamo dei pericolosi sovversivi".

"Qualche giorno fa è morto un bambino dimenticato in auto dal papà. Noi avevamo presentato una legge, approvata, ma quel genio del ministro Toninelli non ha mai approvato il decreto attuativo. Questo perché la politica aveva altri pensieri, pensava a cose più redditizie sul piano del consenso elettorale. Ho letto che la Commissione ha dei dubbi sulla legge Meloni, perché in Italia sono morti 'solo' 9 bambini. Loro, che vogliono legiferare sull'ora legale. Io voglio un'Europa che metta la persona e la vita al centro".

"Abbiamo invitato Viktor Orban, e la sinistra si è indignata tantissimo. Perché ha detto che in Italia il governo è separato dal popolo. Dicono, a sinistra, che è una cosa vergognosa. E allora avrebbero dovuto non farlo. Questo è un governo nato a Strasburgo, e si era capito, quando Ursula von der Lyen è stata eletta con i voti dei grillini, con l'Intercessione di Giuseppe Conte. Di Maio ha accusato Orban di ingerenza. Lui, che è stato messo lì a fare il ministro degli Esteri da Francia e Germania. Conte ha in Europa lo stesso ruolo di Monti, Renzi, Gentiloni. Ossia il maggiordomo in guanti bianchi.

"Il governo rossogiallo è nato così: hanno pensato, se si vota, vince la destra. E allora non si vota".

"Noi abbiamo convocato una piazza di lunedì mattina, quando il governo chiedeva la fiducia, e abbiamo trovato 30 mila persone. Avevano gridato alla piazza eversiva, e invece c'erano persone di tutte le età, studenti, pensionati, lavoratori, che avevano abbandonato le loro priorità del lunedì per venire a difendere la democrazia. È la cosa di cui vado più fiera". "Oggi in Italia c'è solo un partito che non è mai andato al governo con operazioni di palazzo. È quel partito è Fratelli d'Italia".
"Noi diciamo: mai col Pd, e ci mancherebbe. Ma anche 'mai con i 5 Stelle'".

"Matteo Renzi è un campione mondiale di faccia di bronzo. Vuole un partito con tutta la gente politicamente estinta e lo chiama "Italia Viva". E hanno anche il coraggio di citare la Costituzione, lo fanno continuamente. Però non si può dire che all'articolo 1 c'è scritto che la sovranità appartiene al popolo".

"Per quanto la qualità del mastice che hanno usato per stare incollati alle poltrone sia eccellente, forse non basterà. Il mio pronostico è che la maggioranza molto presto crollerà sotto il peso dell'individualismo. Tra qualche settimana ci saranno delle elezioni regionali importanti, e spero che dai cittadini arrivi alla maggioranza di governo un vero ceffone. Fratelli d'Italia è pronta a vincere, a schierare candidati di qualità. Vogliamo fare un'alleanza, ma le alleanze si fanno con i fatti. Sono contenta che Salvini con la Lega sia tornato nel centrodestra. Spero che Forza Italia chiarisca quanto prima il suo posizionamento. Ma noi vogliamo un'alleanza diversa, un patto anti inciucio".

"Sulla legge elettorale, la proposta che faccio io agli alleati è di lavorare per un sistema che preveda premio di maggioranza e preferenze. E poi bisogna lavorare per una riforma presidenziale, con il Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo". Poi dobbiamo lavorare per l'abolizione di quell'istituto ottocentesco che sono i Senatori a vita".

"Sull'immigrazione ci raccontano che c'è stata una grande svolta. Macron dice 'siamo disposti a prenderci i rifugiati, ma non i migranti economici'. Quando è chiaro che le ong portano in Italia in gran parte migranti economici. Allora la soluzione deve essere bloccare le partenze, in un progetto europeo".

"Sull'economia tira aria di patrimoniale. Non ve lo diranno, ma è così. Perché dobbiamo avere dei limiti sull'utilizzo del contante, quando in Europa non esiste? Parliamo di evasione fiscale? Bene, parliamo dei paradisi fiscali, dei colossi del web che pagano due lire, degli extracomunitari che aprono e chiudono negozi. In questi mesi abbiamo fatto moltissime battaglie, e continueremo perché nel programma di governo la parola impresa non compare mai".

Noi vogliamo fare del sano protezionismo economico. Nessuna nazione degna di questo nome consente la svendita delle infrastrutture strategiche. Noi per l'economia vogliamo uno shock trumpiano. Noi non permetteremo ai teorici della decrescita di trascinarci di nuova nella miseria".

"Vogliamo un'Italia capace di pensare i grande. E voglio rivolgere una 'chiamata alle armi' per tutte le persone che vogliono mettere la loro vocazione a disposizione del Paese. Il prossimo appuntamento per noi sarà sicuramente il 19 ottobre. Ma sabato 30 novembre ci sarà un grande evento programmatico che chiameremo 'La casa dei Patrioti'. Come gli eroi di Fiume, noi oggi lanciamo la nostra sfida. Il nostro motto rimane "Ardisco, non ordisco". W l'Italia.

"È con l'inno nazionale, cantato da tutti i presenti, che si conclude il discorso ad Atreju di Giorgia Meloni".

Intanto 182 migranti a bordo della nave dell’ong Sos Mediterranée, che opera assieme a Medici Senza Frontiere, sbarcheranno a Messina domani mattina. È questo il porto scelto dal governo, con Giuseppe Conte quindi che dà il suo via libera, assieme ovviamente ai ministri competenti.

Alla base della scelta dell’esecutivo, che attua una manovra di profonda discontinuità rispetto alla linea del governo gialloverde, ci sarebbero le condizioni meteo nel canale di Sicilia. In particolare, la Ocean Viking ha segnalato la presenza di un mare molto mosso che, da lì a breve, avrebbe comportato problemi per i migranti e per l'equipaggio a bordo della nave.

Da qui, secondo la ricostruzione fornita dal governo giallorosso, il via libera all’approdo in Italia e l’assegnazione del porto di Messina. Questa volta si sceglie il capoluogo peloritano e non Lampedusa, viste le condizioni dell’hotspot dell’isola più grande delle Pelagie alle prese con un vero e proprio boom di sbarchi degli ultimi giorni. E ora l'hotspot è al collasso.

La Ocean Viking naviga tra Malta ed Italia già da giorni, dove ha svolto almeno tre operazioni di salvataggio. È la seconda volta in pochi giorni che la nave sbarca in un porto italiano: la settimana scorsa infatti, tra le proteste del sindaco Totò Martello, è approdata a Lampedusa con 82 persone a bordo. Domani di nuovo. Il gioco continua ormai da quando Salvini non è più titolare del Viminale.

È quello che sta accadendo in questo mese. Una sorta di "effetto traino" delle navi delle organizzazioni che trasportano i migranti. Ma, a detta dei ricercatori, la realtà sarebbe ben diversa: a settembre, sarebbero stare 44 le partenze giornaliere con navi ong al largo, mentre 75 senza. "Il dato va integrato con la nostra attività- ribatte il colonnello, intervistato dal Giorno- Quando ci sono navi ong a largo, che sono un chiaro target dei barconi dei migranti, noi ne blocchiamo moltissimi". Senza il lavoro della guardia costiera libica, quindi, sarebbero molte di più le partenze e questo aumento sarebbe determinato dalla presenza delle navi: "La grande maggioranza di quelli che vengono raccolti dalle navi delle ong, parte solo perché ci sono loro: salgono su gommoni e barconi che non riuscirebbero mai, dico mai a raggiungere l' Italia. Sono natanti malmessi, in grado di fare poche decine di miglia al massimo. I trafficanti sono 'smart', usano internet, siti che mostrano il traffico marino, sanno bene quando c'è una nave ong al limite delle acque territoriali. E la usano, mandandogli barconi. È un meccanismo molto semplice e dal loro punto di vista, funziona benissimo".

L'aumento di viaggi di migranti, inoltre, sarebbe dovuto anche alla missione navale europea Sophia, che è stata prorogata la scorsa primavera, senza però disporre di mezzi navali: "C'è, ma senza più navi. E i trafficanti vedono così un ostacolo in meno".

Ma il flusso di migranti non arriva solo dalla Libia. Anche quello dalla Tunisia è aumentato: "Premetto che la mia è solo un' ipotesi teorica- precisa il colonnello- perché non mi occupo di quel che succade a terra. Ma mi pare ragionevole che, dato che stiamo intercettando molti barconi in partenza dalla Libia, le organizzazioni che gestiscono il traffico lo abbiano in parte spostato in Tunisia. Del resto, non si rassegnano: cercano sempre alternative".

secondo il colonnello Masoud Ibrahim Abdelsamad, capo del Centro di coordinamento della guardia costiera libica, da molto tempo, "l'aumento delle partenze dalla Libia è correlato alla presenza delle navi delle Ong".  

Dopo la decisione da parte del governo Conte di far sbarcare la Ocean Viking, arriva la dura replica dell’ex ministro dell’interno Matteo Salvini. "Il governo del tradimento apre le porte a un’altra ong. Gli Italiani non lo dimenticheranno. Conte vergogna”, scrive il segretario leghista su Twitter dopo aver appreso della decisione dell’esecutivo italiano.

L’ex ministro poi ritorna ancora sull’argomento. Intervistato a Rtl 102.5, Salvini afferma: “Lascio a Conte il suo cambio di faccia. Sulla lotta all'immigrazione concordavo prima con lui, i risultati ci sono stati (80% di sbarchi in meno, 2 miliardi risparmiati dal business dell'immigrazione). Ora ha messo il suo interesse personale davanti a tutto”.

“In politica in Italia non ci stupisce più di nulla. Ricordate Renzi 'Enrico stai serenò, Dal Pd non uscirò?' – conclude poi il numero uno del Carroccio –. Umanamente pensavo che Conte fosse una persona diversa perché tutto quello che ho fatto sull’immigrazione era proposto e concordato. Da 15 giorni è tutta un’altra roba. Gli lascio un cambio di faccia: io non riuscirei mai per politica. E mai nella vita vorrei essere al suo posto. Perché alla mattina mi guardo allo specchio. Due facce no. Conte ha messo la sua sopravvivenza e il suo interesse personale davanti a tutto".

E questi sono i risultati. Gli sbarchi sono aumentati a dismisura nelle ultime settimane.

L'inchiesta coordinata dalla procura di Reggio Emilia che prende il nome di "Angeli e Demoni" vede al centro della indagini la rete di servizi sociali della Val D'Enza e del comune di Bibbiano. Secondo quanto scritto nell'ordinanza del tribunale, alcuni degli operatori dei servizi sociali avrebbero falsificato le relazioni da consegnare al Tribunale dei Minori in modo da riuscire ad allontanare i bambini dalle proprie famiglie per poi darli in affido ad amici e conoscenti.

“Verrà creata una banca dati e nascerà una squadra speciale per la protezione dei minori. Si confronterà con i ministeri, e la commissione parlamentare che verrà istituita, per avere un monitoraggio del percorso dei piccoli affidati. Tutti gli operatori dovranno sentire il fiato sul collo da parte della magistratura che farà i controlli”. Così annunciò il pentastellato ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede poco dopo la pubblicazione dell’inchiesta "Angeli e Demoni". Fu forse il primo a pronunciarsi sul caso, dando il via ad uno scontro politico che ancora non ha trovato soluzione.

il quotidiano il giornale ricostruisce la questione politica del Bibbiano : l’inclusione nel registro degli indagati di tre sindaci targati Pd ha da subito scatenato l’ira dei partiti. Dalla Lega, al Movimento Cinque Stelle, fino a Fratelli d’Italia (uno dei partiti che più ha condotto la lotta per tenere accesi i riflettori sulla vicenda), tutti si sono scagliati contro il Partito democratico, accusando i vertici per non aver preso subito provvedimenti nei confronti dei propri sindaci e di aver messo davanti il garantismo, tutelando gli indagati, ancor prima di spendere due parole nei confronti delle presunte vittime. Un silenzio, quello dei dem, che ha scatenato l’ira del leader del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio, che in un video messaggio pubblicato sui suoi canali social arrivò a definire gli allora avversari di governo "il partito di Bibbiano". Un’appellativo incettabile per i vertici del Pd che, a suo tempo, minacciarono querele a tutti coloro che, come Di Maio, si fossero permessi di associare il nome del partito all’orrenda vicenda (di cui però i dem hanno continuato a parlare poco o nulla).

Nel frattempo, da luglio, l’ex governo in carica composto da Lega e Cinque Stelle decise di far partire una commissione d’inchiesta parlamentare sugli affidi dei minori, per cercare di fare chiarezza sulle vicenda e puntare la lente d’ingrandimento sul tema degli affidamenti in tutta Italia. Decisi e compatti, i due partiti avevano deciso di indagare sullo scandalo mentre, il Partito Democratico, sviava l’argomento, tanto da far infuriare l’opinione pubblica. Nei mesi successivi alla pubblicazione della vicenda, per tutte le strade d’Italia si è diffuso lo slogan "Parlateci Di Bibbiano", con le lettere delle prime due parole che ricordano il simbolo dei dem. Ma, se prima dello strappo dell’ex vicepremier Matteo Salvini, il Movimento Cinque Stelle aveva incluso nei punti che descrivevano le priorità dei pentastellati nel programma di Governo la riforma sugli affidi. Dopo solo due mesi e con un alleanza capovolta, le cose sembrano essere cambiate. Nei punti presentati nel programma dal neo governo giallorosso, la riforma sugli affidamenti dei minori è del tutto scomparsa. Una sopresa, che considerato il precedente silenzio del Partito Democratico sulla questione, fa pensare che i gialli si siano piegati al volere dei dem e abbiano deciso di cucirsi la bocca. Un cambio di rotta che riaccende le polemiche.

I 58 minuti di discorso sono stati carichi di argomenti, sentimenti e anche emozioni. Dall'inizio alla fine i suoi sostenitori non hanno mancato di applaudirlo, di intonare cori e canti per lui. "Oggi qui noi abbiamo vinto", ha ripetuto più volte l'ex titolare del Viminale. E a giudicare da quante persone sono accorse a Pontida sembra proprio così.

Tra i vari temi toccati nel suo lungo discorso, Salvini ha anche parlato dello scandalo di Bibbiano. Una vergogna fatta e finita che ora il Pd cerca di insabbiare in tutti i modi. Ma quegli affidi illeciti, quegli inganni a decine e decine di famiglie non si possono dimenticare. Non si può dimenticare la sofferenza di quei bambini strappati ai loro genitori.  

Salvini non poteva stare zitto alla solita retorica di sinistra, di dem e radical chic. "Le critiche per la bimba di Bibbiano portata sul palco di Pontida - si chiede il leader del Carroccio ad Aria Pulita su 7Gold -. Ma chissenefrega. Se qualcuno ruba i bambini, io voglio gridare da papà che è uno scandalo portarli via dalle famiglie. Non era necessario avere una bambina, ma cinquanta bimbi sul palco. Non solo dall'Emilia, arrivano segnalazioni da tutta Italia. I delinquenti sono quelli che rubano i bambini".  

questo gesto, questa gioia di una famiglia che si ritrova ha scatenato la sinistra. La decisione di Salvini di far salire sul palco Greta ha sollevato una serie di polemiche. C'è chi parla di "strumentalizzazione dei bambini", chi descrive il leader della Lega per "uno che gioca sulla carne dei più deboli", chi urla "non devi fare salire i bambini sul palco di Pontida" e chi più ne ha più ne metta. Nello specifico: Carlo Calenda spara un "che gente siete voi della Lega per usare bambini su un palco?" e chef Rubio è monotono con un "sfruttare una bambina per la tua cazzo di perenne campagna elettorale dannosa e infruttuosa".  

 Così, alla fine del comizio, il leader della Lega ha chiamato sul palco alcuni bimbi. Fra questi c'è anche Greta. "Greta è questa spelendida ragazza con i capelli rossi dopo un anno è stata restituita alla mamma - ha spiegato Salvini emozionato -. Mai più bambini rubati alle loro famiglie, mai più bambini rubati alle mamma e papà, mai più bimbi come merce". Poi ha dato un cinque a madre e figlia che si sono ritrovate e tutti e tre insieme hanno gioito.  

Quello che è certo e concreto è che l'ex titolare del Viminale non cerca di nascondere un caso che deve far solo vergognare (tutti), ma ne parla. Il Pd sta zitto e attacca (Salvini) per non andare a beccare i veri responsabili di questa storia scandalosa.

Il partito di Bibbiano fa finta di non vedere il dato di fatto e addirittura arriva a dire che "gran parte delle cose sono una montatura". Andatelo a spiegare a quei genitori che si sono visti portare via i propri figli. Vediamo se trovano anche loro una montatura tutto questo scempio.

Intanto un altra questione  molto importante e come sottolinea il Giornale Il locale hotspot di contrada Imbriacola, che ha una capacità massima di 95 persone, a seguito degli approdi autonomi delle ultime 48 ore e dell’arrivo degli 82 migranti a bordo della Ocean Viking, raggiunge quota 224 ospiti. Una situazione che manda su tutte le furie in primis il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, il quale in primo luogo critica la decisione del governo di scegliere lo scalo dell’isola come porto per la Ocean Viking: “Accoglienti sì, cretini no”, dichiara sabato il primo cittadino.

In effetti gli 82 migranti scesi dalla nave dell’Ong francese Sos Mediterraée, sotto il profilo prettamente logistico vanno a gravare e non poco sul sistema di accoglienza dell’hotspot di Lampedusa, con possibili gravi ripercussioni anche per l’ordine pubblico.

Dal Viminale adesso arriva la conferma di un primo trasferimento di almeno 70 migranti, i quali nella mattinata di questo lunedì vengono imbarcati sul traghetto di linea che collega Lampedusa con Porto Empedocle.

Da qui poi, i 70 migranti saranno smistati nei vari centri d’accoglienza della Sicilia. Ma l’emergenza a Lampedusa non è comunque terminata. Da un lato infatti, permangono più di 150 migranti, con la capacità del locale hotspot ancora ben sforata. Dall’altro lato, gli sbarchi sull’isola più grande delle Pelagie proseguono.

Diversi gli approdi autonomi a partire dalla giornata di sabato: anche un singolo arrivo di un barchino con dieci persone a bordo, in questo momento può costituire un grande e grave problema per la gestione del centro d’accoglienza di contrada Imbriacola.

Si torna a proporre i ponti aerei, in modo che il trasferimento dei migranti venga agevolato e velocizzato. Anche perché la nave di linea per Porto Empedocle può accogliere un numero giornaliero limitato di migranti ed il rischio è che, partito un gruppo verso la Sicilia, a Lampedusa ne arrivi subito un altro tramite nuovi sbarchi.

Una situazione quindi vicina al collasso, a cui si sta cercando di porre un rimedio anche se, per via dell’aumento del ritmo degli approdi a Lampedusa, non è semplice far rientrare il tutto in tempi brevi alla normalità.

Intanto emergono alcune novità anche dalla Ocean Viking, ormeggiata presso il porto dell’isola dalla giornata di sabato. La Guardia Costiera domenica pomeriggio ha effettuato un sopralluogo per verificare l’esistenza di tutte le condizioni idonee per la navigazione, controlli di routine effettuati nelle scorse ore anche sulla Open Arms, ormeggiata a Porto Empedocle in quanto raggiunta da fermo amministrativo.

Questa mattina membri della Sos Mediterranée fanno sapere di essere pronti a riprendere la navigazione: “Dopo lo sbarco delle 82 persone a bordo avvenuto sabato notte e nove ore di controlli da parte della Guardia Costiera italiana, la nave sta tornando nel Mediterraneo centrale per riprendere le operazioni di ricerca e soccorso”. Lo si legge in un post pubblicato sul profilo Twitter di Medici Senza Frontiere, l’associazione umanitaria che collabora con Sos Mediterranée.

Intanto in Europa per alcuni giorni in Italia molti nei media e nelle istituzioni illusi che il combinato disposto della nomina di Paolo Gentiloni a Commissario europeo agli Affari economici e dell’ascesa al Mef del dem Roberto Gualtieri contribuisse a spostare questo perimetro verso una posizione simile a quella dell’Italia, che l’austerità l’ha patita a partire dall’era di Mario Monti e necessità una discontinuità a tutto campo. 

Ma la strada resta in salita: Gentiloni è stato commissariato, nella nuova squadra di Ursula von der Leyen, dalla nomina a suo supervisore di Valdis Dombrovskis, superfalco lettone dell’austerità. Sarà l’ex premier lettone, scrive la Stampa, che “sovrintenderà i commissari con i portafogli legati all’Economia e alla Finanza”, marcando letteralmente a uomo l’ex premier italiano e coordinando la squadra economica, seguendo direttamente la riforma del Patto di Stabilità.

Limiti sostanziali che spingono a vedere nella nomina di Gentiloni più un “premio” all’afflato europeista del governo giallorosso e alla marginalizzazione di Matteo Salvini che una concessione di reali poteri sostanziali. E lo si è visto in occasione delle prime riunioni diEurogruppo ed Ecofin a cui Gualtieri ha partecipato, nel corso delle quali le sue richieste sono andate in sostanziale continuità con quelle del predecessore Giovanni Tria: più flessibilità contabile, meno focalizzazione su concetti discutibili come l’output gap, rifiuto di qualsiasi manovra restrittiva. 

Segno che indipendentemente dall’approccio del governo italiano a Bruxelles, il muro contro muro è di difficile superamento. Nonostante le dichiarazioni d’intento coraggiose e battagliere, appare evidente che anche la nuova Commissione terrà il “perimetro” dell’austerità molto vicino a quanto desiderato dai Paesi nordici paladini del rigore, concedendo forse qualche avanzata solo per rispondere alle difficoltà economiche della Germania.

Tante volte ci si interroga sul perchè studiare la Storia e sulla sua straordinaria importanza. Le vicende politiche di questi giorni confermano se ce n'era bisogno che veramente la Storia è maestra di vita. E pertanto ha ragione il fondatore di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni, quando afferma: “chi sbaglia Storia, sbaglia politica”. In questi giorni mentre si consuma il «curioso connubio tra pidioti e pentastellati  cementato sia dal morboso affetto per la poltrona, sia dall’odio implacabile verso un politico che ha fatto l’imperdonabile errore di dimostrarsi un uomo: Matteo Salvini», sto leggendo «Gli Italiani sotto la Chiesa», sottotitolo:“Da S. Pietro a Mussolini”, di Giordano Bruno Guerri, pubblicato da Mondadori, nella collana Le Scie (1992). Descrivendo Niccolò Machiavelli e il suo Principe, Guerri, offre diversi spunti molto utile per comprendere meglio le vicende politiche odierne. Mi riferisco al grosso scandalo del brutale e nello stesso tempo volgare trasformismo politico del PD e del movimento 5 Stelle, che certamente è un fenomeno tutto da studiare a livello psicologico e sociologico. E pertanto ha ragione il blog “Huffpost”, diretto da Lucia Annunziata, «Il Conte bis è nato, come noto e quasi scontato, come la più grande e plateale operazione trasformistica della politica italiana dopo il secondo dopoguerra». (Giorgio Merlo, L'elogio del trasformismo e la coerenza politica, 13.9.19, in huffingtonpost.it)

Nel secondo capitolo Giordano Bruno Guerri nella sua brillante descrizione storica, sottolinea una particolarità degli italiani: l'atavica divisione del nostro popolo. Già dal primo capitolo, Guerri, divide il popolo italiano, in bianchi e neri. Quando giunge a commentare Machiavelli e la sua opera più importante, Il Principe, non posso esimermi dal paragonarla alla situazione politica che stiamo vivendo.

Le riflessioni di Guerri sono attuali. Nella storia della recente politica si possono registrare diverse casi di trasformismo, tra i tanti è passato alla storia quello di Domenico Scilipoti. Ma l'attuale trasformismo che ha portato all'abbraccio PD e 5Stelle, resterà negli annali della storia parlamentare italiana.

Machiavelli fornisce un manuale di regole necessarie per governare i popoli. Nelle regole del Principe, lo storico senese, ne elenca qualcuna: «non può né deve rispettare la parola data, se tale rispetto lo danneggia». Il moderno principe per raggiungere gli scopi ha tutto il diritto di ingannare, avvelenare, congiurare, sterminare popoli. Pertanto per Machiavelli, la più importante virtù di un principe è l'astuzia, accompagnata dall'ambizione, dalla mancanza di scrupoli, dalla determinazione.

Insomma Machiavelli separa la politica dalla morale, codifica il realismo politico e afferma il principio che il responsabile di uno Stato non può tenere conto delle regole dei gentiluomini. Dunque a distanza di cinquecento anni le regole fondamentali del Principe sono attuali, vengono cinicamente rispettate dai molti politici presenti nel nostro parlamento. A questo punto potrei avanzare una provocazione: non sarebbe opportuno affidarsi ad un uomo, ad uno statista del calibro di Antonio Oliveira Salazar? Lo so per i pasdaran della democrazia passo per reazionario, fuori della Storia e probabilmente dal consorzio civile, ammesso che i sinistri, quelli del “siamo più umani”, conoscano Salazar.

Ritornando a Machiavelli, Giordano Bruno Guerri, scrive che tutti hanno imitato il Principe da Carlo V° al cardinale Richelieu, da Lenin a Mussolini. Anche Gramsci indicava la figura del principe in quella del moderno partito di massa.

Il testo di Machiavelli ha contribuito ad identificare gli italiani come “machiavellici” secondo il deteriore del termine: intriganti, astuti, inaffidabili, traditori, senza senso dell'onore, capaci di tutto. Capaci di cambiare bandiera facilmente.

Ritornando alla politica italiana, si registrano diversi allarmi per quanto riguarda l'aspetto della coerenza, e della parola data. Ormai la stragrande maggioranza degli italiani conosce le motivazioni perché è nata questa operazione di trasformismo politico, tra Pd e 5Stelle, prima tra tutte «il terrore del voto anticipato, la perdita dello stipendio per i parlamentari e la potenziale e quasi certa riduzione secca di seggi dei due partiti contraenti la nuova maggioranza di governo». (Ibidem) Però questa deriva trasformistica crea un grosso problema: cambia la fisionomia fondamentale della politica sia a livello nazionale che locale, cancella o sospende la categoria della “coerenza”.

Infatti, «con l’irruzione del trasformismo sono le stesse regole della politica a mutare. E a mutare profondamente». Non è un caso che i due partiti che sostengono il Conte bis sono stati costretti a cancellare «tutto ciò che hanno detto, scritto, teorizzato, sostenuto e urlato nelle piazze negli ultimi 10 anni».

Pertanto occorre fare un'ulteriore riflessione: «Che senso ha, oggi, - scrive Merlo - per fare qualche esempio concreto, sostenere in un partito che una scelta politica è credibile, netta e di lunga durata perché è stata assunta dagli organismi preposti di quel partito? Abbiamo tutti in mente le solenni dichiarazioni dei candidati alla segreteria nazionale del Pd, delle loro mozioni congressuali, delle loro deliberazioni votate all’unanimità dalle segreterie e dalle direzioni sino a poche settimane fa che escludevano in modo categorico per motivi politici, culturali, etici, programmatici e storici qualsiasi alleanza politica con i 5 Stelle».(Ibidem)

Stessa cosa si può scrivere dei 5 Stelle. Sarebbe superfluo elencare tutti gli insulti contro il Pd da parte dei grillini, la rete è piena.

Allora c'è da chiedersi seriamente se da questo momento qualsiasi dichiarazione, deliberazione congressuale, almeno per quanto riguarda certi partiti, saranno solo parole al vento destinate a cadere nell'arco di poche ore. Se è così non si può più credere a niente.

Questa degenerazione politica a cui stiamo assistendo oltre a ingrossare il partito dell'astensionismo, mina la credibilità della democrazia e delle istituzioni. Infatti,

«Non ci sarebbe da stupirsi se, quando mai si riuscisse a tornare a votare, la percentuale dei votanti non superasse il 30% degli aventi diritto al voto. Questo infatti potrebbe essere l’esito di una crisi politica maldestramente gestita da chi sperava di ottenere il voto e invece ha favorito la nascita del peggior governo possibile».(Marco Invernizzi, Il governo nascente di male in peggio, 29.8.19, alleanzacattolica.org).

Sono rari i libri che riescono a coniugare gli avvenimenti, i fatti politici, o addirittura la cronaca, alla micro e alla macro Storia. Ci riesce Paolo Mieli, giornalista, ma soprattutto storico, nel suo libro, «Il caos italiano. Alle radici del nostro dissesto», Rizzoli (2017).

Mieli nel testo ripercorre la vita del nostro paese attraverso una serie di storie, a partire dal Risorgimento, dai primi anni del nuovo Regno d'Italia, dalla Grande Guerra, il fascismo, il dopoguerra, con i tanti e vari governi balneari democristiani, il centrosinistra, l'opposizione anomala del partito comunista italiano. Fino a trattare vicende oscure di cronaca giudiziaria come il caso Montesi.

Naturalmente io mi soffermerò su alcuni aspetti storici che ritengo meritano maggiore attenzione. Paolo Mieli nella sua narrazione storica si avvale di una serie di studiosi e citando Giovanni Sabbatucci, afferma una tesi politica a cui pare legato, in Italia, «le forze politiche, anziché andare al governo dopo aver vinto le elezioni, vincono le elezioni dopo essere andate al governo (sfruttando con mezzi leciti o illeciti a seconda dei casi, le opportunità offerte dal potere) diventerà uno dei caratteri perenni e una delle anomalie maggiori del sistema politico italiano». E' stato sempre così, tranne nel ventennio mussoliniano.

Nella Ia parte del testo, dall'unità al Fascismo, Mieli racconta come si è formato il nuovo Regno d'Italia e l'Unità del Paese. Alle prime elezioni del 1861, gli aventi diritto al voto furono 420.000, andò a votare la metà, l'1% degli abitanti. In molti collegi furono sufficienti meno di 200 voti per mandare a Torino un deputato; in uno solo 89. Praticamente la nostra democrazia viene costruita da una piccola élite. E peraltro nasce con un vizio d'origine: l'esclusione delle élite cattoliche, la conquista in armi dello Stato pontificio e il non expedit di Pio IX. In questo modo il nascente Stato borghese liberale, nasce debole.

Per cinquant'anni, nella fase iniziale della storia d'Italia, «i cattolici e le loro organizzazioni sono una forza estranea che non riconosce la legittimità dello Stato, una forza extrasistema, se non antisitema». In pratica sono i «neri, come li definivano i liberali». A questi si aggiungevano i «rossi, cioè i repubblicani intransigenti e i rappresentanti di quei ceti popolari vessati da condizioni di miseria estrema, i quali andranno a costituire la nervatura e l'ossatura del Partito socialista[...]».

Pertanto conclude Mieli, l'”impossibilità dell'alternanza” nella politica italiana non è nata nella metà del Novecento, emergeva già nel secolo prima, all'inizio dell'esperienza unitaria.

A proposito dello studio della Storia, Mieli lamenta un oblio di questo studio. A partire dalla scuola italiana. Sostanzialmente per lo storico, si «andò affermandosi un modo di insegnare la storia assai poco problematico che puntava “piuttosto sull'oblio che sulla presa di coscienza”, dove imperavano le “ricostruzioni di comodo del passato”».

In pratica molto della nostra Storia è stato rimosso, ecco perché secondo Mieli, hanno avuto successo di pubblico i testi come il bestseller Terroni, di Pino Aprile e il fortunato Il sangue del sud di Giordano Bruno Guerri, che hanno tolto il velo agli aspetti più controversi della conquista del sud. Mieli si ferma a questi testi, che hanno un taglio giornalistico,  ma ce ne sono tanti altri che a partire dagli anni '90, hanno fatto giustizia sui veri fatti accaduti nel nostro meridione. Tanti autori di matrice cattolica controrivoluzionaria hanno raccontato la vera storia del Risorgimento, a partire da Carlo Alianello per arrivare ad Angela Pellicciari, che per la verità viene citata.

Paolo Mieli dà ampio spazio allo storico Massimo Viglione con 1861:Le Due Italie. Identità nazionale, unificazione, guerra civile. Il testo è un utile manuale, che contesta il Risorgimento e l'Italia Unita. Ma Mieli fa riferimento anche al volumetto del cardinale Giacomo Biffi, L'Unità d'Italia. Centocinquant'anni 1861-2011.

Viglione, è convinto che l'Italia nonostante sia un insieme di popoli, ha un elemento che li unisce, è quello religioso e la memoria più o meno sentita dell'eredità imperiale di Roma. Scrive Aldo Schiavone in (Italiani senza Italia), la Chiesa, «si era data la missione di tenere insieme, pur adattandosi alle diverse epoche, le torri e i campanili d'Italia». Pertanto, l'istituzione religiosa ebbe dunque, «la ventura di rimanere l'unica forza attiva nella Penisola che fosse riconducibile a una genealogia italiana […]. Finì con l'assumere perciò il ruolo di supplenza scopertamente politica ben al di fuori dei confini dei suoi domini temporali; in molte occasioni di difesa e di protezione locale – o almeno di velo – contro l'invadenza straniera».

Sicuramente secondo Viglione, la religione ela Chiesa, «erano di fatto non solo l'anima dell'italianità, ma anche l'unico concreto elemento unificatore delle popolazioni preunitarie, sarebbe stato logico - per Viglione – ritenere che proprio su tale elemento si sarebbe dovuto far leva per costruire un processo di unificazione nazionale e statuale di tali popolazioni». Invece sappiamo come è andata, il Risorgimento, cioè la “Rivoluzione italiana” è stato un movimento sociale contro la Religione Cattolica e contro la Chiesa.

Non solo ma l'unificazione avvenne senza rispettare i diritti internazionali dei vari legittimi Stati preunitari a partire del Regno delle Due Sicilie. Tutti Stati conquistati con l'inganno e con la violenza. Pertanto secondo Galli della Loggia, l'Italia è l'unico Paese d'Europa, la cui unità nazionale e la liberazione dal dominio straniero sono avvenuti in aperto feroce contrasto con la propria Chiesa nazionale.

Mieli accenna alla misteriosa morte di Ippolito Nievo, nel naufragio misterioso del piroscafo Ercoli. Nievo che aveva partecipato all'impresa dei Mille, auspicava un'alleanza con i preti per cambiare la società italiana.

Mieli fa riferimento anche alle insorgenze dei popoli italiani contro l'invasione napoleonica dell'Italia. Un tema trascurato per decenni, anzi come più volte ha detto Giovanni Cantoni, le insorgenze sono una pagina di Storia, letteralmente “strappata”. E ora ripresa, soltanto dopo gli studi che sono stati fatti all'interno di Alleanza Cattolica, con l'Istituto per la Storia delle Insorgenze (ISIN).

Gli insorgenti, la vera e unica resistenza fatta dagli italiani contro un esercito straniero, lasciarono sul terreno oltre centomila morti. Dall'altra parte c'erano gli agguerriti eserciti francesi, sostenuti da qualche migliaio di giacobini italiani. Tempo fa visitando la cittadina di Susa, sono entrato anche nel Palazzo Comunale, tra le tante targhe, alcune erano inneggianti agli eserciti francesi, visti come liberatori, manifestavo il mio sbigottimento e disappunto con dei dipendenti di quel Comune).

Tuttavia lo storico Mieli riconosce tutti questi fatti, le insorgenze e poi come venne fatta l'unità del Paese, facendo i nomi dei protagonisti di quegli avvenimenti. Anche se lui da laico, non riconosce che probabilmente dietro al disegno unificatore dei Savoia e dei rivoluzionari italiani come Garibaldi e Mazzini, c'era la Massoneria, ma c'era anche un disegno «di protestantizzazione dell'Italia». Tuttavia nel testo Mieli fa riferimento alla «guerra legislativa» contro la Chiesa e qui non può non citare la Pellicciari. Inoltre nelle citazioni dei diversi storici, Mieli fa il nome dello zuavo irlandese Patrick Keyes O'Clery, che ha ben raccontato, essendo presente, il risorgimento nel suo testo La Rivoluzione Italiana, pubblicato in Italia soltanto dalla casa editrice Ares. 

Nel contesto del Risorgimento, una scheda è dedicata ai numerosi conflitti tra il liberale Cavour e il repubblicano Mazzini e tanti altri intrighi istituzionali del nuovo Stato.

Passo alla scheda sul “paradosso della Grande Guerra”. La 1 guerra mondiale costò all'Europa 15 milioni di morti, su un totale di 120 milioni di maschi adulti mobilitati. I feriti furono più di 34 milioni (tra cui 8 milioni di mutilati e invalidi) e 11 milioni di prigionieri, decine di migliaia dei quali morti nei campi di prigionia. Tra i prigionieri 600.000 circa furono italiani, la metà dei quali caddero nelle mani del nemico dopo la disfatta di Caporetto. Per Mieli, una cifra altissima rispetto a quella degli altri Paesi. In guerra. Tra l'altro questi prigionieri per il governo italiano furono considerati come disertori.

Dopo queste gigantesche cifre, ha un grande significato la frase del papa di allora Benedetto XV che definì la 1 guerra mondiale, una inutile strage.

Anche qui Mieli prende in esame i movimenti politici degli interventitsti e quelli che non volevano la guerra. Secondo il giornalista Ugo Ojetti la guerra fu «come una liberazione da una lunga febbre che non voleva finire». Per Mieli questo conflitto venne presentato dal governo «come l'ultima campagna del Risorgimento che avrebbe consentito finalmente a tutti gli italiani di far parte di un un unico Stato nazionale». Anche se il governo che portò alla guerra avevo poco a che fare con gli ideali romantici di Mazzini e compagni. La guerra nonostante il tradimento del patto con gli austrotedeschi, per alcuni doveva dimostrare al mondo l'unità del paese, la grande potenza.

E invece, «l'Italia entrò in guerra lacerata da profonde rivalità sociali e politiche contro il volere della maggioranza parlamentare e di gran parte della popolazione».

In parte erano divisioni ideologiche che durarono a lungo fino a quando la Regia marina nel giorno di Natale del 1920, bombardò Fiume occupata dai legionari dannunziani.

Una guerra che colse gli italiani impreparati, una mobilitazione degli eserciti con forti ritardi. Un esercito italiano «dipinto come la parte migliore del paese, una comunità salda e disciplinata, guerrieri superbi devoti al re e ai propri comandanti». Tutte frottole e propaganda di regime. Peccato come fanno notare diversi storici, che questo esercito non aveva vinto mai nessuna battaglia sul suolo europeo e in Africa ad Adua aveva subito la peggiore sconfitta di un esercito bianco in Africa.

Del resto Cadorna, il capo di Stato maggiore e comandante sul campo era convinto «che la sua armata fosse formata perlopiù da contadini ottusi e operai traviati dalla predicazione socialista, che potevano essere tenuti in riga solo attraverso una disciplina ferrea corroborata da continue punizioni esemplari». Sappiamo come Cadorna cercò di risolvere il problema, con fucilazione immediata per chi tentenna nei combattimenti. Anche se poi questi stessi soldati seppero dare il meglio di se stessi nelle varie battaglie che affrontarono sul terreno brullo del Carso o sulle cime dei Dolomiti. .

Mieli tra le tante osservazioni fa notare la scarsa partecipazione alla guerra degli studenti universitari. Anche Mieli riporta i casi di ufficiali che ostinatamente guidavano i propri soldati a dei veri e propri massacri come quello del colonnello Mario Riveri al forte Basson, dove morirono 1100 uomini su 2800.

Altro macabro particolare della grande guerra è l'impazzimento di molti ragazzi rimasti segnati per tutta la vita. Di questo se ne è occupata una studiosa abruzzese, Annacarla Valeriano, in uno straordinario libro, Ammalò di testa. Storie dal manicomio di Teramo (1880-1931). Il libro nasce dalle annotazioni dello psichiatra  veneto Marco Levi Bianchini, futuro direttore del manicomio abruzzese. Secondo la Valeriano emergeva «la pervasività della violenza a cui i fanti erano esposti e che avrebbe costituito una delle caratteristiche più peculiari del conflitto: una 'brutalizzazione' dello scontro che non colpì soltanto coloro che combatterono in prima linea ma si estese anche nelle popolazioni civili, provocando ferite nel corpo e nell'anima […] Per la Valeriano - le conseguenze psichiche della violenza si manifestarono sotto forme diverse:i nuovi stimoli derivanti dalla 'guerra di luci e di scoppi terribili' furono infatti smaltiti dalla psiche dei soldati attraverso una serie di reazioni che continuarono a dispiegare per lungo tempo i loro effetti».

Altri studiosi provarono a definire queste nevrosi dei militari della grande guerra. L'azione logoratrice e depressiva della vita nelle trincee avevano provocato un ottundimento del senso della vita e del pericolo in coloro che erano stati nelle zone di combattimento.

Passando alle schede sul fascismo Mieli descrive il Tribunale fascista, l'Ovra, che amministrò la giustizia fino al 25 luglio 1943. «Non si può dire che il tribunale di Mussolini - osserva Mimmo Franzinelli in Il Tribunale del Duce. La giustizia fascista e le sue vittime (1927-1943) – sia stato spietato: nel primo decennio condannò 3112 imputati contro 7581 prosciolti; pronunciò settantasei condanne a morte delle quali ne saranno eseguite cinquantotto, in gran parte contro i “terroristi slavi”, come già ben documentato da Marina Cattaruzza in L'Italia e il confine orientale (1866-2006) e da Maria Verginella in Il confine degli altri. La questione giuliana e la memoria slovena. Peraltro tutti i giudici che avevano fatto parte dell'Ovra furono amnistiati in tempo di record e qualcuno ebbe un ruolo nella nuova repubblica.

Interessante la scheda, «strani protagonisti della Rsi». Qui Mieli oltre a fare l'elenco degli storici che hanno descritto gli anni della repubblica di Salò, racconta alcuni episodi che tra l'altro non conoscevo. Intanto scrive che certa storiografia che ha negato dignità a coloro i quali militarono dalla «parte sbagliata», e cioè i repubblichini, dimostra grandi limiti. Non si può ridurre «l'ultimo fascismo alla semplice e unica categoria interpretativa della 'barbarie consumata da un manipolo di sanguinari'».

Mentre cita positivamente chi ha studiato il fascismo a cominciare da Renzo De Felice, fino ad arrivare a Giampaolo Pansa e quindi per ultimo al versante reducistico Giorgio Pisanò.

La scelta di Salò, scrivono Avagliano e Palmeri, fu per molti giovani e perfino adolescenti «una sorta di rivolta generazionale contro il vecchio sistema, rappresentato dalla monarchia, dalle forze della borghesia che avevano voltato le spalle a Mussolini e dai quadri dirigenziali del regime fascista».

A questo punto Mieli elenca i vari futuri personaggi dello spettacolo che hanno aderito alla Rsi, che hanno avuto un ruolo attivo, anche se alcuni, successivamente hanno preso le distanze da quella scelta. Si passa da Giorgio Albertazzi a Raimondo Vianello, forse l'unico che ha raccontato la sua scelta con realismo.

Mieli fa affidamento a L'Italia di Salò: 1943-1945, che racconta decine di pagine interessanti al primo fascismo clandestino, dopo che l'Italia fu liberata dagli americani, proprio al Sud. C'è una rete clandestina dietro le linee nemiche, movimenti spontanei, formati prevalentemente da giovani. Hanno inizio nel luglio del 1943 in Sicilia. La prima formazione censita è «Fedelissimi del Fascismo», «Movimento per l'Italianità della Sicilia», fondata a Trapani da Dino Grammatico (futuro deputato regionale del Msi) e Salvatore Bramante. In queste formazioni clandestine si distingue anche una giovane donna, Maria D'Alì, definita la «Giovanna D'Arco della Sicilia». A Messina c'è Salvatore Claudio Ruta, leader di un gruppo di giovani fascisti. Ci sono altri nomi e soprattutto episodi di resistenza, di manifestazioni contro il nuovo governo alleato.

Mieli ricorda un movimento nato in Sicilia di protesta contro la leva militare a cui aderiscono insieme elementi neofascisti, anarchici, cattolici, separatisti e comunisti. Il loro slogan era «Non si parte», per bloccare il reclutamento di soldati che dovevano andare a combattere contro i nazi-fascisti. Una strana alleanza, simile a quella del 1866, quando ci fu la rivolta del «Settemezzo» A Palermo e in tutta la Sicilia contro il governo del nuovo Regno d'Italia, dei Piemontesi. Anche allora borbonici, garibaldini, anarchici, cattolici scesero in strada per protestare.

Mieli racconta delle resistenze avvenute anche in Sardegna, in Calabria e a Napoli dove era attivo il principe Valerio Pignatelli di Cerchiara, che ha combattuto su più fronti contro il comunismo.

Nella mia presentazione io mi fermo qui, potrei continuare, interessante la scheda delle “Tre vittorie della Destra”, nel Novecento: la marcia su Roma del 1922; il successo elettorale della DC, del 18 aprile 1948; il successo elettorale del 27 marzo 1994 di Silvio Berlusconi. Sarà un po' forzato l'accostamento dello storico giornalista, ma ci sono tanti altri avvenimenti che Mieli propone nel libro, a cominciare dalla Repubblica bloccata del secondo dopoguerra.

Anche qui sono tanti i nomi di politici, protagonisti della storia della politica italiana, la fanno da padroni i democristiani e i comunisti. Il testo di Mieli si può leggere scegliendo tra le varie schede che propone. Sarebbe interessante fare riferimento ad altri episodi che mi hanno colpito maggiormente. Un ultimo accenno voglio farlo: l'episodio del vescovo di Reggio Emilia, monsignor Beniamino Socche, del 7 luglio 1960, collegato ai disordini contro il governo Tambroni. E poi quelli riguardanti l'opposizione anomala del Pci, con tutti i travagli politici interni. Anche Mieli racconta i cosiddetti “fatti di Ungheria” del 1956, come furono vissuti dai comunisti italiani.

 

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