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Talos Festival, 20 anni di musiche a Ruvo di Puglia

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La citta', per il Festival che ha il nome leggendario e mitico di Talos, secondo il progetto di Pino Minafra, direttore artistico, e' stata "seminata" da bande musicali per un'intera settimana nella prima meta' di settembre, come anteprima di questa edizione del festival incentrata su Melodia, Ricerca e Follia. Bande, di varia estrazione e provenienza, insiemi in quanto ideali format per una interazione umana e artistica. Non solo taranta. Le Puglie, Ruvo offrono un campionario di musica creativa, improvvisata, popolare, jazz. E' una Fiera del Levante di suoni venuti da oriente, mediterraneo, Europa, resto del mondo. Dal 12 al 15, poi, la kermesse entra nel vivo, e alle collaterali mostre fotografiche, alle presentazioni di libri, come quello di Giancarlo Schiaffini "E non chiamatelo jazz" edito da Auditorium e "Infolding Story" di Sebi Tramontana,  ai documentari, "La Voce. Stratos" di Affatato e D'Onofrio, ai convegni sul patrimonio bandistico, si aggiungono i concerti, anello forte della lunga catena di eventi inanellata nella cittadina ai piedi dell'Alta Murgia.
Schiaffini e Tramontana, nella suggestiva cornice del Convento dei Domenicani, inscenano, in "Win & Slap", un dialogo di tromboni a distanza e ravvicinato, fra strumenti che assumono vocalita' fisica tramite gorgoglii, sussurri, lamenti, bla bla, grida di un raccontare privato, quasi un discorso diretto di due Io narranti in un improvvisato canovaccio di note.
"Senza confini. Ebrei e zingari" e' il successivo spettacolo di Moni Ovadia che
reinterpreta canti della diaspora dei due popoli erranti. E alla sua maniera attorale riassume al numeroso pubblico una storia che e' cronaca d'oggi pensando a rom e sinti, e al passato degli ebrei. Quella zingara e' una cultura che usa strumenti trasportabili per la propria musica itinerante. Ma errare non e' esilio. Non c'e' un luogo da cui si fugge. E' una visione di vita che ha nella musica la migliore espressione artistica individuale e collettiva, che fu elaborata da Django Reinhardt, ovviamente, ma anche i russi sono stati abbondantemente fermentati dalla musica tzigana. Come storicamente i romeni. E Ovadia e la collaudata band ne sono accreditati ambasciatori sul palcoscenico di piazzetta Le Monache.
In chiusura spazio alla poesia magica di  Gianluigi Trovesi e Gianni e Coscia. Il loro e' in viaggio a 360 gradi nello spazio mitteleuropeo e nel tempo (a)storico  attraverso i "veicoli" clarino e fisarmonica. Da Offenbach a Weill alla tradizione blues il duo offre una rilettura di un tempo perduto che e'  un amarcord  inventivo e ironico, c'e nostalgia ma e' un umore velato, e se ne viene piacevolmente cullati. Il bis finale e' un dolce valzer di citazioni, ammalia  la memoria che riaffiora, per tratti salienti, fra riff popolari ed melodie circensi, echi barocchi e profumi di una volta. Il festival continua.

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