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Nuno Alvares Pereira non è un calciatore, ma un santo molto particolare, vissuto nel tardo medioevo portoghese, “senza di lui non ci sarebbe mai stato il Portogallo”, disse monsignor Vitalino Dantas O.C.D. Riprendo la straordinaria storia di questo santo dal libro di Massimo Introvigne, “Tu sei Pietro. Benedetto XVI contro la dittatura del relativismo”, pubblicato da Sugarcoedizioni (2011, Milano, pp.316, e.18,50).

La canonizzazione del santo portoghese ha una lunga storia, dopo la sua morte nel 1438, il re Edoardo I aveva chiesto la sua canonizzazione al papa di allora. “Poiché san Nuno - scrive Introvigne - aveva trascorso gran parte della sua vita come militare e generale combattendo contro la Spagna per l’indipendenza del Portogallo, il veto spagnolo impedisce che si dia corso alla richiesta del re portoghese”. La Spagna era allora una grande potenza cattolica e non si poteva non tenere conto, ma anche dopo dal Portogallo giungono a Roma ripetute richieste di beatificazione e canonizzazione, soltanto nel 1918, Benedetto XV, lo iscrive al culto dei beati. Ma i portoghesi puntano santificazione di san Nuno, così nel 1940 il primo ministro Antonio de Oliveira Salazar, insiste per la sua canonizzazione presso il venerabile Pio XII, ma il Papa rifiuta, sia perché c’era in atto la guerra, ma anche per evitare uno scontro con la Spagna, che era appena uscita dalla guerra civile.

Bisogna aspettare il 2004, quando il beato Giovanni Paolo II riapre il processo canonico. Riesaminata la vita del beato Nuno, viene approvato dalla commissione medica un miracolo che ha ottenuto una signora e così Benedetto XVI può procedere alla canonizzazione, 571 anni dopo la prima richiesta. Alle polemiche politico-diplomatiche da parte della Spagna, il generale portoghese gli ha inflitto una delle più gravi sconfitte militari della sua storia, bisogna aggiungere quelle dentro al mondo cattolico.

Intellettuali “progressisti” e almeno un vescovo, “hanno criticato la canonizzazione affermando che san Nuno fu soprattutto un guerriero, e chi uccide il prossimo non merita il titolo di santo”. Per Introvigne queste posizioni ignorano la vera natura della santità cattolica, peraltro, altri credenti, per evitare di essere accusati di seguire un santo guerrafondaio, insistono esclusivamente sugli ultimi nove anni della vita di san Nuno, nei quali il santo - dopo aver fatto costruire a sue spese il Convento do Carmo a Lisbona - vi si ritira come frate carmelitano.

Questi credenti, praticamente, interpretano questi nove anni di convento quasi come una penitenza per la passata vita militare, come se san Nuno avrebbe dovuto chiedere perdono a Dio e agli uomini. Tuttavia“le parole di Benedetto XVI nella solenne cerimonia di canonizzazione hanno fatto giustizia di queste interpretazioni e pregiudizi”. Infatti scrive Introvigne, “il Papa al contrario ha esaltato la figura di cavaliere cristiano di san Nuno, impegnato nella ‘militia Christi’, cioè al servizio di testimonianza che ogni cristiano è chiamato a dare al mondo”. Pertanto, “caratteristiche del santo sono un’intensa vita di orazione e l’assoluta fiducia nell’aiuto divino. Benché fosse un ottimo militare e un grande capo, non considerò le doti personali preminenti rispetto all’azione suprema che viene da Dio. San Nuno si sforzava di non porre ostacoli all’azione di Dio nella sua vita, imitando Nostra Signora di cui era devotissimo e cui attribuiva pubblicamente le sue vittorie”. Infine il generale Nuno Alvares Pereira diventa, secondo Benedetto XVI uno “strumento di un disegno superiore”, la fondazione della nazione portoghese indipendente dalla Spagna, che poi contribuirà a portare nel mondo il Vangelo fino agli estremi confini della Terra. Così grazie a san Nuno, il Portogallo diventa una nazione missionaria, estendendosi “attraverso gli Oceani – non senza un disegno particolare di Dio – aprendo nuove rotte che avrebbero propiziato la diffusione del Vangelo di Cristo fino ai confini della Terra”.

San Nuno dagli storici militari viene considerato uno dei più grandi generali europei, lo ha dimostrato in tutte le battaglie a cui ha partecipato, in particolare in quella di Aljubarrota, il 14 agosto 1385, in pratica,“seimila portoghesi sconfiggono trentamila spagnoli grazie a una strategia che prevede che la cavalleria pesante castigliana sia attirata su un terreno costellato di palizzate appositamente erette per rendere difficili le manovre dei cavalli, i quali sono abbattuti da fanti o da cavalieri portoghesi capaci di smontare e risalire rapidamente. Così scrive Introvigne,“i cavalieri spagnoli disarcionati e colti di sorpresa sono uccisi in gran numero”, e tra l’altro, “san Nuno combatte personalmente in prima fila”. Sia questa battaglia che quella di Valverde, pongono fine al sogno spagnolo di conquistare il Portogallo.

Dopo essere rimasto vedovo, il generale si ritira a vita privata e nel 1422 entra nel Convento do carmo, dove pronuncia i voti e sceglie con umiltà di diventare “semi-fratello”, rifiutando tutte le cariche e distinzioni che gli sono offerte. “In convento si segnala per la vita poverissima – lui che era stato considerato l’uomo più ricco del Portogallo – e per la grande carità: ma re Giovanni I viene spesso a chiedergli consiglio”.

Alla sua morte perfino la regina di Spagna Isabella I la Cattolica (1474-1504), che lo considera un santo, fa invocare nelle Messe celebrate a corte quello che era stato come generale un fiero avversario del suo Paese.

“La canonizzazione di san Nuno, ha affermato Benedetto XVI, vuole mostrare alla Chiesa come ‘la vita di fede e di preghiera è presente anche in contesti apparentemente poco favorevoli alla stessa, ed è la prova che in qualunque situazione, anche in quelle di carattere militare e di guerra, è possibile mettere in atto e realizzare i valori e i principi della vita cristiana, soprattutto se questa è posta al servizio del bene comune e della gloria di Dio’”.

Pertanto, scrive Introvigne, “se dunque vi è stato chi ha cercato di sminuire la lunga fase ‘ militare e di guerra’ della vita di san Nuno – quasi che solo ‘il tramonto della sua vita’ in convento ne manifestasse la santità – Benedetto XVI al contrario dà rilievo alla ‘figura esemplare’ del Connestabile anzitutto come cavaliere, miles Christi”.

Se la santità non serve per “premiare” qualcuno, come scrive Alessandro Fadda, ma “quanto piuttosto per indicare agli uomini modelli vicini e possibili di fedeltà al Vangelo”, sicuramente san Nuno è uno di questi.

Copertina del libro

 

Nella storia ormai più che bi-millenaria della Chiesa resta un episodio largamente avvolto dal mistero: come mai un Ordine cavallaresco di antica fama, anzi il più glorioso di tutti, quello dei Templari sparì dalla Cristianità in breve tempo? Perchè fu soppresso? Che fine fecero quei valorosi cavalieri? Dopo diversi tra film, documentari e romanzi di grande successo (ma, per la verità, complessivamente di ben scarsa attendiblità storica) arriva ora a cimentarsi con la scottante materia lo studioso Mario dal Bello in un'opera breve ma densa e narrativamente entusiasmante, a metà tra il saggio storico e il racconto letterario, che fa stato anche delle ultime documentazioni raccolte dall'Archivio Segreto Vaticano (cfr. M. Dal Bello, Gli ultimi giorni dei Templari, Città Nuova, Roma 2013, pp. 150, Euro 12,00). La vicenda inizia a Troyes, nella Francia settentrionale, nell'inverno del 1129, quando San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) accoglie nella locale cattedrale un gruppo di pellegrini provenienti dalla Terrasanta, dove hanno vissuto poveramente e castamente, al modo dei monaci – ma senza essere preti – presso i resti del Tempio di Salomone (da cui il nome) nella Città Santa. Vogliono proteggere il Santo Sepolcro e le comunità cristiane che vivono nei luoghi santi, sempre più vessate dalle invasioni islamiche: per questo chiedono la benedizione del Papa ma anche, una volta confermati nell'opportunità della loro missione (che svolgono già dai primi decenni del XI secolo), beni e uomini disposti a soffrire per Cristo, nelle Sue terre. Nascerà così l'Ordine dei Cavalieri del Tempio che per circa centocinquant'anni, praticamente fino al 1291, di fatto, proteggerà - compiendo atti di straordinario eroismo - i cammini del pellegrinaggio cristiano proveniente dall'Europa verso Gerusalemme. I problemi inizieranno quando il re di Francia Filippo IV (1268-1314), detto poi 'il Bello' per il suo aspetto fisico, già noto per il celebre 'schiaffo di Anagni' contro Papa Bonifacio VIII (1230-1303) e il suo esasperato regalismo, fortemente indebitato, riesce – con una sorta di ricatto – a farsi prestare dai Templari stessi una somma ingente di denaro. L'idea, oltre che risanare in un tempo praticamente record le casse vuote del suo regno, é quella d'indebolire così un ordine – strategicamente formidabile - che non rispondeva a nessun potere statale, né religioso, che fosse facilmente manipolabile (i Templari obbedivano infatti direttamente al Pontefice) e la cui influenza, morale e spirituale, oltre che economica, iniziava a diffondersi rapidamente in tutta la Cristianità d'Occidente. Dapprima il re tentò di fare pressioni sul Papa (Clemente V (1264-1314), che allora risiedeva in Francia, é infatti il periodo in cui inizia la 'cattività avignonese' del Papato) perché sciogliesse i Templari, li unisse agli Ospedalieri (un altro ordine cavalleresco dalla giurisdizione pure sovranazionale, oggi più noti come 'Cavalieri di Malta') e li ponesse sotto la sua protezione in modo da governarli direttamente e poter avere mano libera anche sul resto del loro tesoro.

Quindi, non riuscendo nel suo intento, istigato dal suo cancelliere di corte, il giurista Guillaume de Nogaret ((1260-1313) uno dei precursori, con i suoi scritti, delle forme più moderne e radicali di giuridisdizionalismo), peraltro già scomunicato in quanto artefice della spedizione di Anagni contro Bonifacio VIII, ideò un vero e proprio complotto con una serie di accuse gravissime contro l'Ordine per far esplodere pubblicamente il caso: eresia, idolatria, stregoneria, sodomia. In poco tempo, così, tutti i cavalieri residenti in Francia (dove si trovava anche la Casa madre dell'Ordine), oltre cinquecento, furono arrestati. Nel riportare le cronache degli storici Dal Bello ricostruisce atmosfere e ansie di quei giorni riuscendo a far comprendere a pieno la complicata questione che metteva uno di fronte all'altro cristiani contro altri cristiani: da una parte il re - se non avesse avuto partita vinta - minacciava uno scisma gallicano e una 'vendetta' post mortem contro Bonifacio VIII, dall'altra il Papa non poteva certo abbandonare al suo destino un Ordine fedelissimo e benemerito come quello dei Templari. Il conflitto fu quindi pressoché totale: politico, diplomatico, ecclesiastico e religioso. Filippo IV, alla fine, riuscì nonostante tutto a costruire un'abile rete di spie, delatori e informatori, isolando sia il Papa che il Gran Maestro dell'Ordine, Jacques de Molay (1243-1324), che si rivelerà decisiva. Il processo seguente contro i Templari che ebbe luogo nel 1307, all'insaputa del Papa stesso, fu una tragica farsa: oltre alle accuse inventate, metodi brutali, finti testimoni e un uso reiterato della tortura per estorcere confessioni il più possibile agghiaccianti. Quando poi, informato dei fatti, Papa Clemente cercò di avocare a sé l'intera querelle, Filippo rispose convocando gli Stati Generali che si espressero per la soppressione dell'Ordine e l'apertura di un processo per eresia contro il defunto Bonifacio VIII. Il Papa – già provato nelle condizioni fisiche e stretto tra due fuochi - cercò a lungo di salvare i cavalieri, ma su pressioni di cardinali vicini al re francese alla fine soppresse temporaneamente l'Ordine per via amministrativa ribadendo comunque che non si trattava affatto di una condanna dottrinale. L'eterodossia dei cavalieri non era mai stata provata. In seguito a questo episodio, però, il re francese ne approfittò per sottrarre il tesoro dell'Ordine e defraudare numerose tra proprietà terriere e fortezze. Per la cronaca, nulla di tutto ciò venne mai restituito.

L'epilogo della drammatica vicenda arrivò infine nel marzo 1314 con la condanna al rogo, organizzata pure in gran segreto dal re, a Parigi, nell'ile de la Cité, sulla Senna, dello stesso Jacques de Molay e Geoffrey de Charney (1251-1314) che dell'Ordine era il precettore per la Normandia. Tuttavia, per uno strano destino – qualcuno per lungo tempo parlò di una vera e propria maledizione lanciata sul patibolo dai Crociati per un atto così folle e criminale – anche gli altri protagonisti della vicenda trovarono tutti la morte di lì a poco, sempre nel 1314. Una scia luttuosa senza precedenti che si estenderà 'inspiegabilmente' anche ai discendenti di re Filippo: “Il figlio Luigi, un carattere aspro e litigioso, regna solo due anni quando muore lasciando incinta la moglie Clemenza d'Ungheria. Gli nascerà un bambino, Giovanni, che vivrà solo cinque mesi. E' nata la leggenda, la maledizione dei Templari che colpirà anche l'ultimo dei successori di re Filippo. Il boia, prima di giustiziare Luigi XVI, gli dirà: «Questa é la vendetta del Gran Maestro»” (p. 122).

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Cremona, capitale mondiale della liuteria per storia e tradizione, apre le porte del nuovo Museo del Violino, restauro dello storico Palazzo dell’arte, realizzato grazie alla volontà e al sostegno della Fondazione Arvedi Buschini e del Comune di Cremona. Il Museo del Violino, che inaugura sabato 14 settembre alla presenza delle Istituzioni, è un nuovo polo espositivo che racconta cinque secoli di liuteria cremonese: un percorso tra gli strumenti dei grandi maestri come Antonio Stradivari, Giuseppe Guarneri "del Gesù", Andrea Amati e i suoi discendenti. Oggi in Europa nessun museo può vantare una testimonianza così importante e completa di strumenti ad arco di scuola cremonese: qui è nata l'arte della liuteria.  

Il Museo è una struttura che guarda al mondo per la dichiarata vocazione internazionale. Gli strumenti cambieranno di volta in volta, grazie al network Friends of Stradivari, presieduto da Paolo Bodini, che in questi anni ha intessuto rapporti internazionali fra collezionisti e appassionati di strumenti ad arco portando in città pezzi blasonati, come il violino appartenuto a Henry Ford.

Il Museo del Violino è ospitato nel Palazzo dell'Arte di Cremona, realizzato su progetto dall'architetto napoletano Carlo Cocchia con l'intento di dotare il Premio Cremona di una sede prestigiosa.
Cremona possiede un patrimonio liutario di enorme interesse: preziosi strumenti ad arco dei più grandi maestri dell'epoca classica, strumenti della tradizione successiva cremonese e italiana, esemplari vincitori dei concorsi di liuteria indetti a partire dal 1976 dall'Ente Triennale degli strumenti ad arco e più recentemente dalla Fondazione Stradivari. A questi vanno aggiunti i preziosi cimeli provenienti dalla bottega di Antonio Stradivari (si tratta di disegni, modelli, forme, attrezzi) fortunatamente sopravvissuti e offerti in dono alla città di Cremona nel 1933 dal liutaio Giuseppe Fiorini.
Pensato come forma di espressione della bellezza degli strumenti, l'Auditorium nasce per rappresentare la grande tradizione musicale, ma vuole anche confrontarsi con il futuro della musica.
Cremona, riconosciuta dall'Unesco capitale mondiale della Liuteria ha così realizzato il suo sogno di riunificare in un solo luogo il suo immenso patrimonio di strumenti musicali.
Hanno presentato il Museo del Violino di Cremona alla Stampa Estera e Italiana , Virginia Villa Direttore Generale Fondazione MdV, Oreste Perri Sindaco di Cremona e Presidente Fondazione MdV, il Prof Renato Meucci Coordinatore Comitato Scientifico MdV e Paolo Bodini Presidente Associazione Friends of Stradivari.
Antonio de Lorenzi ha chiuso la mattinata suonando nell'auditorium " Il Cremonese", 1715 di Antonio Stradivari.
Come giornale abbiamo avuto la possibilità di partecipare a questa anteprima e conferenza stampa.

Il percorso è composto da dieci sale, un viaggio nel tempo, partendo dalle origini del violino in una galleria con immagini digitali, per approdare ai tavoli su cui sfogliare ebook sulla storia delle grandi famiglie di liutai cremonesi. Il percorso è didattico e divertente, chiede al visitatore e spettatore di toccare schermi, prendere in mano la forma di un violino, di vedere proiettate e descritte le varie fasi della costruzione, fino ad arrivare a sbirciare all’interno di una bottega liutaria per vederne gli strumenti e un liutaio all’opera. Si arriva allo scrigno dei tesori - una galleria rossa con la collezione degli strumenti comunali appesi in teche splendenti - dopo aver appreso, attraverso video e ricostruzioni multimediali, la storia della liuteria cremonese. Ciò permette di apprezzare i tesori in mostra, così come i reperti stradivariani conservati in cassettoni illuminati raccontano di un dietro le quinte di un’arte del fare che l’Unesco ha riconosciuto come patrimonio dell’umanità. Ma non c’è solo il passato, non ci sono solo gli strumenti della scuola classica, c’è il meglio della liuteria contemporanea con gli strumenti vincitori ai vari concorsi triennali e poi in chiusura una sala è dedicata ai liutai attivi a Cremona in oltre 150 botteghe che fanno della città di Stradivari il più ampio comprensorio liutario al mondo.

l'eredità di benedetto xvi. m.introvigne

 

Ci sono momenti dell’anno in cui spontaneamente emergono riflessioni “ultime”, “fondamentali”, in merito alla propria vita, sul modo di vivere e di pensare, ma anche sul proprio agire. In particolare mi riferisco alla mia attività di “dilettante” scrittore, giornalista freelance, collaboratore di siti e giornali online. Allora mi pongo delle domande: perché lo faccio? Chi me lo fa fare? Visto che da queste collaborazioni non guadagno un centesimo di euro, anzi a volte devo anche stare “in guardia”, evitando di affrontare certi argomenti rischiosi che possono procurarmi possibili denunce.

Infine mi chiedo: dove trovo la forza di continuare a scrivere, di commentare, di comunicare? Essendo militante cattolico, la trovo nel Magistero della Chiesa, dei Papi, in particolare in quelli che ho conosciuto meglio, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e ora Francesco in sintonia con i predecessori. Ma da qualche tempo trovo la forza nel vedere i miei interventi pubblicati nella grande rete di facebook, qui constato che a volte siamo in tanti a condividere non solo stessa fede, ma anche gli stessi ideali, gli stessi studi, le stesse ricerche e anche la stessa passione politica, quella vera, non quella attuale.

Secondo Introvigne, nel social network si è creata una rete di amici, dove si ricevono e si ridiffondono note, che “costituiscono una scuola di ascolto del Magistero del Papa”.

E allora penso che ha ragione Benedetto XVI quando spiega a che cosa serve la GMG, in questo periodo di crisi per l’Europa e per il mondo. “Le GMG danno visibilità alla fede, visibilità alla presenza di Dio nel mondo e creano il coraggio di essere credenti. Spesso i credenti si sentono isolati in questo mondo, quasi perduti. Qui vedono che non sono soli, che c’è una grande rete di fede, una grande comunità di credenti nel mondo, che è bello vivere in questa amicizia universale. E così, mi sembra, nascono amicizie, amicizie oltre i confini delle diverse culture, dei diversi Paesi”. Certo la GMG da sola non basta, il Papa lo ricorda, come non basta face book.

Ma la forza per continuare a scrivere e quindi pubblicare i propri interventi deriva anche dalla lettura dei libri, soprattutto di certi libri come quello che sto leggendo in queste settimane, “L’eredità di Benedetto XVI. Quello che Papa Ratzinger lascia al suo successore FRANCESCO”, di Massimo Introvigne, Sugarcoedizioni (2013 Milano, pp 423, e.25)

Il libro di Introvigne è una fitta sintesi dei discorsi, delle udienze, delle encicliche, di papa Benedetto XVI, tra l’altro il testo è la naturale continuazione di “Tu sei Pietro. Benedetto XVI contro la dittatura del relativismo, pubblicato precedentemente nel 2011, sempre da Sugarcoedizioni. In questo volume, la selezione dei documenti su Papa Ratzinger di Introvigne, emerge un disegno complessivo “di contrasto alla “dittatura del relativismo”, che è il tentativo subdolo – ma spesso anche violento – d’imporre la dottrina secondo cui la verità non esiste: ‘ciascuno dice la sua’, e tutte le opinioni hanno stesso valore”. Qui Benedetto XVI appare, come “il primo custode non solo della fede ma anche della ragione minacciata dal relativismo”

Il professore Introvigne da qualche anno oltre a tante altre attività riesce a leggere e a sintetizzare per noi il ricco e intenso Magistero di Benedetto XVI e ora anche quello di papa Francesco, che si può leggere sul giornale online, Lanuovabussolaquotidiana.it. Peraltro, i due testi pubblicati dalla casa editrice milanese, rappresentano due ottime “guide” ragionate del grande patrimonio magisteriale di papa Ratzinger, il professore torinese, “offre qui un vero e proprio corso sul Magistero di Benedetto XVI”, vi assicuro che leggendoli vi aiuteranno molto a far diventare più adulta la vostra fede, perché vi danno veramente quel giusto alimento per non cadere nello scoraggiamento e soprattutto in quella crisi di identità che spesso tormenta certi ambienti cattolici.

Facendo nostro il monito di papa Benedetto XVI, possiamo scrivere che l’antidoto a questa grande crisi, che lambisce anche il sacerdozio cattolico, è di proporre il ritorno alla fede, e proprio nell’anno della fede, il papa ci ricorda che “non si tratta di un’emozione, ma di un preciso contenuto di dottrina”. Ciò significa letture e studio dei testi, possibilmente integrale e non parziale o addirittura mediate dai giornali, delle encicliche del Papa.

Bisogna ringraziare il professore Introvigne per questa lettura guidata del Magistero di Benedetto XVI, un corpus paragonabile nella storia della Chiesa solo a quello di Leone XIII, una vera e propria miniera di dottrina, di storia, di informazioni, che aiutano a comprendere ora il Magistero di papa Francesco. Infatti come viene scritto in fondo alla copertina di “Tu sei Pietro”: “Ogni testo va letto alla luce degli interventi precedenti dello stesso e di altri Pontefici, e diventa a sua volta criterio d’interpretazione dei testi successivi”.

Introvigne che è vice reggente nazionale di Alleanza Cattolica, ci invita allo studio del Magistero pontifico in modo sistematico, come merita. E questo si potrà fare soprattutto con il libro cartaceo, perché internet non sempre aiuta.

Nei prossimi interventi cercherò di approfondire qualche tema del ricco magistero di papa Ratzinger.

Hadjadj-Fabrice

 

Sulla nuova rivista della San Paolo, “Credere. La gioia della fede, che ho ricevuto in dono a Milano durante la serata organizzata da Rinnovamento nello Spirito, “10 piazze per 10 comandamenti”, ho trovato un interessante articolo riflessione del saggista, filosofo francese, Fabrice Hadjadj. Il filosofo affronta una domanda che spesso mi sono posto: “i tempi odierni sono migliori o peggiori di quelli del passato per l'annuncio del Vangelo?”. Per la verità il servizio del settimanale Credere è tratto dal nuovo libro di Hadjadj: “Come parlare di Dio oggi?Anti-manuale di evangelizzazione”, pubblicato dalle edizioni Messaggero Padova.

“La cosa certa è che non possiamo aver nostalgia di una cristianità sepolta – esordisce Hadjadj – Bestemmio contro la provvidenza che mi ha posto in questo momento della storia? Non devo forse riconoscere che sono nato in quest'epoca, che la mia missione, anche se complicata, è adesso, e che non devo aspettare il ritorno di condizioni favorevoli per cominciare a testimoniare?” (F. Hadjadj, Adesso è tempo per il Vangelo, n.10 del 9.6.13, in Credere)

Riprendendo la parabola del buon grano e della zizzania(Matteo 13.24-30)Hadjadj può affermare che il bene e il male crescono simultaneamente, e in maniera inseparabile, fino all'ultima ora, quindi ogni epoca della storia può essere migliore e peggiore nello stesso tempo.

Forse il cosiddetto Medioevo è stato il tempo più propizio per diffondere il Vangelo, ma nei dieci secoli, spesso intesi come Cristianità, ci sono state “tante aberrazioni(...)Probabilmente le tenebre erano meno dense di oggi, ma anche le luci erano inferiori. Dobbiamo rimpiangere i tempi della simonia?”

Per quanto riguarda il nostro tempo Hadjadj scrive che la nostra Europa è colpita dal fenomeno della secolarizzazione: “l'esistenza dell'uomo viene concepita al di fuori di qualsiasi aspirazione alla trascendenza”. Ormai si è cattolici soltanto la domenica mattina per quattro o cinque minuti, durante la Messa”. Eppure la secolarizzazione può essere una opportunità per la Chiesa.

A questo punto il saggista francese fa delle interessanti riflessioni sullo stato delle vocazioni religiose. Per fortuna che oggi “il prete non è più un notabile, scrive Hadjadj, lo stato religioso non ci appare più come l'occasione di farsi una posizione (…) Oggi le vocazioni religiose(e anche le semplici vocazioni cristiane) ritrovano sempre più la loro nudità soprannaturale”. E questo è una preziosa benedizione.

La chiamata alla santità è per tutti non solo per i religiosi. “Un tempo le persone sposate venivano considerate, in un certo senso, come i proletari della Chiesa, utili per fare figli e fornire così, con un po' di fortuna e a forza di moltiplicare marmocchi, un prete o una suora. Quando si osava canonizzare una coppia sposata (...)ci si affrettava subito a precisare che vivevano a casa loro 'come monaci'. Pertanto continua Hadjadj, oggi chi rivendica un posto importante per i laici nella gerarchia della Chiesa, “crede di essere ultraprogressista mentre invece è superclericale: infatti tende a credere che la gerarchia sia più importante della santità, mentre invece è interamente subordinata”.

A “laicizzare” la Chiesa è stato il beato Giovanni Paolo II che “ha affermato con forza che il laico è chiamato a vivere l'essenziale, nella condizione di laico”. Così secondo Hadjadj ha potuto cominciare a fiorire, una 'teologia del sesso', come anche una spiritualità coniugale, non più concepita come una spiritualità monastica di secondo grado. A questo punto “posso finalmente guardare il corpo di mia moglie non come una tentazione, ma come un'icona(...)”.

In conclusione prendendo coscienza del nostro stato battesimale, chiunque può diventare santo, dal vescovo all'idraulico, dalla monaca alla mamma, dal cardinale al camionista. “Siamo tutti clown di Cristo (ognuno secondo il proprio stato di vita), tutti chiamati alla fecondità della testimonianza e anche alle sue grane”.

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