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La discussione intorno alla cannabis light va avanti ormai da qualche anno: c’è chi ancora non riesce a staccarsi dall’immagine legata alla droga e chi la considera solo un prodotto naturale con diversi benefici.

In realtà più che di opinioni si tratta di informazione. Il punto focale della questione è la differenza fra CBD e THC, ovvero le due principali sostanze che compongono la canapa. La seconda è la causa degli effetti psicotropi ed è tuttora  illegale, il CBD, invece, non dà assuefazione né ha controindicazioni. E’ questo che c’è alla base dei prodotti come l’olio o i cristalli CBD - per saperne di più in merito, clicca qui.

Con la nascita di nuovi prodotti a base di quella che viene definita cannabis light è nato quindi un business, che si prospetta divenire molto redditizio in futuro. Servono quindi professionisti del settore, che si devono formare presso corsi specializzati.

È così che sono nati veri e propri corsi universitari: prima negli Stati Uniti, quasi sempre pionieri nelle novità a livello sociale, poi anche in Europa e in Italia. L’obiettivo? Formare  una sorta di sommelier della marijuana, che sappia riconoscerne qualità e origine per indicarne l’uso migliore in commercio.

Corsi universitari all’estero, di cosa trattano

Come detto, le prime università a fare formazione in materia di cannabis sono state quelle statunitensi. I corsi sono diversi in base al punto di vista dal quale si affronta l’argomento. C’è quello prettamente scientifico: studi e ricerche che ogni giorno scoprono nuove applicazioni e benefici della cannabis, anche e soprattutto in campo medio.

E poi c’è tutta la questione economico-legale. Stiamo parlando di un mercato in forte espansione: si stima che entro il 2028 varrà 123 miliardi di euro in Europa, pari al 70% di quello che è il complessivo fatturato del settore farmaceutico continentale.  Insomma, non si può improvvisare, né lasciare che questo settore cresca sotto regolamentazioni poco chiare. Per questo anche in Italia si stanno facendo i primi passi.

Università pioniere in Italia: Roma, Padova, Milano

Il primo ateneo italiano che ha aperto corsi di studio legati alla cannabis ha sede nella capitale, ovvero l’Università La Sapienza di Roma. Tra i corsi della laurea magistrale di Scienze Applicate, nel 2019 è comparso questo titolo: “Analisi socio-economica del mercato della cannabis”. Un percorso accademico quindi non prettamente scientifico, ma incentrato sulle commistioni economiche e sociali dell’uso della cannabis light.

A Padova invece l’Università degli Studi ha istituito un corso di Cannabiologia vero e proprio, che quindi affronta la materia da un punta di vista più tecnico. L’obiettivo è formare professionisti che potranno operare nel settore medico-sanitario, anche come consulenti, data la sicuramente sempre più ampia applicazione del CBD in campo medico.

Infine, l’Università degli Studi di Milano, nella figura del dipartimento di Scienze Farmaceutiche, ha aperto un corso di perfezionamento diviso fra momenti di didattica e applicazione pratica in laboratorio. Si parte dagli aspetti agro-alimentari della canapa, per poi esaminarne gli effetti clinici e terminare con l’analisi del quadro legislativo.

La normativa: confusione e controversie

Il quadro normativo italiano – come quello di altri Paesi Europei – non è ancora così chiaro. Partiamo da un presupposto: tutti i prodotti a base di CBD con una concentrazione di THC inferiore allo 0,2% sono legali e possono essere commercializzati.

Questo è un concetto chiaro, affiancato però da alcune controindicazioni: è possibile usare il CBD a scopo cosmetico o alimentare, ma non è possibile consumarlo per combustione, ovvero fumarlo. La questione è regolata dalla legge  242, entrata in vigore nel 2017, e riguarda anche la coltivazione e la produzione di canapa. Qualsiasi rivenditore deve sempre essere in possesso della documentazione relativa all’origine del prodotto che sta vendendo per eventuali controlli, pena pesanti sanzioni.

A livello europeo poi ci sono regole diverse in base ai diversi Stati, anche per quanto concerne il trasporto di prodotti a base di CBD fra un Paese e l’altro. Una confusione che non facilita, al momento, il commercio, ma neppure lo ha frenato. E’ indispensabile, però, che nei prossimi anni si arrivi a una maggiore chiarezza e coerenza a livello internazionale, per non creare confusione nei consumatori.

Usare prodotti certificati

Nel frattempo, chiunque può acquistare prodotti a base di cannabis, rivolgendosi sempre a rivenditori qualificati. In questo modo si avrà la certezza di avere articoli con la corretta percentuale di THC. Ovviamente è possibile l’acquisto online, per esempio sull’eCommerce Justbob, uno dei leader di questo settore.

Fra gli articoli più venduti potrete trovare l’olio di CBD, che si assume per via sublinguale e che aiuta a contrastare lo stress, gli stati ansiosi e l’insonnia.

 

 

Il Rotary Club Roma  Castelli Romani, presieduto dall’Avv. Maria Elisa Lucchetta Quercia, ha organizzato per la mattinata del  29 maggio 2021 il  Forum scientifico dal titolo “Energia ed Ambiente”; l’iniziativa si svolgerà a Castel Gandolfo presso il Centro Mariapoli, con inizio alle ore 9.30, e tratterà l'impatto ambientale delle fonti energetiche, a beneficio del territorio ma non solo.

Sottolinea la Presidente Maria Elisa Lucchetta Quercia: “Noi organizzatori auspichiamo, tra relatori in presenza e collegamenti a distanza, di coinvolgere un considerevole panel di esperti in materia, dai prestigiosi curricula e dalle inconfutabili esperienze professionali, con la possibilità di condividere questo forum con  chiunque sia interessato e si colleghi nei luoghi virtuali dove sarà annunciata  la visione streaming in diretta”.                                                    

Alcune sinergie di rilievo accompagneranno l’organizzazione di questo convegno, tra cui  quelle con l’ Associazione ASTRI  (Associazione di Scienziati e Tecnologi per la Ricerca Italiana), presieduta dal Fisico Nucleare Sergio Bartalucci, che precisa : “La transizione ecologica, che punta nella direzione delle energie rinnovabili come soluzione al problema dei cambiamenti climatici, impone una seria riflessione, scientificamente fondata e scevra da pregiudizi ideologici, sulle conseguenze che ne derivano per l’economia e l’ambiente di un Paese sviluppato come l’Italia”.

Il Forum sarà dedicato ad un tema specifico nel quadro della problematica energetico-ambientale, e cioè il costo, economico ed ambientale, delle varie fonti di energia, raggruppate in 3 settori: le fonti fossili (FEC), carbone, petrolio e gas, le fonti rinnovabili (FER), solare, eolico, idroelettrico, geotermico, biomasse ed altre minori, e il nucleare da fissione (NUCL).

L’obiettivo che si prefiggono gli organizzatori è  di contribuire ad una presa di coscienza della realtà complessa che fa scenario al dibattito sul futuro energetico dell’umanità, in cui motivazioni di stampo ideologico, improntate a visioni spesso grossolanamente errate della storia del progresso scientifico e tecnologico, non dovrebbero trovare posto.

Oltre alla Dr. M. Elisa Lucchetta, che porterà i saluti del Rotary Club Roma Castelli Romani, sarà presente il Fisico Sergio Bartalucci, che introdurrà i prestigiosi relatori, tra quelli in presenza e quelli in collegamento video. In ordine sparso, si alterneranno gli interventi della Prof. Emilia Costa (UniRoma1 - ASTRI), il Dr. Enrico Mariutti (Pres. IsAG), il Prof. Pierangelo Sardi (ex Cons. CNEL - ASTRI), l’ Ing.Massimo Sepielli (ENEA - ASTRI), il Prof. Angelo Spena (Uniroma2 - ASTRI). Un contributo prezioso giungerà anche da parte del Dr. Enrico (Chicco) Testa (Presidente FISE/Assoambiente).

In collegamento dalla Basilicata, parleranno Marco Zipparri nelle vesti di Sindaco di  Marsicovetere - (PZ) e l’ Avv. Cinzia Pasquale (Pres. CFA). Infine, dall’Istituto L. Pasteur di Parigi, si collegherà anche il  Dr. Valerio Laghi (Rotaract  Club Roma Castelli Romani).

Il coordinamento sarà affidato al  Dr. Marco Ferrazzoli, Capo Ufficio stampa CNR-Consiglio nazionale delle ricerche.

Il Rotary, fondato a Chicago il 23 febbraio 1905 dall’Avvocato Paul Harris, è  un’associazione internazionale di servizio tra le più rappresentate e le più rappresentative al mondo, ed è costituita da uomini e donne  provenienti dal mondo degli affari e delle professioni, che si impegnano per realizzare progetti umanitari e di assistenza alle comunità, incoraggiare il rispetto di rigorosi principi etici in tutti i campi, soprattutto in ambito professionale, diffondendo pace e buona volontà tra i popoli della Terra.

Il Forum è dedicato ad un tema specifico nel quadro della problematica energetico-ambientale, e cioè il costo, economico ed ambientale, delle varie fonti di energia, raggruppate in 3 settori: le fonti fossili (FEC), carbone, petrolio e gas, le fonti rinnovabili (FER), solare, eolico, idroelettrico, geotermico, biomasse ed altre minori, e il nucleare da fissione (NUCL).

Il costo economico deve (o dovrebbe) tener conto di tutti costi inerenti alla costruzione, installazione, gestione, manutenzione, all’ammortamento del capitale investito e allo smaltimento a fine vita di un impianto di produzione di energia, e quindi basarsi su quello che si chiama tecnicamente Levelized Cost of Electricity (LCOE). A questo occorre aggiungere un’attenta valutazione della “qualità” dell’energia prodotta, che porta ad una netta distinzione fra energia programmabile e energia non-programmabile, essendo questa non-sostenibile se il fattore capacità, ossia il rapporto tra energia prodotta ed energia massima producibile, diviene molto basso. Il rischio, infatti, è che nei periodi di alta produttività venga superata la domanda di energia, generando instabilità nella rete con possibili blackout e aggiungendo costi ulteriori per gli utenti, conseguenti allo stop forzato degli impianti programmabili.

Il costo ambientale è meno facile da quantificare, perché deve tener conto di aspetti non parametrizzabili in modo universamente condiviso, come ad esempio l’aspetto estetico (basti pensare alle pale eoliche) e in buona parte soggettivi, come ad esempio la percezione del rischio che hanno gli abitanti delle zone che devono ospitare grandi impianti energetici, di qualunque tipo essi siano, per non parlare dell’impatto sulla salute umana e sulla qualità della vita.

Un altro aspetto spesso trascurato è occupazione del suolo, delle acque interne e delle coste marine di un Paese da parte d’impianti FER per produzione intensiva d’energia, che comporta limitazioni per altri usi, come quello agricolo ed abitativo e quindi può avere un impatto sui costi. E questo è dovuto alla bassissima resa energetica del solare e dell’eolico, in termini di potenza elettrica per unità di superficie, in confronto agli altri sistemi convenzionali di produzione, in particolare il nucleare (da 150 a 500 volte minore).

Allo stesso modo l’approccio ben noto del Life Cycle Assessment (LCA) non dà quasi mai risultati univoci e convincenti quando applicato ad impianti energetici, spesso perché si trascura l’impatto ambientale determinato dalla crescente necessità di materie prime, e non solo di combustibili, per la loro realizzazione.

Quello che appare evidente, ma non banale, è che i costi complessivi delle scelte energetiche vanno valutati singolarmente per ogni Paese, con le sue caratteristiche specifiche, che non permettono quindi facili confronti con altri Paesi con caratteristiche diverse. In questo senso sarebbe opportuno che i policy-maker adottassero scelte energetiche che tengano in maggior conto queste specificità, invece di conformarsi a decisioni prese da organismi internazionali o appiattirsi sulle posizioni di Paesi dominanti.

L’obbiettivo del Forum è quindi di contribuire ad una presa di coscienza della realtà complessa che fa scenario al dibattito sul futuro energetico dell’umanità, in cui motivazioni di stampo ideologico, improntate a visioni spesso grossolanamente errate della storia del progresso scientifico e tecnologico, non dovrebbero trovare posto.


 

Sul The New England Journal of Medicine pubblicati i risultati di uno studio internazionale che documenta l’efficacia del rinolacept. Coinvolti nella sperimentazione l’Università degli studi di Milano, con il Fatebenefratelli Sacco di Milano come centro Promotore in Italia, la Città della Salute e della Scienza di Torino, e il Bambino Gesù di Roma, unico centro pediatrico. 

Un nuovo farmaco per il trattamento di una malattia rara autoinfiammatoria che colpisce il cuore, la pericardite idiopatica ricorrente. Sul The New England Journal of Medicine sono stati pubblicati i risultati dello studio internazionale che confermano l’efficacia del rinolacept, sviluppato da Kiniksa. La sperimentazione ha coinvolto diversi centri negli Stati Uniti, in Israele e in Australia. In Italia hanno partecipato la Città della Salute e della Scienza di Torino, l’Ospedale Fatebenefratelli Sacco di Milano e il Bambino Gesù di Roma, unico ospedale pediatrico. 

LA MALATTIA 

La pericardite idiopatica ricorrente è una malattia rara autoinfiammatoria, di cui non si conosce la causa né la reale incidenza. La malattia è caratterizzata da episodi ricorrenti di infiammazione del pericardio (pericardite), la membrana che riveste il cuore. Gli episodi di pericardite acuta si manifestano con febbre, dolore toracico, astenia (debolezza generale), affanno e difficoltà respiratoria e sono spesso caratterizzati dalla presenza di versamento pericardico, cioè di liquido nel pericardio. Si tratta di una condizione che va valutata tempestivamente. In Italia esiste una associazione di malati molto attiva: il GILP: Gruppo Italiano Lotta alle Pericarditi. Da qualche anno è stato dimostrato come nell’origine della malattia svolga un ruolo chiave una molecola infiammatoria chiamata Interleuchina 1.  

LE TERAPIE ESISTENTI 

Questa patologia può essere curata con la colchicina e con i farmaci antinfiammatori non steroidei che nel bambino rappresentano la prima scelta poiché hanno minori effetti collaterali rispetto agli antinfiammatori steroidei (cortisone)). Tuttavia spesso tali farmaci non sono sufficienti a prevenire le ricadute e quindi è necessario utilizzare il cortisone, anche per lunghi periodi, con tutti gli effetti collaterali che tale terapia purtroppo comporta nel lungo termine.  

LO STUDIO 

Lo studio internazionale pubblicato sul The New England Journal of Medicine ha coinvolto 86 pazienti di età superiore ai 12 anni. Si è trattato di uno studio di fase 3, che è l’ultima prima della commercializzazione. Il farmaco utilizzato nella sperimentazione, il rilonacept, è un nuovo inibitore dell'Interleuchina 1. Oltre a essersi dimostrato efficace nel trattare l'episodio acuto di pericardite, è risultato efficace nel prevenire le recidive. Ha consentito inoltre di diminuire rapidamente, fino a eliminare, eventuali terapie concomitanti tra cui il cortisone, con tutti i suoi effetti collaterali. Presenta anche il vantaggio di essere somministrato sottocute una sola volta a settimana. Il suo utilizzo sui pazienti con pericardite idiopatica ricorrente ha consentito e consentirà un netto miglioramento della qualità di vita dei pazienti, con evidente riduzione dei ricoveri ospedalieri e delle complicazioni associate alla malattia. 

La ricerca Italiana da anni è all’avanguardia in questo campo, e lo studio pubblicato da un lato permette un approccio mirato e moderno alle pericarditi, dall’altro apre una finestra importante sulla fisiopatologia e farmacologia dei nuovi modelli dell’infiammazione. 

 

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