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Lo sporco gioco dei libici: così ci ricattano sui migranti

L’Italia attende l’aiuto degli Stati Uniti in Libia. In questi giorni, i contatti fra il governo italiano e quello statunitense sono all’ordine del giorno. È frenetico il lavoro delle due cancellerie: soprattutto da parte di Roma, che sa che per provare a scardinare la strategia di Khalifa Haftar e dei suoi alleati può fare affidamento soltanto sull’altra sponda dell’Atlantico, che pesano (eccome) nelle scelte della Nato e delle Nazioni Unite, così come in quelle di molti partner mediorientali.

La richiesta da parte di Palazzo Chigi è chiara: “Aiutateci in Libia”. Ma la risposta degli Stati Uniti di Donald  Trump, fino a questo momento, è stata tentennante.Secondo il quotidiano il giornale nella sua rubrica "occhi alla guerra" Washington non vuole abbandonare la Libia al suo destino, almeno non totalmente. Ma è chiaro che scegliere una parte piuttosto che un’altra non è una decisione facile per un governo che, in questo caos libico, vede i suoi alleati scontrarsi fra loro.  

L’Italia secondo il giornale sta provando a convincere Trump a schierarsi apertamente nei confronti del piano di Roma, che è poi quello delle Nazioni Unite e che rappresenta di fatto la declinazione internazionale delle idee del Dipartimento di Stato. L’obiettivo del governo giallo-verde è praticamente ricordare agli Stati Uniti perché dove ribadire la stesse linea americana sulla Libia, che adesso sembra disinteressarsi del caos di Tripoli (almeno in apparenza).  

Un’emergenza continua il quotidiano è tale quando una situazione appare repentinamente variata e cambiata in un lasso di tempo talmente veloce, da richiedere decisioni e sforzi fuori dall’ordinario. Dati alla mano, non esiste un’emergenza immigrazione dalla Libia per via della guerra attualmente in corso. 

L’Italia deve ovviamente valutare tutti gli scenari futuri ed agire secondo una precauzione figlia del buon senso, ma considerare emergenza ciò che emergenza non è potrebbe risultare controproducente. Parlare oggi di necessità di contenere i flussi generati dal conflitto libico equivale a parlare di ricostruzione prima di un terremoto. Al momento non c’è alcun incremento di approdi relativi alla rotta libica: la guerra scatenata dal generale Haftar lo scorso 4 aprile su Tripoli non genera fino a queste ore la temuta ondata di profughi.

Cifre e numeri destinati a creare preoccupazione soprattutto lungo la sponda italiana del Mediterraneo, allarmi volti a sensibilizzare un Paese, quale il nostro, che vive da vicino la questione legata a flussi migratori. Sono giorni in cui dalla Libia, sia dal lato di Al Sarraj che da quello di Haftar, arrivano vere e proprie allerte. L’ultima riguarda quella lanciata dal premier libico e che parla, in particolare, di 800mila migranti presenti in Libia. Un modo per spingere Roma ad adoperarsi affinché il problema venga risolto, magari dando appoggio politico (e soldi) al governo insediato a Tripoli ed impegnato in queste ore a respingere gli assalti dell’Lna. Ma quella sui migranti è reale emergenza?

Immigrazione e terrorismo sono problemi attuali, che esistono prima dello scoppio della battaglia di Tripoli e che non sembrano accentuati nei giorni successivi. Parlare di emergenza sembra forse un tentativo, nemmeno troppo sottile in effetti, di tirare in ballo l’Italia. Dal canto suo, Roma deve valutare ogni scenario e provare in ogni caso a mediare per porre fine all’instabilità libica. Ma le questioni divenute improvvisamente centrali nelle ultime ore appaiono più figlie di mere chiacchiere politiche che di preoccupanti circostanze reali

Fatte queste premesse dunque, ben si intuisce quanto importante sia la prevenzione di determinati fenomeni tenendo ben presente però l’attuale realtà dei fatti, che non parla di emergenza. Anche perché, al contrario, da alcuni giorni risulta che diversi migranti presenti in Libia tornino a gruppi in Niger in quanto preoccupati di rimanere loro malgrado invischiati nel conflitto a Tripoli. E gli stessi libici divenuti profughi per via delle case tremendamente vicine alla linea del fronte, scappano sì ma in altre zone della Libia o in Tunisia. Quando quindi il governo libico, da una parte, parla di pericolo di invasione e quando, dall’altra parte, Haftar mette in guardia dai rischi legati al terrorismo, l’impressione è quella di un’enfatizzazione dei relativi fenomeni per catturare le simpatie (con relativi appoggi politici e di natura economica) dell’Italia.

Ma secondo Il piano Usa, con l’avanzata repentina di Haftar, ha sicuramente subito uno stop importante. E questo sicuramente incide sul fatto che gli Stati Uniti non abbiano intenzione di concedere al maresciallo della Cirenaica la vittoria. Ma è chiaro che, avendo da una parte l’Italia, il Qatar, la Turchia e il governo riconosciuto e dall’altra parte Francia, Emirati, Arabia Saudita ed Egitto, scegliere non è affatto semplice. In qualunque caso, Trump dovrà per forza lanciare un segnale di avvertimento a un alleato.

Intanto sono pronti a colpire in nome del jihad. Sono convinti che sia necessario l'uso della violenza per applicare la legge di Allah. Questa mattina la polizia di Stato li ha fermati entrambi prima che potessero fare del male a qualcuno. Non potendo più andare a combattere in Siria sotto la bandiera dello Stato islamico, i due, che si sono radicalizzati in Italia, erano infatti veri e propri lupi solitari pronti al suicidio.

Frittitta e Ghafir non parlavano e basta. Erano già passati all'azione. Si legge, infatti, in una chat dal tono inquietante: "Mi sono preso troppo di collera, ho sbagliato due volte strada. Mancava poco e Yusuf faceva un casino in autostrada...". I due si stavano informando su come sabotare i servizi pubblici e si stavano allenando per raggiungere una preparazione fisica e militare idonea a combattere a fianco dei miliziani dell'Isis in Siria o in altre località. Acquisivano in continuazione video che contenevano istruzioni per combattere e studiavano le tecniche di guerriglia a cui si ispirano i jihadisti quando tentano le azioni suicide. "Tutti comportamenti finalizzati a commettere atti di terrorismo - spiegano gli inquirenti - volevano colpire più Paesi, sia mediorientali che europei".

L'obiettivo, secondo i pm, era appunto intimidire gli occidentali destabilizzando o distruggendo "le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di tali Stati". Il timore era che i due potessero passare a un gesto dimostrativo, eclatante, anche utilizzando il camion. Un'ipotesi che ha preso più corpo, secondo gl investigatori, quando lo Stato islamico è stato sconfitto in Siria e si è allontanato, per entrambi, il progetto di andare a combattere per il Califfato. Da quel momento i due avevano iniziato ad agire da veri e propri lupi solitari o anche "mujahediin virtuali". "Il martirio è il miglior modo per morire - diceva il marocchino - che Allah non ci neghi questa possibilità".  

Come sottolinea il giornale "Vorrei accarezzare le loro gole con quello". Quello è un coltello lungo 26 centimentri che Frittitta, che di mestiere faceva l'autista di camion autoarticolati per una impresa di Brescia, portava con sé. Oltre al 24enne palermitano le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dal sostituto Calogero Ferrara, hanno incastrato anche Ossama Ghafir, 18enne marocchino che abita a Cerano, paesino in provincia di Novara. I pm sono convinti che i due estremisti islamici fossero pronti a "usare la violenza" ammazzando "uno ad uno, tutti i traditori mettendoli in fila". Per Frittitta anche i genitori erano "miscredenti". "Non hanno più potere su di me", diceva all'amico. I due lupi solitari avevano aderito "alla linea religiosa islamica salafita" ed erano pronti ad andare contro tutto e tutti. E a far scorrere il sangue.

Frittitta aveva iniziato a radicalizzarsi nel 2017: si era fatto crescere una folta barba nera e si era sposato con una donna di religione islamica. Questo processo è poi maturato in ambienti integralisti del Nord Italia dove si era trasferito dopo che aveva conseguito l'abilitazione alla conduzione di mezzi pesanti. È qui che ha stretto amicizia con Ghafir e altri convertiti all'islam. Via chat si scambiavano materiale di propaganda dello Stato Islamico, informazioni sui combattimenti in corso in Siria, canti di guerra e video sanguinari. Il loro proposito era addestrarsi per andare a combattere nei territori occupati dallo Stato Islamico.

 

 

 

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