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Patrizia Stefanelli, artista eclettica

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Recentemente ho incontrato l’artista Patrizia Stefanelli, un vero vulcano di idee, che da sempre riversa nelle sue attività, diverse ma compatibili, intercalando fra poesia e teatro. Le molteplici espressioni dell’arte trovano nel suo animo felici punti di intersezione, dai quali prendono vita testi di forte intensità.

Le sue prove liriche denotano un’intrinseca necessità di comunicare al prossimo emozioni e stati d’animo, in un registro artistico estremamente raffinato ed immediato, nel quale trova spazio, nel suo sorgere spontaneo, lo stile metrico, un classico della poesia; lo stesso si può dire per i testi teatrali, i cui messaggi trovano un’ampia sedimentazione per la loro elevata fruibilità.

Tutto questo caratterizza Patrizia Stefanelli, autentica artista, sempre alla ricerca di nuovi punti di osservazione. Nell’esercizio dell’arte, propone al mondo circostante un proficuo confronto dialettico, insito nel messaggio umanistico in senso lato, porgendo generosamente al prossimo il suo inarrestabile e costruttivo processo di crescita, iniziato in giovane età e mai interrotto.

L’ incontro con la scrittura e la recitazione avviene in tenera età ma, come spesso accade, la mancanza di consapevolezza delle proprie capacità, la porta ad accantonare per un periodo della sua vita queste passioni. Tuttavia, quando l’esigenza di creatività è vera e forte, non tarda mai a riaffacciarsi, per poi esplodere nelle varie accezioni, esattamente come è accaduto a Patrizia.

Mi ha sinceramente colpito l’originalità dei testi, esiti naturali di un serio percorso accademico, del quale, fra l’altro, l’artista parlerà nel corso dell’intervista.

Noi facciamo parte di una generazione che ha studiato seguendo il vecchio ordinamento in materia di pubblica istruzione. Ritiene siano stati utili da una parte l’impegno dei docenti e dall’altra la buona volontà dei discenti nell’imparare a memoria le poesie presenti nei programmi?

Sì, ritengo sia stato utile e possa esserlo ancora. E’ necessario che gli insegnanti siano in grado di porgere agli studenti, in maniera adeguata, gli strumenti necessari all’apprendimento del linguaggio poetico. La maggior parte dei ragazzi, com’è noto, da sempre fa spallucce alla poesia, ma un lavoro di lettura attenta alla musicalità, di comprensione e recitazione a memoria è a mio avviso utile. La poesia diventa strumento di scavo interiore, di risonanza fonetica. E’ come andare in bicicletta: non si dimentica.

Circa vent’anni fa, in tanti cominciarono ad eccepire circa la formazione, a parer loro troppo nozionistica, che caratterizzava le vecchie generazioni. A tal proposito, cosa ricorda della sua insegnante della scuola primaria?

La mia maestra, Teresa Dalmaso, ha avuto senz’altro un ruolo importante per lo sviluppo della mia creatività. Pensandoci bene, da quella classe sono venuti fuori molti artisti, sarà un caso? Mi piaceva il suo essere sobria, le sue collane di perle portate sui tailleur di tweed. Spronavo mia madre a vestirsi come lei… Credo che abbia saputo sviluppare le doti di ognuno di noi. Cinque anni di scuola per sei ore al giorno sono tanti e incidono fortemente sul processo di formazione. Dopo gli esami di V elementare, mi regalò un diario che ancora conservo: “Questo mio piccolo universo”, c’è scritto sulla copertina rosa-lucida-morbida. La maestra mi disse: “ Scrivi qui i tuoi pensieri, le tue poesie, i tuoi momenti più belli e poi, un giorno, torna e fammeli leggere”. Sono tornata da lei, molte volte.

Mi ha particolarmente colpito questo suo racconto del diario ricevuto in dono dalla maestra, divenuto poi un prezioso scrigno di appunti, foto e pensieri. Da ciò si evince una naturale attitudine verso la poesia. In quale momento ne ha acquisito consapevolezza?

Ritengo sia bello scoprirsi nella spontaneità che nasce da un percorso interiore. Riguardo la mia attitudine alla poesia, non sapevo e forse ancora oggi non ne ho piena consapevolezza. Mi è sempre piaciuto leggere poesia e scriverne, così come fanno tanti ragazzi e adulti. In quel diario misi molte cose: sulla prima pagina c’è una foto di Niki Lauda con il suo autografo; mi piaceva il suo sguardo, la sua determinazione in corsa. Poi misi le mie poche foto di scuola, quelle dei miei fratelli e le prime poesie, fino all’età di 17 anni. Durante quegli anni morirono due dei miei fratellini. Una tragedia che mi segnò molto e a tutt’oggi presente. Così come avevo fatto per le mie felicità, misi in versi la solitudine generata da quella grave mancanza; il vuoto e la sospensione, la paura e la frustrazione. Sulla prima pagina della sezione che intitolai Il mio angolo di poesie ci sono questi versi di Giovanni Pascoli tratti dalla poesia Sapienza:
Oh! Scruta intorno gl’ignorati abissi:

più ti va lungi l’occhio del pensiero,

più presso viene quello che tu fissi:

ombra e mistero.


Dal mio diario di ragazza: 6 novembre 1976
Mi piace

E’ bello sentire la pioggia
e la grandine quando è tutto buio
mi piace.
E’ bello guardare il riso di un bimbo
e le sue mani che ti cercano
quando non sa ancora camminare
oh sì, mi piace!
E’ bello trovare qualcuno ad attenderti
quando pensi di essere sola
e se mi piace…
E’ bello guardarti negli occhi
e sapere che mi vuoi bene
ogni giorno così.
Mi piace, davvero, mi piace.

dopo due mesi : 22-01-1976
Bimbo perché?

Bimbo mio
come posso io scordarti
se il cielo ha il tuo colore
se i fiori il tuo profumo
se il tempo la tua voce.
come, posso dimenticarti
se sei nella mia anima
se piangono i tuoi giocattoli
e cercano tristi
quella mano di bimbo
che un giorno li mosse felice.

Non scrissi più per molto tempo. Poi, ripresi mettendo tutto in un cassetto sempre vuoto, perdendo insieme ai fogli, molta parte delle cose da non dimenticare. Quel diario resta la mia prima pubblicazione, le altre due vennero dopo 37 anni.

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Accanto alla poesia, sempre da bambina, ha iniziato a coltivare una spiccata passione per il Teatro. Vorrebbe raccontare ai nostri lettori l’aneddoto legato alla recita scolastica di Natale?

Ricordo la recita del Natale 1969. Avevo nove anni. Io e il mio amico Pasqualino Coscione, oggi M° di musica, con il quale tuttora ho un rapporto d’anima meraviglioso, durante la ricreazione ci rifugiavamo nel piccolo palco di due metri per uno, (più o meno), che doveva servire per l’allestimento della recita. Chissà di che cosa sognavamo… Mi piacevano quelle tavole, quel rifugio. Per l’allestimento di quel palchetto, rubacchiai a casa lenzuola, vecchi tendaggi, piccoli oggetti. Recitai la mia prima poesia lì, con il grembiule nero, il colletto di pizzo bianco sopra al fiocco, (e non sotto), e i calzettoni di lana un po’ calati, i miei capelli corti alla maschietta e le braccia aperte con le mani ad accogliere. Quella foto fu un grande cruccio per me, non mi piaceva.

Mi ha rivelato che alle superiori ha studiato ragioneria, più per assecondare i desideri dei suoi genitori, che per convinzione. In seguito, si è laureata in Scienze infermieristiche ed ha iniziato a lavorare presso una struttura ospedaliera. Il destino vuole che, proprio nell’ambito lavorativo, conoscerà Nicola Maggiarra, attuale Presidente dell’Associazione culturale “MIMESIS”, della quale lei ricopre la carica di Vicepresidente. Vorrebbe raccontare il suo esordio all’interno della Compagnia teatrale?

Sì, purtroppo feci una scuola che non mi piaceva, anche se con profitto. Mio padre era molto severo e non accettava neppure un sette. Voleva che facessi la ragioniera, un lavoro sicuro. Ma, io e la ragioneria eravamo due cose quasi incompatibili, per dirla con franchezza, il conto profitti e perdite non mi è tornato neppure in sede d’esame. Le scienze mediche, invece, mi piacevano e tuttora adoro il lavoro che mi permette di vivere. I sogni per la letteratura erano ormai accantonati, nascosti nei pannolini da lavare, nei pensieri prioritari per la famiglia. Proprio sul posto di lavoro conobbi il Prof. Maggiarra. Mi disse di avere una compagnia teatrale amatoriale e così gli chiesi di poterne far parte come allestitrice scenografa, tuttofare, suggeritrice, ogni cosa insomma. Fu parecchio titubante, poi acconsentì. Cominciai ad assistere alle prove. Una sera, come sempre capita, mancando un’attrice, mi fece provare la parte di “Giocondina” . Fu un successone, i compagni gli chiedevamo quando me l’avesse fatta leggere. La parte fu mia, anche se continuai ad allestire la scena, a suggerire, a pulire le tavole del teatro.

Con il trascorrere del tempo la sua passione per il teatro si fortifica e decide di iscriversi al DAMS, acronimo delle discipline di Arte, Musica e Spettacolo. Quale ricordo conserva di questa esperienza universitaria?

Mi iscrissi al DAMS dopo molti anni e fu subito amore. Provai l’esame di ammissione poiché la facoltà era a numero chiuso. Entrai e feci per primo l’esame più difficile: Linguistica, se l’avessi superato avrei continuato, altrimenti a casa. Quando il professore entrò con gli elaborati, il mio non c’era. Pensai al peggio. Gli chiesi infine, che cosa ne era stato. Rispose che l’aveva dimenticato sulla sua scrivania. Tornò con l’elaborato che recava sul retro un trenta scritto in rosso, con tante sottolineature. Ancora per un po’ temetti, ma lui subito dopo ne parlò e lo indicò come tra i migliori dell’esame. Continuai e mi laureai con Il Prof. Raimondo Guarino, storico del teatro, in regia teatrale e organizzazione di eventi, col massimo dei voti e la lode. Con alcuni amici di università, sono ancora molto legata. Ricordi indelebili, ero una secchiona, ma sempre pronta a non sostenere gli esami, in quanto eternamente insicura.

In quale circostanza ha preso vita il “Premio Mimesis” e la vostra prima Antologia?

Eravamo quattro amici al bar… dice una canzone di Gino Paoli. In realtà eravamo dodici più due ospiti, tra musicisti e scrittori. Facemmo il Primo recital del mare sulla terrazza dello stabilimento balneare “Il Miramare”, a Gaeta. I proprietari amano la poesia e fu una serata straordinaria. Molte persone si radunarono attorno a noi, le sedie non bastavano più. Pertanto, capimmo che la poesia e quella formula con la musica, era in grado di appassionare ancora la gente. Stampammo un’antologia dal titolo: Come Deimos. L’inverno precedente ero stata molto male, presi una polmonite e avevo un bambino di quattro anni. Per passare il tempo, guardavamo gli atlanti geografici, i pianeti e le stelle. Deimos è il più piccolo ed esterno dei due satelliti naturali di Marte insieme a Fobos; secondo la mitologia greca, figli di Ares (Marte) e Afrodite (Venere). I nomi significano rispettivamente terrore e paura, e così furono chiamati in onore dei due compagni del dio della guerra Marte citati nel XV libro dell'Iliade. Due passioni in tre: Poesia, mitologia, il cielo.

Qual è il motivo della scelta di 12 poeti per 12 finalisti?

Proprio da quel primo incontro di poesia, era il 1997, nacque l’idea del Premio Mimesis, che era ormai anche il nome della nostra compagnia teatrale fondata da Nicola Maggiarra, Giovanni Martone, me, mia sorella Francesca e altri quattro amici. Come fare un premio? Semplice, suggerii di scrivere una lettera, come ci piaceva e che noi dodici avremmo potuto fare da padrini ai vincitori. Io ero davvero nessuno in poesia ma c’erano, e ci sono tra noi, poeti di grande levatura, come Renato Filippelli che, fino alla sua scomparsa, è stato il presidente del Premio Nazionale Mimesis. Filippelli, docente di letteratura del S. Orsola di Napoli, ci ha molto sostenuti ed ha amato sempre la pulizia morale del premio, fatto solo per passione. L’anno successivo nacque il Premio Mimesis di Poesia. Alcuni dei dodici fecero parte della giuria, io ne seguii la direzione artistica.

Quanto conta la composizione della Giuria all’interno di un premio letterario e per quale motivo ritiene sia indispensabile l’eterogeneità?

La Giuria è il biglietto da visita di un premio letterario. Tenendo conto del fatto che ogni Giuria è fallibile, è necessario tutelare le poesie che arrivano a concorso nel migliore dei modi. Il poeta ti mette in mano se stesso, il suo mondo, il suo cuore. Pertanto, la preparazione dei giurati è il valore del premio. Il Mimesis, cambia giuria ogni anno, tranne rare eccezioni collaborative, mettendo in atto una formula , a mio avviso, molto democratica. Oltre a validi poeti e scrittori, cerchiamo di mettere in giuria i poeti vincitori delle passate edizioni, affinché quasi come tedofori, portino la fiaccola cerimoniale per il trasporto della fiamma della poesia. La giuria è in grado di comprendere ogni stile poetico, sia dal punto di vista tecnico che del contenuto.

Qual è il compito della Giuria Stampa all’interno del vostro Premio?

Il Premio Nazionale Mimesis di Poesia, come ho detto prima, è nato con l’intenzione di portare la poesia ad un pubblico eterogeneo e non di soli addetti ai lavori. Infatti, ogni anno centinaia di persone vengono ad assistere allo spettacolo di premiazione. La poesia deve comunicare anzi, direi comunicarsi, in un atto che è religioso. La Giuria Stampa, dopo un’attenta lettura di tutte le poesie finaliste e l’ascolto delle stesse nella serata conclusiva, assegnerà in estemporanea, la Motivazione di Poesia di maggior impatto comunicativo ad una fra tutte le poesie giunte in finale. E’ un premio critico molto importante. Un premio nel premio, che anche quest’anno verrà assegnato da una giuria eccezionale. 

Per concludere, vorrebbe parlarmi dei suoi testi teatrali?

Il teatro è la mia grande passione, una cenerentola in questo periodo. La più recente tournée teatrale l’abbiamo fatta due anni fa con la mia ultima commedia Il mistero di Don Giovanni. Ispirata da “Il profumo di mia moglie “ di Leo Lenz, che a sua volta prese ispirazione dal Don Giovanni di Mozart, su libretto dell’italiano Lorenzo Da Ponte. Per il teatro ho scritto, diretto e rappresentato le commedie: Non scherzare con il morto?(storia di amore, morte e cotillon), Tre tazze e una zuppiera, Qui si sana?, Cantando il tempo che fu (itinerari di folklore del Sud Pontino); Il mistero di Don Giovanni, ottenendo premi in festival nazionali. Il mio teatro è soprattutto satira di costume. Non mi sono mai presa troppo sul serio. Cerco di trattare la quotidianità con leggerezza, ma non con superficialità. Far ridere pensando anche a temi seri è il mio proposito; operazione difficile da rendere, sia nei testi che nella recitazione. Non c’è niente di peggio del non riuscire!

Il teatro di “risata”, che non faccia uso di parolacce o schemi parodici, non è facile, è molto più semplice far piangere. Nessuna verità trasmettono i miei testi, forse dubbi e misteri irrisolti. Si fallor sum (Se sbaglio esisto): per S. Agostino il dubbio è espressione della verità, e significa che io ho la capacità di dubitare solo in quanto c'è una Verità che mi trascende e rende possibile il mio pensiero. Che dire se non: “Eccomi a voi signore e signori come parte di me. Mi vedete tutta? Allora, se mi vedete tutta, avete già deciso. Io sono come sono e voi siete quel che siete. Questo messaggio, non è per voi. I decisi, i determinati, i dotti, i saccenti, gli indottrinati... non troveranno con me soddisfazione a meno che, la curiosità riesca ad aprire le porte della loro mente”.

La particolare arte del rappresentare una storia tramite un testo o azioni sceniche è la recitazione, o arte drammatica. In molte lingue come il francese (jouer), l'inglese (to play), il russo (играть - pron. igra't), il tedesco (spielen), l'ungherese (játszik) il verbo "recitare" coincide col verbo "giocare". Il termine italiano, invece, pone l'accento sulla finzione, sulla ripetizione del gesto o della parola ("citare due volte").

Io gioco sul serio con il Teatro , con quell'evento che si verifica ogni qual volta ci sia una relazione tra almeno un attore che agisca dal vivo in uno spazio scenico e uno spettatore che dal vivo ne segua le azioni. E’ locus mobilis, è religione, è mettersi nei panni dell’altro provando e compatendo la sua felicità o il suo dolore, attraversando se stessi. Non sempre si riesce in questa disciplina di vita, dura e formativa. Chiudo con una citazione di Orazio : non basta che la poesia sia bella, bisogna che sia dolce e che trascini, a suo piacimento, l’animo degli ascoltatori. Rivolgendosi agli attori scrive: i volti umani ridono con chi ride e piangono con chi piange. Se vuoi che io pianga, prima devi provare dolore tu: allora la tua sofferenza mi toccherà; ma se farai male la tua parte, mi addormenterò o mi metterò a ridere. Io aggiungo che vale anche al contrario.

Ringraziando Daniela e la Redazione del Corriere del Sud, vi saluto dandovi appuntamento al Premio Nazionale Mimesis di Poesia, il cui bando di partecipazione scadrà il prossimo 15 giugno 2016. Tutte le informazioni sono reperibili sul sito: www.associazionemimesis.com  

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