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Trump: «Non è bando a musulmani, visti tra 90 giorni»

I padri dell'emergenza terrorismo islamico adesso fanno la morale a Donald Trump. 

Una stretta di centoventigiorni agli immigrati che vengono da quei Paesi a rischio terrorismo, "nuovi controlli in profondità" nella lotta al radicalismo islamico e, soprattutto, priorità ai rifugiati cristiani. Come già promesso in campagna elettorale, il neo presidente Donald Trump si dimostra a dare un giro di vite a quell'accoglienza indiscriminata imposta agli americani dall'ex presidente Barack Obama. 

Nell'ordine esecutivo in materia di immigrazione, che mira a impedire l'ingresso di terroristi islamici negli Stati Uniti, è stata così prevista la sospensione per tre mesi del programma di ammissione dei rifugiati, e l'ingresso, fino a ulteriore comunicazione, di quelli siriani

In un tweet, l'Alto commissario per i diritti umani, il giordano Zeid Raad Al Hussein, ha definito l'ordine esecutivo del presidente degli Stati Uniti su rifugiati e musulmani «meschino» e ha qualificato «la discriminazione basata sulla nazionalità contraria ai diritti umani». Non solo, secondo al Hussein, quel bando «manca di generosità» e rappresenta «uno spreco di risorse» che invece potrebbero essere utilizzate «nella lotta contro il terrorismo». 

Il presidente Usa Donald Trump ha ribadito oggi che il suo ordine esecutivo «non è un bando ai musulmani», ricordando che «ci sono altri 40 Paesi nel mondo a maggioranza islamica che non sono interessati dal provvedimento», e ha ricordato che gli Usa rilasceranno nuovamente i visti dopo aver rivisto e rafforzato il sistema dei controlli, come previsto dalle sue disposizioni.

«Per essere chiari, questo non è un bando ai musulmani, come i media riportano falsamente», ha sostenuto Trump. «Non ha a che fare con la religione, ma con il terrore e il mantenimento della sicurezza del nostro Paese», ha aggiunto, ricordando l'esistenza di oltre 40 Paesi a maggioranza musulmana non colpiti dal provvedimento. «Rilasceremo nuovamente i visti a tutti i Paesi una volta che avremo rivisto e completato le politiche più sicure nei prossimi 90 giorni», ha proseguito. 

L'Unione europea e l'Onu, che da anni chiudono gli occhi davanti al contagio islamista trasmesso troppo spesso da un'immigrazione incontrollata e sempre più devastante, attaccano il presidente statunitense per aver bandito gli immigrati che arrivano da sette Paesi a maggioranza Musulmana. Un bando che non ha nulla a che fare con il fede in Allah, ma che punta a prevenire nuovi attacchi jihadisti sul suolo americano. Eppure, al pari dei movimenti pacifisti e delle organizzazioni vicine a George Soros che sfilano contro il tycoon, Bruxelles e il Palazzo Vetro hanno alzato il muro del moralismo per difendere l'accoglienza degli immigrati.

Le indagini parlano chiaro. Dietro alle principali stragi che hanno colpito l'Occidente c'è il fallimento dell'immigrazione. Eppure i burocrati dell'Ue, che proprio l'anno scorso hanno dovuto fare i conti con le stragi di Bruxelles, Nizza e Berlino (tanto per citare le più spietate e drammatiche), non si tirano indietro dal difendere quello stesso meccanismo che hanno lasciato l'Europa in balia del terrorismo islamico. "L'Unione europea è contro le discriminazioni sulla base della nazionalità, della razza o della religione - tuona il portavoce della Commissione europea Margaritis Schinas - e non solo quando si parla di asilo, ma di tutte le altre nostre politiche". In un articolo pubblicato nel fine settimana dal giornale tedesco Die Welt, lo stesso presidente Jean-Claude Juncker ha contrapposto il nazionalismo alla giustizia sociale, l'isolazionismo alla fraternità. E lo stesso ha fatto oggi l'Onu definendo la politica di Trump "illegale e meschina". "La discriminazione basata sulla nazionalità è proibita dal diritto umanitario", ha incalzato l'Alto commissario per i diritti umani Zeid Ràad Al Husein invitando gli Stati Uniti a mantenere la"lunga tradizione" di protezione di chi fugge dai conflitti.

La protesta contro il bando di Donald Trump all'immigrazione, fermato parzialmente da un giudice federale, dilaga nel mondo e in Usa, da Ny fin sotto alla Casa Bianca, dove diverse migliaia di persone hanno manifestato sotto lo slogan 'No Muslim ban'. "Non è un bando dei musulmani, come i media riportano falsamente", ha tentato di gettare acqua sul fuoco il presidente, ricordando che "ci sono altri 40 Paesi nel mondo a maggioranza islamica che non sono interessati dal provvedimento", e ribadendo che gli Usa rilasceranno nuovamente i visti dopo aver rivisto e rafforzato il sistema dei controlli, come previsto dalle sue disposizioni. Ma già ieri si è scontrato per la prima volta con i contrappesi della democrazia, quando il giudice federale di New York Ann M. Donnelly, accogliendo il ricorso di due iracheni bloccati al Jfk, ha deciso che nessun rifugiato, nessun titolare di visto e nessun viaggiatore proveniente dai sette Paesi islamici banditi può essere rispedito indietro, per evitare "danni irreparabili".

Una decisione valida su tutto il territorio nazionale, dove nel frattempo 16 procuratori generali hanno emesso una dichiarazione congiunta nella quale definiscono il bando incostituzionale. Gli attorney general sostengono che la libertà religiosa è un principio fondamentale del Paese, auspicando che l'ordine esecutivo sia ritirato e impegnandosi nel frattempo a garantire che il minor numero possibile di persone soffrano per questa situazione. La Casa Bianca continua a difendere il provvedimento. "Non c'è alcun caos", ha assicurato il capo dello staff Reince Priebus, aggiungendo che ieri 325 mila viaggiatori sono entrati negli Usa e solo 109 sono stati fermati. "Gran parte di loro sono stati rilasciati. Abbiamo ancora una ventina di persone che restano detenute", ha sostenuto, prevedendo che saranno presto rilasciate se sono in regola. Priebus ha però fatto una parziale retromarcia precisando che l'ordine non interesserà i detentori della 'green card' (che consente ad uno straniero di risiedere in Usa per un periodo di tempo illimitato), un punto suggerito dall'eminenza grigia della Casa Bianca, il chief strategist Steve Bannon. Priebus ha tuttavia ricordato che gli agenti di frontiera hanno il "potere discrezionale" di detenere e interrogare i viaggiatori che arrivano da Paesi a rischio, alimentando così nuove incertezze.

Trump tuttavia non fa marcia indietro: "Il nostro Paese ha bisogno di confini forti e di controlli rigidi. Guardate quello che sta succedendo in Europa e, anzi, in tutto il mondo - un caos orribile!", ha twittato. Ma il mondo protesta, a partire dall'Europa, dove alcuni leader cominciano a mostrare il loro dissenso, da Angela Merkel a Paolo Gentiloni sino a Theresa May e al suo ministro degli Esteri Boris Johnson, alfiere di quella Brexit lodata apertamente da Trump. Scende in campo anche la Lega Araba, con il suo segretario generale Ahmed Aboul Gheit che si è detto "profondamente preoccupato" per le "restrizioni ingiustificate" adottate da Trump nei confronti dei cittadini di sette Paesi islamici, con possibili "effetti negativi". E se il governo iracheno, fortemente legato agli Usa, dice di comprendere i motivi di sicurezza del bando, l'Iran non fa sconti e convoca l'ambasciatore svizzero a Teheran (che rappresenta gli interessi americani nel Paese) per consegnarli una dura lettera di protesta contro lo stop agli ingressi. La protesta monta anche in tutta l'America, dove ieri molti aeroporti, in primis il Jfk, sono stati teatro di manifestazioni per la liberazione dei passeggeri detenuti.

La contestazione si è spostata a Battery Park, in vista della Statua della Libertà, il monumento simbolo delle politiche di accoglienza dell'America. A lanciare l'appello via Twitter è stato il regista Michael Moore, che aveva mobilitato gli attivisti al Jfk, e nel pomeriggio una folla enorme si è riversata li', marciando poi sino a Ground Zero e Midtown. Ma la protesta più inattesa è stata quella che ha assediato la Casa Bianca, promossa sulle reti sociali con il motto 'Non staremo in silenzio. Combattiamo'. Diverse migliaia di persone hanno gridato ed esibito numerosi slogan contro il provvedimento di Trump, mentre lui telefonava ad alcuni leader arabi dallo Studio Ovale. Sul piano politico il presidente deve fare i conti non solo con l'opposizione democratica, che gli ha già chiesto di ritirare il bando minacciando iniziative legislative, ma anche con alcuni leader repubblicani, che lo hanno invitato alla cautela. Mitch McConnell, leader della maggioranza al Senato, ha detto che è una buona idea rafforzare i controlli sull'immigrazione ma, ha precisato, "penso anche che sia importante ricordare che alcune delle nostre risorse migliori contro il terrorismo islamico sono i musulmani, sia in questo Paese che all'estero".

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