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Non accenna a placarsi il livello della polemica tra Renzi e Juncker

Non accenna a placarsi il livello della polemica sul filo Roma-Bruxelles dopo l'acceso scambio di vedute di ieri fra il premier Renzi ed il presidente della Commissione europea Juncker. Ancora oggi il capo del governo italiano è tornato a criticare l'Ue sottolineando che "il tempo dei diktat è finito" e rilanciando l'idea di un'Italia "forte, che non va in Europa a farsi spiegare quello che deve fare, ma porta in Europa le sue idee e i suoi valori". 

"Smettiamo di dirci 'ce lo chiede l'Europa' e cominciamo noi a dire cosa vogliamo - ha detto rivolto ad un gruppo di sindaci dell'Astigiano incontrati questa mattina - Non possiamo essere il salvadanaio di Paesi che reclamano solidarietà solo quando c'è da prendere e non da dare". 

In tour perenne per portare in giro per l'Italia le ragioni del Sì al referendum, Renzi fa spot a Hillary Clinton e si mostra tutto interessato al risultato delle presidenziali americane. In realtà, in cima ai suoi pensieri c'è soltanto la consultazione del 4 dicembre che darà il disco verde o rosso alle riforme costituzionali varate dalla "sua" maggioranza. Sul referendum, però, grava anche un inaudito scontro con l'Unione europea che in questi giorni sta vagliando il contenuto della legge di Bilancio. "C'è un Paese che ha bisogno di una forte spinta nella stessa direzione da parte di tutti - spiega Renzi - il mondo istituzionale va difeso un po' di più. Gli altri Paesi fanno squadra quando c'è da fare l'interesse nazionale. Noi invece siamo abituati a portare avanti le polemiche, i distinguo - continua - lavoriamo perché l'Italia sia più forte in Europa e nel mondo". Il punto, per Bruxelles, è che l'Italia starebbe barando stiracchiando i conti pubblici e abusando della flessibilità concessa dall'Unione europea.

Juncker, che ieri se l'era già presa con il Governo di Roma colpevole di accusare a "a torto" la Commissione di reiterare l'austerità del passato, dicendo di "fregarsene" delle posizioni di Renzi, anche oggi è tornato sull'argomento rimarcando che "non siamo una banda di tecnocrati e di burocrati", rivendicando la dimensione "politica" della Commissione europea da lui presieduta e sottolineando l'importanza di "guardare la realtà degli Stati membri" nell'interpretazione e applicazione del Patto di stabilità con la necessaria flessibilità, anche se non bisogna "tradire i principi del Patto, che comunque funziona".

Sulla sostanza del dibattito, ovvero la manovra, Renzi però aveva tenuto il punto: "Juncker dice che faccio polemica. Noi non facciamo polemica, non guardiamo in faccia nessuno. Perché una cosa è il rispetto delle regole, altro è che queste regole possano andare contro la stabilità delle scuole dei nostri figli. Si può discutere di investimenti per il futuro ma sull'edilizia scolastica non c'è possibilità di bloccarci: noi quei soldi li mettiamo fuori dal Patto di stabilità, vogliano o meno i funzionari di Bruxelles". Il premier è restato quindi fermo sui numeri inseriti nella bozza di legge di stabilità presentata a Bruxelles: 0,2% di spese per prevenzione e messa in sicurezza del territorio (tra cui il progetto 'Casa Italia') e 0,2% per l'accoglienza migranti. In totale uno 0,4% che, se venisse scontato dal deficit strutturale, lo porterebbe a 1,2%, soglia che non richiede alcuno sforzo. In precedenza lo stesso Juncker aveva accennato ad uno sforzo pari allo 0,1%, per poi precisare, tramite la sua portavoce, che quella cifra era "improvvisata" ed è stata "successivamente corretta".

Nel mezzo, il commissario Moscovici e il ministro dell'economia Padoan ieri hanno tentato, in un ennesimo bilaterale dopo l'Eurogruppo, di avvicinare le posizioni prima del giudizio europeo sulla stabilità 2017 in arrivo la prossima settimana. Moscovici ha cercato a fine giornata di sminare il terreno su cui si muove il confronto tra Roma e Bruxelles, spiegando che  non c'era alcun intento aggressivo di Juncker, solo una risposta diretta a commenti altrettanto diretti giunti dall'Italia.

Moscovici ha spiegato che la Commissione tiene in conto "la situazione particolare di un Paese in prima linea per conto dell'Ue nell'accoglienza dei migranti, e anche i fenomeni naturali, le catastrofi come il terremoto". Ma "prendendo tutto questo in considerazione, resta ancora del lavoro da fare", ha sottolineato, spiegando che "anche se prendiamo in considerazione tutta la flessibilità, anche se il Patto è
intelligente, ci sono delle regole che vanno rispettate da tutti. La Commissione è estremamente comprensiva, ma le regole vanno rispettate".

Nella discussione si è introdotto anche il ministro dello sviluppo Calenda da parte sua commenta: "Ho sentito il gabinetto Juncker e loro la battuta la riferiscono all'accusa di essere a favore dell'austerita' e quindi non verso l'Italia, ma resta infelice, anzi infelicissima. Quello che mi ha colpito di piu' rispetto al 'me ne frego' e' che Juncker abbia citato una serie di numeri sul deficit italiano assolutamente sbagliati e un portavoce dice che ha improvvisato, il che lascia qualche preoccupazione".

Per l'Italia, sottolineavano  ambienti del Mef, le spese per migranti e terremoto sono spazio di bilancio sottratto alla politica economica per cause di forza maggiore o, usando il linguaggio del Patto, per circostanze eccezionali. E' per questo che l'Italia insiste con Bruxelles per riaverlo indietro. Moscovici ha segnalato però che c'è ancora del lavoro da fare per avvicinare le posizioni, ed ha ricordato che, anche prendendo in considerazione tutta la flessibilità possibile, "ci sono delle regole che vanno rispettate da tutti".

Con l'Italia "resta ancora del lavoro da fare per avvicinare completamente punti di vista, cifre e misure", e per questo il commissario agli affari economici Pierre Moscovici vedrà oggi in bilaterale il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan per la "quindicesima o sedicesima volta nel 2016": lo ha detto il commissario entrando all'Eurogruppo.
"E' da tempo che lavoriamo con il Governo italiano in modo costruttivo, la Commissione è pronta a prendere in considerazione una certa quantità di flessibilità, prevista nella comunicazione", ha detto il commissario.

    

 

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