Crisi identità europea: Grazia e ragione in Lutero

È necessario approfondire, seppur in termini divulgativi, il discorso avviato nel pezzo precedente sui concetti di Grazia e ragione all’indomani dell’occamismo. La ragione umana, insomma, lungi dal farsi misurare dalle cose – Res sunt  e ad esse adeguarsi – adaeguatio intellectus et rei –, si riduceva a mera tecnica: l’uomo si salvava solo per mezzo della volontà. In questo modo, l’occamismo respinse una delle conquiste più profonde della Scolastica, soprattutto nella versione tomista: l’analogia entis. Tramite essa,  accompagnata dalla fiducia nella ragione dell’uomo, la Scolastica aveva costruito un “ponte” sicuro tra Dio e l’uomo. San Tommaso, infatti, combinando in modo originale la dottrina della partecipazione platonica dell’essere, con elementi aristotelici, spiegò, che essendo essere sia Dio, sia – seppur in grado infinitamente inferiore- l’uomo, esisteva un’analogia tra il Creatore e la creatura. Questo fattore rendeva possibile, conoscere qualcosa di Dio, a partire dalla realtà naturale. L’occamismo, come abbiamo visto, proprio perché aveva rifiutato la recta ratio, rescisse questo legame, rendendo separati,non distinti, Dio e uomo, fede e scienza, natura e grazia: date queste premesse, ne conseguiva, che l’intelletto umano non poteva più esplorare razionalmente i contenuti della fede, per comprendendoli sempre meglio. La Grazia, in questa costruzione, diveniva un elemento secondario. Nel binomio Dio-Volontà, vinceva la Volontà. Lutero, dall’occamismo, assorbì una certa sfiducia nella ragione, ma per dirla con il già ricordato Lortz, in base all’idea del volere arbitrario di Dio, sostenuta da Occam, s’insinuò – in lui – l’idea micidiale che fosse dannato. Da lì, ebbe poi la spinta, verso quello che può essere considerato il suo contributo teologico specifico: l’uomo è giustificato solo dalla fede e non servono a nulla i suoi sforzi soggettivi, per ottenere la salvezza. Nel binomio prima ricordato, scelse l’unilateralità dell’azione di Dio; dimentico dell’insegnamento del suo maestro, S. Agostino, ( Dio che ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te), significante,che lo sforzo dell’uomo, per ottenere la salvezza, pur essendo oggettivamente povero e assolutamente insufficiente dinanzi alla Maestà di Dio, manifesta, tuttavia, soggettivamente, la necessità, richiesta dal nostro essere persona, di cooperare alla propria salvezza. Necessità saldamente legata alla libertà di ciascuno. Il grande filosofo e sacerdote stimmatino padre Cornelio Fabro,  stretto collaboratore di Paolo VI (1963-1978) , che a lui ricorreva, per dirimere le massime controversie filosofiche e teologiche; in merito alla giustificazione, così si espresse: «Il Regno di Dio è vicino, non compiuto, perché il Regno di Dio si compie mediante la libertà. Sarebbe comodo se tutto fosse fatto da Dio. Dio dona l’immensità della Sua Misericordia, ma l’uomo deve donare la libertà della sua scelta. L’uomo deve entrare nel banchetto divino non come giumento, non come una bestia che riceve il cibo, ma come un figlio che mostra sulla sua fronte e nell’intimo del suo spirito l’Immagine del suo Padre». In sintesi: la concezione cattolica considerava la persona, che nasce con il peso del peccato originale, inclinante al peccato; “ferita” da esso, ma non “uccisa”; salvata, poi, dal suo rapporto con Cristo, venendo incorporata, mediante il Battesimo, nel Suo Corpo, la cui presenza viva continua nella Chiesa, che ha, quindi, valore sacramentale. Questa struttura sacramentale immette, chi la vive con pienezza, nella vita stessa di Cristo.

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