Josep Borrell: il premier israeliano non vuole la soluzione a due Stati

Solo la vittoria totale garantirà l'eliminazione di Hamas e il ritorno dei nostri ostaggi".
Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu aggiungendo: "Come premier di Israele sostengo questa posizione con determinazione anche di fronte a pressioni enormi internazionali e interne. E' stata questa mia ostinazione a impedire per anni uno Stato palestinese che avrebbe costituito un pericolo esistenziale per Israele. Finché sarò primo ministro, questa sarà la mia posizione".    

Non lascia spazio ad interpretazioni il premier israeliano . "Ho chiarito al presidente Biden la determinazione di Israele a conseguire tutti gli obiettivi della guerra e a garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele". Lo ha detto Benyamin Netanyahu aggiungendo che "dopo aver eliminato Hamas", non ci sarà "a Gaza nessuno che finanzi o educhi al terrorismo o invii terroristi. La Striscia deve essere smilitarizzata e restare sotto pieno controllo di sicurezza israeliano". Netanyahu ha poi respinto le richieste di Hamas per il rilascio degli ostaggi, ossia "la fine della guerra, l'uscita dell'Idf, la liberazione di assassini e stupratori e la sua permanenza al potere".

Migliaia di persone hanno sfilato a Tel Aviv chiedendo lo scioglimento della Knesset e le dimissioni di Netanyahu. Venerdì sera un'analoga manifestazione si è svolta a Cesarea, vicino alla casa del primo ministro, con le famiglie degli ostaggi che hanno avanzato le stesse richieste. E le turbolenze nel Likud non fanno che aumentare.

Sul fronte internazionale il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres ha bollato come "inaccettabile il rifiuto della soluzione dei due Stati e la negazione del diritto ad uno Stato per il popolo palestinese". "Ciò - ha osservato il capo delle Nazioni Unite - prolungherebbe indefinitamente il conflitto, che è diventato una grave minaccia per la pace e la sicurezza globale, esacerberebbe la polarizzazione e incoraggerebbe gli estremisti ovunque". Stessi toni da parte dell'Alto rappresentante Ue Josep Borrell, che anzi è andato oltre accusando il governo Netanyahu di aver "finanziato Hamas nel tentativo di indebolire l'Autorità palestinese".

"Lo so che il premier israeliano non vuole la soluzione a due Stati ma il segretario generale dell'Onu ha risposto ieri dicendo che è inaccettabile dire no. E tutta la comunità internazionale è a favore. Quindi se non è d'accordo ne dobbiamo parlare, per questo siamo qui". Lo ha dichiarato l'Alto rappresentante dell'Ue per la Politica estera, Josep Borrell, al suo arrivo al Consiglio Esteri a Bruxelles.

"25 mila persone uccise già, di cui il 70% donne e bambini. Certamente il modo con cui stanno cercando di distruggere Hamas, non è quello. Perché stanno seminando odio per generazioni. Sappiamo ciò che Hamas ha fatto. E certamente lo rifiutiamo e lo condanniamo, ma la stabilità e la pace non possono essere costruite solo con mezzi militari e non in questo modo particolare. Lo dico nel pieno rispetto delle vittime degli attacchi terroristici di Hamas", ha aggiunto il capo della diplomazia europea.

"Questo conflitto non si risolverà con le armi: dal 7 ottobre quasi 25 mila persone hanno perso la vita, Gaza è in una situazione di estrema emergenza, rischiamo la carestia e le epidemie. La violenza deve fermarsi. Il messaggio che porterò a nome del Belgio, a nome della presidenza belga del Consiglio dell'Unione europea è chiaro: chiediamo l'immediato cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi, il rispetto del diritto internazionale, il ritorno al processo di pace che deve portare alla creazione di due Stati che vivano fianco a fianco in pace", ha dichiarato la ministra degli Affari esteri del Belgio, Hadja Lahbib, al suo arrivo al Consiglio Affari esteri.

"Questa è l'unica via d'uscita, questa è l'unica possibilità per ripristinare permanentemente la pace nella regione. C'è un chiaro pericolo di regionalizzazione del conflitto, oggi vediamo anche le violenze in Cisgiordania dove ci sono molte vittime", ha ricordato Borrell.

Intanto 21 missioni operative e quasi 4 mila donne e uomini sul terreno. Questi i numeri dell'impegno Ue nell'ambito della politica di sicurezza e difesa comune, con cui Bruxelles punta ad assumere "un ruolo guida nelle operazioni di mantenimento della pace, prevenzione dei conflitti e rafforzamento della sicurezza internazionale".

L'UE attualmente conduce sette missioni e operazioni militari su terra e mare, "per formare e addestrare gli eserciti, assistere nella creazione di un ambiente sicuro e protetto, combattere i pirati o smantellare le reti di trafficanti". Tre di queste sono missioni di addestramento militare che forniscono consulenza e addestramento alle forze di sicurezza locali in Mali, Somalia e Repubblica Centrafricana.

Circa 4 mila operativi attualmente impegnati sul campo, sono stanziati in Africa, Balcani occidentali, Europa orientale e Medio Oriente. Si tratta di forze militari ed esperti civili distaccati dagli Stati membri dell'UE nell'ambito di missioni e operazioni guidate dall'Unione. Con mandati adattati alle esigenze della situazione sul campo, il loro obiettivo è stabilizzare i paesi partner dell'Unione e garantire la sicurezza a livello nazionale.

Da quando le prime missioni sono state lanciate nel 2003, l'UE ha intrapreso oltre 37 operazioni all'estero, utilizzando missioni e operazioni civili e militari in diversi paesi in Europa, Africa e Asia. Ad oggi, dall'Iraq al Mali, dal Kosovo alla Libia, passando per Ucraina e Territori palestinesi, sono in corso 21 missioni e operazioni di politica di sicurezza e difesa comune europea, 12 delle quali civili e 9 militari.

Per rafforzare il coordinamento e la cooperazione sul campo, nel 2017 è stato istituito un unico centro di comando militare che ha il potere di pianificare e condurre missioni militari fino a 2.500 soldati.

Oltre a Iraq, Sahel (Mali e Niger), Libia, Somalia, Repubblica Centrafricana, Kosovo, Armenia, Georgia e Moldova, missioni Ue sono operative anche nei contesti che nel corso degli ultimi due anni si sono trasformati da aree di crisi a veri e propri teatri di guerra, a cominciare dal Medio oriente e dall'Ucraina.

Una missione Ue, la Eubam, è operativa ad esempio a Rafah dal 2007, con lo scopo di assistere l'Amministrazione palestinese per le frontiere e i valichi. "La Missione resta pronta a dispiegarsi al valico di Rafah non appena la situazione politica e di sicurezza lo consentira'", fa sapere la Ue. Una missione civile di polizia e di tutela dello Stato di diritto, la Eupol Copps, è operativa anche nei territori palestinesi occupati.

La missione ha l'obiettivo di migliorare la sicurezza e l'incolumità del popolo palestinese e rientra "nel più ampio sforzo dell'UE volto a sostenere la costruzione dello Stato palestinese, nel contesto del lavoro verso una pace globale, basata su una soluzione a due Stati".

Riguardo all'Ucraina, oltre alla missione di assistenza militare dell'UE a sostegno di Kiev (Eumam Ucraina), ovvero la risposta coordinata dell'UE per "rafforzare la capacità militare delle forze armate ucraine e rafforzare la loro resilienza a lungo termine", dal 2014 era già operativa un'altra missione, (l'Euam Ucraina) "per fornire consulenza agli organi di sicurezza statali in materia di sicurezza, polizia, magistratura, lotta alla corruzione e diritti umani".

Dalla primavera del 2022, ovvero dopo l'invasione della Russia a Kiev, la missione "fornisce sostegno

 

Fonte Agi ansa e varie agenzie

 

 

 

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