L'economia italiana rischia di incagliarsi a Suez

Gli attacchi del gruppo armato yemenita Houthi nel Canale di Suez stanno mettendo a repentaglio il commercio mondiale. Dalla metà di novembre gli Houthi sono entrati a gamba tesa nel già incandescente teatro di guerra palestinese: gli yemeniti hanno lanciato missili contro Israele (tutti intercettati dal sistema di difesa israeliano) e intensificato gli attacchi, attraverso droni e motovedette, contro le navi commerciali di tutte le nazionalità che attraversano il Mar Rosso, costringendo alcuni tra i colossi della navigazione come Bp e Msc a circumnavigare l’Africa allungando il viaggio di circa due settimane. È bene ricordare che dal Canale di Suez passa circa il 12% del commercio mondiale e ben il 40% (per circa 155 miliardi di dollari) di import-export italiano.

Così la nuova bufera che rischia di abbattersi sull’Europa e in particolare sui Paesi affacciati sul Mediterraneo, Italia in primis; una bufera con epicentro nel Mar Rosso; una bufera che potrebbe tornare a gonfiare le vele dell’inflazione; una bufera, infine, che rischia di vanificare le speranze di un allentamento della stretta sui tassi già nel 2024.

Ed è proprio l’Italia che rischia di dover subire i maggiori danni, visto che la circumnavigazione dell’Africa rende più agevole fare rotta sul porto di Rotterdam, piuttosto che in direzione di quello di Trieste, aggiungendo così danno a danno.

«Niente più del Canale di Suez ha fatto comprendere il livello di interconnessione esistente tra geopolitica e trasporto marittimo. L’incidente avvenuto nel marzo 2021 con l’incaglio della portacontainer Ever Given, che ha provocato la chiusura della via d’acqua egiziana per una settimana, ha messo in luce i molti problemi che possono derivare al commercio mondiale che, è bene ricordare, per il 90% viaggia via mare».Quanto al valore delle merci trasportate, si può azzardare una stima in base ai beni assicurati, una stima persino difficile da scrivere per il numero di zeri necessari, vale a dire 1 miliardo di miliardi di dollari.

Difficile immaginare fino a che punto la situazione può aggravarsi se la tensione in quell’area dovesse durare ancora settimane. Di sicuro l’Europa ne uscirebbe ancora più debole di quanto già non sia nello scacchiere mondiale.Che la situazione sia ad alto rischio è provato dal fatto che secondo i dati di tracciamento monitorati dall’agenzia Bloomberg, nell’ultima settimana solo 114 navi commerciali (tra cui petroliere, navi portarinfuse e navi-container) hanno proseguito la rotta tradizionale e sono transitate dentro o fuori dal Mar Rosso attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb: la settimana prima erano 131, un mese fa 272. 

«Stiamo assistendo a una escalation che può portare a possibili contagi anche per ciò che riguarda i prezzi dell’energia», ha osservato ieri il commissario europeo Valdis Dombrovskis. Tuttavia, sul fronte del petrolio al momento non si intravedono segni di allarme: ieri il prezzo del Wti (il greggio americano) è calato dello 0,29% a 72 dollari il barile, quello del Brent è rimasto più o meno al livello della vigilia, ovvero 78 dollari.Nondimeno, in serata Shell ha annunciato di aver sospeso le spedizioni che transitano in quell’area, riflettendo la crescente preoccupazione per un ulteriore peggioramento del conflitto. Sicché, a lungo andare è impensabile che il fronte delle materie prime non subisca scossoni. Tra l’altro, per quanto riguarda l’Italia l’allungamento delle rotte verso Oriente mette a rischio anche la voce export per alcuni generi.

Gli Houthi sono un gruppo armato yemenita composto principalmente di combattenti della confessione zaydita, una branca minoritaria dell’Islam sciita, ma sono presenti anche elementi di altri gruppi religiosi. Gli Houthi derivano dalla “Gioventù credente”, un’associazione nata nel nord dello Yemen per dare vigore alla rinascita dello zaydismo, fermare l’emarginazione politico-religiosa e arrivare all’autonomia delle terre del nord. Il gruppo, con posizioni anti Usa e anti Israele, e vicino alle istanze iraniane, negli anni si ritaglia un ruolo anche sullo scacchiere geopolitico.

Le azioni degli Houthi, che negli anni hanno migliorato le proprie capacità militari, sono dirette a imbarcazioni in transito sul Mar Rosso e alle infrastrutture petrolifere saudite. Infatti nel gennaio del 2022 il gruppo rivendica un attacco negli Emirati Arabi Uniti, tra i protagonisti della Coalizione anti-Houthi nello Yemen. Gli Houthi stanno dando un contributo anche alla guerra in atto tra Israele e Palestina: gli yemeniti hanno rivendicato il lancio di missili contro Israele e attacchi contro navi al largo delle coste dello Yemen, nel Mar Rosso, in segno di solidarietà con i palestinesi.

La distanza geografica non corrisponde a una distanza reale tra il nostro paese e la complicata situazione nel Mar Rosso. “Il danno economico è già iniziato per i nostri porti – ha aggiunto il ministro Tajani -, soprattutto quelli del Sud, ma anche quello di Genova”. Ma non è preoccupata solo la politica. L’associazione Assoutenti ha stimato che la crisi nel Mar Rosso si ripercuote nelle tasche degli italiani: un rincaro del 10% sulla benzina corrisponde a una spesa di 213 euro in più in un anno, così come un aumento dello stesso importo sul gas porterebbe a una maggiore spesa annua di 200 euro.

Ma tutti i beni di consumo sono a rischio rincari perché il 12% del commercio mondiale attraversa il Canale di Suez. “Il Mar Rosso è una rotta strategica per l’Italia dove transita il 40% del nostro import-export marittimo per un totale di 154 miliardi di euro– leggiamo su QuiFinanza -. I cambi di rotta operati nelle ultime ore dalle navi in transito nella zona determinano un forte incremento dei costi di trasporto e pesanti ritardi nelle consegne che, unitamente ai rialzi dei carburanti, potrebbero riflettersi in modo diretto sui prezzi al dettaglio delle merci vendute in Italia dando vita ad una spirale inflattiva”. Per una famiglia con due figli, secondo le stime di Assoutenti, l’aumento di un punto percentuale del tasso di inflazione si traduce in un incremento della spesa pari a +411 euro all’anno.

Il 40% dell’import-export italiano passa per il Canale di Suez. “L’allungamento delle rotte marittime tra Oriente e Occidente, costrette ad evitare il Canale di Suez a causa dei ripetuti attacchi terroristici hanno portato ad aumenti vertiginosi del costo dei trasporti marittimi che arrivano fino a raddoppiare ma aumentano di circa due settimane anche i tempi di percorrenza”. Questo è l’allarme lanciato dalla Coldiretti preoccupata per i possibili rincari generalizzati e per la salvaguardia dell’export italiano.

“Le destinazioni interessate sono quelle asiatiche, verso le quali l’Italia ha esportato oltre 217 milioni di chili di frutta, di cui oltre 182 milioni di chili mele, con principali destinazioni l’Arabia Saudita (oltre 66 milioni di chili di mele), l’India (oltre 51 milioni di chili di mele) e gli Emirati Arabi (oltre 15 milioni di chili di mele)”. Ma sono tanti i beni del made in Italy che rischiano di rimetterci da un rallentamento delle esportazioni: nella sola Cina, le esportazioni agroalimentari valgono oltre 570 milioni di euro all’anno (112 milioni di euro solo dal vino).

Fonte varie agenzie, il Giornale, policy

 

 

 

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