Europa senza identità: dalla latinità alla britannicità

Il pensiero cartesiano, come abbiamo visto, minando alla base i concetti di autorità e tradizione, provocava non solo un nuovo modo di fare filosofia, rompendo definitivamente i ponti col pensiero classico, ma aveva anche delle ripercussioni politiche notevoli. La grandeur francese, ‒ “costruita” nel tempo da personaggi come Enrico IV di Borbone (1553-1610), i cardinali Richelieu (1585-1642), Mazzarino (1601-1661) e Luigi XIV detto il Re Sole (1638-1715), che ne fecero la maggiore potenza europea ‒, necessitava, per mantenersi in vita, di un conservatorismo assoluto. Proprio il contrario  dei processi innescati da Cartesio, che con forza uguale, se non maggiore, negli stessi anni, si avviarono in Inghilterra, verso cui, gradatamente, iniziò a spostarsi il baricentro della politica e della cultura europee. Sul piano culturale, il passaggio dalla latinità alla britannicità, se così possiamo chiamarlo, avvenne grazie all’opera congiunta di Isaac Newton (1642-1727) e John Locke (1632-1704); il primo, basandosi sull’opera pionieristica di Galileo (1564-1642), rivoluzionò la scienza fisica, il secondo, forse il politico più influente dell’intero mondo anglosassone, rivoluzionò la scienza politica in chiave liberale. Possono essere considerati i fondatori del deismo- cui poi si ispirò Voltaire (1694-1778), una concezione che respinge il Dio della Fede e della Rivelazione, in nome di un Dio della ragione: l’unico accettabile dall’uomo moderno. All’umanità, per vivere prospera ed in pace, non serve più il Dio predicato dalla Chiesa Cattolica, ma bastano il Dio ed i precetti, che ciascun uomo può raggiungere con le sole forze della sua ragione naturale.

Sul piano politico, negli stessi anni, tutto questo si concretizzò nel 1688 con il compimento della cosiddetta Gloriosa Rivoluzione, all’interno di una lotta intestina familiare, che oggi sarebbe giudicata degna di una grandiosa fiction televisiva. Quell’anno, si realizzò la cacciata definitiva di Giacomo II Stuart (1633-1701) ‒ cugino del Re Sole ‒, l’ultimo monarca inglese cattolico, ad opera di Guglielmo d’Orange (1650-1702), il quale era, contemporaneamente, suo genero/nipote: infatti, aveva sposato sua figlia, la principessa Maria (1692-1694); al contempo, essendo figlio di sua sorella, la principessa d’Orange Maria Enrichetta Stuart (1631-1660), era cugino di primo grado di Maria, sua moglie e, dunque, suo nipote. A dire il vero, Giacomo II era perplesso circa il matrimonio di sua figlia Maria, col cugino Guglielmo: la storia gli darà ragione. Guglielmo d’Orange, calvinista olandese, invase l’Inghilterra e cacciò il suocero/zio, il quale trovò rifugio in Francia, presso il cugino, il Re Sole: salito al trono, instaurò la monarchia parlamentare. Da quel momento, per i cattolici, in Inghilterra, si aprì una lunga fase difficile, nonostante la sbandierata tolleranza. Uno dei primi atti di Guglielmo, infatti, già nel 1689, fu la pubblicazione del Toleration Act, con il quale si sanciva la libertà religiosa per tutte le confessioni protestanti: rimasero  esclusi i cattolici, i quali, fra le altre cose, non potevano ricoprire cariche pubbliche. Tale situazione si è protratta, poi, fino a metà dell’800’; nello stesso anno, veniva pubblicata da Locke, la sua celebre Lettera sulla Tolleranza, che includeva tutti, tranne due categorie: i cattolici, manco a dirlo, perché obbedienti ad un’entità sovranazionale come la Chiesa e gli atei, perché non in grado, a suo dire, di garantire la fedeltà ad un giuramento o ad un patto. La difficile situazione dei cattolici nella patria della “tolleranza” è ben descritta dallo scrittore e giornalista Vittorio Messori, il quale parlando dell’anglicanesimo, ha detto: «Non è sempre stato una cosa da gentleman, da elegante High Church: nei suoi periodi di furore (non furono né pochi né brevi) tagliò le teste dei cattolici che resistevano, distrusse le abbazie, passò la calce sugli affreschi nelle chiese, fracassò le meravigliose vetrate, sostituì il crocifisso con gli scudi del re e dei duchi». Il pensiero britannico si orientò decisamente verso la terra, convinto di trasformarla in un paradiso, mediante l’azione della nuova scienza e del susseguente progresso tecnico. L’Europa continentale, in primis la Francia, importò questo modello, declinandolo nelle caratteristiche proprie, prima fra tutte l’astrattismo dottrinario. Nacque, così, una nuova categoria umana: l’intellettuale, un individuo imbevuto di principi astratti, pronto a seguirli anche in caso di palese inadeguatezza di questi a descrivere il reale. Una sorta di neofilosofo, ricco in scienza positiva, interessato ai piaceri e, per definizione, ostile ad ogni Rivelazione divina. Ostile anche a quella sublime scienza, pienamente razionale, il cui oggetto di studio, la ricerca delle cause ultime delle cose, ha reso possibile alla ragione umana, la scoperta delle realtà soprasensibili. In pratica, mentre un astronomo si chiede come è fatta una stella, un fisico perché brucia idrogeno e un matematico ne calcola i parametri orbitali, il metafisico si chiede qual è il fondamento dell’essere della stella, così come di ogni altro ente creato. La metafisica consente alla ragione, di passare dalla stella o da ogni altra cosa creata, alla causa invisibile della sua esistenza, visto che nessun ente si spiega da sé: questo, come diceva san Tommaso, è ciò che gli uomini chiamano Dio. La metafisica, inoltre, occupandosi dei primi principi universali dell’essere, rende possibile ogni altra scienza particolare. Fu scoperta nell’antica Grecia da Platone (428/427-348/7), sistematizzata da Aristotele (384/3-322) e portata a compimento da san Tommaso d’Aquino (1225-1274). A partire da Cartesio, venne sempre più marginalizzata dalla cultura europea; possiamo, così, capire meglio l’eclissi di Dio nel mondo moderno. In realtà, questa crisi ha radici storico-filosofiche ancor più remote nel tempo, radici che affondano agli albori del XIV secolo. Come vedremo la prossima volta.

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