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“E si confonde il mio col tuo respiro” incontro con l’autore Mario Campagnuolo

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Ho incontrato l’ing. Mario Campagnuolo, che oltre a presentare il suo libro di racconti “E si confonde il mio col tuo respiro” (Antonio Stango Editore), svela un animo sensibile ed attento alle tematiche sociali, dimostrando inoltre una spiccata attitudine verso le arti letterarie. Ha esercitato per una vita la professione di ingegnere edile, coltivando in parallelo l’amore per la poesia; giornalista pubblicista, ha scritto un romanzo storico ed ancora il libro di racconti, oggetto della nostra intervista, all’interno del quale emergono personaggi e storie assolutamente coinvolgenti. Interessanti i riferimenti alla Calabria, una terra dove ha soggiornato a lungo per motivi di lavoro e che ha imparato ad apprezzare ed amare incondizionatamente.

Un incontro per ripercorrere i tratti salienti del suo vissuto e per conoscere i suoi progetti futuri.

Il suo paese natale San Felice a Cancello evoca un evento storico lontano nel tempo, ma che tutti hanno letto almeno sui libri di scuola, quello del passaggio dei Romani sotto le Forche Caudine. Vorrebbe parlarmene?

Tito Livio racconta che nel 321 a.C. Roma era per la seconda volta in guerra con i Sanniti che assediavano Lucera. I Romani mandarono un esercito a liberare la città loro alleata. All’epoca la via Campana, nel tratto tra Capua e Nola, prevedeva una variante tra i monti che, quando il fiume Clanio esondava, evitava la zona paludosa. I Sanniti dall’alto delle colline controllavano quanto avveniva in pianura e, quando si accorsero che i Romani erano bloccati dalle acque, inviarono pastori incontro ai Romani, affinchè si offrissero come guide per raggiungere Nola, seguendo la via dei monti. I pastori li conducessero invece verso il valico di Arpaia. Il cammino si svolgeva tra le alte sponde del canale, che convogliava a valle le acque montane e Romani si trovarono chiusi tra le salmerie alle spalle e lo sbarramento eretto a monte dai Sanniti. Questi avrebbero potuto ucciderli tutti, ma preferirono farli passare disarmati sotto le loro lance incrociate, nell’illusione di poterli dissuadere dalla sete di vendetta e di conquista.

Sempre in questa splendida area geografica, così ricca di storia, tanti secoli fa è sorta la prima autostrada. Da ciò si evince la lungimiranza dei suoi antichi conterranei, che capirono l’importanza delle vie di comunicazione. Oggi questo concetto sembra sia stato accantonato, soprattutto nel meridione italiano, secondo scelte politiche da parte dei nostri amministratori, intorno alle quali potremmo aprire un lungo dibattito. Insomma, “Cristo si è fermato ad Eboli” parafrasando il grande C. Levi, oppure ancora prima?

Una strada di comunicazione è il primo segno di pace e convivenza civile tra popolazioni diverse. Quando le merci viaggiano sicure, con esse viaggiano cultura e informazione. I segni di antica civiltà sono evidenti nella parte meridionale dell’Italia. Il primo percorso in terra battuta della via Campana risale all’ottavo secolo a. C.. Lo dimostrano gli scavi archeologici dei primi chilometri, di cui ho diretto i lavori. Questa grande via congiungeva il porto di Pozzuoli con Capua e da qui portava a Paestum, l’ultima città della dodecapoli etrusca ai confini con il Brutium, l’antica Calabria. Le monete dello stesso periodo, esposte nel Museo di Crotone, portano in rilievo, oltre a mirabili figure, il segno della zecca a dimostrazione dell’esistenza di una federazione che batteva la stessa moneta. Del sesto secolo a.C. sono le prime “Matres Matutae” che si possono ammirare in gran numero e mirabilmente disposte nel Museo di Capua. Sono statue a grandezza naturale, che onorano le madri per la loro fertilità. Queste donne sedute in trono dimostrano l’importanza della donna nella società dell’epoca. Da allora troppi barbari e troppi ladri sono scesi tra noi. Il malgoverno agevola la malavita e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Nel corso della sua lunga professione di ingegnere edile, ha contribuito a creare opere ed infrastrutture nel sud Italia; in particolare a Crotone, dove ha diretto i cantieri di un famoso villaggio turistico a Crotone. Cosa ricorda particolarmente di questa esperienza?

La costruzione del villaggio turistico della Valtur di Isola Capo Rizzuto è stato il primo cantiere da me diretto in Calabria ed è stata un’ eccezionale esperienza di vita e di lavoro. Avevo trenta anni e le comunicazioni con Napoli, sede dell’impresa, erano molto difficili. Praticamente, solo avevo in cantiere più di cento operai, quasi tutti locali. Superate le comprensibili difficoltà iniziali, imparai a conoscere la Calabria e i calabresi e da allora considero quella regione la mia seconda patria. C’è ancora a Crotone, a Isola e a San Giovanni in Fiore chi ha condiviso la mia avventura e si ricorda di me. E’ risaputo: chi gode dell’amicizia di un calabrese la conserva per la vita.

Più in generale, posso dire che per oltre quarant’anni ho trascorso la giornata quasi sempre in cantiere, spartendo pioggia e sole con gli operai. Per otto o dieci ore al giorno, per sei giorni la settimana, per dodici mesi l’anno. Nei rari momenti di sosta ho ascoltato le loro storie e le loro confidenze. Ho condiviso i loro affanni e le loro speranze. Mi sono serviti per conoscere ogni sfumatura dell’animo umano ed è questa la mia ricchezza.

Nel 2002 è andato in pensione dalla sua attività di una vita, per iniziare un’interessante esperienza letteraria, diventando quindi scrittore a tempo pieno. Il suo caso rappresenta un’eccezione, che conferma la regola; lei è una persona con una formazione accademica scientifica, che dimostra una spiccata predisposizione per le discipline umanistiche; infatti, a tredici anni circa ha scritto la sua prima poesia e si diletta a redigere articoli. Segue un lungo periodo di silenzio, nel corso del quale ogni tanto, comunque, scrive versi. Successivamente riemerge il suo interesse verso le arti letterarie e dopo aver scritto una quantità di articoli, diventa giornalista pubblicista. Forse, la consapevolezza della sua vena creativa l’ha sempre accompagnata nel suo percorso esistenziale?

Ogni essere umano ha una complessità d’interessi legati al suo vissuto. Ho frequentato il liceo classico e mi è sempre piaciuto scrivere. L’amore per la scrittura nasce da quello verso la lettura e non ho mai perduto un’occasione per leggere di tutto. Salgari è stato il mio primo amore, soppiantato a quindici anni dalla narrativa russa e poi da quella francese e inglese. La mia scoperta più formativa è stata quella di Prezzolini, da lui ho imparato sintesi e chiarezza. Chi scrive ha il dovere di farsi comprendere. Tra la mia esperienza lavorativa e quella, diciamo, letteraria c’è un sottile, ma solido legame. La mia professione mi ha spesso richiesto lunghe e dettagliate relazioni per esprimere pareri tecnici o legali. L’ho fatto con chiarezza e ho sempre ottenuto risultati positivi. L’altro legame tra le due attività è quello di non dare mai nulla per scontato e acquisito. Ogni variante nella conduzione dei lavori edili, prima di essere applicata, è stata da me ampiamente sperimentata. Allo stesso modo, ogni mio scritto è frutto di studio e riflessione. Di conseguenza, gli articoli scritti in anni lontani sono ancora attuali. Le mie storie non sono banali e i personaggi hanno un linguaggio e un modo d’agire che li distingue l’uno dall’altro.

In merito alla poesia entriamo in un altro campo. Come ogni altra espressione artistica, la poesia serve a trasmettere sentimenti. Non basta rispettare la rima e/o il metro per fare poesia, né mettere in fila parole astruse. Se chi legge o ascolta non vibra all’unisono con chi scrive, non c’è poesia.

Come nacque l’idea di scrivere il suo primo romanzo storico e quali difficoltà ha incontrato per pubblicarlo?

Ho scritto per 20 anni ogni mese un articolo per “La Valle di Suessola“, un mensile locale che mi consentiva piena libertà d’argomento. Ben presto i miei articoli assunsero fisionomia originale e spaziarono tra l’educazione civica, il costume e la convivenza civile. Decisi di raccoglierli e quando li ebbi sottomano mi accorsi che avevano un valore non legato al tempo. Li misi insieme e chiesi a un amico giornalista cosa avrei dovuto fare per farli pubblicare. Apprezzò la qualità degli articoli, ma ritenne che nessun editore li avrebbe stampati in quanto non ero conosciuto. Chiesi conferma a un caro amico libraio. La ebbi insieme al consiglio di scrivere un romanzo storico. Trovai stravagante l’idea. Ci ripensai, elaborai una storia e venne fuori la saga di una famiglia di Aversa, il paese di mia moglie. La saga si svolge lungo tutto il 1800, fino alle soglie della prima guerra mondiale. Un amico, finalmente, mi indirizzò a un editore disinteressato alla distribuzione dei suoi libri. Malgrado questo di “Come il mare” sono state vendute ben più di mille copie.

Poi è seguito un secondo romanzo e nel frattempo ha continuato a scrivere liriche. Ogni tanto pensa ai suoi progetti d’ingegneria edile?

Ogni occasione è buona per tornare al primo amore. Trovo ancora piacere nello studiare la funzionalità di un appartamento o di un edificio. Tra i miei sogni c’è lo studio di un edificio e/o di un quartiere completa-mente autonomo in cui l’energia sia prodotta dal sole e dal vento, le acque raccolte e riciclate, non si disperda il calore e ci sia un giardino in copertura dove si coltivino ortaggi e fiori …

L’ultimo libro che ha pubblicato lo scorso anno ha un titolo significativo, che a me suona come un verso carico di afflato poetico: “E si confonde il mio col tuo respiro”. Si tratta di alcuni racconti molto interessanti, ottimi spunti di riflessione, che lei ha raccolto in questa pubblicazione. Vorrebbe illustrare ai nostri lettori la sua opera?

Nella mia lunga vita ho conosciuto successi e sconfitte. Il mio successo più grande, quello che ha fatto la mia fortuna è stato il matrimonio. Tra quotidiani contrasti d’opinione, siamo insieme da oltre cinquanta anni. La nostra felice unione ci ha fatto comprendere il principio della complementarietà. Uomo e donna sono fisicamente complementari quello che manca all’uno lo deve avere l’altro. Così deve essere nella vita di ogni giorno e in ogni rapporto: quello che manca all’uno lo deve dare l’altro. Le dodici storie di questo libro esaminano situazioni nel sempiterno rapporto uomo-donna, sempre diverso e sempre attuale.

Lei è un vulcano di idee; non mi meraviglierei di scoprire che, andando oltre al settore editoriale, non stia già pensando a qualcos’altro. Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Nella vita l’unica certezza è quella che un giorno dovremo morire e la nostra fortuna è quella di non sapere quando e dove. Detto senza mezzi termini: alla mia età vivere è prepararsi a morire. Per questo ogni istante diventa prezioso. Ho ancora nel cassetto gli articoli, la fine della trilogia della saga, un altro romanzo, tre o quattro favole e il progetto abbozzato di un’altra opera: non vorrei rimanessero inediti o, peggio, invenduti.

Al tempo stesso la casa di campagna, in cui abbiamo cresciuto i nostri quattro figli e che i sei nipoti adorano, ha bisogno di sostanziali restauri e vorrei portarli a termine.

Mi piacerebbe, poi, viaggiare con i miei nipoti come ho fatto con i miei figli tra le rive dell’Atlantico e il centro dell’Europa, per far loro comprendere che tutti gli uomini sono eguali e hanno gli stessi diritti. Infine … grazie a Lui, non sarò io a decidere quando togliere il disturbo e devo essere pronto per quest’ultimo viaggio così denso di mistero e di speranza …

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