La prima rappresentazione di Adriana Lecouvreur ebbe luogo al Lirico di Milano il 6 novembre 1902. Il personaggio di Maurizio di Sassonia, del capolavoro di Francesco Cilea, fu affidato ad un giovane Enrico Caruso, reduce proprio dai successi nei teatri campani, il Verdi di Salerno, il Cimarosa di Caserta e da quell’Elisir d’amore al San Carlo per il quale la critica del Procida, circa “Una furtiva lacrima”, fece nascere la falsa leggenda dei fischi e del non ritorno a cantare in patria, il quale lanciò quel titolo, improntato al melodismo spontaneo tipico della scuola napoletana con influssi di Massenet e della tradizione lirica francese. Da venerdì sera, a rinverdire i fasti di Enrico Caruso, c’è il tenore Vincenzo Costanzo, all'Opéra national du Capitole de Toulouse, chiamato dalla sera alla mattina a sostituire l’indisposto Josè Cura, nell’Adriana Lecouvreur firmata dal direttore Giampaolo Bisanti e dal regista Ivan Stefanutti. L’ambientazione scelta trasporta lo spettatore nel primo Novecento, un’epoca coeva agli autori di musica e libretto, differenziandosi nettamente dal contesto settecentesco della vicenda narrata. Le pareti nere dell’unica scena, sono movimentate da sei grandi colonne nere lucenti, a morbide volute, che si stagliano sulle quinte creando un’atmosfera intensa e astratta. Gli arredi, in stile nouveau-decò, sono essenziali, rigorosamente bianchi, donano un’eleganza sobria e moderna alla scena, unitamente ai costumi, anch’essi en blanc et noir, di grande raffinatezza, in linea con i contrasti e i caratteri dei personaggi declinati in modo efficace.
Il regista è riuscito ad amalgamare il chiacchiericcio burlesco e quasi comico degli attori della comédie, con il drammatico scontro tra le protagoniste e il patetismo affettuoso di Michonnet. Questa sapiente caratterizzazione ha permesso di sottolineare le sfumature emotive e i contrasti tra comicità e tragedia, arricchendo la narrazione di profondità. Particolarmente pregnante è risultato il momento ballettistico del terzo atto, curato da Michele Cosentino, che si è ispirato al “Prèlude à l’après-midi d’un faune” di Debussy e alle coreografie di Nijinsky, poesia coreografica estremamente sofisticata, in cui per l’uomo moderno la fine delle certezze ha creato certo scompiglio determinando ciò che oggi è l’evidenza: un movimento , un genere di valore, che suscita “maraviglia”, “Felino sensuoso e lucidissimo, capace di liberare le passioni prigioniere” (Pierre Boulez). L’ Orchestra, protagonista e di grande spessore, è nelle mani sensibili ed efficaci di Giampaolo Bisanti. Direzione equilibrata tra un melodismo, scevro delle incrostazioni melense della più che centenaria tradizione e la vividezza delle scene d’insieme, con forte sostegno per i cantanti, attraverso il continuo dialogo con il palcoscenico, rispondente alle esigenze emotive e drammatiche della rappresentazione. Il Maestro dona alla recita una nota verista, evidenziando i tratti più passionali e intensi dell’opera, contribuendo, così, a una lettura profondamente coinvolgente e autentica. Ottimo l’allestimento del cast, a cominciare dal ruolo di Adrienne che calza a pennello a Lianna Haroutounian – un ruolo che interpreta da diversi anni e di cui conosce tutte le insidie e gli artifici. Voce salda, proiezione sicura, senza essere sempre completamente controllata, interpretazione magistrale, in particolare nel quarto atto. Accanto a lei, il tenore napoletano Vincenzo Costanzo, che ha voce bella e potente, timbro accattivante, splendida luminosità e medi ben proiettati, emissione salda, il quale sa ben gestire i toni più intimi e sfumati verso il finale, oltre che una recitazione naturale che gli ha permesso di salvare la “prima” dell’opera in sostituzione di un indisposto Josè Cura, giungendo a poche ore dall’apertura del sipario e con la stanchezza del viaggio addosso. L'altro ruolo femminile di spicco è quello della Principessa di Bouillon, che è stato affidato a Judit Kutasi, mezzosoprano scuro e robusto, che si addice perfettamente a colei che avvelenerà la sua rivale. Nicola Alaimo è un Michonnet sopraffatto dall'amore per Adrienne. Il suo atteggiamento si adatta perfettamente al personaggio, con quel suo registro grave, ricco di tanti armonici sontuosi. Tanta Italia in palcoscenico con Roberto Scandiuzzi, un perfetto Principe di Bouillon, note gravi sul velluto e bel fraseggio, mentre a completare il cast l' Abbé di Pierre Derhet, il prete che sembra piuttosto attratto dalle ricchezze di questo mondo e Juvenot e Dangeville, alle quali danno voce Cristina Gianelli e Marie-Ange Todorovitch, Poisson, Damien Bigourdan, Quinault Yuri Kissin e le Majordome Hun Kim. Dignitoso il coro diretto da Gabriel Bourgoin. Saluti e applausi per tutti dove l’ovazione è stata per il tenore Costanzo il quale ha ricambiato visibilmente commosso, conscio che le ombre dell’incidente in palcoscenico nel corso della Tosca pisana, siano state definitivamente fugate.