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Max Baca & Los Texmaniacs all'Auditorium Parco della Musica

Roma 9 marzo. 

Kahlúa? No, troppo zuccheroso. Meglio la tequila, più secca nell'andar giù per distillare alle orecchie la musica di Max Baca & Los Texmaniacs. E da usare come benzina per carburare concerti che si collocano in una sorta di istmo, ai confini fra Texas e Messico: dove miscelare cocktail con varie radici, roots, composte da ingredienti blues, polka, rock, beguine, salsa. Morbida, la voce bilinge di Max, che alterna spagnolo a inglese; da strumentista di bajo sexto richiama a tratti Duane Eddy e in alcuni fraseggi latin Santana. Ė arrivato all'Auditorium Parco della Musica sotto l'egida dell'Ambasciata USA in Italia e, con sul "groppone" artistico, un Grammy Award e niente meno una collaborazione coi Rolling Stones. 

Ė scanzonato, Max, specie nei duetti/duelli con fisa e chitarra. In omaggio scherzoso all'Italia cita Il tema de Il padrino per poi presentare Marina di Rocco Granata in versione portoricana. É, il suo, un folk molto pop, grazie soprattutto alla fisarmonica dal sapore alquanto cajun di suo fratello Josh, ed è un vessillo multiculturale, il suo sound spanish/yankee prodotto unitamente a Noel Hernandez al basso e Danny Martinez alla batteria e con un chitarrista d'accompagnamento che ricorda il nativo del film Qualcuno volò sul nido del cuculo. Intanto, nella stessa serata, nella sala a fianco, la performance dei giapponesi del Kodõ. Si puó ben dire che, grazie alla musica, Est e Ovest non sono mai stati così vicini! 

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