Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Lunedì, 07 Luglio 2025

L’intelligence israeliana ha localizzato i bersagli chiave del regime iraniano

Addestrati per anni, selezionati in Paesi strategici e spesso guidati da donne.

Un’operazione nell’ombra, firmata Mossad.

Una rete di spie addestrate per anni in silenzio, pronte ad agire nei punti nevralgici del potere iraniano. Non volti noti, non agenti professionisti in stile cinematografico, ma cittadini insospettabili – spesso giovani, molte volte donne – selezionati in Paesi senza legami diretti con Israele. È così che il servizio segreto dello Stato ebraico avrebbe infiltrato il cuore del regime degli ayatollah.

La rivelazione arriva da fonti di intelligence riportate da Repubblica e confermate da un episodio emblematico: l’arresto in Turchia, nel 2023, di una rete di spie al soldo di Tel Aviv. Erano in larga parte cittadini palestinesi e siriani, reclutati e formati per mimetizzarsi e raccogliere informazioni strategiche.

Una strategia di lungo corso.

Secondo fonti diplomatiche, per le missioni più rischiose – come quelle volte a colpire scienziati nucleari e leader delle forze Quds – il Mossad avrebbe scelto profili provenienti da minoranze sciite afghane, dalla diaspora libanese e da ex repubbliche sovietiche. Ma non solo: anche europei, sudamericani e arabi appartenenti a Paesi con solidi rapporti economici con Teheran, perfetti per ottenere visti, coperture aziendali e accesso ai circoli di potere.

Il ruolo delle donne: invisibili e letali.

Le figure femminili emergono come protagoniste. Non semplici comparse, ma agenti capaci di insinuarsi nei salotti privati della capitale iraniana, di conquistare la fiducia dei bersagli e, all’occorrenza, di maneggiare esplosivi o fucili di precisione. Secondo indiscrezioni, nella notte tra giovedì e venerdì alcune di loro avrebbero “marchiato” con puntatori laser le ville dei leader pasdaran, guidando così i missili guidati Spice lanciati dai caccia israeliani.

Assalto coordinato e supporto sul campo.
Altri agenti – secondo ricostruzioni non confermate ufficialmente – avrebbero accompagnato nel deserto le squadre di incursori arrivate dal cielo per colpire le batterie della contraerea iraniana. Il loro compito: garantire la penetrazione nei nascondigli dei missili balistici e disseminare droni kamikaze in grado di neutralizzare obiettivi strategici prima di un eventuale contrattacco.

Una guerra silenziosa, ma sempre più evidente.
Lo scenario che emerge è quello di un conflitto che si gioca anche – e soprattutto – sul piano dell’intelligence. E dove la potenza militare passa sempre più da ciò che non si vede: reti umane mimetizzate, operazioni chirurgiche, infiltrazioni silenziose. Con il Mossad ancora una volta protagonista di una guerra nell’ombra che si combatte molto lontano dai radar ufficiali.

Intanto lo scontro in Medio Oriente chiude un corridoio chiave tra Europa e Asia. I voli dirottati sopra l’Afghanistan, ma l’allerta resta alta: "Nessuna sicurezza in caso d’emergenza". Mentre la guerra tra i due Paesi si combatte con droni, spie e raid mirati, le sue ripercussioni si avvertono anche a migliaia di chilometri di distanza. In Europa, infatti, il traffico aereo tra il Vecchio Continente e il Sud-Est asiatico si trova improvvisamente costretto a cambiare rotta.

Chiuso uno dei principali corridoi aerei, quello che passa tra Iran e Iraq, le compagnie devono ora scegliere tra alternative più lunghe, più affollate – come la rotta meridionale via Egitto e Arabia Saudita – o decisamente più rischiose: come il sorvolo dell’Afghanistan.

Uno spazio aereo instabile e senza controllo.
Dal ritiro delle truppe occidentali e il ritorno dei talebani, lo spazio aereo afghano è rimasto senza gestione. Non esiste un controllo del traffico, non ci sono garanzie operative. Chi vola sopra Kabul e oltre deve rispettare rigidamente i limiti imposti: nessun aereo può scendere sotto i 32 mila piedi – quasi 9.800 metri – come stabilito dal Notam italiano, in linea con le direttive di Stati Uniti e Canada.

Un passaggio obbligato, ma ad alto rischio.
Il sorvolo è consentito solo a quote elevate, per ridurre il pericolo di missili terra-aria, una minaccia concreta in una zona priva di radar e autorità di controllo. Ma è proprio la mancanza di alternative a far crescere l’ansia tra i piloti: “L’intero spazio aereo non è gestito da alcun ente – ricordano le organizzazioni di categoria – e in caso di emergenza non c’è alcuna garanzia per la sicurezza dell’equipaggio o dei passeggeri”.

L’incubo dell’atterraggio a Kabul.
Il pensiero peggiore resta quello di un atterraggio forzato nella capitale afghana, oggi completamente nelle mani del regime talebano. Il Corriere della Sera sottolinea come questa ipotesi venga considerata solo come "ultima risorsa": nessuna compagnia lo prevede nei propri piani operativi, e il timore per la sorte degli occupanti di un eventuale volo dirottato o costretto a fermarsi in Afghanistan è palpabile.

Tra sicurezza e necessità.
Le rotte più sicure, paradossalmente, sono anche le più affollate. E l’impossibilità di usare il corridoio iraniano – uno dei più diretti e trafficati – sta congestionando le alternative, allungando i tempi di percorrenza e aumentando i costi per le compagnie.

Una guerra che si combatte anche tra le nuvole.
Il cielo, oggi, è meno libero di quanto sembri. E anche un volo di linea può ritrovarsi intrappolato nei riflessi geopolitici di un conflitto che sembra non avere più confini.

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI