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La strategia del Viminale sulla Libia

Con l’insediamento al ministero di Matteo Salvini, i contatti diplomatici con Tripoli rimangono molto solidi. Proprio il segretario della Lega è tra i primi ad incontrare Fathi Bishaga, il suo omologo libico, a poche settimane dal suo ingresso all’interno del governo di Al Sarraj. Come rivela il giornale negli articoli di "occhi nella guerra" una mossa favorita anche dai contatti che lo stesso Salvini stringe con il Qatar, a cui sia il premier libico che Bishaga sono ritenuti vicini: “In queste ore stiamo sondando tutti i contatti diplomatici con le parti in causa – dichiarano dal Viminale – L’obiettivo è fare fronte comune e chiede lo stop alle ostilità”. La fine immediata dei combattimenti è del resto la richiesta che viene fatta dal governo di Giuseppe Conte già dalle prime ore dall’inizio della battaglia. Lo ribadisce, nel suo discorso di questo giovedì alla Camera dove riferisce ai deputati, lo stesso Conte. Ed anche Salvini, più volte, dichiara di sostenere lo stop agli scontri: “Il Viminale sta lavorando per questo”, sottolineano dal ministero.

Ma ciò che, dagli uffici del ministero degli interni, preme maggiormente specificare in queste frenetiche ore caratterizzate dalla crisi attorno la capitale libica, riguarda indubbiamente la questione migratoria. Nei giorni scorsi sono parecchie le preoccupazioni circa una possibile ripresa delle partenze dalla Libia. Il caos all’interno della città di Tripoli e l’impiego delle milizie tripoline nelle battaglie, fanno temere un minore controllo lungo le coste del paese africano. Se martedì è lo stesso premier Al Sarraj a tranquillizzare l’Italia, affermando che la sua Guardia Costiera continua a lavorare per arginare i flussi, in questo giovedì è il Viminale a fare quadrato: ” Non si teme, al momento, un incremento delle partenze di immigrati – tagliano corto dal ministero – Stiamo però monitorando la situazione costantemente”.

Proprio nelle scorse ore un barcone in difficoltà con venti migranti a bordo viene soccorso e riportato in Libia dalla stessa Guardia Costiera di Tripoli. Per il momento dunque, la situazione sotto questo fronte sembra sotto controllo. E questo, agli stessi funzionari del Viminale, fa tirare un primo debole ma significativo sospiro di sollievo.

Non solo il volo Bengasi-Roma-Bengasi continua il Giornale di un misterioso Falcon che era presente all’aeroporto di Ciampino lunedì scorso. C’è un altro aereo, sempre dello stesso modello, che ha avuto un percorso diverso ma la stessa base di partenza: Bengasi. Ma questa volta la rotta puntava più a nord, direzione Parigi.

A rivelarlo è sempre Repubblica che, seguendo i tracciati di Flightradar, ha ricostruito un altro viaggio degli uomini di Khalifa Haftar, che in base al monitoraggio dei voli sembra siano atterrati nella capitale francese giovedì 4 aprile per poi ripartire dall’aeroporto di Orly l’alba del giorno dopo. E l’Eliseo ha confermato al quotidiano italiano che “degli emissari di Haftar sono venuti”. Anche in questo caso, c’è chi parla di Saddam Haftar, il figlio del generale, quello che secondo le indiscrezioni sarebbe stato anche a Roma per incontrare il figlio del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Ma c’è un altro aereo misterioso tracciato dai radar sulla rotta Francia-Libia: un jet decollato a un aeroporto secondario di Lione ed è atterrato a Bengasi dopo aver sorvolato per lungo tempo i cieli della Cirenaica: forse in missione di ricognizione.

Scrive il Giornale le domande sorgono spontanee: dopo il sostegno malcelato dei francesi per l’uomo forte della Cirenaica, che cosa ci faceva l’alta delegazione di Haftar a Parigi? Il sospetto è che quell’incontro arrivato dopo la visita degli emissari a Roma serva per dare e ottenere garanzie. La Francia vuole vederci chiaro: ha sostenuto Haftar in ogni modo, anche bloccando la condanna Ue alle operazioni dei suoi miliziani (anche se Parigi nega qualsiasi tipo di “boicottaggio”), ma adesso potrebbe sfuggirgli di mano.

L’Eliseo infatti teme che Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti abbiano preso il sopravvento sui piani dell’Esercito nazionale libico. E adesso il generale può diventare una scheggia impazzita tanto che la francia vuole iniziare a far vedere di avere ancora il polso della situazione anche per non perdere la leadership sulla possibile futura transizione libica in cui è chiaro che Emmanuel Macron abbia giocato tutte le sue carte.

Dalla Francia continuano a negare qualsiasi sostengo diretto ad Haftar. Parlano di un sostegno a entrambe le parti in causa, di volontà di arrivare a una pacificazione, di sostegno all’operato delle Nazioni Unite e dell’inviato Ghassan Salamè. Addirittura continuano a sostenere che non esiste alcuna rivalità tra Parigi e Roma, con l’Italia che non è “rivale” ma addirittura alleata della Francia.

Parole che però inutile nasconderlo non svelano l’altra verità,come rivela "occhi della guerra"  quella fatta di un continuo lavorio diplomatico, di intelligence e politico per farsi fuori a vicenda ed evitare che uno dei due governi prenda il sopravvento sulla crisi libica. In questo senso, è chiaro che Francia e Italia debbano cooperare necessariamente in Libia: perché due Paesi Nato e Ue non possono non condividere informazioni fondamentali specialmente se confinanti e se coinvolte entrambi direttamente in un conflitto e con proprie forze sul campo. Ma la divergenza strategica è del tutto evidente: Parigi non ha alcun interesse a fare in modo che Roma si prenda un ruolo di guida della transizione. E stessa cosa può dire l’Italia, visto che a nessuno, specialmente in questo governo, interessa che Macron prenda in mano la guida del conflitto.

Sotto questo profilo, sempre come riporta Repubblica, le parole di Michel Scarbonchi, “ex deputato europeo che si presenta come una sorta di ambasciatore di Haftar nella capitale francese” sono molto più realistiche: “Nessuno vuole dirlo, ma tutti sperano che il Generale prenda Tripoli e diventi l’ uomo forte capace di stabilizzare la Libia”. Anzi, lo stesso Scarbonchi rivela come oramai anche l’Italia abbia di fatto capito che l’unico con cui si può realmente interloquire è Haftar. Ma è evidente che i suoi uomini siano andati a Parigi per chiedere l’assenso alle operazioni. Mentre in Italia è venuto per garantire che non colpirà i nostri interessi.

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Il caos in Libia non significa che qualcun non stia vincendo.E tra i possibili “vincitori” di questo conflitto, c’è sicuramente la Russia di Vladimir Putin che, nella peggiore delle ipotesi, in ogni caso riuscirebbe a mantenere più di un piede in un Paese che, con la caduta di Muhammar Gheddafi, poteva anche perdere del tutto. Perché la caduta del colonnello libico non è stata solo la fine di un governo partner dell’Italia, ma anche della Russia, considerati i contratti siglati fra Mosca e Tripoli nel corso degli anni precedenti la caduta.

Con la guerra in Libia, tutto sembrava perduto per Mosca. Secondo il quotidiano il Giornale ma così non è stato. E il fatto che adesso il caos imperi nel Paese nordafricano è comunque un segnale che la sfida per Tripoli e dintorni non si è conclusa e che il Cremlino non ha mai messo la parola fine alla sua strategia per la “conquista” della Libia. In questo senso, le parole rivolte ad Agenzia Nova da Lev Dengov, direttore del gruppo di contatto russo per la Libia, sono particolarmente importanti. Il funzionario russo ha infatti affermato che il suo Paese rappresenta “la piattaforma di dialogo ideale per la soluzione pacifica del conflitto” in Libia e ha citato in particolare la figura di Ramzan Kadyrov che “opera come ponte nelle relazioni tra il mondo musulmano e Mosca”.

 

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Il sottile filo rosso che lega Libia e Federazione russa è rappresentato, come sostenuto da Dengov, da Kadyrov. Il governatore della repubblica di Cecenia, musulmano e sunnita, è un elemento essenziale per comprendere la strategia del Cremlino in Medio Oriente e Nord Africa, perché, come spiegato dal funzionario russo, “ha svolto un grande lavoro nel fondare delle relazioni con la Libia ed ha buone amicizie in Medio Oriente, negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita“. Una lista di nomi che appare essenziale per comprendere su chi verte la “simpatia” di Putin visto che sia Riad che Abu Dhabi puntano sul comandate dell’Esercito nazionale libico e anche l’Egitto, sponsor fondamentale del maresciallo di Bengasi.

 

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Per la Russia, sottolinea il Giornale avere legami con tutte le parti del conflitto significa ergersi a possibile leader della transizione del Paese nordafricano dopo la guerra civile, ma soprattutto avere un nuovo avamposto nel Mediterraneo. Proprio per questo motivo, il fatto che gli Stati Uniti abbiano fisicamente abbandonato la Libia con l’immagine di Africom che comunica l’uscita dei soldati Usa dal territorio del Paese, ha un significato molto profondo.

Di fatto, gli Stati Uniti hanno già delegato alle Nazioni Unite il compito di guidare la transizione libica. E mentre Donald Trump dimostra disinteresse nei confronti del conflitto libico, anche grazie agli errori commessi dal governo italiano cher hanno abbandonato la linea più apertamente vicina al governo statunitense, la Russia può incunearsi cercando di prendere non il controllo della situazione, ma quantomeno di diventare, ancora una volta, una potenza necessaria. Ed è questa la vera vittoria di Putin.

 

 

 

 

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