Il presidente Donald Trump nelle prossime ore riconoscerà Gerusalemme quale capitale di Israele e darà indicazione al Dipartimento di Stato di avviare l'iter per il trasferimento della ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.
Le forze di sicurezza israeliane si stanno preparando a eventuali scontri con i palestinesi a Gerusalemme est e in Cisgiordania dopo l'annuncio ufficiale del presidente americano Donald Trump in cui Gerusalemme viene riconosciuta come capitale dello Stato di Israele. Un funzionario militare ha fatto sapere che l'esercito israeliano "è pronto a una possibile escalation" incluse violente proteste. Nella notte, nella città di Betlemme, sono stati dati alle fiamme i manifesti di Trump nel corso di una manifestazione iniziata dopo la conferma da parte della Casa Bianca che Trump oggi riconoscerà Gerusalemme come capitale israeliana. Il presidente americano infatti dovrebbe annunciare oggi lo spostamento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme anche se non avverrà immediatamente. Funzionari palestinesi hanno avvertito che la mossa "ucciderà" ogni possibilità di un accordo di pace tra Israele e i palestinesi, che considerano Gerusalemme Est come la capitale del loro futuro stato.
La mossa degli Stati Uniti su Gerusalemme capitale d'Israele spostando l'ambasciata ha suscitato un gran vespaio. Forti timori espressi dall'Ue, Turchia e Lega Araba.
La rottura di un equilibrio precario ma consolidato come quello della Terra Santa, rischia di dover rimodulare il Medio Oriente e rischia, in ultima analisi, di compattare il mondo musulmano come forse mai nessuno era riuscito a fare negli ultimi anni. Ma rischia anche di isolare ancora di più gli Stati Uniti e di dare il colpo di grazia alla stessa sicurezza di Israele, che può vivere in pace soltanto cercando di vivere con un compromesso più o meno chiaro con gli Stati a maggioranza musulmana che lo circondano, così come con il popolo palestinese. La scelta unilaterale di tipica matrice trumpiana può essere quindi un’arma a doppio taglio anche per lo stesso Stato di Israele, che adesso si ritroverà ancora più isolato e probabilmente senza l’appoggio dei suoi nuovi amici del Golfo.
L'ambasciata americana in Israele non sarà spostata a Gerusalemme prima di sei mesi. Lo riportano fonti dell'amministrazione Usa, sottolineando come Donald Trump firmerà una proroga che lascerà la rappresentanza diplomatica almeno per un altro semestre a Tel Aviv.
Il mio pensiero va ora a Gerusalemme. Al riguardo, non posso tacere la mia profonda preoccupazione per la situazione che si è creata negli ultimi giorni e, nello stesso tempo, rivolgere un accorato appello affinché sia impegno di tutti rispettare lo status quo della città, in conformità con le pertinenti Risoluzioni delle Nazioni Unite". Così il Papa in udienza generale, invitando a "saggezza e prudenza, per evitare di aggiungere nuovi elementi di tensione in un panorama mondiale già convulso e segnato da tanti e crudeli conflitti".
"Gerusalemme - ha detto il Pontefice nel suo appello - è una città unica, sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani, che in essa venerano i Luoghi Santi delle rispettive religioni, ed ha una vocazione speciale alla pace". "Prego il Signore - ha concluso Francesco - che tale identità sia preservata e rafforzata a beneficio della Terra Santa, del Medio Oriente e del mondo intero e che prevalgano saggezza e prudenza, per evitare di aggiungere nuovi elementi di tensione in un panorama mondiale già convulso e segnato da tanti e crudeli conflitti".
La posizione britannica su Gerusalemme non cambia": lo status della Città Santa può essere definito solo "attraverso un accordo negoziato fra israeliani e palestinesi" e "in ultima analisi deve diventare capitale condivisa dello Stato d'Israele e d'uno Stato palestinese". Così la premier Tory, Theresa May, rispondendo oggi ai Comuni a una domanda di un deputato laburista critica sulla decisione del presidente Usa, Donald Trump, su Gerusalemme. May ha peraltro precisato che Trump non ha parlato con lei di tale decisione.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invitato i 57 Paesi membri dell'Organizzazione della cooperazione islamica (Oic) a riunirsi tra una settimana (il 13 dicembre) a Istanbul per un summit straordinario sull'attesa decisione di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Lo ha reso noto il suo portavoce, Ibrahim Kalin, spiegando che Erdogan ha avuto in queste ore contatti telefonici in merito con il suo omologo palestinese Abu Mazen e i leader di Iran, Arabia Saudita, Qatar, Tunisia, Pakistan, Indonesia e Malesia.
La mossa di Trump rischia di essere un errore strategico per la politica estera americana e, probabilmente, anche per lo stesso Stato di Israele. Nel caos generato dalle forze Usa in tutto il Medio Oriente, con la drammatica guerra in Iraq e la sconfitta politica in Siria, le ultime mosse dell’amministrazione Trump sembravano quantomeno orientate verso la creazione di un blocco tra Paesi arabi, Israele e Stati Uniti che contrastasse l’avanzata dei nuovi attori mediorientali, in particolare l’Iran, e con un occhio di riguardo anche nei confronti della Turchia, Paese che ormai cerca in ogni modo di occupare una posizione di leadership all’interno della regione. Una politica estera caotica ma che aveva uno scopo, cioè dividere il fronte musulmano, imporsi come potenza leadership del blocco delle monarchie del Golfo Persico insieme a Israele e imporsi come muro nei confronti degli eventuali avversari regionali.
Finora, le mosse Usa sono state un po "grossolane", specie in Siria, ed hanno permesso che Teheran ne prendesse vantaggio. E sono state grossolane anche con la Turchia, riuscendo a far scivolare un Paese Nato fra le braccia di Mosca dopo che con essa aveva rischiato la guerra. Tuttavia avevano sortito l’effetto di creare dei blocchi misti. Adesso, la scelta di spostare la capitale a Gerusalemme, crea problemi non irrilevanti nei rapporti degli Stati Uniti e di Israele anche con gli stessi alleati del Golfo Persico, che, pur con tutti i rapporti “amichevoli” sul fronte della sicurezza con Israele, mai potrebbero accettare lo spostamento della capitale in quella che è considerata città sacra anche per i musulmani.
Incurante delle reazioni, Trump porta avanti con la sua politica “America first”. Ha aperto una frattura con l’Onu tirandosi fuori dal patto sui migranti, dall’Unesco per i pregiudizi contro Israele su Gerusalemme e dagli accordi di Parigi contro i cambiamenti climatici. Nello stesso tempo, si distanzia dall’Unione Europea che insiste sulla tesi dei due Stati per Israele e Palestina. Ma non romperà l’alleanza con l’Arabia Saudita anti-Iran.
Il riavvicinamento USA a Israele aveva già avuto come corollario i passi indietro di Trump sull’Iran dopo la distensione e l’accordo nucleare voluti da Obama. Israele, che teme l’Iran più dell’Isis, ha esultato. Tanto più che la sconfitta del Califfato, sunnita, ha “avvicinato” gli iraniani ai confini con Israele nel Golan e ha reso più agguerriti gli Hezbollah, filo-iraniani, in Libano. La decisione di Trump approfondisce il solco con Teheran.
Tutto il mondo chiede a Trump di non farlo, anche i Paesi arabi moderati che con Israele hanno rapporti diplomatici. Anche la Giordania di Re Abdallah II. E in Europa, la Germania che dopo la Seconda guerra mondiale è tra i membri dell’Unione il più diplomaticamente vicino a Israele. Di fatto il trasloco consisterà in poca cosa. «Il consolato americano si trova già nel cuore di Gerusalemme», disse ai giornalisti” il Sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, prima della visita di Trump in Israele lo scorso maggio. “Basta cambiare la targa, insediare l’ambasciatore e spostare i servizi da Tel Aviv. Sbaglia chi vuol rendere complicata una cosa semplice”. Solo il tempo dirà se la situazione potrà precipitare o se ripartirà il negoziato.