Il mercato immobiliare langue. Ma non è morto. Si tratta solo di agganciare la ripresa che proprio in questo settore è in atto in molti altri Paesi, al traino degli Stati Uniti. Sette misure, in particolare, potrebbero essere decisive (se adottate urgentemente) allo scopo. E’ naturalmente sottinteso che obiettivo primo, comunque, deve essere l’eliminazione della smodata fiscalità introdotta dalle rendite Monti, insieme all’eliminazione della nullità dei contratti di locazione e compravendita senza l’Attestato di prestazione energetica (APE) nonché della graduazione prefettizia degli sfratti (dagli effetti sfiducia letali, così come l’introduzione del concetto di una indefinita “morosità incolpevole”).
1) RIPRISTINARE LA DEDUZIONE IRPEF DEL 15% PER I REDDITI DA LOCAZIONE
La legge di riforma del mercato del lavoro (n. 92/’12) ha previsto, a decorrere dal 2013, la riduzione dal 15% al 5% della deduzione forfettaria Irpef per i redditi da locazione. Deduzione da sempre prevista a titolo di riconoscimento delle spese a carico del proprietario che loca (imposte e tasse, manutenzione ordinaria e straordinaria, riparazione, assicurazione, amministrazione, rischio sfitto ecc.) e che fino a qualche anno fa era fissata al 25% (nonostante gli studiosi di estimo valutino intorno al 30% le spese in questione).
Il ripristino della misura del 5% – che si impone per non abbassare ulteriormente l’investimento in immobili da affittare – avrebbe, sulla base di dati del Governo, un costo di 365 milioni di euro. Peraltro, nel corso dell’esame del provvedimento in Commissione Bilancio al Senato nella scorsa legislatura, emerse che sulla base della legislazione vigente un aumento della deduzione all’8-10% non comporterebbe oneri per lo Stato.
2) ESTENDERE L’ESENZIONE IMU PER GLI IMMOBILI INVENDUTI
La previsione dell’esenzione dall’Imu per gli immobili destinati dalle imprese costruttrici alla vendita per il tempo che le imprese stesse non riescano a venderli, prevista dal decreto-legge n. 102/’13 (c.d. “decreto Imu”), richiede – per ragioni di equità e per non creare squilibri nocivi al mercato – di essere estesa anche a fattispecie analoghe che si verifichino in capo a soggetti diversi dalle imprese in questione, quali le società immobiliari di gestione o le stesse persone fisiche.
3) LIBERALIZZARE LE LOCAZIONI AD USO DIVERSO DALL’ABITATIVO
E’ indispensabile la sostituzione dell’attuale legge locativa per l’uso diverso, risalente all’equo canone e giudicata dal Presidente Monti come da liberalizzare già nel 1998.
Il maggiore problema scaturente dalla disciplina del ‘78 consiste nell’obbligo di stipulare contratti di durate inderogabilmente stabilite in periodi lunghissimi, nel corso dei quali il canone di locazione deve per legge rimanere immutato (salvo l’aggiornamento Istat): 12 anni (6+6) per attività industriali, commerciali, artigianali e di interesse turistico nonché per “agenzie di viaggio e turismo, impianti sportivi e ricreativi, aziende di soggiorno e altri organismi di promozione turistica e simili”, e 18 anni (9+9) per pensioni, trattorie, case di cura, stabilimenti balneari, oltre che per attività alberghiere e teatrali.
Occorre l’approvazione di una normativa, stimolatrice della concorrenza, che consenta di stipulare (in alternativa facoltativa alla vigente legge, che con le sue rigidità crea infatti il caro affitti ed anche lo sfitto) contratti di durata flessibile che facciano riferimento alle norme del codice civile. I locatori potrebbero così stipulare, per durate ridotte, anche contratti a canone ridotto, per venire incontro alle esigenze dei conduttori in questo periodo di crisi. Liberalizzare i canoni solo per contratti a canone altissimo (come si prospetta da qualcuno) non servirebbe a niente per le piccole strutture e ne aggraverebbe, anzi, la situazione.
4) FISSARE – PER LEGGE – AL 4 PER MILLE L’ALIQUOTA IMU PER GLI IMMOBILI LOCATI (PER LO MENO IN CASO DI CONTRATTI “CONCORDATI”)
La misura in questione avrebbe la finalità di iniziare a contrastare una vera e propria emergenza sociale. Qualora, inizialmente, fosse prevista esclusivamente per i contratti “concordati”, a canone calmierato per effetto degli Accordi fra organizzazioni dei proprietari e degli inquilini, essa avrebbe un costo che non supererebbe i 70 milioni di euro, dato dall’applicazione della nuova aliquota – rispetto a quella superiore al 9 per mille mediamente applicata per gli immobili locati – ai poco più di 200mila immobili locati con contratto “concordato” (dati Commissione Ceriani).
5) ELIMINARE LA PREVISTA TASSAZIONE IRPEF DELLE CASE NON AFFITTATE
Il disegno di legge di stabilità prevede (art. 23, commi 7 e 8) la tassazione ai fini Irpef degli immobili ad uso abitativo non locati situati nello stesso Comune nel quale si trova l’immobile adibito ad abitazione principale (escludendo quindi le case di villeggiatura).
Si tratta di una disposizione di particolare iniquità. Gli immobili in questione, infatti, sono generalmente quelli che i locatori (spesse volte piccoli proprietari) intendono concedere in locazione, senza peraltro trovare – soprattutto in questo periodo di crisi – inquilini disponibili ad occuparli. E su tali immobili improduttivi di reddito – giova ricordarlo – i locatori sono costretti, oltre che a pagare l’Imu (solitamente con aliquota massima), a sostenere anche tutti gli altri oneri propri di un bene come questo: contributi condominiali, spese di manutenzione ecc. Inoltre, lo sfitto è molte volte creato dalla legge: se i locatori, infatti stipulano contratti con canoni di locazione inferiori al 10% del valore catastale dell’immobile sono soggetti a controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.
6) SEMPLIFICARE LA CEDOLARE SECCA SUGLI AFFITTI ED AMPLIARNE L’AMBITO DI APPLICAZIONE (USO DIVERSO, INTERO TERRITORIO NAZIONALE, DEFINIZIONE DI IMPRESE)
La cedolare secca sugli affitti sta funzionando, come dimostrano i dati del Ministero dell’economia e delle finanze. Bisogna però fare di più. In particolare, è necessario introdurre misure di semplificazione della disciplina del tributo, che nelle sue regole applicative si è rivelata farraginosa e complicata, al punto da allontanare persino soggetti potenzialmente interessati a tale regime fiscale.
Inoltre, è necessario estendere l’applicazione della cedolare alle locazioni ad uso diverso dall’abitativo così come è necessario, da un lato, estendere l’applicabilità dell’aliquota del 15% a tutto il territorio nazionale (mentre ora è limitata ai Comuni ad alta tensione abitativa) e, dall’altro, prevedere una riduzione anche dell’aliquota prevista per gli altri contratti di locazione ad uso abitativo. Inoltre è indispensabile confermare legislativamente un’interpretazione già propria dell’Agenzia delle entrate, prevedendosi che non si intendono effettuate nell’esercizio di attività di impresa le locazioni per la cui amministrazione la proprietà si affidi a professionisti e/o ad associazioni sindacali alle quali sia iscritta.
7) MODIFICARE LA NORMATIVA CONDOMINIALE PER SBLOCCARE I LAVORI STRAORDINARI
L’art. 1135 del codice civile stabilisce, dopo la riforma entrata in vigore il 18 giugno 2013, che l’assemblea di condominio provvede a deliberare sulle opere di manutenzione straordinaria e sulle innovazioni, “costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori”.
Di fatto, ciò ha bloccato i lavori nei condominii, in un periodo nel quale molti condòmini faticano a pagare persino gli ordinari contributi condominiali. La soluzione a questo stato di cose può essere rinvenuta nell’introduzione di una disposizione che stabilisca che, ove i lavori vengano eseguiti sulla base di un contratto di appalto che preveda il pagamento degli stessi per stati avanzamento, il fondo possa essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti. Si renderebbero così possibili i lavori in parola, nello stesso tempo, però, sempre garantendo agli appaltatori il pagamento delle opere eseguite.
Corrado Sforza Fogliani
Presidente Confedilizia