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Mercoledì, 16 Luglio 2025

Nel segno della croce Copertina

 

Il filosofo francese Blaise Pascal (1623-1662), meditando sui peccati più gravi della storia dell'umanità, soleva ripetere con un'iperbole che l'agonia di Gesù, lungi dall'essere conclusa, si protrae fino alla fine della mondo. Ma a ben vedere la considerazione si può applicare a maggior ragione anche alle persecuzioni che le diverse membra del corpo di Cristo (che poi compongono la Chiesa militante) hanno patito nei secoli passati e patiscono tuttora. In particolare, non si può restare indifferenti di fronte al vero e proprio mare di dolore che accompagna quotidianamente, ancora nell'Anno Domini 2014, la vita dei seguaci di Gesù in Pakistan: tra gli altri, lo documenta efficacemente l'ultimo breve lavoro pubblicato dall'opera di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) tutto dedicato alla via crucis contemporanea dei cristiani nella grande Repubblica Islamica al confine con l'Afghanistan (cfr. Aiuto alla Chiesa che Soffre (a cura di), Nel segno della croce. Pakistan, ACS, Roma 2013, Pp. 48). Il reportage, esito di un recente viaggio in Pakistan di una delegazione dell'ACS, presenta diversi racconti e testimonianze che, se non fossero suffragate dalle foto che li accompagnano, a stento si riuscirebbero a credere. Per fare comprendere ai neofiti di che cosa stiamo parlando esattamente, gli autori forniscono una serie di dati impressionanti: ad esempio si pensi che, nel solo 2010, secondo le stime della Commissione pakistana per i diritti civili “sono stati uccisi 237 attivisti per i diritti umani impegnati in politica [ma] in tutto, sono 1969 le persone che hanno perso la vita in modo violento. Dal 2005, queste cifre sono quasi raddoppiate” (pag. 4). Nella Repubblica, che attualmente è composta da 175 milioni di musulmani, vivono anche più di un milione di cattolici, tra cui quell'Asia Bibi che da cinque anni si trova ingiustamente in carcere ed è ancora in attesa di giudizio. Ma la vicenda della povera Bibi non è che la punta estrema di un martirio impressionante che sui mass-media in Occidente arriva raramente. Lo testimonia con commozione una religiosa italiana, suor Daniela Baronchelli delle Figlie di San Paolo, che nella popolosa città di Karachi (18 milioni di abitanti) gestisce una libreria cattolica rischiando la propria pelle giorno dopo giorno: in quanto cristiana - in una cultura in cui cresce in modo esponenziale il fondamentalismo islamista che non tollera la presenza di altri credi - e anche in quanto donna - in una società civile in cui alle donne in generale non viene riconosciuto uno status pubblico. Descrivendo la condizione sociale dei cristiani, Baronchelli dice che “sono sempre stati poveri, ma ora si parla proprio di miseria e sebbene siano molto forti nella fede, in tanti sono stanchi. Le madri sono senza lavoro, i padri sono stati licenziati dalle fabbriche. Tante persone vengono uccise senza motivo. Solo Dio sa qual é il futuro di questo Pakistan” (pag. 6). Insomma, “le persone qui convivono con la paura che in qualsiasi istante possa succedere qualcosa e con la consapevolezza che la vita é legata a un filo” (pag. 7).

Vengono poi ricordate le persone che dalla fondazione della Repubblica si sono battute per dare dignità ai cristiani, come il cardinale Joseph Cordeiro (1918-1994), a lungo arcivescovo di Karachi e primo vescovo pakistano della storia, grazie al quale sono sorti diversi centri di catechesi, scuole domenicali di studio della Bibbia e formazione e - anche grazie a lui - oggi sono più di 1000 gli insegnanti che domenica dopo domenica svolgono attività di evangelizzazione per avvicinare a Cristo la cultura locale.

Sempre a Karachi si trova poi un seminario che prepara al ministero i futuri sacerdoti: circondato da moschee e madrasse, soffocato dalle grida dei muezzin all'alba e dai sermoni dei mullah al venerdì, l'area è situata in un territorio letteralmente minato eppure i ragazzi che lo frequentano (ventisette attualmente) non per questo sono disposti ad abbandonare la loro vocazione: ben sapendo che potrebbero essere rapiti o anche uccisi da un giorno all'altro continuano a studiare e a prepararsi per il giorno dell'ordinazione attingendo forza dagli scritti dei Padri della Chiesa dove la persecuzione e il martirio non sono leggende di un tempo remoto ma cronache diffuse e ricorrenti. E tuttavia non basta: ancora peggiore è la situazione nella provincia del Punjab dove - sempre ad opera di estremisti islamici - dal 2005 ad oggi sono stati uccisi 22 tra insegnanti e catechisti cattolici. Di fatto, “nessuno è al sicuro in questa Provincia. Ci racconta [un sacerdote] che «tutti gli edifici, compresi quelli dove abita il vescovo, hanno sul retro una seconda uscita per scappare in caso di emergenza e non sono, comunque, sicuri». Ci sono posti di blocco ovunque e in alcuni quartieri della città si può arrivare solo con un permesso speciale da richiedere giorni prima. Anche il vescovo ne ha bisogno ed essendo la cattedrale intitolata a Nostra Signora del osario, situata in uno di quei quartieri, i fedeli molto spesso non possono recarsi a Messa in quanto sprovvisti del permesso” (pag. 18). A tutto questo va aggiunta la condizione di perdurante povertà che affligge storicamente la comunità cristiana: di solito i lavori che riescono ad avere sono quelli per fare “i netturbini o puliscono le fogne nei quartieri peggiori” (pag. 21), oltre a un 'marchio sociale d'infamia' che resiste e non li abbandona mai. Ancora oggi infatti pubblicamente si fa fatica ad accettare che un pakistano non sia islamico e persino i sacerdoti e i vescovi vengono invitati a convertirsi...all'Islam! ACS racconta poi la significativa vicenda di un frate francescano, padre Victor John, che ha compiuto da poco i 25 anni di sacerdozio e che nel 2001 - dopo avere difeso il terreno di una scuola cattolica da un'occupazione - è stato minacciato dall'ennesimo gruppo islamista radicale con minacce come questa: “se provi a celebrare la Messa ti facciamo saltare in aria con una bomba!” (pag. 23). Da allora esce sotto scorta ma non ha diminuito il suo impegno apostolico, anzi è lui stesso a raccontare l'opera educativa e di dialogo interconfessionale che la Chiesa promuove attivamente nelle scuole del Paese, a dispetto di quanto accade invece nelle strutture scolastiche statali in cui “gli studenti e gli insegnanti non islamici vengono discriminati” (cit. a pag. 23). Infine, non va dimenticata la scottante questione della cosiddetta 'legge anti-blasfemia' approvata nel 1986 che stabilisce il carcere a vita per la profanazione del Corano e la pena di morte per un'ingiuria rivolta a Maometto: “é sufficiente un semplice sospetto o un'affermazione incauta, per rinchiudere una persona dietro le sbarre. L'onere della prova funziona al contrario: non é l'accusatore che deve dimostrare la colpevolezza dell'imputato, ma è l'accusato che deve dimostrare la sua innocenza. Peraltro, chi accusa non pronuncerà mai le vere o presunte offese inferte al Corano o all'Islam, perchè diventerebbe a sua volta perseguibile del reato di blasfemia. E ' un mecanismo contorto, aggravato dal fatto che nella pratica non viene fatta alcuna distinzione tra volontarietà o involontarietà del reato: se un bambino o una persona analfabeta gettassero nell'immondizia un vecchio giornale sul quale casualmente é scritto anche un solo versetto del Corano o se una persona non in grado di intendere e di volere, affermasse di essere lui stesso Maometto, queste azioni verrebbero considerate, in ogni caso, compiute intenzionalmente” (pag. 29). Né basta l'assoluzione definitiva dei giudici per salvarsi la vita perchè tra il 1986 e il 2010 “sono state ben 34 le persone linciate dopo sentenze di assoluzione” (pag. 29). Invano Shahbaz Bhatti, il compianto Ministro per le minoranze assassinato nel marzo del 2011, si era speso per combattere questa barbarie giuridica e civile: il suo lucido testamento spirituale, scritto qualche tempo prima, resta però tra tutti ancora oggi il messaggio più toccante, e insieme di speranza, perchè testimone di una sconvolgente santità ordinaria, per la martorita comunità cristiana pakistana: “Mi è stato chiesto di porre fine a questa mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, perfino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta é sempre stata la stessa. Non voglio popolarità e non voglio potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, la mia personalità, le mie azioni, parlino per me, dicendo che sto seguendo Gesù. In me é un desiderio così forte che mi considererei un privilegiato qualora, in questo mio impegno, Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire [...] Finchè avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesà e questa povera sofferente umanità nei cristiani, nei bisognosi e nei poveri” (pag. 45).

La pubblicazione si può richiedere all'ufficio stampa dell'Opera a questo indirizzo e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Copertina del saggio di Malnati e Roncalli

 

A cavallo tra il cinquantesimo anniversario dell'enciclica di Papa Giovanni XXIII e la sua imminente canonizzazione l'Osservatorio Internazionale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa pubblica per le edizioni Cantagalli il tredicesimo quaderno della collana di studi e approfondimenti tematici: lo firmano un teologo e un giornalista che rievocano brevemente l'eredità del Magistero di Papa Roncalli alla luce della sua ultima lettera enciclica, la Pacem in terris appunto (E. Malnati – M. Roncalli, Pacem in terris. L'ultimo dono di Giovanni XXXIII, Edizioni Cantagalli, Siena 2013, Pp. 192, Euro 12,00). La prefazione è del Presidente dell'Osservatorio, monsignor Giampaolo Crepaldi, che - sgombrando opportunamente il campo da approcci mondani (sia nel senso di 'mondo', sia nel senso di 'moda') oggi più che mai in voga - sottolinea l'attualità del documento pontificio alla luce dell'ermeneutica della riforma nella continuità evidenziando in particolar modo il fatto che “le 'novità' delle encicliche non derivano, come normalmente si pensa, dai fatti nuovi che emergono alla ribalta della storia in quel tempo, ma dalla eterna giovinezza del Vangelo. Altrimenti le encicliche avrebbero lo stesso valore di una indagine sociologica, oppure di una rassegna di cronaca giornalistica” (pag. 8). D'altronde, a leggerla con la dovuta attenzione, l'enciclica fin dall'inizio è saldamente ancorata al concetto di 'ordine sociale' che in ultima analisi fa riferimento al piano di Dio creatore e alla sua sapienza infinita. E' un ordine che di per sé ha a che fare con una gerarchia di valori predeterminati e con una natura universale che ci precede. Infatti quando poi affronta il tema – politicamente scorrettissimo – dell'autorità, il 'Papa buono' rimanda proprio al fatto che anch'essa viene da Dio e, dunque, “chi esercita l'autorità lo fa come partecipazione all'autorità di Dio” (pag. 12): un discorso che vale pure per le odierne democrazie sempre più tentate dalla logica efficientistica dell'astratto proceduralismo burocratico autoreferenziale e fine a se stesso. Infine, in merito al 'bene comune', categoria fondamentale della Dottrina sociale, esso – scriveva Giovanni XXIII cinquant'anni or sono - “va attuato in modo non solo da non porre ostacoli, ma da servire altresì al raggiungimento del fine ultraterreno ed eterno” (nr. 35) della collettività, come a dire che la qualità di un ordinamento si vede anche dagli ostacoli – o meno – che esso frappone alla santificazione pratica delle singole anime dei propri consociati.

Più nello specifico, poi, la cornice storica e teologica è approfondita dai contributi dei due studiosi che sottolineano anche le parti del documento giovanneo successivamente riprese dal Compendio della Dottrina sociale della Chiesa pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel 2004, in particolare riguardo alla libertà di educazione e al diritto naturale (soprattutto Malnati). Non a caso, d'altronde, l'enciclica stessa all'inizio spiegava che la pace fra gli uomini sarebbe stata possibile solo “nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà”, richiamate esattamente in quest'ordine, il che vuol dire che prima di tutto c'è quindi il primato della verità che rimanda al Sommo Bene incarnato da Dio e che senza questa centralità della sua Presenza ogni piano di pacificazione sarà da considerarsi destinato inevitabilmente a fallire. A seguire, Roncalli ripercorre le varie tappe dell'elaborata scrittura dell'enciclica - mentre Giovanni XXIII era già fortemente debilitato dalla grave malattia, un cancro allo stomaco, che di lì a poco l'avrebbe portato alla morte - ricordando il lavoro svolto da monsignor Pietro Pavan (1903-1994), allora docente alla Pontificia Università Lateranense, di cui sarà poi rettore (prima di essere creato cardinale), e in particolare l'uso innovativo che il Papa in quegli anni farà dei moderni strumenti di comunicazione di massa, come la televisione: sarà proprio in diretta televisiva RAI, infatti, il 9 aprile 1963, che il Pontefice firmerà l'enciclica accompagnondola con queste significative parole: “Sulla fronte dell'Enciclica batte la luce della divina rivelazione che dà la sostanza viva del pensiero. Ma le linee dottrinali scaturiscono altresì da esigenze intima della natura umana, e rientrano per lo più nella sfera del diritto naturale. Ciò spiega una innovazione propria di questo documento, indirizzato non solo all'Episcopato della Chiesa universale, al Clero e ai fedeli di tutto il mondo, ma anche 'a tutti gli uomini di biona volontà'. La pace universale è un bene che interessa tutti indistintamente; a tutti quindi abbiamo aperto l'animo Nostro” (cit. a pag. 96).

Suor Laura Girotto

 

Il Centro Studi “Ignazio Silone” ha annunciato che la Giuria del Premio internazionale intitolato al grande scrittore abruzzese Ignazio Silone (1900-1978), sarà conferitoil 5 aprile prossimo a Suor Laura Girotto, fondatrice della missione Kidane Mehret di Adwa, alle pendici delle montagne etiopiche.

Il Premio, giunto alla sua XIX edizione, vuole quest’anno gratificare, in piena rispondenza all’ideale cristiano siloniano,l’eroica figura della missionaria salesiana autrice, con il giornalista Niccolò d’Aquino, del volumeLa tenda blu. In Etiopia con le armi della solidarietà (Paoline,Milano 2011, pp. 156), i cui proventi sono completamente devoluti all’Associazione “Amici di Adwa Onlus” che sostiene la missione di Zidane Meheret (http://www.amicidiadwa.org/).

Suor Girotto, ricevuta la notizia, ha commentato: “Con grande onore e gratitudine accolgo questo importante Premio, assegnato alla mia persona ma che idealmente voglio condividere con gli innumerevoli amici che da anni collaborano con la missione e che hanno realizzato un progetto che all’inizio sembrava impossibile”, ed ha proseguito “Occorre un enorme coraggio per essere aperti alla speranza. Forse è richiesto un pizzico di follia, perché sperare è credere nella possibilità dell’impossibile”.Evidente il richiamo al magistero di Papa Francesco ed alla sua bellissima frase “Non lasciamoci rubare la speranza!”.

La cerimonia di consegna del PremioSilone si svolgerà a Pescina (AQ), città natale dello scrittore, il prossimo 5 aprile 2014, a partire dalle ore 10, presso il complesso monumentale trecentesco del Teatro San Francesco, nel quale hanno sede il Centro studi ed il Museo Ignazio Silone, alla presenza dell’On. Giovanni Chiodi, Presidente della Giunta della Regione Abruzzo.

Il giorno precedente, venerdì 4 aprile, alle ore 18, nella Sala Conferenze dello stesso Teatro S. Francesco, si terrà un approfondimento sulla figura dell’autore di Fontamara, dal titolo “Gli strani incontri diSilone”. Interverranno il giornalista e scrittore Angelo De Nicola, con una relazione dal titolo “Ignazio Silone e Celestino V” ed, il saggista e collaboratore del Corriere del sud Giuseppe Brienza, che parlerà delle affinità fra “Ignazio Silone e Don Lorenzo Milani”.

nord e sud

 

Quando si parla di Sud, c’è un’insopprimibile sensazione di dejà-vu, di già detto e ridetto. A volte, si insinua purtroppo una certa rimozione collettiva quando si parla di Mezzogiorno, di Meridione o peggio ancora di “questione meridionale”. Come se non ci fosse più niente da aggiungere, da sapere, da capire. A questo, forse ha contribuito una certa letteratura, un’overdose di notizie, dati, informazioni, libri, saggi, articoli, convegni, che per oltre mezzo secolo hanno imperversato sull’opinione pubblica italiana. Cosicché alla fine la questione è diventata cronica, incurabile, irrisolvibile. Il libro di Giovanni Valentini, “Brutti, sporchi e cattivi”, Longanesi editore, fa capire che è un atteggiamento diffuso anche tra i meridionali, residenti o immigrati, inclini per natura a un certo fatalismo, misto all’indolenza e alla rassegnazione. Tra l’altro,Valentini vede tra“i ‘sudisti’ del Nord, una tendenza alla mimetizzazione, una caduta di orgoglio o addirittura una rinuncia all’identità”. E magari sono quelli che hanno votato Lega, quelli che dicono che anche noi meridionali abbiamo le nostre colpe e che quindi è opportuno che ci sforziamo di crescere da soli, di emanciparci. Pertanto non possiamo sempre lamentarci, ad aspettare che la manna arrivi dal cielo.

Non è chiaro però se Valentini critichi questo atteggiamento del meridionale che vive al Nord, come fa Pino Aprile. Tuttavia scrive che gli“sembra di assistere a una sorta di ‘guerra dei terroni’: Sud contro Sud. Molti sentono ancora come un’ingiustizia il fatto di essere stati costretti ad emigrare, sopportando stenti e sacrifici, rispetto a chi invece ha beneficiato di quell’assistenzialismo che la Lega denuncia a gran voce”. Peraltro secondo Valentini, “tuttora è radicata e diffusa la convinzione che ‘anche un disoccupato del Sud sta meglio di un lavoratore del Nord’, perché riesce sempre ad arrangiarsi in qualche modo con il lavoro nero, la campagna, la pensione – spesso falsa – d’invalidità”. Non solo ma questa convinzione si rafforza ogni volta che i “sudisti del Nord”, o i loro figli e nipoti, vanno giù a Natale o in vacanza d’Estate, perché vedono gli “sprechi, i privilegi, le ingiustizie a favore dei loro conterranei”.

Certo forse da qualche anno tra spending review e crisi economica in atto qualcosa sta cambiando, ma molto ancora c’è da fare. Del resto, qualcosa vorrà dire“se il dissesto del Paese è un problema tutto meridionale. Si trovano prevalentemente al Sud i Comuni in bancarotta (353 su 445, pari al 79%), incapaci cioè di far fronte ai debiti, di finanziare ed erogare servizi alla popolazione. E risiedono per la maggior parte nel mezzogiorno i cittadini italiani che vivono – o meglio, sopravvivono – in queste realtà: tre milioni e 170mila ‘terroni’, pari all’84% del totale”. Per la precisione i cittadini più colpiti dai loro Comuni disastrati, si trovano in Campania. “E’ una fotografia davvero impietosa”, che Valentini riprende dal primo Rapporto annuale della Svimez sulla finanza dei Comuni italiani, diffuso a fine marzo 2012. Tra l’altro dalla stessa fonte, risulta clamorosamente che “il Sud paga di tasse lo 0,38% di Pil in più del Centro-Nord”, in pratica, sembra che la pressione fiscale è più alta nelle regioni più povere.

Il libro tocca diversi temi, i soliti, quelli che poi contribuiscono a tracciare la catastrofe del meridione. Affronta la questione dell’anti-Stato: le varie mafie che dominano il territorio, l’intreccio perverso fra attività illecite e attività di tipo imprenditoriale, finanziario, speculativo. E’ la “Mafia Spa”, una specie di multinazionale o una holding del crimine, ramificata e strutturata sul territorio, con una gerarchia interna e un organigramma operativo. “Una grande azienda, con un fatturato in ‘nero’ che – secondo Confesercenti- si aggira intorno ai 140 miliardi di euro all’anno, un utile superiore ai 100 e circa 65 di liquidità che ne fanno ‘la prima banca d’Italia’”. Poi accenna ai “forconi”, “la jacquerie siciliana”, la gran massa di disperati, in parte giovani senza futuro e senza orizzonte, un problema da non ignorare, anche perché potrebbe essere “una base potenziale di reclutamento per la criminalità organizzata”.

Il testo del giornalista di Repubblica, non poteva ignorare la complessa questione della malasanità, degli ospedali meridionali, la grande industria dell’abusivismo.

Lo scempio dei beni artistici e culturali nel territorio meridionale. E’cronaca di questi giorni come a Pompei, il“cuore del sito archeologico più importante del pianeta”, ogni giorno cade qualche pezzo e non si fa nulla per arrestare questa lenta devastazione. Valentini evidenzia come“(…)il degrado di Pompei - insieme a quello di altri monumenti, castelli, chiese e palazzi storici disseminati nella bassa Italia - è uno scandalo, un’offesa al patrimonio dell’umanità, un caso di malcostume e inciviltà che sfregia la storia, la cultura e l’immagine del Mezzogiorno. E lo danneggia di conseguenza sul piano mediatico, turistico e quindi economico. Una sorta di campagna promozionale al contrario, in negativo, per scoraggiare, respingere, mettere in fuga i visitatori italiani e stranieri”.

Su questo argomento, un ottimo lavoro di ricerca e di inventario è stato fatto qualche anno fa da Stella e Rizzo, con “Vandali.L’assalto alle bellezze d’Italia”, uno studio che dovrò affrontare prima o poi.

Ma il tema che tra i tanti merita attenzione, è quello dove Valentini affronta credo la questione più importante: “Lo tsunami demografico”; certo la denatalità colpisce tutto il Paese, ma pare che le regioni meridionali sono colpite maggiormente. “Quello che, da qui al 2050, dovrebbe abbattersi metaforicamente sulle nostre regioni meridionali è proprio uno ‘tsunami demografico’, lo scrive il vicedirettore dello Svimez Luca Bianchi. “Lo scenario è effettivamente apocalittico. Il Sud è destinato a perdere circa due milioni e mezzo di giovani, per calo della natalità o perché costretti a emigrare al Nord non per scelta o preferenza, ma per necessità: cioè per cercare lavoro e sopravvivere”. Valentini è perfetto nell’analisi, però dovrebbe fare autocritica insieme al suo giornale, che è stato in questi decenni all’avanguardia per scardinare la famiglia tradizionale, attraverso una cultura abortista e pansessuali sta.

Secondo i dati riportati da Valentini, già il Nord sorpassa il Sud per numero medio di figli per donna, il Sud a sua volta sorpasserà il Nord quanto al numero degli ultraottantenni. Pertanto secondo Valentini, “il Mezzogiorno, da area giovane e ricca di menti e di braccia, nel corso del prossimo quarantennio rischia di trasformarsi così in un ospizio virtuale: un’area spopolata, anziana ed economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese, a sua volta progressivamente invecchiato”. E’ un dato estremamente vero che ognuno può verificare guardandosi intorno, specialmente in quei piccoli centri collinari del nostro Sud. Sabato scorso in un convegno a Roma, Alleanza Cattolica ha sostenuto che tra le cause della crisi economica, non c’è sola la delocalizzazione, il deficit e il debito (le tre D), ma anche la demografia. Quindi occorre fare una forte politica per la famiglia e quindi per le nascite.

Il libro parla della fuga dei cervelli, ma soprattutto delle donne, che a causa della diffusa inattività, compromette la loro condizione esistenziale e la loro stessa dignità. E se le donne del Sud rispetto ai maschi riescono a laurearsi in numero maggiore, questo risultato porta però alla non occupazione delle stesse, che sono costrette ad emigrare in massa, in pratica espulse o esiliate dal Mezzogiorno. Gli studiosi l’hanno chiamata: ‘donne in fuga’, in pratica, una generazione di donne, “che spesso prendono in anticipo la via del Nord, già al momento della scelta universitaria o subito dopo la laurea”. So di che cosa sto parlando avendo in famiglia proprio due donne che hanno fatto questa scelta.

 

Pio XII sulla copertina del TIME

 

Mentre il processo di beatificazione – con non poche difficoltà – prosegue nonostante tutto il suo complesso iter, il Comitato Papa Pacelli, presieduto dall’avvocato Emilio Artiglieri, ha organizzato a Roma, presso la Pontificia Università Lateranense, l’ormai consueto convegno annuale (era questa la terza edizione) sull’ultimo Pontefice romano che la Chiesa ha avuto, Pio XII appunto. Il tema scelto per l’occasione è statoquantomai significativo: “Pio XII: il Papa della carità”. Si tratta in effetti di una delle dimensioni meno studiate in assoluto e quasi volutamente trascurate dei diciannove lunghi anni (1939-1958) del pontificato del Venerabile. A parlarne, in occasione dell’uscita della piccola biografia divulgativa per il grande pubblico presentata nella serata (cfr. E. Artiglieri, Pio XII. Il Papa della carità, Edizioni Elledici – Velar, Bergamo, Pp. 48, Euro 3,50), sono intervenuti – tra gli altri – il rettore dell’ateneo, monsignor Enrico dal Covolo, il cardinale JosèSaraiva Martins, già prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, il filosofo Antonio Livi e il professor Giulio Alfano, docente di filosofia politica nella stessa università, mentre monsignor Nicola Bux – consultore presso la Congregazione per le Cause dei Santi – non è potuto intervenire per un contrattempo dell’ultima ora. A prendere la parola per primo è stato il cardinale Saraiva Martins che ha definito la biografia di Artiglieri un’opera “vivace e appassionata” ma anche “originale”, frutto di un lavoro di studio e di ricerca che si è protratto per anni avendo modo di vagliare le fonti più diverse e di confutare i vari pamphlet polemici e di parte che si sono susseguiti negli ultimi tempi. Soprattutto, la biografia mette in luce tutta la straordinaria grandezza morale di Papa Pacelli (“il più grande dei nostri tempi”) presentando materiale fotografico e documentale che illustra quanto Pio XII si prodigasse per recare conforto ai tanti perseguitati di allora (ed erano tanti), credenti e non credenti. Lo ha evidenziato anche il professor Basti di Genova che ha ricordato come la carità di Pacelli non conoscesse confini: era carità materiale e intellettuale insieme, che passava per la vita vissuta e l’esperienza concreta oltre che per le parole (già da piccolo non a caso era stato profondamente segnato dall’amicizia ‘fraterna’ con un ragazzo ebreo, suo compagno di classe, figlio di un rabbino, Guido Aronne Mendes (1876-1965) che lo ricorderà sempre con particolare affetto). Basti ha poi ricordato la spiccata sensibilità mariana di Pacelli che si era formata non solo a livello colto di studio ma anche popolarmente coltivando un rapporto tutto particolare con numerose effigi mariane di Roma (dalla basilica di Santa Maria Maggiore, che ospita l’icona della Vergine come ‘Salus Popoli Romani’ alla chiesa del Santissimo Nome di Gesù, che custodisce l’immagine della Madonna della Strada): è in quest’ottica di radicata e sincera devozione filiale che va infine letta anche la definizione solenne del quinto dogmamariano, quello dell’Assunzione, che egli stesso proclamerà nel 1950.

A seguire, è intervenuto quindi padre Marc Lindeijer, assistente postulatore generale della Compagnia di Gesù, che ha tratteggiato sinteticamente – citando numerose testimonianze inedite di osservatori contemporanei, compresa la sua storica segretaria, la religiosa tedesca PascalinaLehnert (1894-1983) – la carità spirituale del pontefice romano passando in rassegna una per una ognuna delle sette opere di misericordia spirituale ricordate dal Catechismo della Chiesa Cattolica e la loro pratica nella vita di Pacelli. Ma non poteva mancare, ovviamente, un riferimento anche alla continuamente citata ‘questione ebraica’, ovvero il rapporto che Pio XII tenne verso gli ebrei perseguitati durante la seconda fase della Guerra Mondiale, seguita all’occupazione tedesca di Roma (settembre 1943) e alle successive deportazioni di massa verso i campi di concentramento nazisti:ne ha trattato lo studioso olandese DominiekOversteyns in una dettagliatissima relazione dal titolo “La carità di Pio XII verso gli Ebrei perseguitati a Roma: parlano i fatti e le testimonianze”. Facendo riferimento anche qui a numerosi racconti riportati direttamente dai protagonisti di quei giorni,Oversteyns ha spiegato che Pio XII aiutò in tutto più di 6.000 ebrei romani (su un totale di 9.000) garantendone – in vario modo e con vari mezzi – la vita in clandestinità o la fuga. Per questo scopo furono predisposti diciotto ricoveri in Vaticano e altri quarantaquattro nei vari collegi e istituti pontifici disseminati nell’area della Capitale, senza contare il capillare coinvolgimento delle case religiose (6300 in tutto). Il Papa (che peraltro aveva ospitato perseguitati in Vaticano anche prima di quei giorni) era infatti convinto che la soluzione più opportuna fosse quella di accogliere piccoli gruppi in tanti luoghi diversi e – visto il gran numero di richieste – che i monasteri di clausura, i conventi e le case religiose in genere fossero più sicuri dell’area interna del Vaticano in cui il via-vai in quei mesi fu a dir poco frenetico. A dispetto delle polemiche postume, questa scelta strategica si rivelò infine decisiva per salvare un gran numero di vite e fu testimoniata dagli stessi ebrei della comunità romana che resero omaggio a Pacelli all’indomani della sua morte a Castel Gandolfo (9 ottobre 1958).

A conclusione della serata, è intervenuto infine il professor Alfano che ha ricordato al pubblico un fatto clamoroso che pure quasi mai viene ricordato dalla storiografia contemporanea (a parte qualche eccezione come il recente lavoro di Luciano Garibaldi, cfr. L. Garibaldi, O la croce o la svastica. La vera storia dei rapporti tra la Chiesa e il nazismo, Lindau, Torino 2009): la famosa ‘Operazione Rabat’, ovvero il piano segreto di Hitler per far rapire il Pontefice (!) che avrebbe dovuto distruggere definitivamente la resistenza antinazista della Chiesa a Roma, che stava per essere messo in atto (manco pocòin effetti e in Vaticano si studiavano già le contromosse) e che fu confermato da Karl Wolff (1900-1984) in persona, il Comandante supremo delle SS. A chi è intellettualmente onesto,dovrebbe bastare anche solo questo per mettere– almeno si spera – finalmente la parola ‘fine’ sulla propaganda che mira a screditare l’immagine di Pacelli per scelte, anche politiche, di libertà e di rara coerenza (come il coinvolgimento nella nascita e lo sviluppo dei Comitati Civici di Luigi Gedda (1902-2000) e la successiva battaglia a tutto campo per le drammatiche elezioni nazionali del 1948 in cui il Fronte Popolare rischiava davvero di sconfiggere la DC portando l’orizzonte geopolitico dell’Italia verso Mosca). Infine, un dato significativo di costume, considerato che Pio XII fu un grande estimatore dei moderni mezzi di comunicazione di massa (il primo Papa a servirsene per la catechesi e la predicazione del suo Magistero di fatto fu lui). L’appuntamento dell’Angelus domenicale, diventato ormai consuetudine, tanto per la tv quanto per i fedeli cattolici di tutto il mondo, venne ideato proprio di lui, su suggerimento dello stesso Gedda, nel 1954. Doveva essere una benedizione, un semplice saluto del Papa alla numerosa folla accorsanella piazza. Ma sarebbe stato troppo poco e, comunque, allora non si usava. Il presidente dell’Azione Cattolica si sentì di suggerire: “Santità, reciti l’Angelus!”.E così nacque la preghiera in mondovisione. Per chi volesse approfondire ulteriormente, i testi delle varie relazioni della giornata sono stati pubblicati al seguente sito: http://www.papapioxii.it/.

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