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Stefano Marchi, autore di una monografia digitale multilingue

Basterebbe questo dettaglio per spiegare quanto sia stata piena la vita personale e professionale di uno dei grandi maestri dell'architettura mondiale. Brasiliano, comunista convinto, costretto all'esilio in Europa negli anni della dittatura militare nel suo paese, in rapporti stretti con Le Corbusier che considerava il suo maestro, Niemeyer era convinto che l'architettura non cambia le cose ma contribuisce al cambiamento. In patria ha firmato opere entrate nei libri di storia della progettazione e nel patrimonio dell'umanità, dall'invenzione di Brasilia con il suo maestro Lùcio Costa agli edifici istituzionali, cattedrali e chiese, musei, biblioteche, sedi di partito, residenze pubbliche e private. Coinvolto con altri colleghi alla realizzazione del Palazzo di Vetro sede dell'Onu a New York, ha firmato all'estero capolavori che hanno fatto scuola. In Italia, tra i suoi interventi più noti, ha realizzato la sede della Mondadori editore a Segrate e l'auditorium di Ravello. Walter Gropius un giorno gli fece notare di essersi costruito una casa bella ma impossibile da industrializzare, ma l'osservazione del fondatore del Bauhaus, più che una critica, aveva còlto il principio-guida di Nemeyier: la non riproducibilità della sua opera, al bando la ripetitività, ogni lavoro non doveva somigliare a un altro.

A tratteggiare il geniale "scultore di monumenti", nato a Rio de Janeiro nel 1907, è ora la monografia digitale in sei lingue "L'impronta di Oscar Niemeyer in Brasile", alla quale Stefano Marchi ha lavorato intervistando tre grandi colleghi che lo hanno conosciuto, Massimiliano Fuksas, Jacques Gourvénec e Eduardo Souto de Moura. La pubblicazione, con un ricco apparato di foto, è edita da TÀ POLITIKÁ in occasione del 10° anniversario della morte di Nemeyer, ed è disponibile dal 3 dicembre sul sito web di Tà Politikà, dove potrà essere letta, scaricata e stampata gratis.

I racconti raccolti dal giornalista italiano restituiscono il profilo di un uomo ancorato alle sue abitudini. Lavorava per lo più di mattina, riservando il pomeriggio all'incontro con gli amici, alle chiacchiere al bar, a cantare, fumare il sigaro.

Pensava a un progetto, lo scriveva sulla carta e poi lasciava che i collaboratori si occupassero della messa a punto. Era questo suo modo ad affascinare Fuksas. ''Il mio sogno - dice l'architetto italiano - sarebbe quello di fare come lui: passare alcuni disegni a qualcuno capace e appassionato per realizzarli, per costruire". I suoi edifici avevano la capacità di "entrare in simbiosi con il paesaggio. Niemeyer riusciva a trasformare la materia stessa in paesaggio".
Jacques Gourvénec, architetto francese che lavorò a lungo con lui nel suo studio a Rio de Janeiro, di Niemeyer mette in luce la grande libertà nell' uso del cemento armato e delle curve.
 Abile a trasformare i committenti in mecenati, era un architetto costoso ma l'aspetto economico non lo interessava, contava solo il risultato; allo stesso tempo era attento a non chiedere compensi nel caso di lavori nelle favelas. "Faceva la cose per unire le persone - osserva -Gourvénec - . Si può dire che la sua era un'architettura di benevolenza. Teneva conto anche del più piccolo dettaglio affinché le persone stessero bene nei suoi edifici". Il portoghese Eduardo Souto de Moura, vincitore nel 2012 del premio Pritzker, equivalente al Nobel dell'Architettura, riconosce a Niemeyer il merito di aver portato in America Latina il Movimento Moderno come era stato pensato, ma non realizzato, nell'Europa tra le due guerre. "Io penso che sia un genio e non può essere copiato. C'è gente che non ha capito il suo messaggio politico, sociale e artistico, e copiando fa dei pasticci".

Tà Politiká è un’editrice italiana, fondata nel 2005. Il suo proposito è di favorire, in modo concreto e rispettoso, l’informazione, la cognizione di causa, la capacità critica, la cultura della democrazia e del diritto, la responsabilità e la convivenza civile, anche in un ambito internazionale. Un altro obiettivo di questa editrice è di contribuire alla tutela e alla valorizzazione delle lingue e delle culture, come strumenti indispensabili di una società civile, democratica, plurale e non conflittuale, sia in un contesto nazionale che in quello globale.

Fondatore di Tà Politiká è Stefano Marchi, giornalista italiano nato nel 1970, con un’esperienza internazionale di 35 anni. Dal 2006 lavora per la stampa spagnola. È stato corrispondente a Bruxelles (tre volte), Washington DC e Milano, per testate di Italia o Spagna. Ha anche svolto a lungo il ruolo di inviato, in particolare in Europa, Medio Oriente, Nordafrica e nelle Americhe.
È specializzato in politica internazionale, ma ha anche un’ampia e profonda esperienza su temi di economia e finanza. Ha realizzato decine di interviste con personalità della politica, della diplomazia, delle Istituzioni internazionali, dell’economia, della finanza, della scienza, della cultura e delle religioni, in diversi continenti.

È stato testimone, come giornalista, degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, nonché delle cosiddette Primavere Arabe del 2011, dei negoziati di pace per la Bosnia Erzegovina (1994-95) e per la Siria (2014-16), così come delle trattative per l’accordo nucleare JCPOA riguardante l’Iran (2013-15). Ha seguito da vicino e per molti anni l’Unione Europea, la NATO e la Svizzera. Ha assistito a decine di vertici internazionali. Inoltre, presta un’attenzione speciale e costante alle attività dell’ONU. Si esprime in nove lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo, tedesco, arabo, greco, portoghese e nederlandese. Nel 2005 è stato autore del saggio L’Italia sia desta!, sull’economia e sulla politica italiane, edito da Tà Politiká.

 

Fonti Ansa e Ta Politika

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