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"Alla luce del sole", un film proiettato alla biblioteca "Frassati". Gli studenti si cimentano in testi letterari

 

Crotone - "Fuori dal solito inferno"
Quando vidi per la prima volta Don Puglisi, ero a scuola, il solito inferno...entro’ nell’aula e nessuno se ne accorse fin quando non sbatté a terra una scatola di cartone che doveva essere abbastanza pesante, dopo di che ci saltò sopra distruggendo i lati che avrebbero dovuto chiuderla; adesso, il nostro sguardo era focalizzato su di lui.Non pensavo che quell’uomo, quel GRANDE uomo sarebbe riuscito a cambiare la mia vita. Imprimendole un cambiamento totale.Era un tipo strambo, bisogna ammetterlo, a scuola parlava di cose mai sentite, fino al suo arrivo combattere contro la mafia era stato un pensiero lontanissimo, ma non solo di pochi kilometri, ma di intere galassie. Dopo i suoi insegnamenti, noi alunni cominciammo a capire: c’era bisogno di una svolta; capimmo grazie alle sue parole, semplici ma dritte al cuore..ogni sua parola per me era sempre un insegnamento, un’occasione per imparare. Di solito, i professori di religione parlano di Dio, di Gesù, degli angeli, ma lui parlava di fatti concreti, della tragica situazione in cui ci trovavamo e di soluzioni. Vi e’ mai capitato di non riuscire a risolvere un problema di geometria? Proprio non lo capivate, allora perché non chiarire i propri dubbi chiedendo aiuto alla prof, o anche ad un compagno? No, troppa paura, troppo imbarazzo, paura di parlare. Ecco, questa era la nostra situazione a Brancaccio: la gente aveva paura di parlare.Un giorno sentii mio nonno parlare con dei signori, avevano delle catenelle d’oro al collo, baffi perfetti, la camicia sbottonata fino all’altezza del torace che lasciava intravedere qualche pelo qua e là’, negli occhi avevano il fuoco ma nella mente e nel cuore avevano i soldi. Erano nello studio di mio nonno, Giovanna era a giocare in giardino, io ero appena tornato dalla parrocchia; avvicinai l’orecchio alla porta semichiusa e cominciai ad ascoltare ciò’ che dicevano. Mio nonno era abbastanza impaurito, i due uomini, invece, parlavano chiaro e tondo: se mio nonno avesse parlato o accennato qualcosa della discussione avuta con loro, allora avrebbero provveduto ad aggiustarlo e fecero un segno con la mano accarezzando velocemente la gola. Mio nonno, allora, deglutì, prese il respiro e pose l’ultima domanda: “Quindi, io devo semplicemente oppormi, convincendo anche gli altri, alla costruzione della scuola nel vostro magazzino e fornirvi la droga da mettere nelle cassette delle arance?” Uno dei due fece cenno di sì con la testa abbozzando un ghigno di soddisfazione. Mio nonno era diventato complice. Non c’era più speranza, dovevo andarmene da quel posto che prima o poi, come ha contagiato mio nonno, avrebbe contagiato anche me e si diffonderà tra tutti i popoli come un’ondata di peste a cui non si riesce a trovare un vaccino. Lì, in quel preciso momento della mia vita presi la decisione più difficile e complicata che abbia mai dovuto prendere: lasciare la mia città e trasferirmi in un posto migliore.Ora sono testimone di una realtà che continua a persistere ancora, parlare di mafia non fa l’effetto che dovrebbe fare. Si capisce veramente ciò che racconta chi l’ha vissuta sulla sua pelle solo quando la provi tu; la paura che ti assale e si blocca alla gola, creando un nodo difficilmente snodabile, la si può provare solo in momenti come questi, le parole che salgono lungo la tiroide e che si bloccano sulla punta della lingua per poi ricadere giù come un palazzo che crolla si possono sentire solo con una simile paura, la voglia di cambiamento quando cambiare non si può si sente solo quando sei afflitto da una tale crudeltà, la voglia di uccidere con le tue stesse mani chi ti fa del male e chi riduce una povera cittadina in quelle condizioni sono tutte sensazioni che si provano quando hai a che fare con gente come loro: la mafia.

  Cristina Loria 
III C, Anna Frank

 

 

Non parlo mai,non ho il coraggio di esprimere le mie opinioni e i miei sentimenti che esplodono dentro..di me provocandomi una sofferenza indescrivibile.Non ho mai una voce in capitolo ma sono uno sfondo muto che sa solo cucinare,lavare e stirare.Temo mio marito più di ogni altra cosa,non so neanche se lo amo,ma anche se lo amassi,a chi interesserebbe. Amo mio figlio Domenico più di ogni altra cosa ma non glielo ho mai detto.Non sono soddisfatta di me stessa.Un giorno mio marito lo ha frustato con la cintura solo perché era andato in chiesa. Quanto avrei voluto strappare quella maledetta cintura dalle mani di mio marito,invece,piangendo,ho acceso il frullatore per non sentire le grida·di dolore di Domenico.Sono una persona orribile.Nel nostro paese si è da poco trasferito Don Pino Puglisi,il nuovo parroco;parlano già tutti male di lui,ma io sono convinta che sia una brava persona. Mio marito ha vietato a Domenico di andare in chiesa ma,se conosco mio·fi!llio, non lo ascolterà e,in tutta onestà, mi auguro che si allontani il più possibile da noi. La mia empatia verso Don Pino Puglisi si è rivelata fondata,.è proprio una brava persona,.ha riunito molti giovani e ragazzini del quartiere facendoli divertire, ballare e cucinare. Ha chiamato anche tre suore ed un viceparroco in suo aiuto.Mi piacerebbe essere suora........ al'meno sareifiera di me stessa e delle mie azioni benefiche. Mio marito, di punto in bianco ,una domenica, ha deciso di andare in chiesa;penso che la mia bocca abbia accennato un sorriso, sempre se ricordo ancora come fare. Ho avuto subito qualche sospetto ma, come al solito,non ho detto niente. Un pomeriggio Domenico è tornato a casa in lacrime, mio marito lo ha visto ma,invece di consolarlo,gli ha ordinato di andare a prendere la droga in garage. successo sicuramente qualcosa perché Domenico ha preso il motorino di suo padre,lo ha acceso e,sfondando la staccionata,si è buttato nel vuoto. Appena lo ho visto mi sono precipitata verso di lui gridando "nooooooooooo", ma era troppo tardi,il mio bambino rimarrà piccolo per sempre. Stupida, codarda sono stata, potevo fare qualcosa prima, ma non ho fatto niente,.stupida, codarda sono stata e questo non me lo perdonerò mai. Dopo qualche giorno ho scoperto che Don Pino Puglisi era morto,ucciso dalla mafia,tutti hanno visto la scena,mll nessuno è sceso in strada per soccorrerlo. Pover'uomo in che paese è capitato!!lil

 Marta Corrado
III C, Anna Frank

Hai regalato amore alla gente di quel quartiere,

dove vivere era difficile,

nelle ingiustizie, nella miseria,

nel dolore e nella povertà.

Ti hanno fatto del male,

ma tu non li hai odiati,

anzi, hai aperto nuovi orizzonti

verso pace e libertà.

Ci hai creduto e hai lottato

Hai offerto nuova vita,

vita nuova, di dignità e giustizia.

Sei riuscito a far tremare le gambe della gente più cattiva,

nessuno ti ha dimenticato,

nemmeno chi ti ha tolto la vita.

E tutti hanno pianto per te

Soprattutto chi si è pentito di aver ucciso colui che ha migliorato

le menti dei cittadini di quel quartiere.

Hai urtato i violenti,

ti hanno minacciato,

ma hai perseverato,

finché uno sparo fermò i tuoi passi,

ma non fermò il tuo amore,

perché tu non hai mai avuto paura di morire.

Chi ha amato come te,

non ha il timore della morte.

Noemi Astorelli
III G, Anna Frank

“E’ importante parlare di mafia soprattutto nelle scuole per combattere contro la mentalità mafiosa che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo solo per i soldi”.E’ proprio questa frase che viene messa a tema del film di Don Pino Puglisi .Io sono Domenico. Mio padre fa parte di quelli che, come dice lui, camminano a testa alta:gli uomini d’onore. Mia madre invece è una casalinga. Vivo a Brancaccio. Ho conosciuto Don Pino mentre tagliava l’erba , lo fissai e poi decisi di aiutarlo. Andavo lì ogni giorno e lui mi accoglieva sempre a braccia aperte. Don Pino aveva una concezione di Brancaccio diversa da quella di mio padre. Lui desiderava che tutta la gente perbene potesse camminare a testa alta. Diceva di voler fare di Brancaccio una terra nuova, diversa e io lo ammiravo per questo. Ormai mi recavo in quella chiesa per seguire il suo progetto di vita per questa città e le persone che la abitano;volevo anche io dare il mio contributo . Un giorno mio padre lo venne a sapere. Non capivo perché mi rimproverasse per questo, infondo, stavo solo dando una mano a chi ne aveva bisogno eppure mi privò di vederlo e di aiutarlo. Stavo male al pensiero di allontanarmi da quel posto che mi sembrava così innocuo . Ci tornai un’ultima volta e lui dopo che gli spiegai tutto con grande angoscia mi donò una collana come suo ricordo e io,tra le lacrime, riaccesi il mio motorino e me ne andai di corsa senza pensarci due volte. Anche questa volta però, nonostante ci andai per un addio, mio padre lo venne a sapere e non attese neanche un minuto prima di sfilare quella lunga cintura, di pelle nera, dura e dolorosa, della quale io ero estremamente terrorizzato. Non si fermava più. Era troppo doloroso non riuscivo più a sopportare tutto questo. Continuava,ed io ero costretto a subire senza poter aprire bocca. Non potevo più avvicinarmi a Don Pino, oramai ero sotto gli occhi di tutti .Solo un altro giorno mi ripresentai lì ,il giorno in cui decisi di mettere fine a tutto questo. Andai per restituirgli la catenina che mi aveva regalato. Anche quel giorno tra le lacrime riaccesi il motorino e me ne andai via. Tornato a casa avevo già preso la mia scelta. Dovevo andarmene da quel posto, dovevo abbandonare tutto e andare via. Lontano da mio padre, lontano da Brancaccio e da tutto ciò che faceva , di quella città, una vera crudeltà fatta di mafia, aggressioni e violenze per chi,come Don Pino, voleva creare un clima di pace e serenità basandosi sulla chiesa e su Dio. Mio padre mi fissò a lungo per aspettare che scendessi in città per fare una sua commissione e io gli dissi:”vuoi sapere una cosa papà?, a questo motorino bisognerebbe truccargli il motore, per farlo andare più forte”. Quelle furono le mie ultime parole. Presi la rincorsa e andai dritto sempre dritto,dritto oltre il recinto, dritto oltre la montagna poi smisi di volare e caddi giù ,nel nulla. Non sentii più niente se non il mio corpo sollevarsi e scontrarsi contro un’ immensità di rocce rivestite da erba verde. Ricorderò sempre tutto di Don Pino e dei suoi insegnamenti. Lui non si faceva intimorire da nessuno, andava avanti anche se sapeva di andare in contro alla morte. Sfidava anche i più forti per salvare quella città dalla cattiveria trasformandola dal buio della notte alla luce del sole.

Giuditta Carvelli
III G, Anna Frank


Mi chiamo Domenico e vivo a Brancaccio ,un piccolo paesino di Palermo dove tutti conoscono tutti.Brancaccio è ormai gestito dalla mafia in tutto e per tutto, ma ci fu un uomo che mi fece capire che la mafia , si, è forte , ma se si è uniti la si può sconfiggere.Quest’uomo fu Padre Pino Pugliesi chiamato ‘3 P’.Appena Don Pino arrivò a Brancaccio fui io il primo ad aiutarlo a costruire un ritrovo per i bambini che giocavano per strada , tagliammo l’erba del giardino della parrocchia e costruimmo un campetto da calcio.Arrivato a casa mio padre mi chiese dove fossi stato e io risposi di aver aiutato il nuovo parroco della parrocchia , Don Pino. Lui mi proibì di rivedere Don Pino , e diceva che non era tipo da frequentare. Da queste parole capii che mio padre aveva , in un certo senso , paura che Don Pino riuscisse a sottrarre potere alla mafia e continuava a dire che la gente si divide in due parti:quelli che camminano a testa bassa e le persone d’onore. Io e mia madre vivevamo soli con mio padre , e non passava attimo che lui non urlasse e non incutesse paura alla mamma che ormai non apriva bocca o ribattere un qualcosa di sbagliato che papà dicesse. Io non ero del tutto d’accordo con quello che pensava mio padre e decisi da andare ugualmente da Don Pino. Tornai a casa sapendo già cosa mi aspettava , mio padre urlando iniziò a frustarmi con la cintura e io dal dolore mi accasciai a terra , mentre mamma piangeva in silenzio continuando a pelare le patate. Da quel giorno capii che era meglio per tutti che io non frequentassi più la parrocchia.Una mattina , Don Pino mi vide e mi chiese perché non stavo andando più a trovarlo e io non esitai a rispondergli, lui capì che era stato mio padre , poiché lo conosceva troppo bene, senza dire niente si levò il rosario che aveva al collo , mi prese al mano e mi guardò dicendomi che era un regalo e avrei dovuto accettarlo.Scappai con il motorino e tornai a casa.Dopo pochi giorni sentii mio padre parlare al telefono e mi disse che dovevo andare con Vito , un suo amico, a fare una cosa .Corsi con il motorino da Don Pino e lo avvisai dicendogli che lo avrebbero voluto uccidere.Andai via piangendo e tornato a casa dissi a mio padre che il motore della moto doveva essere modificato , fu proprio in quel momento che decisi di togliermi la vita.Accelerai tutto e mi gettai dal dirupo sul quale affacciava il nostro giardino e morii. L’unica cosa che mi sarebbe mancata sarebbe stata mia madre che nonostante tutto dimostrò di essere forte fino alla fine subendo senza mai dire una parola che avrebbe potuto contrariare quello che papà avrebbe detto.

Martina Iorno
III G, Anna Frank

Arrivo in Sicilia e per la strada dei ragazzi che giocano a pallone mi sbarrano la strada e mi dicono parolacce. Altre persone mi chiudono la finestra in faccia. Parcheggio, entro nella sagrestia e vado in chiesa per celebrare la messa. In chiesa non trovo nessuno. Io prego: <<Signore mostrami il cammino non lasciarmi da solo>>. Esco dalla chiesa e vado in giro per il paese in bici. Le persone anziane giocano a carte e i bambini sul marciapiede. Mi fermo in un magazzino tutto vecchio, dove ci sono accumulati tanti oggetti. Mi giro, incontro due fratelli, li saluto e chiedo cosa fanno tutti soli. I due bambini mi rispondono che aspettano la mamma. Gli chiedo che qualche volta la loro mamma può recarsi in chiesa e dopo tanti minuti domando loro cosa vorrebbero fare da grandi. Uno dei due mi risponde che vorrebbe una pistola per vendicarsi con chi ha ucciso suo padre. Non rispondo, perché non so cosa dire. Nel pomeriggio, mentre taglio l’erba, si ferma davanti a me un ragazzo e gli chiedo se è capace di farlo lui. Lui non va a scuola e mi risponde che è venuto al Brancaccio per darmi una mano. Mi aiuta.Dopo aver finito vado in bicicletta e incontro di nuovo i bambini e dico loro che sono il nuovo parroco, Don Pino Pugliesi e vorrei portarli al campetto della parrocchia per giocare. Comincia la partita e Sauro inizia a picchiare; interrompo la rissa, e dopo un po’ ricominciano a litigare. Improvvisamente arrivano i carabinieri per arrestare Sauro. Dopo alcuni di giorni, mi reco in caserma, prendo Sauro e lo riporto con me. Lui corre fuori   dalla macchina. Trascorsero dei giorni, chiedo un colloquio con il vescovo per togliere i bambini dalla strada. Il vescovo risponde che mi aiuterà in questa missione. In chiesa c’era tanto lavoro. Arriva la sorella dei due fratellini e mi ringrazia per ciò che sto facendo per lei e le chiedo se i bambini, quando lei non c’è, possono rimanere con me. Il giorno dopo provo ad aggiustare il microfono, Sauro viene ad aiutarmi e lo ripara lui. Iniziata la messa, nell’omelia dico ai fedeli che in quel quartiere dove non c’è droga, non c’è violenza, dove i bambini possono giocare liberamente. Il mio sogno è questo. Nel mezzo della messa, si sentiva della musica ed io alzavo di più la voce per farmi ascoltare. Finita la messa mentre metto a posto il calice dell’eucarestia, sento bussare alla porta. Entra un signore che è il mafioso della zona, mi offre del denaro per beneficienza, ma io non accetto, per me è denaro sporco. Nel paese giungono tre suore: Carolina, Elena, Anna. Mi aiutano a sistemare la chiesa e finito vado a vede come si sono sistemate. La mattina mentre guido in macchina con me ci sono dei ragazzi che vendono i biglietti della lotteria. Una notte suor Carolina sente dei rumori provenienti dalla chiesa, si alza e vede Sauro che ruba i soldi dell’offerta. Si sente osservato e scappa. Io e suor Carolina ci rechiamo dai ragazzi per scoprire qualcosa, però loro si rifiutano di parlare. Carolina dice loro che non devono aver paura e che i soldi rubati servivano per la loro sopravvivenza e in futuro non avrebbero dovuto fidarsi di colui che fatto il gesto. Se avesse voluto confidarsi nessuno lo avrebbe saputo. Una mattina mentre Sauro prepara la pizza, un bambino sbircia dalla finestra e io chiedo il suo nome. Il bambino non risponde e scappa. Sento suonare il claxon della mia auto. Esco fuori ed è il bambino che suona. Io gli domando come si chiama, lui risponde Calimero. Io continuo a domandargli perché non veniva a mangiare la pizza con noi. Calimero scappa nuovamente. Sono in classe, insegno religione, prendo da leggere i giornali che ho portato, e li consegno ai ragazzi. Ad un tratto uno di loro, mi dice che la verità non viene dai giornali, ma dal modo di pensare con la propria testa. La gente del paese ed io siamo in riunione per discutere della festa del santo patrono, incontro Gaspari e parliamo di quanto tempo è passato da quando giocavamo in cortile a pallone. Gli chiedo perché il figlio non viene più in parrocchia e lui non mi risponde. Inizia la processione, a fianco a me ci sono le suore e tanti ragazzi e all’improvviso iniziano i fuochi d’artificio. Il giorno dopo vado dal sindaco per chiedere di far costruire scuole, ospedali e parco giochi perché il terreno non manca. Ma il sindaco mi risponde che ci vuole tempo e pazienza. A distanza di tempo alla radio sento che ci sono stati due attentati, e sono morti Falcone e Borsellino. Arrivato e sceso dalla macchina, noto che dei ragazzi hanno scritto sul muro viva la mafia. La sera mentre dormo, sento bussare, apro, e tre persone mio aggrediscono, mi picchiano ferocemente. Il giorno dopo tutti mi guardano in viso e mi chiedono cosa mi sia successo ed io rispondo che sono caduto. Il giorno del mio compleanno, mi reco in chiesa per celebrare la messa. In strada tante macchine mi circondano, qualcuno mi prende il borsello, io li guardo e dico loro che li stavo aspettando. Estraggono una pistola da uno scatolo. Sparano. Mi uccidono.

Marco Rete

III G, Anna Frank

Pochi giorni fa, prima di tornare qui come parroco, ho sognato il futuro di questo quartiere, ed è stato proprio bello. Bello perché ho sognato un posto dove erano spariti i furti e la droga, dove non c’era più violenza, prepotenza, e la gente non aveva paura, dove non c’era più la fame, perché c’era lavoro per tutti, c’erano delle scuole bellissime, dove i bambini giocavano. Era il 1991 e tornai a Brancaccio il paese dove ero nato, tornai qui con le vesti da sacerdote, e mi accorsi presto di una dura verità: i bambini della zona che erano avvolti dalla malvagità, e molti erano figli di mafiosi. Dissi loro di andare a scuola, di studiare, di non rubare come fanno tante persone oggi e di venire la domenica in chiesa. Un giorno, quando stavo andando in parrocchia vidi tanti ragazzi e bambini in mezzo alla strada che giocavano a calcio, parlai con loro e li convinsi di venire in parrocchia e di giocare lì perché era un posto sicuro e perché c’era anche un campetto per giocare. Ad alcuni ragazzi piaceva venire in parrocchia e giocare a calcio,   ma ai figli di alcuni mafiosi venne proibito anche con minacce, di venire in parrocchia e quindi si allontanarono da me. Io ci rimasi molto male soprattutto per un ragazzo di nome Domenico, che mi aiutò molto nel ripulire il cortile e la parrocchia. Ma io non mi arresi perché volevo condurre molti ragazzi sulla retta via e lanciai un messaggio chiaro ai mafiosi di Palermo, cioè ai cosiddetti“uomini d’onore”, di presentarsi ALLA LUCE DEL SOLE. Una sera, era buio, sentii gridare “Aiuto!”, aprii subito la porta e tre persone incappucciate mi picchiarono, ma io non dissi niente, sapevo il pericolo che correvo ma mi sentivo sicuro in parrocchia ed ero convinto di aver fatto una buona azione. Il giorno del mio cinquantesimo compleanno , mi alzai, mi preparai e quando stavo per scendere mi chiamarono e mi dissero : “Auguri Don Pi” ma io non sapevo chi fosse. Uscii e all’incrocio tra la piazza e la chiesa incontrai un gruppetto di persone e vidi un uomo con una pistola con il silenziatore in mano ed io dissi: “Vi stavo aspettando!” Mi spararono, io mi accasciai al suolo e mentre cadevo, intravidi solo un raggio di luce.

 

Giammarco CARUSO

III G, Anna Frank



Sei stato come un faro

e a tutti i bambini

hai donato un riparo,

tenendoli al sicuro e vicini.

Hai donato gioia e amore,

cercando di salvare i ragazzi del quartiere

con tutto l’amore del tuo cuore,

donando a loro tante preghiere.

Rimarrai sempre una persona speciale,

per tutto il coraggio che hai avuto

e nessuno potrà mai dimenticare

a quanto è servito il tuo aiuto.

 
Saverio Sorrentino

II G, Anna Frank

Finalmente dopo tanti anni stavo ritornando a Brancaccio e, percorrendo le strade, vidi molti bambini giocare per strada e pensai subito di portare tutti questi bambini a giocare in parrocchia. Dopo un po’ di giorni mi accorsi di una dura verità: i bambini erano coinvolti nella Malavita, indotti spesso dai genitori. Volli cambiare la situazione e pian piano, con l ‘aiuto di Domenico (uno dei ragazzini coinvolti nella malavita), convinsi i ragazzi ad andare a scuola, in chiesa e a non rubare. Inizialmente dovetti chiedere aiuto al Vescovo il quale mi mandò tre suore tra cui suor Carolina che per me fu più di una collaboratrice , fu una grande amica .Pochi giorni prima di tornare a Brancaccio come parroco, ho sognato il futuro di questo quartiere ed è stato proprio bello. Bello perché ho sognato un posto dove erano spariti i furti, era sparita la droga , dove non c‘erano più violenze, prepotenze, dove non c‘era più la fame perché c‘era lavoro per tutti, dove c‘erano scuole bellissime dove i bambini giocavano. Alla fine mandai dei messaggi ai cosiddetti “ uomini d‘onore ai quali dissi di agire alla luce del sole e non nell‘ombra .Dopo un po’ di giorni il mio sogno si stava avverando anche se sapevo di essere d’ intralcio. Infatti cominciarono le minacce e il giorno del mio cinquantesimo compleanno il 15 settembre, scesero dalla macchina due persone, uno tirò fuori una pistola e io dissi “vi stavo aspettando” …

Randolfo Sacco

 III G, Anna Frank

Io mi chiamo Suor Carolina, sono una monaca della parrocchia di Sant’Angela e insieme al parroco della chiesa, Don Pino Pugliesi vogliamo puntare proprio sui bambini e sugli adolescenti cambiando il loro carattere.Il mio compito è di cambiare l’atteggiamento di questi ragazzi siciliani con l’aiuto di Don Pugliesi. Un giorno ho organizzato un ritiro dove i ragazzi hanno giocato in diversi modi ed in particolar modo al gioco del calcio, rispettando tutte le regole previste.Un pomeriggio vidi un palermitano che aveva una pistola in mano puntata su Don Pugliesi, purtroppo quando ho cercato di fermarlo questi aveva già colpito il povero parroco.Il giorno dopo ci furono i funerali ed erano presenti tante persone compresi i bambini del quartiere che piangevano la scomparsa del caro.

 

Alessandro Scicchitano

III G, Anna Frank


Fin da bambino sognavo le strade di Palermo pulite da ogni disordine. Io sono nato in una famiglia modesta (mio padre calzolaio) mentre (mia madre sarta). Il mio nome è Pino Puglisi meglio conosciuto dalla gente e dai bambini come Padre Pino Puglisi. Per far si, che il mio sogno si avverasse entrai a far parte del seminario palermitano, da cui ne uscii completamente nuovo e naturalmente da prete . Dopo esser stato impiegato in diverse Parrocchie e orfanotrofi che mi fecero conoscere e avvicinare ai bambini , nel 1990 ritorno nel mio quartiere "Brancaccio" dove inizio la lotta contro la criminalità organizzata. Io in questa zona ci sono cresciuto e sapevo cosa erano portati a fare i bambini per la mafia . Loro "persone mafiose" gli facevano fare dei lavoretti come ad esempio nascondere gli esplosivi . Così dopo un episodio con una mamma che per lavoro mi lasciò i suoi figli , decisi di riunire i bambini di strada presso la parrocchia per allontanarli dal giro mafioso .Ma il sistema che adottai all'inizio non riuscì cioè : avvicinare i bambini alla chiesa con due semplici parole . E rimasi molto deluso quando il giorno del Signore"Domenica" non trovai nessuno in Chiesa e lo stesso fu per gli altri giorni . Poi la mia speranza si riaccese quando una mattina arrivò in Parrocchia un ragazzo di nome Domenico, che mi aiutò a costruire il campo da calcio , per i bambini di strada. Finito il campetto restava solo riuscire a convincerli . Così andai dai bambini e gli chiesi << perché non venite a giocare in Parrocchia >> e tutti risposero <<no!>> così io gli dissi << meglio di giocare per strada almeno c'è un campetto con delle porte >> alcuni increduli dissero <<e noi non ci crediamo>> e per incoraggiarli a venire gli dissi << se non ci credete allora venite a vedere>> Tutti i bambini appena videro il campetto rimasero meravigliati da ciò che avevamo fatto io e Domenico , poi gli diedi il pallone e gli dissi <<giocate>>.Domenico faceva l'arbitro stavo là , a guardali giocare , alcune volte addirittura li sgridavo per i modi bruschi di gioco . Il mio animo voleva aiutare tutti i bambini soprattutto coloro che erano senza casa e alcuna famiglia. Questa possibilità si avverò quando uno di loro fu arrestato e io andai a pagare la cauzione per liberarlo e lo feci venire con me " anche se poi scappò ". Il giorno dopo il bambino tornò e addirittura mi aiutò a montare il microfono con le casse, ma anche gli sgabelli e tutto ciò che poteva avvicinare le persone . Questa idea doveva far sì , che le persone del quartiere entrassero in Chiesa . Anche se la prima persona che entrò in Parrocchia fu un mafioso che cercò di intimidirmi con delle parole . Passati altri giorni la chiesa si incominciò a riempire grazie anche all’aiuto di un mio vecchio amico che decise di stare al mio fianco in Parrocchia . Un altro aiuto lo ricevetti dalle suore , soprattutto con una di loro , che mi capiva perfettamente . Ormai in parrocchia venivano tutti i bambini di strada e non solo , era un ritrovo per ognuno di loro . La felicità che avevo , fu distrutta quando un giorno fui aggredito “ derubato più volte “ . Per non far preoccupare coloro che mi stavano vicino , gli dissi una bugia cioè ; che ero caduto dalle scale , anche se dalle loro espressioni capii che avevano intuito tutto . Capirono anche che la mafia mi stava minacciando e non passava giorno senza che io mi mettessi a piangere , avevo paura di morire e che potessero far del male ai miei amici ma anche ai miei alunni perché loro non guardavano in faccia a nessuno . Io alla fine venni ucciso dalla mafia il giorno del mio compleanno . Quella mafia che tanti altri hanno combattuto e combatteranno in tutto il mondo “ soprattutto in Italia."

Alessandro Macrì
III G, Anna Frank                                                                   




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