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Ha preso il via questa mattina la Settimana della Dieta Mediterranea, un momento di riflessione e condivisione con i Paesi del
Mediterraneo aderenti al Cluster, finalizzato alla salvaguardia, promozione e divulgazione della Dieta e dei suoi valori.
Non a caso è stata scelta la data del 14 settembre, giorno in cui nel lontano 1969 Ancel Keys, noto biologo e fisiologo statunitense, presentava a Pioppi, frazione marina del Comune di Pollica, individuata in sede di dichiarazione
dell’UNESCO comunità emblematica della Dieta Mediterranea, i primi studi sull’ epidemiologia delle malattie vascolari che lo condussero a formulare le ipotesi sull’influenza dell’alimentazione su tali patologie  e sui benefici apportati dall’adozione della Dieta Mediterranea.
Ad aprire i lavori il Vice Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Andrea Olivero: “Ci adopereremo affinchè, in continuità con l’Expo, possa proseguire il modello educativo di promozione della Dieta Mediterranea nelle scuole, in considerazione non soltanto della sua valenza salutistica quanto dell’aspetto di convivialià che riconosce al cibo un valore strategico di socializzazione”.
“Tutti devono essere nutriti bene. La sfida è quella della sostenibilità ambientale e sociale a fronte della crescita della popolazione” è il leitmotive che ha messo d’accordo tutti coloro che questa mattina hanno preso parte all’ apertura dei lavori: CNR, Legambiente, Forum Internazionale della Dieta Mediterranea, Centro studi Dieta Mediterranea “Angelo Vassallo”, Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, LILT Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, Università LUISS.
“Il Cluster BioMediterraneo ha riprodotto The Mediterranean Ways di Ancel Keys, con l’obiettivo di guardare all’alimentazione mediterranea come elemento che unisce i popoli – afferma Dario Cartabellotta, Responsabile Unico del Cluster  - Il Mediterraneo, spesso mare di conflitti, fratture e disuguaglianze, diventa il baricentro della cultura alimentare”.
Gli eventi proseguiranno fino al 20 settembre, secondo il programma allegato, con un palinsesto ricco di eventi, show cooking, proiezioni di video, testimonianze personali e studi scientifici che consentiranno al “popolo dell’ Expo” di comprendere il valore nutrizionale, sociale ed economico della Dieta Mediterranea, considerata nella sua ampia accezione di “stile di vita”.
Il programma della settimana sarà arricchito inoltre dalla presenza dei GAC (Gruppi di Azione Costiera) Siciliani. “Focalizzeremo la nostra attenzione sul pesce, in particolare quello azzurro – afferma Fabrizio Di Paola, Presidente della rete dei GAC Siciliani – al fine di promuovere il benessere socio economico delle zone di pesca e favorire il consumo consapevole di prodotti
ittici siciliani di qualità, attraverso operazioni di tracciabilità e accorciamento della filiera”.

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Maria Rita Parsi, affermata e stimatissima psicologa e psicoterapeuta, è anche scrittrice e giornalista; nota a tutti per l’impegno da sempre profuso a favore dei delicati temi dell’infanzia e dell’adolescenza, sotto forma di denuncia sociale contro ogni abuso e violenza, intesi nella loro più larga accezione.

La sua cospicua produzione letteraria conta circa cinquanta pubblicazioni, tra libri di orientamento scientifico e divulgativo e testi scolastici. Inoltre, ha scritto opere teatrali, fiabe e bellissime poesie.

Intensa e di successo la sua attività didattica e di formazione, sia nell’ambito universitario, sia presso istituti ed associazioni private di settore; docente di “Psicologia Generale 2” presso l’Università Uniecampus e nei corsi post-laurea del modulo telematico sulla Pedofilia nel Master di “Scienze Forensi” presso l’Università “La Sapienza” di Roma e del Master in “Metodologie e Tecniche della Creatività” dell’Università di Cassino.

Insegna “Metodologie e Tecniche di Psicoanimazione”, una metodologia psicologica a mediazione creativo-corporea da lei stessa creata ed elaborata, applicabile in ambito psicologico e socio-pedagogico, volta ad un sano sviluppo del potenziale umano.

Nel 1991 ha dato vita alla fondazione “Movimento Bambino”, contro gli abusi e i maltrattamenti sui minori e a sostegno della tutela giuridico-sociale e culturale dei bambini e dei giovani.

Maria Rita Parsi ha ricoperto numerosi incarichi di tipo istituzionale e dal 2012 fa parte del Comitato ONU per i Diritti del Fanciullo, con sede a Ginevra.

Il suo esordio nel mondo editoriale risale alla fine degli anni ’70 con il libro “Animazione in borgata” (1976, Savelli) al quale seguì la pubblicazione de “Lo scarico”(1979, Savelli), che riscosse un enorme successo, rendendola nota al grande pubblico. Di cosa trattava?

In questo libro ho raccolto le testimonianze dirette di due giovani, Maria e Marco, i quali vivono in una borgata romana, in una situazione di emarginazione non solo sociale, poiché sono entrambi afflitti da problematiche legate alla loro sfera personale. Non è stato semplice affrontare, circa quarant’anni fa, temi tanto difficili come quello degli abusi sessuali e non solo. Allora questi argomenti erano soggetti a veto. Invece, il mio libro fu capito ed accolto favorevolmente dalla critica e dal pubblico e venne tradotto anche in lingua tedesca, per poi essere pubblicato in Germania con il titolo di “Abfall” (Rowohlt, 1979).

Tutte le testate giornalistiche dedicarono alla mia opera articoli e lusinghiere recensioni. Ricordo, in particolare, quella del critico Ugo Baduel, il quale paragonò il mio libro alle opere pasoliniane, definendolo la naturale continuazione del dialogo sociologico iniziato anni prima da Pasolini, che ambientava le sue opere proprio nelle periferie sempre ai margini della società, dando voce agli ultimi. Del resto, vorrei sottolineare che il cambiamento parte sempre dalla periferia verso il centro, e non il contrario.

Negli anni ’90, periodo in cui ancora nessuno, o quasi, voleva sentir parlare di pedofilia, lei affronta il delicatissimo tema degli abusi sessuali attraverso un interessante libro, giunto alla sua V edizione ed Oscar bestseller dal titolo “I quaderni delle bambine”. Vorrebbe spiegarmi i contenuti delle testimonianze di queste donne?

“I quaderni delle bambine” è una raccolta di drammatiche testimonianze di casi di violenza e di abuso, perpetrati sia all’interno della famiglia che fuori. Mi ha particolarmente colpito il silenzio delle madri delle bambine abusate fra le mura domestiche come, negazione a se stesse, della presa di coscienza delle violenze che a loro volta subirono in precedenza. Troppo spesso, all’interno di questo fenomeno trasversale che tocca tutti i ceti sociali, si innesca un circolo vizioso di abusi difficile da interrompere, per paura, pudore, vergogna. Gravi le responsabilità di chi non denuncia, pur nella consapevolezza, nascondendosi dietro un muro d’omertà. L’internazionale pedofila è un cancro come la mafia, con analoghe dinamiche.

Rispetto ad un tempo, questa dolorosa tematica negli ultimi anni ha assunto proporzioni gigantesche. Quali, secondo lei, le principali motivazioni di questa dilagante contaminazione del tessuto sociale?

La differenza, rispetto ad una volta, è che oggi, superati i tabù, finalmente si parla in modo libero di abusi, attraverso tutti i mezzi di comunicazione e questo lo fa sembrare un fatto eccezionale. In realtà, questo grave fenomeno è sempre esistito. Oggi, si è modificato l’approccio al problema; molto spesso si denuncia, e ciò consente di contenere e monitorare il fenomeno stesso. Sono convinta che, nel tempo, si potrà arrivare a fare prevenzione poiché le persone cominciano a risvegliarsi e a reagire di fronte a questi criminali abusi.

Nel suo lungo percorso professionale di docente, psicopedagogista e psicoterapeuta, quanto ha influito il contatto con grandi maestri della sociologia, come Ferrarotti e della pedagogia, come il compianto maestro Manzi?

Ho fatto la mia tesi di laurea con Ferrarotti, “maestro” sociologo. E, poi, un grande che mi ha molto stimolato è stato il maestro Alberto Manzi. Ricordo, comunque, “tutti i miei maestri” con stima ed affetto: Albino Bernardini, Mario Lodi, Lucio Lombardo Radice, Gianni Rodari, Francesca Morino Abbele. Queste persone sono state e sono la mia luce, a loro devo la mia formazione. Sono rimasti un punto di riferimento, anche sotto al profilo affettivo, poiché ognuno di loro mi ha spinto, sostenuto, formato ed, infine, riconosciuto. Il bravo “maestro” è quello che permette al suo allievo di crescere e, possibilmente, di superarlo.

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Allo stato attuale, com’è il suo rapporto con la psicoanalisi?

Considero la psicoanalisi una formidabile possibilità di conoscere se stessi e di rapportarsi agli altri in modo soddisfacente e liberatorio. Il mio primo contatto con questa disciplina sono state le lezioni di Cesare Musatti alla Statale di Milano su “Marxismo e Psicoanalisi”. Con la psicanalista Emiliana Mazzonis, allieva di Melania Klein, ho fatto terapia personale e a lei ho dedicato il mio libro “Lo Scarico” (1979). In seguito, grazie al dott. Michele Festa, uno dei padri della psicologia umanistica europea ed internazionale ed anche a Luigi De Marchi, ho potuto incontrare Ronald Laing, Ron May ed Alexander Lowen, padre della bioenergetica.

Nella nostra epoca quale spazio occupano le teorie psicoanalitiche di Freud e Jung?

Considero Freud e Jung le colonne sulle quali si regge il tempio dell’umano inconscio, espressione delle umane capacità intuitive. Li ritengo infatti “le radici delle radici”, poiché hanno dettato le fondamenta della psicologia e della psicoanalisi, quali scienze della comunicazione e del comportamento.

Vorrebbe parlarmi della sua metodologia in ambito psicologico e socio-pedagogico, denominata “psicoanimazione”?

Dopo anni di psicoanalisi, sono approdata alla psicologia umanistica, ed ho creato una mia metodologia olistica, psicopedagogica, psicoterapeutica e culturale d’intervento che ho chiamato psicoanimazione.

Psicoanimare significa “dare anima all’anima”, di ciascuno e di tutti, attraverso l’utilizzo creativo, interdisciplinare, individuale e di gruppo, di tutti i linguaggi per la comunicazione e l’integrazione sociale: mimico/gestuale, grafico, scritto, musicale, fotografico, filmico, virtuale etc.

Il suo libro “Ingrati. La sindrome rancorosa del beneficato” sollecita molto la mia curiosità, andrò a leggerlo al più presto… Tutti noi stiamo vivendo un periodo storico peculiarmente caratterizzato dall’indifferenza e dall’ingratitudine. Cosa ha generato l’esasperazione nel comportamento dell’essere umano? Forse l’uomo è indifferente ed ingrato per sua natura?

La storia dell’uomo, da miliardi di anni, è contrassegnata proprio dall’indifferenza e dall’ingratitudine. L’indifferenza è un modo di reagire e difendersi dall’angoscia della morte. Eric Fromm, nel suo libro “Anatomia della distruttività umana” afferma che l’angoscia di morte è la madre di tutte le angosce, contro la quale noi mettiamo in moto ogni difesa possibile, da quella religiosa, alla demografica, per arrivare alla difesa ideologica, estetica ed infine, a quella distruttiva come dire: “Io morirò, ma morirete tutti!”. A questa lista di meccanismi di difesa, vorrei aggiungere la difesa virtuale, attualissima ai nostri tempi, ovvero: “Io morirò. Ma il mio avatar non morirà mai!”

L’ingratitudine, della quale parlo ampiamente nel libro citato nella domanda, è una modalità decisamente indegna per far fronte alla condizione d’inferiorità che il beneficato prova nel momento in cui egli ha avuto bisogno totale del benefattore e si è così sentito scoperto e vulnerabile. Liberarsi del peso della riconoscenza, anche perseguitando il proprio benefattore, è tipico dell’ingrato.

A tal proposito, la metafora biblica è chiara: Adamo ed Eva avevano tutto. L’unico divieto era quello di cogliere e mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. Ma essi non seppero resistere alla tentazione, non seppero fare a meno di essere ingrati, accettando il suggerimento del serpente e dimenticando tutto quello che di buono avevano ricevuto da Dio.

Sostanzialmente, indifferenza e ingratitudine sono perversi strumenti di difesa.

L’invidia, invece, nasce nel momento in cui l’invidioso non riesce a riconoscere ed accettare le capacità dell’altro, ovvero non riesce a sopportare il fatto che l’altro possa essere quello che vorrebbe anche lui essere, ma non è e non potrà mai essere. Mozart e Salieri!

Un suo recente libro ha un titolo assolutamente eloquente: “Le parole dei bambini” (2014, Mondadori). La struttura sociale attuale, secondo il suo pensiero, conferisce spazio sufficiente alla voce dei più piccoli?

Questo libro, che inizialmente avrei voluto intitolare: “Parola di bambino” è una raccolta di pensieri e riflessioni di bambini e adolescenti, per dare la possibilità agli adulti di comprendere cosa essi provano, intuiscono, credono. E’ un modo di sottolineare il bisogno che i bambini hanno di essere ascoltati ed esprimersi.

Quindici anni fa, analogamente, avevo scritto “Il pensiero bambino” (2000, Mondadori) e ricordo che, alla sua presentazione, avevo al mio fianco il maestro Marcello D’Orta, mai dimenticato autore del famoso “Io speriamo che me la cavo”, che uscì proprio nel 1990, contemporaneamente al libro “I quaderni delle bambine”.

In questa recente esperienza, a distanza di tanti anni, ho, dunque, preso delle parole in ordine alfabetico ed ho creato una specie di “alfabeto dei sentimenti e delle emozioni” dei bambini nel loro rapporto verso la società. I bambini, nonostante la Convenzione ONU parli chiaro, non sono sufficientemente ascoltati. In osservanza dell’art. 3 della suddetta Convenzione che risale al 1989, i bambini vanno amati, rispettati ed ascoltati e nel superiore interesse del minore, si dovrebbe dar loro la parola per sapere cosa pensano, soprattutto quando le decisioni e le scelte degli adulti li riguardano. Nel nostro Paese (e non solo!), questo non avviene!

Infine mi fa piacere ricordare che, nella realizzazione di questo libro, impresa piuttosto articolata, sono stata aiutata da Alessandra Santelli e Domenico Schiavello (Calabria), Angela Gangeri, Filippo Zaganella e Carmela Nazareno (Sicilia), Gloria Bardi (Liguria), Tiziana Zanette (Triveneto), Lucrezia Lerro (Lombardia).

Vorrebbe parlarmi del suo libro “Maladolescenza. Quello che i figli non dicono” (2015, Piemme)?

Questo libro, per me speciale, è stato realizzato con il contributo di Mario Campanella ed è un’analisi di tutte le attuali problematiche adolescenziali, dal bullismo, alla dipendenza da internet, droghe ed alcool; dal sexing allo stalking, all’omofobia, per arrivare ai disturbi nel comportamento alimentare. Inoltre, viene trattato il razzismo, i problemi d’identità e di genere fra i giovani, la depressione giovanile che talvolta può degenerare in forme di autolesionismo o in tentativi di suicidio.

Ritengo sia fondamentale spronare i giovani a parlare: solo attraverso il dialogo e l’azione culturale, è, infatti, possibile arginare tanti e tali dolorosi fenomeni. Questa fase della crescita è, per tutti, difficile, impegnativa, dura da affrontare, poiché i ragazzi devono elaborare il lutto di lasciare l’infanzia ed accettare la crescita. Questo libro sta andando benissimo, è già alla sua terza ristampa ed è anche diventato un tascabile. Ora sto lavorando al mio prossimo libro che si intitolerà “I maschi son così – Parlano le donne, rispondono gli uomini!”.

Lei ha un impegno ONU di grande prestigio, facendo parte della Commissione di Ginevra per i diritti dei fanciulli e delle fanciulle, all’interno della quale rappresenta l’Italia. Vorrebbe parlarmene?

Faccio parte di una Commissione, costituita da 18 membri, in applicazione della convenzione ONU di New York del 1989, alla quale hanno aderito 193 Paesi. Questa Commissione vigila affinchè i 54 articoli della Convenzione vengano rispettati. Noi ascoltiamo, in via ufficiale, le relazioni dei Paesi membri e dopo, a porte chiuse, accogliamo anche le voci della dissidenza delle ONG, delle associazioni come “Unicef” e “Save the Childen” e delle delegazioni dei cittadini.

Un incarico che ricopro con entusiasmo, poiché mi permette di esprimere le mie idee, le mie proposte a sostegno dei diritti umani e civili dei bambini e questo, da sempre, mi sta particolarmente a cuore.

I bambini, prima di questa Convenzione, non erano mai stati considerati anzitutto come “persone portatrici di diritti” e su questo punto, sarebbero opportune riflessioni profonde da parte di ognuno…non aggiungo altro!

E' allarme peste negli Stati Uniti dopo che un anziano dello Utah, il quarto decesso da aprile, è morto per infezione di peste bubbonica. Negli ultimi quattro mesi la malattia ha provocato già undici contagi e tre decessi in Colorado, Arizona, New Mexico, California, Georgia e Oregon. Il timore è che siano i primi segni di una nuova epidemia. L'ultima vittima aveva contratto la peste ai primi di agosto. Charla Haley, del dipartimento statale per la salute, ha detto che è stata aperta un'inchiesta sulle origini del contagio. La persona, di cui non è stato reso noto nè il nome, nè il sesso o il luogo di origine, aveva passato tempo di recente in aree rurali. Gli altri morti di peste nel corso dell'anno avevano 16, 52 e 79 anni.A seguito della notizia, Giovanni D'Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, senza voler ingenerare alcun senso di panico, ma solo per semplice precauzione, invita tutti i turisti che si sono recati in particolare nei parchi degli USA negli ultimi due mesi a  sottoporsi a profilassi, recandosi in primo luogo dal proprio medico curante e se dovessero avvertire sintomi influenzali ad andare presso le strutture sanitarie ospedaliere più vicine comunicando immediatamente e senza remore anche di essere a rischio di contagio. Per chi parte ed ha intenzione di recarsi comunque nei grandi parchi americani, invece, è chiaro che l’assenza di conoscenze specifiche e di cure certe sulla malattia deve comportare la massima attenzione per evitare di entrare a contatto con i roditori e con la loro saliva ed urine, pretendendo presso gli operatori turistici un’accurata pulizia e disinfezione delle tende - cabine e dei bungalow.

La maggior parte delle persone hanno consumato la bevanda più bevuta al mondo dopo l'acqua, il caffè, servito tutte le mattine per abitudine, piuttosto che per "svegliare". I dati più recenti fanno luce sul potere di questo elisir di alleviare il dolore, allungando l'aspettativa di vita e riducendo le probabilità di soffrire di depressione. In un solo anno in Italia circa 24,14 milioni, hanno consumato l'equivalente di600 dosi a persona. Tuttavia, solo pochi sono consapevoli del lungo elenco di vantaggi che può fornire l'apporto giornaliero.

 

1. caffè e cuore non sono incompatibili: la bevanda ha sempre occupato una posizione privilegiata nell'elenco degli alimenti che causano problemi cardiovascolari. Anche se gli studi recenti dimostrano che non è solo dannoso per il cuore, ma che, consumato con moderazione, il caffè riduce al minimo le probabilità di subire un attacco di cuore. Il motivo? Aiuta la riduzione di calcio nelle arterie evitandone l'ostruzione.

 

2. vita più lunga: fino al 10% nel caso degli uomini e il 15% delle donne. Uno studio effettuato tra 400.000 persone in un periodo di 15 anni ha concluso che bere un caffè al giorno migliora l'aspettativa di vita. I risultati non variano se si consuma decaffeinato, il che dimostra che la formula della gioventù non è direttamente associata con la caffeina, ma ad altre componenti del caffè. Lunga vita al caffè!

 

3. alleato della bellezza: molto tempo fa anche l'industria di bellezza ha scoperto le proprietà cosmetiche del

caffè: creme anti-cellulite, contorno occhi ed esfolianti... Applicata sulla pelle la caffeina aiuta la circolazione, ma i vantaggi vanno oltre. Bere un caffè al giorno protegge l'organismo dai radicali liberi, principali responsabili dell'accelerazione dei processi d'invecchiamento della pelle. Il caffè aiuta a mantenere giovane il derma evitando la comparsa di rughe precoci e promuove l'elasticità e la vitalità della pelle.

 

4. mantiene la linea: combinato con una dieta equilibrata, il caffè risulta essere il perfetto alleato per tenere il grasso a bada. I nutrizionisti consigliano di berlo ogni giorno perché aiuta il corpo a sbarazzarsi del grasso accumulato.

 

5. antidepressivo:

la scienza ha scoperto un valido concorrente al cioccolato come rimedio per alleviare le pene: ebbene sì, il caffè. Uno studio, condotto per 10 anni e che ha contato della collaborazione di più di 50.000 donne, dimostra che le persone che consumano caffè al giorno hanno fino al 20% in meno di probabilità di soffrire di depressione. La riduzione non si é osservata  nelle donne che hanno consumato caffè decaffeinato.

 

6.

ferma il dolore: medicina per l'anima e il corpo. Un rapporto pubblicato da BMC Research Notes assicura che il consumo di caffè può ridurre il dolore del collo e delle spalle fino al 14%. Questo potere analgesico si aggiunge al suo utilizzo per alleviare il mal di testa.

 

7. memoria a lungo termine: che il caffè aumenti le prestazioni intellettuali è un dato di fatto ma il consumo giornaliero di caffè promuove la memoria a lungo termine e riduce significativamente la probabilità di soffrire di malattie degenerative come il morbo di Alzheimer (- 65%) o morbo di Parkinson (- 50%), almeno secondo alcuni studi.

 

8. prima, durante e dopo lo sport: la caffeina aumenta i livelli di adrenalina generando una maggiore predisposizione e motivazione a praticare esercizi. Durante la pratica, promuove la contrazione muscolare che allevia la sensazione di stanchezza e aumenta le prestazioni sportive. La caffeina, inoltre accelera la guarigione e riduce il dolore muscolare dopo lo sforzo sono al 48%. Il caffè ed il movimento è il formato perfetto per combinarsi con attività sportive.

 

Ovviamente queste virtù riguardano un consumo moderato della bevanda più bevuta dagli italiani e non solo, ma per Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, in ogni caso non bisogna mai esagerare.

Un aspetto normale nasconde una particolarità medica. James Harrison, 78 anni, padre e nonno vive nei dintorni di Sydney è soprannominato in patria "l'uomo dal braccio d'oro". Egli ama passare il tempo con sua figlia e i nipoti, raccoglie francobolli, e ama fare passeggiate vicino alla sua casa sulla costa centrale dell'Australia. Ma è quello che c'è sotto la sua pelle che lo rende straordinario, in particolare, quello che scorre nelle sue vene. Negli ultimi 60 anni, è andato ogni settimana a una banca del sangue e donato il plasma sanguigno dal suo braccio destro. Il plasma sanguigno di Harrison è stato utilizzato per aiutare a salvare le vite di milioni di persone. L'uomo ha riferito alla CNN che a 14 anni, ha subito un intervento al torace, dove hanno rimosso uno dei suoi polmoni e in cambio ha ricevuto 13 litri di sangue. Questa trasmissione di sangue lo ha influenzato facendolo diventare lui stesso un donatore, non sapendo al momento l'effetto che avrebbe avuto. Dopo la sua prima donazione, i medici hanno scoperto che era qualcosa di speciale. Jemma Falkenmire della della Croce Rossa australiana ha dichiarato alla CNN che fino al 1967, migliaia di bambini morivano ogni anno di una malattia non conosciuta dai medici specialisti. Grazie all' inusuale anti-corpo di Harrison presente nel suo sangue, i medici hanno scoperto il biglietto "d'oro" necessario. Dal 1960, Harrison ha lavorato con diversi medici che hanno utilizzato gli anticorpi presenti nel sangue per sviluppare un farmaco iniettabile denominato Anti-D. La Dott.ssa Falkenmire ha anche raccontato alla CNN che "ogni sacca di sangue è preziosa, ma il sangue James 'è particolarmente straordinario. Il suo sangue è effettivamente utilizzato per fare un farmaco salva-vita, iniettato a donne in gravidanza il cui sangue è a rischio di contaminare i loro bambini non ancora nati. Ogni lotto Anti-D che sia stato mai fatto in Australia è prodotto con il sangue di James '. " Per questa ragione, Harrison è ampiamente considerato un eroe nazionale, dopo aver vinto numerosi premi per le sue azioni e per avere effettuato oltre 1.000 donazioni di plasma. I medici sanno che per l'età ormai avanzata, tra pochi anni dovrà smettere di donarlo, ma la loro speranza è che qualcuno con lo stesso gruppo sanguigno si faccia avanti seguendo l'esempio di Harrison. L’atto della donazione del sangue, sottolinea Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è un atto di grande amore un “regalo di una parte di noi stessi” a qualcuno che senza questo regalo rischia di morire. Un atto che, quasi automaticamente, fa del donatore come nel caso James Harrison e di migliaia di altri come lui, un eroe, una figura da prendere ad esempio, da premiare.

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