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Sono una pensionata, come voi, e non me ne vergogno.

Siamo in 24 milioni e ci dobbiamo far rispettare. Dobbiamo prendere coscienza che siamo una forza perché, nel nostro piccolo, abbiamo sempre dato da giovani e tuttora continuiamo a dare a figli e a nipoti disoccupati. La cosiddetta “spina dorsale” dell’Italia, di cui oggi si parla tanto, siamo noi, perché è sotto la nostra pelle che cresce quella dei giovani, dei lavoratori e degli imprenditori.

Siamo i “nonni saggi”, come direbbe Papa Francesco, e non “morti che camminano” come ci vogliono far credere!

In quanti, tra giovani e meno giovani, sarebbero arrivati alla disperazione senza il nostro conforto e aiuto economico?

Dobbiamo svegliarci!

Abbiamo ancoro un ruolo e dei compiti da svolgere nel campo politico e a tutti i livelli, privati ed istituzionali.

Non diamoci per vinti!

Noi ci siamo ancora!

Non possiamo assistere inermi ad altri tagli delle pensioni, senza gridare all’ingiustizia, mentre i vari “paperon dei paperoni” sguazzano nell’oro che noi stessi paghiamo.

Siamo scoraggiati, è vero! Siamo stanchi di lottare contro i mulini a vento? Beh, abbiamo torto.

Molti tra noi, nel 2006, nel segreto delle urne avevano accordato la loro fiducia a un imprenditore di talento, come Silvio Berlusconi. Avevamo creduto in lui perché aveva costruito dal nulla un vero e proprio impero mediatico.

E poi? La nostra fiducia e soprattutto la nostra attenzione sono state sviate, ad arte, da giornali e dagli stessi che oggi impediscono a Renzi di percorrere fino in fondo la strada delle riforme.

Sono sempre gli stessi.

Sono i “rottamati” che non vogliono rinunciare alle loro poltrone.

Sono quelli che avevano demonizzato Silvio per impedirgli di portare a termine il rinnovamento delle Istituzioni e del sistema giudiziario, gridando a presunti scandali giudiziari.

Avevamo forse pensato, allora, che una giustizia giusta per tutti fosse una legge ad personam, come ci volevano far credere? Se l’abbiamo fatto, ci siamo sbagliati, dobbiamo riconoscerlo. La giustizia è veramente giusta quando lo è per ciascuno di noi ed anche per Berlusconi. Di certo nessuno, più del Cavaliere ha subito un numero così esorbitante di processi spesso basati su “mere illazioni” o su “teoremi” senza riscontri probatori. Se si pensa ai tanti magistrati entrati tra le fila dei Parlamentari di sinistra, qualche sospetto di persecuzione politica verrebbe a chiunque. Berlusconi ha certamente pagato colpe reali o presunte. Vi ricordate il suo volto insanguinato quando un folle l’aveva colpito al volto con una statuina?

Ecco perché alla fine ci siamo rattristati e abbiamo perduto la fiducia nella politica. Ecco perché i “vaffan” di Grillo hanno fatto breccia tra i tanti arrabbiati. Con i “vaffan” ci si sfoga, magari, ma non si va lontano.

Lo sapevamo? Oh, sì. Ci siamo però trincerati in noi stessi piangendo sulla nostra impotenza.

Abbiamo preferito il silenzio e la fuga nell’astensionismo?

Ebbene sì. L’abbiamo fatto!

Ci siamo sentiti vecchi e superati?

Quanti errori, Dio mio.

Lo ripeto, sono una giornalista pensionata come voi, e non me ne vergogno.

Abbiamo una certa età, ma non siamo stupidi.

Nessuno tra noi è obbligato a salire sul carro del vincitore di turno, ma possiamo dire la nostra comunque, indipendentemente dai risultati elettorali.

Possiamo farci ancora valere, credetemi.

Per quanto mi riguarda, le mie scelte sono chiare. Andrò magari contro corrente, ma voterò ancora Berlusconi come nel 1994, nel 2001, nel 2005 e nel 2008.

Come la vedo io, un uomo che si rialza quando cade e che ha la tempra di un combattente è un vero uomo.

A questo punto vi domanderete perché vi scrivo.

Tranquilli!

Non vi chiedo di votarmi, perché non mi sono candidata ad alcunché e mi basta la poltrona di casa mia.

Vi scrivo per dirvi come la penso.

Sono convinta che molti tra voi ragionano come me.

Vi scrivo perché stiamo nella stessa barca.

Tutti noi abbiamo sofferto per le nostre idee e forse soffriamo ancora, ma se non combattiamo siamo perdenti in partenza.

Non lasciamoci rottamare!

Noi ci siamo ancora.

La vita sociale e l’atmosfera culturale, politica, etica e spirituale in cui, oggi, siamo immersi, determinano un crescente e forte bisogno di formazione interiore e di conversione continua.

Si tratta di una realtà connotata dagli elementi caratteristici del consumismo, dal desiderio di volere sempre di più e subito, dai ritmi vertiginosi della vita quotidiana, dalla corsa al successo ed all’apparire più che all’essere, ma soprattutto dall’incertezza del futuro e dall’affievolirsi della fiducia negli altri e nelle istituzioni.

In questo vortice frenetico in cui si consuma la nostra vita, le ricorrenze, le giornate “dedicate”, assumono un importante significato: la necessità di fermarsi un attimo a pensare, a meditare, a ricordare i valori imprescindibili della nostra esistenza.

Il mese di maggio è il mese delle rose, ma è anche il mese dedicato alle donne e, in particolare, alle mamme; è il mese dedicato a Maria, Donna e Madre.

Sono tante le donne che, nel mondo della cultura, della ricerca scientifica, dell’economia, della letteratura, della solidarietà sociale, hanno consegnato alla memoria e agli annali dell’umanità l’impronta del loro passaggio, della loro presenza, della loro saggezza. Si tratta di donne celebri che, con il loro pensiero, le loro scoperte, la loro dedizione ai bisognosi di aiuto e di assistenza, hanno arricchito l’umanità.

Ma per ogni persona, la donna più importante è sempre la stessa: la propria mamma.

E alla mamma, nella seconda domenica di maggio, ogni figlio dona una rosa in segno di affetto e di riconoscenza.

Nel mese delle rose, la scelta dell’omaggio floreale forse è stata obbligata, ma nessun altro fiore avrebbe potuto “simboleggiare” meglio la mamma: tanti petali colorati e profumati e tante spine, come tante sono le gioie e le soddisfazioni e tanti i dolori nella vita di ogni mamma, di ogni donna.

Questa ricorrenza ha origini lontane: negli Stati Uniti, nel maggio 1870, Julia WardHowe, attivista pacifista e abolizionista, propose l’istituzione del Mother’sDay for Peace (Giornata della madre per la pace), come momento di riflessione contro la guerra, ma solo nel 1914 la giornata fu ufficializzata dal presidenteWoodrow Wilson, con la delibera del Congresso di festeggiarla la seconda domenica di maggio, come espressione pubblica di amore e di gratitudine per le madri.

La festa si è poi diffusa in molti Paesi del mondo e oggi è un evento che, ormai, ci appartiene: rappresenta, infatti, l’occasione migliore per manifestare, a chi ci ha dato la vita, la nostra gratitudine e il nostro calore, il nostro affetto.

E’ vero, in questa ricorrenza spesso rischia di prevalere l’aspetto commerciale, ma un momento di riflessione, un pensiero profondo alla persona che, con tenerezza e dedizione, ci ha aiutati a crescere, è importante e non va sottovalutato, né sminuito nel suo significato autentico, anche se le mamme non chiedono ai figli alcun dono o alcun riconoscimento materiale, ma solo il loro affetto e il loro amore.

Come tutti i sentimenti, anche quello che lega madre e figlio si modifica continuamente nel tempo, nei modi e nelle forme, ma non nella profondità: l’amore del figlio bambino è un amore totale, incondizionato, ancestrale, la mamma è un mito a cui affidarsi completamente; l’amore del figlio adulto è un amore più critico, maturo, protettivo, ma non meno intenso.

Quando poi il figlio, a sua volta, diventa genitore, l’amore per la propria mamma diventa “consapevole”, allora si capisce veramente la profondità di questo rapporto.

Come ogni regola, anche questo legame empatico ha le sue eccezioni, da entrambi i lati ci sono “amori malati”: c’è l’amore materno soffocante, geloso, che non lascia crescere perché ha paura del cambiamento e non vuol lasciare andare l’oggetto del proprio amore; c’è il figlio che rinnega e ripudia le proprie origini per un falso desiderio di libertà, ma non può esserci libertà fuori da noi stessi, solo il riconoscimento e l’accettazione di quello che siamo e da dove veniamo rappresentano i punti di partenza per il raggiungimento di una autentica autonomia.

L’attuale crisi economica logora le persone, ma, purtroppo, logora anche i sentimenti perché obbliga a delle situazioni “innaturali” che spesso scaturiscono in conflitti e drammi.

Per tutti i “cuccioli” è naturale, ad un certo punto della vita, abbandonare la tana dei genitori, anche i nostri giovani hanno l’esigenza di rendersi indipendenti, ma questo diritto spesso, oggi, viene loro negato dalla disoccupazione e dalla difficoltà di “mantenersi”, di sostentarsi.

Sono costretti a restare in famiglia, ma questa scelta obbligata spesso inasprisce i rapporti proprio con la persona dalla quale si dipende maggiormente e che si ama di più: la mamma.

Ma quando ci sentiamo soli, quando siamo impauriti o disperati, la parola che sale alle labbra è sempre una, è sempre la stessa: MAMMA!

Poesie, citazioni, pensieri, canzoni …. sembra impossibile trovare ancora parole nuove per la mamma, ma ogni figlio, in questa ricorrenza, saprà trovare le parole giuste e uniche per dire alla propria madre “ti voglio bene”!

 

 

"Assassino, gli hanno detto. Lui si è girato, è andato al bar e ha chiesto un caffè. La moglie l’hanno chiamata subito: vieni, non sta bene. Il sipario si è abbassato qualche ora dopo: Roberto Gerardi, 60 anni, è morto d’infarto. In questo circo non si ride, oggi. Il domatore di cammelli va sottoterra senza applausi. Basta il pianto di un organo, a salutarlo. Arrivano clown, trapezisti, domatori. Da ovunque. Niente trucco, si sarebbe sciolto con le lacrime. Sono qui per portarlo a Reggio Emilia, dove c’è la tomba di famiglia. Al tendone è appeso un cartello: «gli animali al circo si riproducono, fuori si estinguono». Due righe per chi non ci crede e attacca. 
Domenica pomeriggio, Cazzago San Martino, zona autostrada: gli animalisti arrivano al circo di Praga con megafono e cartelli. Roberto esce a controllare. Volano spintoni. Parole grosse. «Fallito, fai schifo». Inizia a sentirsi male. È morto due giorni dopo, in ospedale. Martire, lo chiamano ora tutti, quest’uomo che aveva scelto i cammelli. O, forse, i cammelli avevano scelto lui. «Sono loro che decidono con chi lavorare - dice la nipote Tara -. Uno che doma animali esotici non può far ruggire le tigri: lo zio era uno da cammelli. Pacato, morbido, buono». Sua moglie Dalila l’ha conosciuta che faceva la trapezista. Avevano fondato un circo loro, poi gli affari hanno iniziato a girare male: per qualche mese si erano appoggiati a quello di Praga. Il figlio Steven non si stacca dal suo papà: ha la mano incollata alla bara. Lui è un clown, tiene le spade in equilibrio sulla fronte."

Questo l'articolo che Alessandra Troncana ha scritto per la cronaca di Brescia del Corriere della sera, giovedì 20 marzo.

Il domatore di cammelli era parte della grande famiglia circense che, ricevuta in udienza da Benedetto XVI (1-12-2012)si sentì rivolgere queste affettuose parole: "Ciò che anzitutto contraddistingue la vostra grande famiglia è la capacità di usare il linguaggio particolare e specifico della vostra arte. L’allegria degli spettacoli, la gioia ricreativa del gioco, la grazia delle coreografie, il ritmo della musica costituiscono proprio una via immediata di comunicazione per mettersi in dialogo con i piccoli e con i grandi, suscitando sentimenti di serenità, di gioia, di concordia. Con la varietà delle vostre professioni e l’originalità delle esibizioni, voi sapete stupire e suscitare meraviglia, offrire occasioni di festa e di sano divertimento."

I contestatori che fanno del loro amore per gli animali una ideologia contro l'uomo hanno raggiunto il loro scopo? Hanno sospeso le contestazioni in segno di lutto e speriamo che questa pausa di riflessione faccia loro recuperare il senso della realtà. Nessun animale libero vale un uomo morto!

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