Da Ferrazza (Theater) e Lanzoni (Unplanned Ways) due album CamJazz per Trio

Non c'è alcunché di "teatrale" nell'album "Theater" del Jacopo Ferrazza Trio (CamJazz) nel senso di plateale, enfatico, istrionico, esagerato.
C'è, è vero, un che di "teatrale" nel disco in questione, in un tipo di musica che si potrebbe dire spettacolare perché si lascia ascoltare e "vedere" come in un live. C'è invece molto di "teatrale" nel significato logistico e metaforico del termine, di un luogo che è teatro di qualcosa, un evento, un concerto... Uno spazio aperto che travalica i generi, "scene da un matrimonio" fra musica improvvisata e cameristica, opera ed elettronica, in cui può capitare, ascoltando la prima delle otto tracce, che è quella denominata come il ciddì, di ritrovarsi davanti un trio che da un pò di vertigini nel passaggio d'emblée al jazz tout court dopo un inizio classicamente contrappuntato. 
Spazia, per l'appunto, fra le tre pareti del "palcoscenico", quella del contrabbasso di Ferrazza, della chitarra coprotagonista sia elettrica che classica di Stefano Carbonelli e della batteria di Valerio Vantaggio, Tertium Datur, terzo incluso nel "solismo" uno e trino del gruppo.
Che si muove policefalo con tre teste che condensano il pensiero musicale di una per produrre un sound che non trova facili riscontri in precedenti formazioni del genere. Certo, è vero, Ferrazza ha qualcosa dell'archetipo Ray Brown e dei suoi gruppi; Carbonelli ha ascoltato a lungo Frisell, Holdsworth, Towner quest'ultimo per la capacitá di alternarsi fra la chitarra classica e la jazz; Vantaggio viene dalla scuola di artisti del livello di Rodney Green ed Ettore Fioravanti che hanno lasciato qualche impronta sulle sue bacchette. Ma il fatto è che, scusate la digressione matematica, se si sommano i suoni degli strumenti A , B, C, il totale non sará né A, né B, né C. Sarà un elemento nuovo che chiameremo J ( come Jazz). Ed in questa combinazione Ferrazza è riuscito a mixare Bach e Schumann (A Visionary Spring), Skryabin e Ravel (The Last Sunset, Sofia), rock (The observer) ... tramite l'arte/fazione di una musica umorale, di lungo respiro, fatta di pause meditative e rincorse in chiave di basso e violino, con suoni a volte perfettamente sincronizzati, batteria compresa, ed in altri casi catapultati in una sorta di spensierata jam session. 
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È risaputo come Il jazz sia materia di studio in alcuni corsi di leadership creativa. I formandi manager devono saper gestire i problemi, governare i processi con modalitá non programmabili che spesso è proprio la creativitá a fornire. E cosa meglio del jazz per acquisire istinto inventivo? Unplanned Ways, album CamJazz del pianista Alessandro Lanzoni, è un titolo che in qualche modo richiama l'idea dell'adottare soluzioni senza un progetto dettagliatamente scritto a tavolino. Qui il "leader creativo" non propone però musica svincolata da regole. E non tanto per gli standards in scaletta, da Misty a Blood Count, da Thelonious a Conception, che forniscono una qualche griglia di riferimento. Lanzoni, con il contrabbassista Thomas Morgan e il batterista Eric McPherson, procede step by step nel plasmare un impasto in cui si fondono lembi di classicitá jazzistica, pezzi di contemporaneitá, e si attua, a mò di feedback, la verifica del sè compositivo in brani inediti come Amaruq e Coda, a firma dei tre jazzisti.
Fra le varie forme date di trio con pianoforte e sezione ritmica essenziale, questa non clona nè Evans nè Jarrett per l'imprevedibilitá della dirittura che prende nettamente la musica. Lanzoni è un decision making della tastiera, un motivatore del gruppo, un ottimizzatore melodico armonico ritmico. Il resto del team è sintonizzato sul pianoforte sulla base di un canovaccio strategico di un jazz razionale e pragmatico epperò capace di tempestosi "brainstorming" improvvisativi. Ed è questo, alla fine, il proprio "brand" artistico.

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