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La persecuzione dei cristiani nel mondo a Palazzo Montecitorio

Cristiani perseguitati_mappatura nel mondo

Sono tuttora il gruppo religioso in assoluto più perseguitato al mondo (con circa l’80% delle vittime su scala globale), eppure dei drammi fisici e morali dei cristiani sui mass-media solitamente si parla relativamente poco. E’ per tenere viva l’attenzione sul tema che è stato organizzato, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio a Roma, il Convegno “…perseguiteranno anche voi (Gv 15,20). Persone, drammi, prospettive” in cui diversi tra eminenti politici, studiosi ed esperti hanno fatto il punto sulla persecuzione più cruenta che il Cristianesimo attualmente sta attraversando ai quattro angoli del globo. Introdotta dall’onorevole Stefano Dambruoso (Scelta Civica), questore della Camera dei Deputati, la serata ha visto intervenire monsignor Lorenzo Leuzzi, Vescovo ausiliare di Roma, padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia d’informazione AsiaNews, il magistrato Alfredo Mantovano, esponente di Alleanza Cattolica e promotore dell’iniziativa, il segretario generale del Ministero degli Affari Esteri Michele Valensise e il giornalista inviato di guerra Gian Micalessin. Presentando l’evento Dambruoso si è soffermato su quanto sia “sottovalutata” l’emergenza politica e umanitaria e quanto poco fino ad oggi si sia fatto complessivamente a livello internazionale per accendere i riflettori su un dramma dalle dimensioni quantomai estese. A prendere per primo la parola è stato quindi monsignor Leuzzi che, ricordando le parole del Vangelo di Giovanni che danno il titolo al Convegno, si è soffermato sul martirio come caratteristica permanente della presenza cristiana nella società giacché non è mai esistita un’epoca senza persecuzioni anticristiane. Quello che tuttavia oggi è inedito è appunto il dato dell’ampiezza del fenomeno, moltiplicato dalle logiche dei processi di globalizzazione che in Africa e in Asia e in Medio Oriente ghettizzano spesse volte proprio i cristiani in quanto principali soggetti di mediazione culturale e religiosa della globalizzazione stessa di fronte ad aree dove invece crescono fondamentalismi di vario tipo. Mantovano, che ha preso la parola subito dopo, ha ricordato non a caso la situazione attuale in Libia, dove venti copti questa settimana sono stati decapitati solo “perché cristiani” – per citare le parole di Papa Francesco – e la testimonianza coraggiosa di monsignor Martinelli, il Vescovo di Tripoli, uno degli ultimi italiani rimasti nella zona che ha scelto di rimanere fino alla fine nonostante tutto, anche se questo dovesse significare la morte in breve tempo. Che fare dunque? Il magistrato ha risposto che la prima cosa è “vincere l’assuefazione” che in questi casi come spettatori ci assale istintivamente e riflettere sul fatto che niente nella storia è realmente inevitabile. In secondo luogo, di certo, vi è poi l’azione politica che – se vuole incidere – deve però preliminarmente considerare che “la guerra al terrorismo è incompatibile con la spending review” e con un ridimensionamento delle risorse degli apparati di sicurezza. Occorre quindi capire se la lotta al terrore è una priorità delle nostre classi dirigenti oppure no, fermo restando che – ha concluso Mantovano citando ancora il Pontefice – la risposta militare dovrà essere il più possibile “multilaterale, coinvolgendo le organizzazioni sovranazionali” e possibilmente – per evitare ogni strumentalizzazione confessionale – attirare dalla propria parte anche quegli Stati islamici che sono più sensibili – per vari ordini di ragioni – alla lotta contro il revival fondamentalista degli ultimi tempi, dalla vicina Turchia, alla sempre strategica Giordania all’Egitto.

Subito dopo è stato il turno di padre Bernardo Cervellera, missionario e specialista di libertà religiosa per il continente asiatico, che ha invece messo in luce come la lotta al terrorismo – da cui non possiamo esimerci – necessiti anche di un approccio più concreto per la salvaguardia dei diritti umani. A suo avviso, infatti, laddove i diritti fondamentali della persona sono garantiti si è già arginata una delle prime radici sociali della crescita del fondamentalismo che lucra molti dei suoi consensi sulle politiche di emarginazione sociale e religiosa verso il ‘diversamente altro’ presente nella società. In ogni caso, va pure considerato che i cristiani spesso vengono colpiti proprio perché, nelle zone di maggiore crisi e conflitto sociale, sono coloro che si fanno solitamente portatori attivi e garanti di politiche di sviluppo e libertà civile della società incoraggiando a livello di singoli come di comunità il dialogo culturale e religioso. Di diverso tenore invece gli interventi dell’onorevole Pierferdinando Casini (Area Popolare), presidente della commissione Affari Esteri del Senato, e Mario Morcone, capo dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell’Interno, che dando giudizi molto severi sulle ultime operazioni belliche avviate nell’area hanno criticato ogni possibilità di intervento militare occidentale in Medio Oriente dicendosi altresì convinti che il mondo islamico in quanto tale sia ben più vario, complesso e articolato delle rappresentazioni a volte univoche che ne danno alcuni opinionisti occidentali. A seguire è stata poi la volta dell’intervento di Micalessin de Il Giornale che – ricordando i suoi viaggi più recenti nelle zone di guerra e dove ora si moltiplicano le persecuzioni anticristiane – ha aggiunto invece che le decapitazioni brutali in tv non sono affatto una novità di adesso (quella di Nick Berg in Afghanistan, analoga nella scena, era del 2004) e che semmai quello che ora si aggiunge aggravando la situazione ulteriormente è la miopia di certe scelte politiche di alcune potenze europee che – ad esempio – nel caso della crisi siriana si sono alleate tutte contro Assad favorendo ultimamente proprio quel fondamentalismo radicale che in prima istanza si diceva di voler combattere. La serata è stata poi conclusa dall’intervento di Valensise che da parte sua ha sottolineato come pure nella attuale situazione di dramma l’Italia all’estero continui a giocare comunque la propria parte: così nel teatro di Tripoli, dove altri Stati europei nel frattempo se ne sono già andati, così all’ONU, dove la questione libica – proprio grazie all’impegno dell’Italia – è entrata finalmente nell’agenda del Consiglio di Sicurezza (che ha poi respinto l’opzione d’intervento militare), così nei tavoli principali della diplomazia internazionale dove gli sforzi messi in campo a servizio della pace e del dialogo reciproco vengono solitamente riconosciuti e apprezzati. Si tratta ora di vedere sela mobilitazione invocata da più parti a livello culturale e diplomatico avrà anche delle conseguenze tangibili a breve termine per i cristiani più perseguitati in Africa centrale (Nigeria, Kenya) come sul Mediterraneo (Libia, Siria, Iraq). Tuttavia, già che se ne parli pubblicamente in questi termini in sedi rappresentative come Montecitorio è un primo passo avanti.

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