La liturgia per la beata Maria Cristina di Savoia

Maria Cristina di Savoia7

 

L’uso improprio dei termini non è questione soltanto di maggior o minore cultura, ma di saper “dare il nome proprio” alla realtà; l’assenza di ciò è motivo di confusione, nel senso proprio della parola, ossia che un aspetto viene “fuso-con” un altro che è diverso. Ciò avviene spesso in riferimento al riconoscimento canonico della santità di un determinato personaggio. Infatti spesso si parla di santificazione, dimenticando se non proprio ignorando che quest’ultima è opera esclusiva dello Spirito Santo. Neppure il Papa può santificare qualcuno; al massimo come ogni fedele può lasciarsi santificare, ossia plasmare dallo Spirito Santo! Diversamente riconoscere canonicamente la santità di una determinata persona – onde evitare abusi come purtroppo sono avvenuti nella storia, soprattutto verso la fine dle primo millennio - è proprio dell’ufficio del Papa che lo compie in duplice modo, ossia mediante un atto permissivo di culto pubblico locale – la cosiddetta beatificazione – e più solennemente con un atto prescrittivo per la Chiesa universale, ossia la canonizzazione.

Il 25 gennaio 2014 a Napoli vi sarà la beatificazione della regina Maria Cristina di Savoia la cui festa liturgica sarà il 31 gennaio, giorno anniversario della sua morte, o meglio il dies natalis, cioè il giorno della nascita al cielo. Per questo è stata preparata e approvata una liturgia propria consistente nella orazione, la lettura per l’ufficio liturgico e il relativo responsorio. Sotto viene riportata la traduzione italiana, l’originale latino e infine una spiegazione della medesima.

 

Beata Maria Cristina di Savoia

Nacque a Cagliari nel 1812 da Vittorio Emanuele I e Maria Teresa d’Asburgo. Fin da fanciulla diede esempio di pietà, modestia e generosità. Nel 1832 sposò Ferdinando II di Borbone. Nella corte di Napoli, nel suo duplice stato di sposa e regina, fu consigliera saggia e prudente del re, vera madre dei poveri e degli ultimi. Ottenne la salvezza per molti condannati a morte e seppe farsi carico delle sofferenze del suo popolo per la cui promozione ideò ardite opere sociali. Il 31 gennaio 1836, pochi giorni dopo aver dato alla luce Francesco, l’atteso erede al trono, concluse la sua breve esistenza terrena tra l’unanime compianto della corte e del popolo.

Dal Comune delle sante: per una santa, con salmodia del giorno del Salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dai «Discorsi» di san Clemente di Alessandria.

(Quis dives salvetur, 13, 4 - 18, 1: SCh. 537, Paris 2011, pp. 134-144)

La vera ricchezza è la virtù dell’anima

Come si potrebbe dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, vestire chi è nudo e ospitare chi è senza tetto, se ciascuno si trovasse ad essere privo di tutte queste cose? Cristo, invece, è ospitato da Zaccheo, da Levi, da Matteo, ricchi e pubblicani, ed egli non li esorta a disfarsi delle ricchezze, ma ne prescrive un uso giusto, elimina quello ingiusto e annuncia: «Oggi la salvezza è per questa casa»; egli loda l’uso che si fa di esse ed esorta alla condivisione, aggiungendo di dare da bere a chi a sete, di dare pane a chi ha fame, di accogliere chi è senza tetto, di vestire chi è nudo.

Le ricchezze, dunque, potendo giovare al prossimo, non sono da rigettare, perché sono dei possessi quando sono possedute e vantaggi quando sono utili e predisposte da Dio a favore degli uomini, benché siano a loro disposizione e ad essi soggette come materia e strumenti, affinché quanti ne sono capaci ne facciano buon uso. Anche la ricchezza è uno strumento di questo tipo: la si può usare in modo giusto, e in tal caso è al tuo servizio per la giustizia; o la si può usare ingiustamente, e allora si manifesta come serva dell’ingiustizia. Essa, infatti, è per sua natura al servizio, non al comando.

Chi, dunque, getta via da sé l’abbondanza mondana può, tuttavia, restare ricco delle passioni, anche se non ha più la ricchezza materiale: infatti, la brama del mondo, operando come le è proprio, affanna il pensiero e lo molesta; e a nulla gli giova l’essersi fatto povero, se rimane ricco nel vizio e nella cupidigia. Bisogna, quindi, rinunciare non ai beni che, con il sostegno della sapienza, della sobrietà e della carità, possono essere utili, se uno ne conosce il retto uso, ma a quelli dannosi: l’attaccamento ad essi, infatti, porta morte e di esso è bene purificare ovvero rendere povera e nuda l’anima.

Pertanto, se chi ha ricchezze, oro, argento e case, quali doni di Dio, celebra con essi il Dio che glieli dà per la salvezza degli uomini ed è consapevole che possiede questi beni per i fratelli piuttosto che per se stesso, rendendosi in tal modo superiore al possesso di essi, non è schiavo dei beni che possiede, poiché non porta questi beni nella sua anima, né in essi definisce o circoscrive la sua vita; egli, invece, impegnandosi sempre in opere buone e divine ed essendo in grado di sopportare con animo lieto, anche la separazione dai propri beni, se un giorno dovesse restarne senza, al pari della loro abbondanza, costui è chiamato beato dal Signore e povero di spirito ed è già pronto per ricevere in eredità il regno dei cieli, non un ricco che senza il culto dei beni del mondo, è incapace di vivere.

Occorre, dunque, considerare con esattezza, l’esempio dei ricchi che difficilmente entreranno nel regno dei cieli: non è questo, infatti, il senso di quanto viene detto. La salvezza non si basa né sui beni esteriori, né sul fatto che esse siano molte o poche, piccole o grandi, gloriose o ingloriose, nobili o ignobili, ma sulla virtù dell’anima: fede, speranza, carità, amore fraterno, sapienza, mitezza, modestia e verità. Di tutto questo è premio la salvezza.

Responsorio                                                                                            cf. 2 Cor 9, 9. 11

R/.  Ha largheggiato, ha dato ai poveri. * La sua giustizia dura in eterno.

V/.  Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale poi farà salire a Dio l’inno di ringraziamento per mezzo nostro.

R/.  La sua giustizia dura in eterno.

Orazione

 

O Dio, che nella scena di questo mondo hai ornato di sollecita e sapiente carità la beata Maria Cristina, perché contribuisse all’edificazione del tuo regno, concedi anche a noi, sul suo esempio e con la sua intercessione, di operare il bene attingendo alla vera ricchezza del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

 

 

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Beatae Mariae Christinae de Sabaudia

Anno 1812 Calari nata est e parentibus regibus Victorio Emmanuele I et Maria Teresia de Absburgo. Inde a pueritia exemplum praestitit pietatis, modestiae e benignitatis. Anno 1832 nupsit regem Ferdinandum II de Borbone. Apud curiam regalem Neapolitanam, simul fungens uxoris et reginae muneribus, sapiens ac prudens fuit consiliaria regis et vera pauperum egenorumque mater. Multorum capite damnatorum salvam fecit vitam et aerumnis summopere subvenit populi sui, pro cuius profectu nova opera socialia instituere valuit. Die 31 ianuarii 1836, paulo post filium Franciscum, haeredem regni exspectatissimum, genitum, curia populoque neapolitanis maerentibus, brevem peregrinationem suam in mundo conclusit.

De Communi sanctarum: pro una sancta, praeter sequentia.

Ad Officium lectionis

Lectio altera

E «Sermonibus» sancti Clementis Alexandrini.

(Quis dives salvetur, 13, 4 - 18, 1: SCh 537, Paris 2011, pp. 134 - 144)

Verae divitiae virtutes animarum

Quanam quis ratione esurientem alat, sitienti potum det, nudum contegat, peregrinum colligat, si quisque ipse prior horum omnium egenus exstiterit? Quin et Christus ipse excipi se hospitio a Zacchaeo iubet et Matthaeo, qui divites essent et publicani, ac quidem dimittere eos pecunias non iubet, sed adiecto iusto iudicio ablatoque iniusto, subiungit: «Hodie salus huic domui facta est»; et sic vero laudat pecuniarum usum, ut cum hac adiectione communicationem praecipiat potum dare sitienti, esurienti panem praebere, peregrinum suscipere, nudum vestire.

Non ergo abiciendae sunt opes, quae et in proximi cedant utilitatem: etenim, possessiones dicuntur, quia earum ea indoles est, ut possideantur; insuper, opes appellantur, quia opem ferunt et humanis usibus sunt a Deo accomodatae; porro, divitiae ac opes praesto sunt subiacentque velut materia quaedam et instrumentum, boni usus praestandi causa his, qui vim instrumenti sciant. Tales divitiae quoque sunt instrumentum. Potes illis uti, iustitia comite? Ad iustitiam ministrae sunt. Utitur quis illis, ea non comite? Ministrae rursus fiunt iniustitiae. Divitis enim ex indole est ut inserviant, non ut praesint aut imperent.

Siquidem igitur abiectis quis saecularis fastus divitiis, vitiorum adhuc et affectum segete dives esse potest, tametsi terrena substantia ei non suppetit – cupiditas, enim, quod suum est agit animumque velut praefocat angitque – nihil plane ei profuit quod egenus divitiis factus est, qui vitiis et affectibus sit dives. Renuntiandum, ergo, facultatibus quae noxiae sunt, non iis rebus, quae, si quis rectum usum attenderit, conducere etiam possint et conducunt vero quae prudentia comite et sobrietate ac pietate dispensantur; Priorum copia quidem cunctis mortifera est et ab ea mundam seu pauperem nudamque animam praestare decet.

Nam, qui possessionibus locuples aurumque et argentum et domos tamquam Dei dona habet Deoque largitori in hominum salutem ex eis obsequitur novitque fratrum potius causa, quam in sui gratiam, haec a se possideri animoque quam pro illorum possessione praestantior, non ut servus hisque mancipatus ea possidet neque animo circumfert, nec iis vitam suam definit ac circumscribit, sed et honesti aliquid operis atque divini in laboris partem semper assumit et, si quando necesse fuerit illis privari, placido animo parique hilaritate eorum iacturam ferre potest et abundantiam: hic ille ille est, qui a Dominio beatus praedicatur et pauper spiritu vocatur, expeditus haeres regni coelorum, non qui divitiarum impatiens earum cultu vivere non potest.

Divites, ergo, qui difficile intrabunt in regnu coelorum, subtilius et erudite intelligendi: non enim ita dictum est. Nec iis, quae foris sunt, salus posita est, sive ila multa sive pauca sint, sive parva sive magna, sive laude clara sive obscura, sive probata sive reproba, sed in animi virtute, fide, spe et caritate, fraterno amore et scientia et mansuetudine et modestia et veritate, quorum praemium salus est.

Responsorium breve                                                                                                                    cf. 2 Cor 9, 9. 11

R/.    Dispersit, dedit pauperibus. * Iustitia eius manet in aeternum.

V/.    In omnibus locupletati eritis in omnem simplicitatem, quae operatur per nos gratiarum actionem Deo.

R/.    Iustitia eius.

Oratio

Deus, qui in figúra huius mundi beátam Maríam Christínam prudénti ardentíque caritáte decorásti et artificem in augmento Regni tui effecisti, praesta nobis, eius exémplo et intercessióne, ut de vero amóris tui thesáuro benefaciéntes accípere valeámus. Per Dóminum.

 

 

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Beata Maria Cristina di Savoia

Nota Esplicativa

 

 

Orazione Colletta

 

O Dio, che nella scena di questo mondo (cfr.1 Cor 7,31)

hai ornato (cfr Is 61,10)

di sollecita e sapiente carità

la beata Maria Cristina,

perchè con la sua testimonianza

contribuisse all’edificazione del tuo regno, (Christifideles laici, n 17)

concedi anche a noi, sul suo esempio,

di operare il bene (1 Pt 2,15)

attingendo alla vera ricchezza del tuo amore.

 

La singolare condizione di regina che caratterizza la beata è evocata dalle espressioni del linguaggio biblico e liturgico scelte per la colletta.

Nella scena di questo mondo - espressione paolina che vuole riferirsi all’ambiente di corte e alla fugacità dei beni terreni - la beata è ornata da Dio - come la “sposa” di Isaia - del gioiello incorruttibile della carità. Si tratta di una carità sollecita, cioè attenta ai bisogni del popolo e della corte, e sapiente, cioè capace di intervenire con prudenza e fortezza nel particolare ruolo di regina consorte, quindi di prima consigliera del re.  

Nella sua breve esistenza terrena la beata visse con il cuore rivolto ai beni eterni e contribuì alla crescita del regno di Dio nella città degli uomini. Attratti dal suo esempio, anche noi chiediamo di saper operare il bene, cioè di agire in ogni circostanza, attingendo alla vera ricchezza dell’amore di Dio, di fronte alla quale ogni altra ricchezza si rivela effimera e vana. Il tema della vera ricchezza ritorna nella Lectio altera che si propone per l’Ufficio di Lettura.

 

 

Lectio altera

 

Gli scritti della beata, che ci sono pervenuti attraverso i Processi, non permettono di individuare un testo che possa essere proposto come Lectio altera dell’Ufficio di Lettura. Si tratta infatti, per lo più, di lettere ai familiari, quaderni scolastici, appunti di contabilità.

Si propone pertanto, un testo patristico desunto da Clemente Alessandrino (Quis dives salvetur, 13, 4 - 18, 1: SCh 537, Paris 2011, pp. 134 - 144), commento al Vangelo del giovane ricco (Mc 10, 17-27), e che tratta il tema della vera ricchezza. La beata si distinse infatti per l’uso autenticamente evangelico dei suoi beni temporali e spirituali, mettendo a disposizione dei poveri le ingenti ricchezze del suo patrimonio personale. Con i doni spirituali della sapienza, dell’intelletto, del consiglio, della fortezza, della scienza, della pietà, e del timor di Dio, testimoniò la vita buona del vangelo nella corte di Torino e di Napoli, nella sua particolare condizione di sposa e di sovrana.

 

Responsorio

 

E’ composto con i versetti 9 e 11 della Seconda lettera ai Corinti. Ripropone il tema della liberalità nel donare, che torna a giustizia di chi la compie, e che rende gloria di Dio, origine di ogni bene.

 

 

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